Da Caravaggio a Bernini, influenze, convergenze e un’antica allegoria moraleggiante.

di Claudia RENZI

Il Ragazzo morso da ramarro è un’opera giovanile di Caravaggio nota da almeno due versioni autografe conservate rispettivamente a Firenze, Fondazione Roberto Longhi e a Londra, National Gallery (Figg. 1 e 2) [1] e da alcune copie in collezioni private [2].

1 e 2 Ragazzo morso da un ramarro (sx, Londra; dx, Firenze)

Nel dipinto, la cui realizzazione si aggira attorno al 1594-5, è ritratto un giovane abbigliato all’antica con una rosa tra i capelli che sobbalza dolorante in seguito al morso di un piccolo sauro nascosto tra la caraffa con fiori e i frutti in primo piano verso i quali il giovane, incautamente, aveva allungato la mano.

Lo sfondo neutro è attraversato da un taglio di luce diagonale da sx verso dx e interessa parte del corpo e del viso del ragazzo nonché la caraffa, posta su un tavolo dal lato dx, sulla quale crea suggestivi giochi di luce esaltando anche le goccioline di rugiada.

La tavolozza della versione fiorentina è più calda, sui toni bruni; il ragazzo guarda chiaramente verso lo spettatore; in entrambi gli occhi ci sono riflessi e, nel destro, all’estremità esterna, si scorge il riverbero di una lacrima. Tra i capelli, dietro l’orecchio dx, il giovane ha fissato quella che sembra essere una rosa centifolia che, nella varietà bianca, presenta toni rosati al centro; la bocca schiusa lascia intravedere la lingua e i denti.

I toni del dipinto londinese sono più freddi e meno nitidi, lo sguardo del soggetto è leggermente decentrato (non sembra infatti guardare lo spettatore) e non ci sono riflessi sulle iridi, dettaglio che forse si è perduto con il tempo, mentre sembra esserci invece un residuo di lacrima sull’estremità esterna dell’occhio dx.

I frutti, in entrambe le versioni, sembrano essere ciliege, fichi e una susina (o nespola); la rosa (più chiara nella versione fiorentina, spiccatamente rosa nella londinese) nella caraffa è accompagnata da fiorellini bianchi simili a gelsomino o fresia; il ramo all’estremità dx sembra di ulivo o forse alloro.

Giulio Mancini afferma, in entrambi i manoscritti delle sue Considerazioni, l’opera essere stata realizzata durante la permanenza presso Pandolfo Pucci, meglio noto come Monsignor Insalata, tra l’altro suo vicino di casa. Nel Manoscritto Palatino Mancini scrive che Caravaggio

Doppo se ne passò a Roma d’età in circa 20 anni dove essendo poco provvisto di denari stette con il sig. Pandolfo Pucci da Recanati […] Nel tempo che vi stette fece per esso alcune copie di devotione che sono in Recanati e per sé da vendere un putto che piange per esser morso da un racano che tiene in mano che fu causa che vendutolo, e preso animo di poter vivere da sé si partì da quel suo così scarso maestro o padrone”;

nel Manoscritto Marciano invece:

Doppo se ne passò a Roma d’età in circa 20 anni dove essendo poco provisto di denari stette con Pandolfo Pucci da Recanati […] In questo tempo fece per esso alcune copie di devotione che sono in Recanati e, per vendere [c. 59v] un putto che piange per essere stato morso da un racano che tiene in mano[3].

Giovanni Baglione, dal canto suo, informa che Caravaggio

E da principio si accomodò con un pittore siciliano [Lorenzo Carli] che di opere grossolane tenea bottega. Poi andò a stare in casa del Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino per alcuni mesi. Indi provò a stare da sé stesso e fece alcuni quadretti da lui nello specchio ritratti […] Fece anche un fanciullo che da una lucerta, la quale usciva da fiori, e da frutti, era morso e parea quella testa veramente stridere, e il tutto con diligenza era lavorato. Pur non trovava a farne esito, e darli via, & a mal termine si ridusse senza denari […] infin che Mastro Valentino a s. Luigi de’ Francesi rivenditore di quadri gliene fece dar via alcuni e con questa occasione fu conosciuto dal Cardinal Del Monte.”[4],

ovvero Caravaggio avrebbe licenziato il Ragazzo morso da ramarro quando era già presso la bottega di Giuseppe Cesari, nel 1596 ca.[5]; che il pittore riuscì a piazzare alcuni di quei primi dipinti che da solo non riusciva “a darli via” – tra i quali non è chiaro se ci fosse il Ragazzo morso da ramarro o meno – grazie al mediatore “mastro Valentino”, cioè Costantino Spada [6] e che, in tale occasione, avrebbe conosciuto il cardinale Francesco Maria Del Monte presso cui il pittore andò a vivere nel luglio 1597.

