di Barbara SAVINA
Recentemente ho avuto la fortuna di visionare in una collezione privata una nuova interessante versione dei Bari (FIG. n 1), che viene ad ampliare il catalogo che ho tentato di ricostruire in questi anni, attraverso la mia ricerca sulle copie da Caravaggio[1].
Sul retro compare un’iscrizione a pennello con inchiostro nero W. Murray, che sicuramente si riferisce al nome di un proprietario, conte di Mansfield, contea del Regno Unito, uomo politico e giurista inglese, importante collezionista d’arte nel Settecento (1705-93) (Cfr. Sarfatti, in Dizionario Biografico Treccani on line). Sappiamo inoltre che un John Murray, presumibilmente della stessa famiglia, collezionista inglese, conoscitore ed appassionato di pittura italiana, era proprietario del Sacrificio d’Isacco di Caravaggio, che vendette agli Uffizi nel 1917.
L’iconografia dei Bari è un’invenzione geniale del giovane Merisi, frequentatore di taverne e giocatore, e godette di straordinaria fortuna presso gli amatori e gli artisti della manfrediana methodus: già ai tempi del maestro ne circolavano più versioni, tra le quali non è stato semplice individuare il prototipo. Questo, stando alle fonti, dipinto intorno al 1596, venne esposto in una bottega vicino a piazza Navona, fu apprezzato e comprato dal cardinal Del Monte, e poi venduto ai Barberini nel 1628. Secondo quanto racconta Bellori, l’acquisto avvenne attraverso l’intermediazione di Prospero Orsi, il “turcimanno” del Caravaggio, che ebbe un ruolo chiave nella commercializzazione di autografi e copie di suoi dipinti.
Il timbro della raccolta delmontiana è stato ritrovato da Mahon sull’esemplare americano, scoperto nel 1986, oggi conservato in Texas, al Kimbell Museum (FIG. n.2) e l’autografia è stata confermata dalle caratteristiche stilistiche e tecniche.
Si possiedono numerose repliche eseguite dall’originale, di buon livello stilistico, già individuate in parte dal Moir (1976) e Spike (2010), aggiornate nel mio libro su Caravaggio tra originali e copie (2013), e nel catalogo ragionato di Fabio Scaletti del 2017 (Savina 2020, con bibliografia precedente). Numerose sono state rintracciate in ambito inglese: tra gli esemplari più conosciuti si ricorda la versione seicentesca Thwaytes, acquistata dal celebre studioso D. Mahon, al centro di una complessa vicenda giudiziaria, dopo la proposta di autografia (FIG. n. 3; PAOLUCCI-BENATI 2008).
Varie repliche dipinte si diffusero inoltre nel Settecento, in seguito alla popolarità dell’incisione di G. B. Volpato (1772) (FIG. n. 4), ricavata dall’originale di Caravaggio in collezione Sciarra e pubblicata nella Schola italica picturae di G. Hamilton (1773). Nell’incisione compare una striscia in alto, aggiunta posteriormente e poi rimossa nella tela del Kimbell.
Il dipinto ha dimensioni leggermente superiori rispetto all’originale caravaggesco: è stato eseguito su un supporto di tela di lino originale, a trama regolare, con un filo di fattura piuttosto grossolana e una densità di 10×10 fili per cmq, in linea con le tele romane adottate da Caravaggio, in occasione delle commissioni giovanili. Le dimensioni confermerebbero la datazione antica: la tela di Caravaggio, più volte ampliata e ridotta, nell’inventario Del Monte del 1627 è citata di “palmi 5”, mentre nell’inventario Barberini del 1671-72 risulta di “4 palmi” in altezza (SAVINA 2013, p. 113).
Lo spazio al di sopra delle teste dei protagonisti trova una corrispondenza nella Buona Ventura Capitolina, anch’essa presente nella collezione delmontiana e concepita probabilmente in coppia con i Bari. E’ una replica tratta direttamente dall’originale, che conserva la freschezza dell’invenzione e i tratti caratteristici. Il diverso taglio prospettico, con un punto di vista rialzato, sembra però attenuare il vigore espressivo della scena ed il risalto plastico delle figure.
