Da Caravaggio a Bernini: la Comunione estatica da Francesco a Teresa D’Avila passando per la Maddalena: ispirazioni e concordanze

di Claudia RENZI

Dobbiamo ringraziare Innocenzo X Pamphili (1644-1655) per aver tenuto un po’ sulle spine, all’inizio del suo pontificato, quel genio di Gian Lorenzo Bernini: se così non fosse stato lo scultore non avrebbe potuto mettere tanto di sé nel gruppo della Transverberazione di Santa Teresa e nella scenografica, favolosa cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria a Roma (Fig.1).

1 Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, Roma, Santa Maria della Vittoria

Nei primi anni del suo pontificato, infatti, Innocenzo X lasciò Bernini al margine delle commissioni papali preferendogli, almeno in apparenza, Francesco Borromini e Alessandro Algardi, dietro suggerimento di consiglieri che non erano in buoni rapporti con lo scultore. Tuttavia la persona di cui il Papa si fidava di più era la lungimirante e altrettanto malvista cognata Olimpia Maidalchini: sarà con il suo aiuto che, ad un certo punto, Bernini tornerà sulla cresta dell’onda per non scenderne più realizzando, contro ogni iniziale previsione, quella che è una delle fontane più belle del mondo, la Fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona.

In questo periodo di cattività, il maestro trovò comunque la maniera di dedicarsi a importanti commissioni private caratterizzate da massimo impegno e ferma volontà di dimostrare, a tutti, soprattutto ai detrattori, di cosa fosse capace; tra di esse spicca quella del cardinale veneziano Federico Cornaro, che lo volle per la creazione della sua ultima dimora nella cappella gentilizia in Santa Maria della Vittoria.

2 Gian Lorenzo Bernini, Transverberazione di Santa Teresa d’Avila, Roma, Santa Maria della Vittoria

Della cappella Cornaro, licenziata tra il 1647 e il 1652 (data di inaugurazione), Bernini avrebbe curato tutto: dalle decorazioni, alla pittura, all’architettura – arrivando a modificare una parete, da cui entra la luce in alto a sx; un gesto che richiama alla mente Caravaggio che “adegua” il soffitto della sua casa in Vicolo San Biagio alle proprie esigenze – all’incidenza della luce, alla quale si adatteranno sia gli affreschi della volta che i metallici raggi dorati del gruppo raffigurante la Transverberazione di Santa Teresa, creando il perfetto esempio del cosiddetto bel composto.

Al centro della scena, al posto dell’altare, appare il gruppo sospeso della Transverberazione: Teresa è affiancata da un angelo sorridente che si accinge a trafiggerle il cuore con il dardo infuocato dell’Amore di Dio (Fig.2).

3 Gian Lorenzo Bernini, Transverberazione di Santa Teresa (partic.)

Bernini studiò approfonditamente gli scritti della santa e cercò di rendere il più possibile umana, comprensibile, un’esperienza mistica che sconvolge spirito e corpo insieme, molto vicina alla morte – non va dimenticato che questa è una tomba, e che proprio in quel periodo, nel 1647, morì l’amata madre di Gian Lorenzo, Angelica, né che anni dopo, nella Beata Ludovica Albertoni in San Francesco a Ripa, Bernini fisserà in maniera analoga proprio il momento del trapasso della beata.

L’interpretazione, stupefacente e conturbante allo stesso tempo (Fig. 3)  – secondo Baldinucci[1] circa

Il mirabil gruppo della S. Teresa con l’angelo […] Il Bernino medesimo era solito dire […] esser stata l’opera più bella che uscisse dalla sua mano

dell’esperienza mistica di Teresa da parte del maestro scatenò sin da subito turbamento e sempre, comunque, ammirazione: lo spettacolo era atto a coinvolgere prepotentemente Natura (la luce) e materia (marmo, metallo, pittura), spettatori reali e non (i membri della famiglia Cornaro, tra cui il committente stesso, che si sporgono dai palchetti laterali come a teatro) in un modo che soltanto un genio quale Bernini fu poteva concepire e realizzare.

Per quella che, secondo il figlio Domenico, Lorenzo diceva esserela men cattiva opera ch’egli avesse fatto[2], ci sono tuttavia, nonostante la felicissima fantasia di cui il maestro era dotato, almeno due precedenti pittorici da tenere in considerazione: il San Francesco che riceve le stimmate (1594, Hartford, Connecticut, Wadsworth Atheneum – Fig. 4) e la Maddalena in estasi (1606, coll. privata – Fig. 5) di Caravaggio.

4 Caravaggio, San Francesco riceve le stimmate, Wadsworth Atheneum, Hartford
5 Caravaggio, Maddalena in estasi, Roma, coll. priv.

È probabile che Bernini conoscesse entrambi i dipinti e che abbia perciò ad un certo punto rievocato, alla sua maniera, il grande pittore lombardo del quale, sin da bambino, ha avuto modo di ammirare le opere in quel di Roma, sua città di adozione.