Joachim von Sandrart racconta infine che:

All’inizio […] rappresentò molti volti e mezze figure, tra i quali un fanciullo con una cesta piena di fiori e frutta: una lucertola ne [era uscita] per mordere la mano del fanciullo, perciò questi pareva piangere amaramente. Era mirabile a vedersi e con questo [quadro] la sua lode crebbe assai per Roma.”[7].

Come suo solito, però, il biografo, che scrisse a decenni di distanza dalla sua permanenza a Roma nel 1629, confonde più opere: qui sembra fondere elementi del Ragazzo con canestra di frutta (1594, Roma, Galleria Borghese) con il Ragazzo morso da ramarro, del quale tuttavia azzecca la fortuna, come attestano le repliche note pervenute.

Nessuna delle fonti indica chiaramente chi acquistò il dipinto, concordando tutte soltanto sull’espressione molto realistica del soggetto che sembra piangere per il dolore causatogli dall’inaspettato e improvviso morso.

Il rettile che addenta il dito del ragazzo è stato convincentemente identificato come un’innocua lucertola europea[8]: ciò porta a poter scartare l’ipotesi di allusione a un’eventuale morte prematura[9] e consente di propendere piuttosto per un ammonimento contro l’eccessiva vanità cui sembra indulgere lo sprovveduto che trova tempo di agghindarsi i capelli arricciati – forse una parrucca teatrale[10] – con una rosa, ma non bada tuttavia a dove mette le mani tanto da disturbare il piccolo sauro che, seppure nient’affatto velenoso o nocivo, si difende mordendolo. Dunque il Ragazzo morso da ramarro rappresenta una vanitas del piacere, un monito contro probabili inside d’amore.

Fig. 3 Caravaggio, Martirio di San Matteo, Roma, S. Luigi dei Francesi, particolare.

Il modello che posa nel Ragazzo morso da ramarro è Caravaggio stesso: confrontando il suo volto con l’autoritratto nel Martirio di Matteo (1599, Roma, San Luigi dei Francesi – Fig. 3): si possono notare le medesime rughe glabellari e anche quelle nasogeniene sono le stesse, sebbene nel Ragazzo, essendo all’epoca più giovane, siano meno profonde che nell’autoritratto nel Martirio.

Una nota segnalata da Luigi Spezzaferro nell’inventario dei beni del duca Giovan Angelo Altemps del 15 ottobre 1620, c. 38r, cita

Un retratto di Caravaggio dove gli morsica una lucerta, di p. 3, 1/2, con corn.ce nero rabescato d’oro

valutato 18 scudi [11].

Pur non chiarendo di quale versione si tratti, l’appunto sembra avvalorare la consapevolezza dei contemporanei che il Ragazzo morso da ramarro fosse un autoritratto. Se è vero che nei primi tempi a Roma Caravaggio se la passava piuttosto male, nulla di più facile che abbia dipinto, servendosi di uno specchio (“fece alcuni quadretti da lui nello specchio ritratti[12]), cripto-autoritratti utili per studiare – e replicare poi in pittura – le espressioni, quei “moti dell’animo” di leonardesca memoria, usando il modello più economico e a portata di mano che si postesse avere: sé stesso.

Fra i possibili modelli di ispirazione, e col quale confrontarsi, c’è proprio Leonardo:

Fece poi Lionardo una Nostra Donna in un quadro, ch’era appresso papa Clemente VII, molto eccellente. E fra l’altre cose che v’erano fatte contrafece una caraffa piena d’acqua con alcuni fiori dentro dove oltre la maraviglia della vivezza, aveva imitato la rugiada dell’acqua sopra, sì che ella pareva più viva che la vivezza[13].

Leonardo aveva del resto, com’è noto, riservato l’intera parte quinta del Trattato della Pittura (la Parte quinta. Dell’ombra e lume, e della prospettiva) all’incidenza della luce sui soggetti animati e non: nel Ragazzo morso da ramarro Caravaggio dedica grande attenzione alla caraffa [14] e ripropone anche il dettaglio della rugiada.