Il dipinto è caratterizzato da una sapiente distribuzione di luci ed ombre, con vivaci contrasti chiaroscurali: sono individuabili due fonti di luce, che caratterizza in senso drammatico la composizione. Gli attori del gioco sono ben definiti e caratterizzati psicologicamente ed è sapientemente riprodotto il gioco delle diagonali prospettiche. La rete di gesti e sguardi attira lo spettatore, coinvolgendolo nell’inganno: il giovane di sinistra, con un morbido modellato del volto, appare concentrato nel gioco, e sembra ripreso dal vivo il baro, posto sul fondo, che spia le sue carte e fa un cenno al compagno, che con scaltrezza sta estraendo la carta vincente dai calzoni. Non sfuggono ad un occhio esperto le profilature delle dita del baro, le soffici ciocche dei capelli e la leggera intonazione rosata dei volti, combinata con tracce di grigio.
L’autore, sicuramente esperto ed aggiornato sulle novità della tecnica caravaggesca, riesce ad emulare il maestro nella resa del chiaroscuro, nell’esecuzione degli oggetti della natura morta e dei dettagli dei costumi, tipici della commedia dell’arte, con minime varianti rispetto alla tela americana, soprattutto nelle vesti e nel taglio prospettico degli oggetti. Si nota qualche difficoltà nell’esecuzione delle pieghe del panneggio, in corrispondenza del gomito del giovane ingenuo e appaiono meno curati alcuni dettagli della natura morta.
La versione, anche nelle dimensioni, appare affine ad un dipinto comparso nel mercato antiquario (asta di New York 15-5-1996, lot. 114; FIG. n. 5), che si distingue tra le varie repliche circolate nell’ambiente collezionistico per il luminismo e la forza realistica (SAVINA 2013, n.7, pp. 114-115).
Ritornano analoghe anche alcune varianti rispetto alla composizione originale nel piumaggio grigio sul cappello del credulone, nella porzione di tessuto sulla manica del braccio destro del baro, nelle dimensioni e nella prospettiva della tavola da tric-trac.
Appare discreto lo stato di conservazione del dipinto, oggetto in passato di vari interventi di restauro, e sottoposto ad un recente intervento di pulitura, durante il quale sono state ritoccate le lacune emerse.
Lo studio di quest’opera offre l’opportunità di integrare i dati stilistici e tecnici, desumibili dagli esami diagnostici compiuti in concomitanza del recente restauro, in un approccio multidisciplinare, ampliando la capacità critica dell’occhio del conoscitore. Trattandosi di un’invenzione caravaggesca, per una lettura completa dell’opera occorre concentrarsi anche sulle dinamiche del mercato, delle botteghe e del collezionismo a Roma nella prima metà del Seicento.
Le analisi (LAPUCCI 2021) hanno rivelato la presenza di uno strato preparatorio a base di biacca (con piombo) e calcite (con calcio), presenti nei dipinti giovanili del Merisi.
Gli esami XRF coniugati alle sezioni stratigrafiche documentano la presenza di pigmenti compatibili con la pittura caravaggesca del XVII secolo: biacca, ocre, gesso, terra di Siena e nero d’ossa, con aggiunta anche di cinabro negli incarnati, e giallo di Napoli, caratterizzato dalla presenza di antimonio, documentato nella pittura italiana dal 1630.
Ai raggi U. V. sono visibili alcuni ritocchi e prove di pulitura, effettuate in passato alla ricerca di tratti diagnostici, che favorissero un’attribuzione a Caravaggio.
L’esame ai raggi x ha rivelato una modesta radiopacità, dovuta a stesure leggere a biacca nei volti, nella mano sul tavolo e sul guanto del baro sul retro. Non si è riscontrata invece la presenza di abbozzi a biacca, caratteristici nella “pittura dal naturale” e la tradizionale tecnica di sovrapposizione dei vari strati: si scorge però il manto scuro della figura centrale sotto la visiera del cappello del baro e le righe della manica del baro continuano per breve tratto sulla spalla del giovane ingenuo (FIG. n. 6).
Ai raggi infrarossi (FIG. n. 7) sono ben visibili tracce di spolvero:
puntini neri, eseguiti a carboncino, soprattutto in corrispondenza dei nasi, degli occhi e delle mani dei giocatori e pennellate che contornano le figure, interpretabili come segni di trasferimento dei contorni, mediante cartone o lucido (FIGG. nn. 8-9).
Si sono trovate anche tracce di incisioni, attraverso cui è visibile la preparazione, eseguite quando il colore era ancora fresco, collegabili probabilmente al sistema di trasferimento attraverso cartoni ed impiegate per fissare i punti chiave della composizione.
L’impiego di cartoni era diffuso nelle botteghe romane nell’età caravaggesca ed è documentato nella trattatistica del tempo. Caravaggio si serviva delle incisioni con funzioni diverse, nelle varie fasi del processo creativo, ispirandosi al metodo del “lucidare” descritto dalle fonti coeve, sicuramente ripreso dai seguaci impegnati nella replica delle sue composizioni (Christiansen 1990; Bauer Colton 2000; Cardinali 2017).