Il San Francesco riceve le stimmate, appartenuto al cardinale Del Monte che ne fu anche quasi certamente il committente, è attualmente il primo dipinto a soggetto religioso noto di Caravaggio: Francesco, sorretto da un angelo, è spiritualmente e fisicamente avvinto dalla mistica comunione con Dio e tutta l’attenzione dello spettatore, nonché la luce sono veicolate verso l’estasi del poverello di Assisi, tanto che solo in un secondo momento ci si accorge della presenza, sulla sx del dipinto, di fra’ Leone (compagno di Francesco sul monte della Verna) e di altre figurette[3] che accendono un falò. Nonostante si sia in presenza di uno dei rari brani di paesaggio di Caravaggio noti, il contorno sparisce, né gli altri personaggi (escluso l’angelo[4]) paiono, del resto, partecipi dell’evento che sta interessando Francesco.

I punti in comune tra il San Francesco riceve le stimmate di Caravaggio e la Santa Teresa di Bernini sono innanzitutto costituiti dal protagonista che occupa lo spazio a destra della “inquadratura” e la sapiente veicolazione dell’attenzione sulla sua figura: anche osservando Teresa, infatti, il resto attorno sparisce. Analogo è anche il colloquio esclusivo e diretto con Dio, senza intermediari, puro e assoluto (già forse espresso da Caravaggio, sebbene in maniera meno plateale, nella Maddalena penitente, 1594, Roma, Galleria Doria Pamphili) che coinvolge, spiritualmente e fisicamente, il protagonista laddove i due angeli ragazzini, quello caravaggesco e quello berniniano, sono soltanto dei comprimari che volgono il loro sguardo e cura al/alla protagonista dello straordinario evento.

Per quel che riguarda la Maddalena in estasi, essa fu quasi certamente dipinta da Caravaggio durante la latitanza a seguito dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, dunque nella seconda metà del 1606[5]. Nel suggestivo dipinto, Maddalena poggia su un “fardello di sterpi[6] in totale abbandono alla volontà divina: i lunghi capelli sciolti, con il busto e il capo reclinati all’indietro, bocca e occhi schiusi; le mani intrecciate sembrano essere un estremo tentativo di resistenza ma sono sul punto di sciogliersi nello spasmo e nel languore, quasi sensuale, del “raptus dell’estasi divina[7] mentre dall’occhio sinistro scendono due lacrime.

La composizione – essenziale ma del tutto esaustiva – verte sulla destra (come già per il San Francesco riceve le stimmate e poi per Teresa), di essa si evince soltanto il buio di una grotta (o forse “tomba d’età romana[8]), atto soltanto a concentrare tutta l’attenzione su Maddalena.

Come osservato da Mina Gregori

La Maddalena si riprende a un precedente giovanile di Caravaggio, il San Francesco che riceve le stimmate per l’approfondimento della visualizzazione dell’estasi ed è stata vista [da Marini[9]] come un anticipo delle rappresentazioni barocche e berniniane[10].

Da una lettera di Deodato Gentile al cardinale Scipione Borghese datata 29 luglio 1610[11] si evince che il pittore è appena morto e la tela, tornata a Napoli con altri suoi beni, era ora nella disponibilità della marchesa Costanza Sforza Colonna, ospite a Chiaia del nipote Luigi Carafa Colonna. Sebbene la cosiddetta Maddalena “Klain” sembra essere rimasta sempre a Napoli, molto presto hanno iniziato a circolare copie: è possibile, in pratica, che Bernini abbia visto una di esse, giunta magari nelle mani del suo “padrino” Scipione Borghese che pure conosceva più che bene la mano di Caravaggio[12] e voleva il dipinto per sé[13].

Il collegamento tra la Maddalena di Caravaggio e Bernini va individuato ad ogni modo in Sua Eminenza Scipione Borghese sebbene al momento, in mancanza di documenti e pistole fumanti, ci si debba accontentare di rilevare giusto le tangenze tra il dipinto di Caravaggio e il celebre gruppo di Bernini: dal punto di vista tecnico, è comune lo spazio “riempito” dal protagonista sulla destra della composizione e la luce che bagna la protagonista (in entrambe le opere la fonte luminosa è nascosta); dal punto di vista concettuale l’estasi intima, riservata, che fa reclinare all’indietro il capo a entrambe le sante, Maddalena[14] con le mani intrecciate sul grembo, Teresa abbandonate sui fianchi.

Sia Maddalena che Francesco e Teresa (Fig. 6) emergono alla luce dal buio della condizione umana, una luce che è rinascita: l’anima nuova si abbandona nelle mani di Dio, suo Creatore, come il neonato nelle braccia della propria madre.

6 Caravaggio, Gian Lorenzo Bernini, Francesco, Maddalena e Teresa (partic.)

Lo spettatore, senza rendersene conto, è coinvolto in tale totale comunione e si stacca a fatica dalla visione, emergendone un po’ migliore.