Quando viveva a Roma Leonardo:

Fermò in un ramarro trovato dal vignaruolo di Belvedere, il quale era bizzarrissimo, di scaglie di altri ramarri scorticate, ali a dosso con mistura d’argenti vivi, che nel moversi quando camminava tremavano; e fattogli gl’occhi, corna e barba, domesticatolo e tenendolo in una scatola, tutti gli amici ai quali lo mostrava, per paura faceva fuggire.”[15],

e altrove, nello studio per un medaglione classificato come Allegoria delle fedeltà della lucertola [16], aveva sottolineato il valore positivo del rettile accompagnando al disegno di un uomo addormentato minacciato da un serpente e salvato appunto da una lucertola la didascalia:

Il ramarro, fedele all’omo, vedendo quello addormentato, combatte colla biscia, e se vede non la poter vincere corre sopra il volto dell’omo e lo desta acciò che essa biscia non offenda lo addormentato omo”.

La lucertola, pur avendo una natura ambivalente (anela al Sole e non lo teme, contemporaneamente striscia e si infila in anfratti bui), era ed è dunque sostanzialmente ritenuta un simbolo positivo, di rinascita.

Nel Ragazzo morso da ramarro, in conclusione, sarebbe insita un’allegoria moraleggiante: il giovane attratto dai piacerei terreni (rappresentati dai deliziosi frutti) rischia di perdersi ma, provvidenzialmente morso dalla lucertola, è indotto a riflettere, e dunque ha una possibilità di salvarsi.

Altri esempi precedenti che Caravaggio potrebbe aver tenuto in considerazione sono stati individuati nel Gentiluomo nello studio di Lorenzo Lotto (1530, Venezia, Gallerie dell’Accademia); i Pescivendoli di Vincenzo Campi (1579, La Roche-sur-Yon, Museo municipale); Due bambini molestano un gatto di Annibale Carracci (1590, New York, Metropolitan Museum of Art); tuttavia la fonte primaria di paragone è il celebre disegno di Sofonisba Anguissola raffigurante un Putto morso da un granchio (1554 ca., Napoli, Gallerie di Capodimonte, Gabinetto Disegni e Stampe – Fig. 4)[17], tanto che a un certo punto si è fatta persino confusione tra il dipinto di Caravaggio e l’animale scelto da Sofonisba.

Fig. 4 Sofonisba Anguissola Fanciullo morso da un gambero 1554 ca., Gabinetto di Disegni e Stampe del Museo di Capodimonte, Napoli

Nel 1650 infatti Manilli scrisse, descrivendo l’allestimento della Sala ospitante Apollo e Dafne di Bernini in Villa Borghese: “Il quadretto di un putto morso da un granchio è del Caravaggio[18].

La fama del disegno di Sofonisba e del Ragazzo morso da ramarro di Caravaggio ha raggiunto facilmente Gian Lorenzo Bernini che, giovanissimo, licenziò un’opera per molti aspetti simile alle illustri precedenti, ovvero il Putto morso da un serpente marino (Fig. 5).

Fig. 5 Gian Lorenzo Bernini, Putto morso da serp. marino, Berlino Staatliche Museen

La scultura, rinvenuta nel 1967 sul mercato antiquario fiorentino con attribuzione a Giovanni Angelo Montorsoli e acquisito in seguito dallo Staatliche Museen di Berlino, raffigura un bambino che, forse giocando, incappa in una creatura sinuosa – un animale probabilmente fantastico, riconducibile in qualche modo alla famiglia dei serpenti marini – che reagisce mordendolo sul polpaccio dx avvolgendogli la coda attorno al polso dx (Fig. 6).

Fig. 7 Gian Lorenzo Bernini, Putto morso da serpente marino, part.
Fig. 6 Gian Lorenzo Bernini, Putto morso da serpente marino, part.

Non riuscendo a liberarsi dalla presa, il putto reclina indietro il capo e sembra invocare aiuto piangendo: la bocca schiusa, gli occhi arrovesciati all’indietro con la pupilla scavata a forza di trapano, la posizione sbalestrata… tutto rende, molto teatralmente, l’idea del pianto di un bambino appena ferito, cui si potrebbe prestare il “parea quella testa veramente stridere” di Baglione e l’“ejulans” di Sandrart (Fig. 7).

In assenza di documenti il committente e la datazione precisa del Putto, collocata per ragioni stilistiche attorno al 1617, restano per il momento ignoti.

Lavin suggerì di identificare il Putto morso da serpente marino con una scultura periodicamente menzionata, con alcune sfumature, negli Inventari Ludovisi del 1623 (“Un puttino di marmo bianco qual piange che una vipera l’a morsicato alto p.i 2 ½ circa“), 1633 (“Un puttino di marmo piangente a sedere in una mappa di fiori morzicato da una vipera, sopra una base di marmo mischio – mano del Cav.re Bernino” e 1641 (“Un putto moderno opra del Sig.r Cavalier Bernino, siede tra l’herba morso da un serpe”)[19].

Successivamente Jennifer Montagu, negli inventari Ludovisi del 1665 e 1705, riscontrò la presenza di altre due annotazioni che rafforzerebbero l’ipotesi Ludovisi, poiché segnalanti entrambe la localizzazione del morso: “et altra sedente sopra fronde in atto languente con un serpe che gli morde una gamba” (1665); “Un puttino assiso sopra certi fiori, il quale vien morsicato nella gamba da una vipera lavoro originale del Cavalier Bernini” (1705)[20].

Questo, per Lavin, spazzava via ogni dubbio sulla identità del Putto Ludovisi con il Putto oggi a Berlino[21].

Giovanni Baglione racconta che il ricchissimo Leone Strozzi possedeva nella sua villa romana – già Frangipane, attigua a quella del cardinale Montalto – diverse statue di Pietro Bernini:

Alcune statue, e gruppi per il Signor Leone Strozzi al Giardino de’ Signori Frangipani a Termini[22],

ad alcune delle quali il giovanissimo figlio Lorenzo avrebbe contribuito, e perciò, secondo Maria Barbara Guerrieri Borsoi[23], il grazioso Putto di Gian Lorenzo – del quale Leone Strozzi possedeva anche il San Lorenzo sulla graticola (1615, Galleria degli Uffizi) – proverrebbe invece dalla collezione Strozzi.

L’Inventario della Villa Strozzi del 1632[24] cita due statuine che paiono fare pendant, descritte ancora nel 1642 nell’ultima stanza (quindi al chiuso) come

Un Hercoletto sopra una zampa di tigre alta palmi due [e alla riga sotto] un putto moderno che lo morde una serpe alto palmi due e mezzo circa sopra una zampa compagno[25];

nell’Inventario del 1748 si cita (stavolta nel Palazzo Strozzi, attuale angolo tra C.so Vittorio Emanuele II e Via di Monterone) un “putto di marmo bianco con delfino che gli morde una gamba[26].

Si è proposto di identificare il Putto in collezione Strozzi con il Putto morso da un serpente marino ora a Berlino[27], ma il corto circuito temporale (se già nel 1623 e fino al 1705 il Putto compare negli Inventari Ludovisi accompagnato in due occasioni dalla specifica attribuzione a Gian Lorenzo, non può trattarsi del Putto moderno Strozzi) e soprattutto l’assenza negli inventari Strozzi della menzione dell’autore – vista la fama di Bernini, elemento alquanto insolito e significativo – inducono a ipotizzare piuttosto l’esistenza di repliche del putto berniniano di cui una in collezione Strozzi adattata a nuova location, su zampa, “compagna” a un altro, ecc.

A favore della provenienza Ludovisi pare contribuire anche Bellori che, descrivendo una perduta statua di Alessandro Algardi raffigurante un Putto su testuggine creata per fare da pendant a un “putto che duolsi morsicato da un Serpente” (del quale Bellori si guarda bene dal nominare l’autore), chiarisce che quest’ultimo è una rappresentazione della Frode o Insidia:

Fecevi [Algardi per la Villa Ludovisi] d’inventione un putto sedente di marmo, appoggiato a una testudine, e si pone li calami [canne di palude, fili d’erba] alla bocca per suonare, inteso per la sicurezza di cui è simbolo la testudine, e l’innocenza del fanciullo che suona e riposa sicuro. Questo gli fu fatto fare dal cardinale [Ludovico] per accompagnamento di un altro putto che duolsi morsicato da un Serpente ascoso fra l’herba, inteso per la fraude e per l’insidia.”[28].