© Claudia RENZI , Roma, 23 giugno 2024

NOTE

[1] Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682, p. 30.
[2] Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernini, Roma, 1713, p. 83.
[3] Tre “pastori” secondo M. Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005, Scheda San Francesco riceve le stimmate, pp. 388-390, p. 389.
[4] Per quanto riguarda l’angelo, dalle radiografie è emerso che, in origine, il messaggero celeste era stato dipinto nudo (cfr. M. Marini, op. cit., 2005, p. 390), o meglio che i panneggi sono stati sovrapposti per velature. Qualche pentimento è stato riscontrato anche nel saio, nella mano dx e nella testa di Francesco. Gli abiti che il due modelli – l’angelo è lo stesso ragazzo che ne I bari (1595, Forth Worth, Kimbell Art Museum) impersona l’ingenuo raggirato, mentre Francesco è lo stesso che nel medesimo dipinto incarna il baro al centro da guanto sdrucito (somiglianze notate già da Christoph Luitpold Frommel, Caravaggio Frühwerk und der Kardinal Francesco Maria Del Monte, in: Storia dell’Arte», n. 9-12, 1971, pp. 5-52, pp. 15; 24) – indossano potrebbero essere “il saio e un par d’ali” prestati a Caravaggio dall’amico Orazio Gentileschi menzionati nel processo intentato da Giovanni Baglione nel 1603, per cui si rimanda a Michele Di Sivo, Uomini valenti. Il processo di Giovanni Baglione contro Caravaggio, in: Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Roma, 2011, pp. 90-108. La posa dell’angelo sarebbe ispirata a un disegno del maestro Simone Peterzano (Studio per angelo, Milano, Castello Sforzesco, Inv. 4875, cfr. Maurizio Calvesi, Simone Peterzano maestro del Caravaggio, in: «Bollettino d’Arte», XXXIX, II, 1954, pp. 114-133) mentre per la posa del “gruppo” formato dall’angelo e da Francesco Caravaggio potrebbe aver tratto ispirazione dal bel Agonia nell’orto di Paolo Veronese (1583-4, Milano, Pinacoteca di Brera, già Venezia, Santa Maria Maggiore), rielaborando in maniera personale il possibile modello e ribaltandolo specularmente.
[5] Per il dipinto, scoperto da Maurizio Marini nel 1972, si rimanda a: Maurizio Marini, Io Michelangelo da Caravaggio, Roma, 1973 [1974]; M. Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005, Maddalena in estasi (scheda), pp. 506-8.
[6] M. Marini, op. cit., 2005, p. 508.
[7] M. Marini, op. cit., 1973 [1974], p. 37.
[8] M. Marini, op. cit., 1973 [1974], p. 37.
[9] Cfr M. Marini, op. cit., 1973 [1974], p. 37, vedi nota n. 14.
[10] Mina Gregori, Maddalena in estasi, in: AA.VV., Caravaggio e il suo tempo, Napoli, 1985, pp. 313-15, p. 313.
[11] Vincenzo Pacelli, L’ultimo Caravaggio – dalla «Maddalena a mezza figura» ai due «San Giovanni», Todi, 1994, pp. 121; 161-97.
[12] Per la precoce conoscenza tra Scipione Caffarelli e Caravaggio si veda Claudia Renzi, Da Caravaggio a Bernini: ritratto di Scipione Caffarelli Borghese, https://www.aboutartonline.com/per-scipione-caffarelli-borghese-il-ritratto-qui-riconfermato-di-caravaggio-e-il-doppio-busto-del-bernini/ su «About Art online» del 27 agosto 2023.
[13] Risulta difficile credere che Scipione possa aver lasciato un’originale Maddalena di Caravaggio a qualcun altro, a meno che non ce ne fossero due: due repliche autografe. La Maddalena individuata da Mina Gregori nel 2014 (coll. privata) recherebbe sul retro un’etichetta significativa: “Madalena reversa di Caravaggio a Chiaia ivi da servare pel beneficio del Cardinale Borghese di Roma” sebbene sembra che anche questa non abbia lasciato Napoli fino a fine secolo. Per questa seconda Maddalena si veda M. Gregori, “E’ lei la vera Maddalena”. Svelato il mistero di Caravaggio, in: «La Repubblica» del 24 ottobre 2014.
[14] Fonte d’ispirazione per il pittore per la posa inclinata di Maddalena fu probabilmente il Sarcofago con il mito di Oreste, oggi Palazzo Giustiniani nel quale la figura di Clitennestra, in basso a dx, è molto somigliante. Il pertinente accostamento è stato avanzato da Sergio Benedetti, Classical and religious influences in Caravaggio’s painting, in: Franco Mormando (a cura di), Saints and sinners: Caravaggio and the Baroque Image, Boston, 1999, pp. 208-35; ripreso anche sulle pagine di «About Art online» (Sergio Benedetti, Le influenze classiche e religiose nella pittura di Caravaggio, https://www.aboutartonline.com/caravaggio-sulle-vere-fonti-ispirazione-del-grande-lombardo-alcune-falsita-dei-biografi-with-english-text/). M. Marini, op. cit., 1973 [1974], p. 37, accostò invece la posa di Maddalena a quella dell’Arianna dormiente nei Musei Vaticani aggiungendo che veniva così raggiunta la “iconografia da cui trae origine la torrida estasi di Santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini”.

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