Dato che Ludovico Ludovisi non fu di rientro a Roma prima del 1619, si potrebbe forse posticipare la data del Putto, che in effetti è simile ai due Putti realizzati da Gian Lorenzo per la cappella Barberini in Sant’Andrea della Valle (1618) e all’Ascanio del gruppo della Fuga da Troia (1619, Roma, Galleria Borghese), il quale tenuto in un primo momento al chiuso e collocato poi nella villa che Ludovico comprerà nel 1622 (il Putto compare negli Inventari Ludovisi nel 1623), sarà infine affiancato (1627) dal disperso pendant commissionato ad Algardi.

È d’altro canto improbabile che una statua come il Putto morso da un serpente marino sia stata realizzata senza un committente: troppo evidente il suo carattere allegorico.

L’evocazione di “fiori”, “fronde”, “tra l’herba”, ecc., – il lavoro di gradina che interessa lo sperone di roccia sopra il quale il soggetto poggia ricorda vagamente dei fili d’erba – sembra suggerire una collocazione all’aperto: il Putto è rifinito da tutti i lati, quindi concepito per averne una visione totale così come il disperso Putto su testuggine di Algardi che doveva, presumibilmente, essere collocato non lontano da quello berniniano per permettere al visitatore di cogliere l’allegoria; nonché, soprattutto, l’idea di un animale nascosto tra la vegetazione vicino a una pozza d’acqua (es. uno stagno) che ha morso la vittima poiché inavvertitamente stuzzicata. Se il putto di Bernini rappresentava l’Insidia in cui incappa a volte l’ingenuo – come nella tela di Caravaggio – quello di Algardi rappresentava la Sicurezza o Prudenza data dall’accortezza.

In altre parole il Putto morso da un serpente marino, collocato all’aperto, magari nei pressi di uno specchio d’acqua (da lì la scelta di un animale seppur fantastico chiaramente acquatico), costituiva una sorta di ammonimento al visitatore di stare attento, e forse la scelta di un animale serpentiforme non è casuale: il giardino della villa ospitante (Ludovisi?) poteva essere visto come un’ideale riproduzione dell’Eden, e dunque il visitatore vi entrava nei panni di un novello primo uomo o donna che deve fare attenzione a non ripetere l’errore di Adamo e Eva.

Il tema del Putto è, come per il Ragazzo morso da ramarro di Caravaggio, un’allegoria: l’animale che morde il bambino sul polpaccio lo fa perché è stato disturbato, senz’altro in buonafede, e altrettanto in buona fede morde il piccolo attentatore per far sì che egli, che lo schiaccia, si alzi, lo liberi e sia da quel momento in poi un po’ meno irruento o sconsiderato. Il serpente, come la lucertola caravaggesca, ha valenze positive: “Siate dunque prudenti come i serpenti[29], essendo un’animale associato alla rinascita e perfino a Gesù Cristo stesso[30].

Non è noto in quali circostanze Bernini possa aver avuto notizia del Ragazzo morso da ramarro di Caravaggio, oltre il tramite del cardinale Scipione Borghese, ma è difficile pensare che non lo conoscesse e non ne abbia tenuto bene a mente il concetto, considerata la stretta analogia del Putto morso da un serpente marino; diverso solo il mezzo finale: per uno il pennello, per l’altro lo scalpello.

© Claudia RENZI, Roma, 10 dicembre 2023

 NOTE
[1] Ripercorre esaustivamente le vicende attributive delle versioni Londra e Firenze Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005, pp. 156-9; 393-395. Dissenzienti Alessandro Zuccari, Le due versioni del Ragazzo morso dal un ramarro attribuite a Caravaggio, in: Alessandro Zuccari, Il giovane Caravaggio “Sine ira et studio”, Roma, 2018, pp. 64-73, che derubrica la versione di Firenze a “replica realizzata da un copista di talento” per la quale sarebbe “possibile supporre una sua collocazione cronologica al secondo decennio del Seicento”, e Sergio Rossi,  https://www.aboutartonline.com/caravaggio-e-il-ragazzo-che-da-una-lucerta-era-morso-riemerge-da-una-collezione-romana-la-versione-con-il-putto, «About Art online» del 27 giugno 2021, che pure ritiene la versione di Firenze copia coeva di altra mano, e propone invece una terza versione ora in collezione privata romana nella quale ravvisa il prototipo originale.
[2] Per le quali si rimanda a Barbara SavinaCaravaggio tra originali e copie. Collezionismo e mercato dell’arte a Roma nel primo Seicento, Foligno 2013
[3] Giulio Mancini, Considerationi appartenenti alla Pittura come diletto d’un Gentilhuomo…, Biblioteca Nazionale di Firenze, Ms Palatino 597, cc. 115-6; Biblioteca Nazionale Marciana, Manoscritti italiani IV, 47 (5571), c. 59rv; poi in: Adriana Marucchi e Luigi Salerno (a cura di), Giulio Mancini. Considerazioni sulla Pittura, 1617-21, Roma, 1956-57, 2 voll., I, p. 224.
[4] Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642, pp. 136.
[5] Francesca CurtiSugli esordi di Caravaggio a Roma. La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario, in Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Roma, 2011, pp. 65-72, p. 70.
[6] Francesca CurtiCostantino Spada «Regattiero de quadri vecchi» e l’amicizia con Caravaggio, in: Francesca Curti, Michele Di Sivo, Orietta Verdi, «L’essercizio mio è di pittore». Caravaggio e l’ambiente artistico romano, RMC, XIX, 2, luglio-dicembre 2011 [2012], pp. 167-197, p. 172 ipotizza che tra i dipinti che Caravaggio vendette tramite Spada ci fosse anche il Ragazzo morso da ramarro. Per Gaspare Celio invece, la cui biografia caravaggesca recentemente rinvenuta è la seconda in ordine cronologico di stesura, il mediatore principale di Caravaggio fu Prospero Orsi detto Prosperino delle Grottesche; per la biografia caravaggesca di Celio si veda Riccardo Gandolfi, La biografia di Michelangelo da Caravaggio nelle Vite di Gaspare Celio, in: «Storia dell’arte», n. 151-152, Nuova Serie, 1-2, 2019, pp. 137-151; R. Gandolfi, Le vite degli artisti di Gaspare Celio. «Compendio delle Vite di Vasari con alcune altre aggiunte», Firenze, 2021.
[7] Joachim von Sandrart, Teutsche Academie der edlen Bau, Bild und Mahlerey-Künste (Vita di Michel Angelo Maragi da Caravaggio pittore), Norimberga, 1675, p. 189. Anche nella versione in latino, Academia Nobilissimae Artis Pictoriae, Nürberg, 1683, p. 181, Sandrart parla di un puer ululante di dolore “à lacerta per insidias in manum admorsus, prae dolore miserum in modum ejulans”, forse cavalcando il “parea quella testa veramente stridere” di Baglione.
[8] Donald Posner, Lizards and Lizard lore, with special reference to Caravaggio’s Leapin’ Lizard, in: Moshe Barasch, Lucy Freeman Sandler, Art the Ape of Nature: studies in Honor of H. W. Janson, New York, 1981, pp. 387-391.
[9] Maurizio Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino, 1990, pp. 23 e segg.
[10] M. Marini, op. cit., p. 395.
[11] Luigi Spezzaferro, Caravaggio accettato. Dal rifiuto al mercato, in: Caterina Volpi, Maurizio Calvesi (a cura di), Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli. Atti del convegno int., Città di Castello, 2002, pp. 23-50.
[12] G. Baglione, op. cit. p. 136.
[13] Giorgio Vasari, Le Vite dei più eccellenti Pittori, Scultori e Architetti, Roma, 1997, p. 560 (Vita di Leonardo da Vinci). Leonardo ha raffigurato una brocca trasparente anche nel Cenacolo, sulla sx, davanti ad Andrea.
[14] Giacomo Berra, Le “sviste” di Caravaggio. Luci, ombre e rifrazioni nella caraffa con fiori del “Ragazzo morso dal Ramarro” riproposto in «About Art online» https://www.aboutartonline.com/le-sviste-caravaggio-luci-ombre-rifrazioni-nella-caraffa-fiori-del-ragazzo-morso-un-ramarro-2/. Lo studioso, analizzando l’incidenza della luce sulle caraffe di vetro nelle versioni del Ragazzo morso dal ramarro di Londra e Firenze, ha individuato tre sviste e concluso che la realizzazione della caraffa sia da collocare in un momento diverso dal quella del ragazzo, elemento compatibile con l’ormai nota tecnica “del collage” usata dal pittore.
[15] G. Vasari, op. cit., p. 565.
[16] Foglio sciolto, 1496 ca., New York, Metropolitan Museum of Art.
[17] Secondo Rossella Vodret, Caravaggio a Roma: itinerario, Milano, 2010, p. 30, Caravaggio potrebbe aver visto una copia del disegno di Sofonisba nella bottega di Giuseppe Cesari.
[18] Jacomo Manilli, Villa Borghese fuori di porta Pinciana, Roma, 1650, pp. 68-71. Secondo Maurizio Marini, Caravaggio. Michelangelo Merisi da Caravaggio pictor praestantissumus, Roma, 1987, p. 342, si tratterebbe di una copia forse di Mao Salini. Per la ricostruzione dell’allestimento della Sala di Apollo e Dafne in Villa Borghese secondo la descrizione di Manilli si veda Kristina Hermann Fiore, Apollo e Dafne del Bernini al tempo del cardinale Scipione Borghese, in: Kristina Hermann Fiore (a cura di), Apollo e Dafne del Bernini nella Galleria Borghese, Milano, 1997, pp. 70-109.
[19] Irving Lavin, Five youthful sculptures by Gian Lorenzo Bernini and a revised chronology of his early works, in: «The Art Bulletin», L, 1968, pp. 223-248, p. 232, n. 67; I. Lavin, Bernini giovane, in: Olivier Bonfait, Anna Coliva (a cura di), Bernini dai Borghese ai Barberini. La cultura a Roma intorno agli anni Venti, Roma, 1999, pp. 135-148.
[20] Jennifer Montagu, Alessandro Algardi, New Haven, 1985, 2 voll., p. 419.
[21] I. Lavin, op. cit. 1999, p. 142.
[22] G. Baglione, op. cit., p. 305 (Vita di Pietro Bernini).
[23] Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Gli Strozzi a Roma. Mecenati e collezionisti nel Sei e Settecento, Roma, 2004.
[24] Inventario custodito nell’Archivio di Stato di Firenze, CS, V, 779, fascicolo 6, in: M. B. Guerrieri Borsoi, op. cit., p. 200, n. 385.
[25] Inventario del 15 aprile del 1642, custodito nell’Archivio di Stato di Roma, Notai AC, D. Burattus, vol. 1938, cc. 184v-187v, 202-205, in: M. B. Guerrieri Borsoi, op. cit., Appendice documentaria, pp. 227-258, p. 233.
[26] M. B. Guerrieri Borsoi, op. cit., Appendice documentaria, pp. 227-258, p. 244. Citato già da Paola Marseglia, “Per diletto e per decoro”. Le collezioni romane della famiglia Strozzi, in: «Studi di Storia dell’arte», 13, 2002, pp. 149-176, p. 163.
[27] Paola Marseglia, Villa Strozzi sul Viminale, in: «Roma moderna e contemporanea», 6, 1998, pp. 135-155, p. 154. Secondo Stefano Pierguidi, Putto morso da un pesce (Scheda), in: Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017, pp. 72-73, p. 72, il committente del Putto morso da serpente marino sarebbe lo stesso Leone Strozzi.
[28] Giovanni Pietro Bellori, Le vite de’pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672, p. 401-402 (Vita di Alessandro Algardi).
[29] Matteo, 10-16.
[30] Per l’omelia di Sua Santità papa Francesco del 15 marzo 2016, nella quale argomenta come Gesù si sia “fatto serpente”, si veda «L’Osservatore Romano», anno CLVI, n. 62, del 16.03.2016.

BIBLIOGRAFIA

  • Adriana Marucchi e Luigi Salerno (a cura di), Giulio Mancini. Considerazioni sulla Pittura, 1617-21, Roma, 1956-57, 2 voll.
  • Alessandro Zuccari, Le due versioni del Ragazzo morso da un ramarro attribuite a Caravaggio, in: Alessandro Zuccari, Il giovane Caravaggio “Sine ira et studio”, Roma, 2018
  • Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017
  • Barbara SavinaCaravaggio tra originali e copie. Collezionismo e mercato dell’arte a Roma nel primo Seicento, Foligno 2013
  • Donald Posner, Lizards and Lizard lore, with special reference to Caravaggio’s Leapin’ Lizard, in: Moshe Barasch, Lucy Freeman Sandler, Art the Ape of Nature: studies in Honor of H. W. Janson, New York, 1981, pp. 387-391
  • Francesca CurtiSugli esordi di Caravaggio a Roma. La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario, in Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Roma, 2011, pp. 65-72
  • Francesca CurtiCostantino Spada «Regattiero de quadri vecchi» e l’amicizia con Caravaggio, in: Francesca Curti, Michele Di Sivo, Orietta Verdi, «L’essercizio mio è di pittore». Caravaggio e l’ambiente artistico romano, RMC, XIX, 2, luglio-dicembre 2011 [2012], pp. 167-197
  • Giacomo Berra, Il ragazzo morso dal ramarro. L’enigma di un morso improvviso, Firenze 2016
  • Giacomo Berra, Le “sviste” di Caravaggio. Luci, ombre e rifrazioni nella caraffa con fiori del “Ragazzo morso dal Ramarro”. https://www.aboutartonline.com/le-sviste-caravaggio-luci-ombre-rifrazioni-nella-caraffa-fiori-del-ragazzo-morso-un-ramarro-2/
  • Giacomo Berra, Luci, riflessi, ombre e rifrazioni nella caraffa con fiori del Ragazzo morso da un ramarro del Caravaggio, in: Pierluigi Carofano (a cura di), Atti della Giornata di Studi. Quesiti caravaggeschi, Pontedera, 2014, pp. 11-71
  • Giorgio Vasari, Le Vite dei più eccellenti Pittori, Scultori e Architetti, Roma, 1997
  • Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642
  • Giovanni Pietro Bellori, Le vite de’pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672
  • Irving Lavin, Bernini giovane, in: Olivier Bonfait, Anna Coliva (a cura di), Bernini dai Borghese ai Barberini. La cultura a Roma intorno agli anni Venti, Roma, 1999, pp. 135-148
  • Irving Lavin, Five youthful sculptures by Gian Lorenzo Bernini and a revised chronology of his early works, in: «The Art Bulletin», L, 1968, pp. 223-248
  • Jacomo Manilli, Villa Borghese fuori di porta Pinciana, Roma, 1650
  • Jennifer Montagu, Alessandro Algardi, New Haven, 1985, 2 voll
  • Joachim von Sandrart, Teutsche Academie der edlen Bau, Bild und Mahlerey-Künste (Vita di Michel Angelo Maragi da Caravaggio pittore), Norimberga, 1675
  • Kristina Hermann Fiore (a cura di), Apollo e Dafne del Bernini nella Galleria Borghese, Milano, 1997
  • Kristina Hermann Fiore, Apollo e Dafne del Bernini al tempo del cardinale Scipione Borghese, in: Kristina Hermann Fiore (a cura di), Apollo e Dafne del Bernini nella Galleria Borghese, Milano, 1997, pp. 70-109
  • Luigi Spezzaferro, Caravaggio Dal rifiuto al mercato, in: Caterina Volpi, Maurizio Calvesi (a cura di), Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli. Atti del convegno int., Città di Castello, 2002, pp. 23-50
  • Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Gli Strozzi a Roma. Mecenati e collezionisti nel Sei e Settecento, Roma, 2004
  • Maurizio Calvesi, Le realtà del Caravaggio,Torino, 1990, 23 e sgg.
  • Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005
  • Maurizio Marini, Michelangelo Merisi da Caravaggio pictor praestantissumus, Roma, 1987
  • Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Roma, 2011
  • Olivier Bonfait, Anna Coliva (a cura di), Bernini dai Borghese ai Barberini. La cultura a Roma intorno agli anni Venti, Roma, 1999
  • Paola Marseglia, “Per diletto e per decoro”. Le collezioni romane della famiglia Strozzi, in: «Studi di Storia dell’arte», 13, 2002, pp. 149-176
  • Paola Marseglia, Villa Strozzi sul Viminale, in: «Roma moderna e contemporanea», 6, 1998, pp. 135-155
  • Riccardo Gandolfi, La biografia di Michelangelo da Caravaggio nelle Vite di Gaspare Celio, in: «Storia dell’arte», n. 151-152, Nuova Serie, 1-2, 2019, pp. 137-151
  • Riccardo Gandolfi, Le vite degli artisti di Gaspare Celio. «Compendio delle Vite di Vasari con alcune altre aggiunte», Firenze, 2021
  • Rossella Vodret, Caravaggio a Roma: itinerario, Milano, 2010
  • Sergio Rossi, su «About Art online» del 27 giugno 2021, https://www.aboutartonline.com/caravaggio-e-il-ragazzo-che-da-una-lucerta-era-morso-riemerge-da-una-collezione-romana-la-versione-con-il-putto
  • Stefano Pierguidi, Putto morso da un pesce (Scheda), in: Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017, pp. 72-73