Il copista deve aver avuto a disposizione il dipinto da copiare, per poterne ricavare i contorni, ma le differenze nei rapporti proporzionali tra le figure segnalerebbero l’impiego di più cartoni.
La sovrapposizione grafica (FIG. n. 10) ha mostrato un’essenziale coincidenza delle linee, ma con un riporto avvenuto in diversi momenti.
Le caratteristiche tecniche ne confermano la natura di replica dell’originale, eseguita alcuni decenni dopo l’esecuzione, quando la vernice protettiva era già ossidata, applicando la tela di spolvero per ogni personaggio, trasponendolo uno ad uno: ciò giustificherebbe la diversa distanza tra personaggio e personaggio
Le figure sono stata trasferite attraverso più cartoni, e poi profilate con un pennello, con ripresa finale del margine di fondo, con alcuni fraintendimenti di piccoli dettagli.
L’artista ha impostato prima gli scuri, e poi ha lavorato sui chiari con sfumature delicate e soffuse. La stesura pittorica è fluida: le velature e la morbidezza del ductus rimandano alla “maniera veneziana” dei Bari del Caravaggio, esaltata dal Bellori. Ritornano note tecniche distintive della maniera caravaggesca: l’impiego a risparmio della preparazione e la profilatura degli incarnati con un bordo scuro.
Il materiale impiegato e la tecnica di esecuzione, oggetto di numerosi studi negli ultimi decenni (Vodret 2016, con bibliografia precedente), rimandano quindi alla pittura del Merisi: l’autore va cercato nella cerchia di caravaggeschi attivi a Roma nei primi decenni del Seicento, con artisti esperti e specializzati nel replicare le composizioni del maestro richieste da un mercato sempre più vasto e dagli amatori. Le copie dei dipinti di successo sul mercato venivano realizzate anche come strumento di esercizio didattico all’interno delle botteghe sotto il coordinamento del maestro o nell’ambito delle accademie private, organizzate da famosi collezionisti.
Dalle fonti sappiamo di una circolazione precoce di copie di originali caravaggeschi già delmontiani e in particolare del soggetto dei Bari, confermata dagli atti del processo del 1621, studiato da Maurizio Marini, che documentano anche la difficoltà a distinguere originale e copie tra le varie versioni conosciute. In due lettere del 1615 Mancini riferisce di una copia dei Bari che egli è riuscito a ricavare, penetrando furtivamente in palazzo Madama, senza che lo venisse a sapere il cardinale Del Monte, che custodiva gelosamente i dipinti della sua collezione, (Savina 2013, p.112)
Il dipinto in esame è un esempio originale di manfrediana methodus e potrebbe identificarsi con un’esercitazione giovanile di copiatura del dipinto caravaggesco di successo, fatta poi circolare sul mercato. Il copista, rimanendo fedele all’invenzione, cerca di esprimersi anche con un linguaggio proprio, privo di crudezza realistica, introducendo minime varianti rispetto all’originale e conservando le peculiarità tecniche principali. Il fraintendimento di alcuni dettagli potrebbe dipendere anche dalla scarsa visibilità dell’originale, connessa all’ossidazione della vernice protettiva applicata o alla necessità di un’esecuzione rapida.
Nel recente restauro in alto a sinistra è tornata alla luce la scritta Paint par C…….., dove è ben leggibile solo l’iniziale, coperta poi da una successiva ridipintura.
Le linee parallele delle dita, i nasi lunghi, il trattamento delle pieghe dei panneggi, anche se con qualche incertezza esecutiva legata forse ad un’inesperienza giovanile, rimandano allo stile di Bartolomeo Cavarozzi (Viterbo, 1587 – Roma, 1625), pittore di notevole talento, specializzatosi nell’impiego di cartoni per la produzione di diverse versioni di sue composizioni, caratterizzate da minime varianti. Nelle differenti redazioni dei suoi soggetti sono emerse pennellate nere che contornano le figure, presenti anche nel nostro dipinto, e interpretabili come tracce di trasferimento da cartone.
L’artista, noto anche con il nome di Bartolomeo de’ Crescenzi, cominciò la sua carriera artistica a Roma nel primo decennio del Seicento sotto la protezione del marchese Giovan Battista Crescenzi, nell’ambito della sua accademia privata, descritta dalle fonti come un laboratorio di sperimentazione, all’interno del quale si formò anche Bartolomeo Manfredi e veniva largamente praticato l’esercizio della copia da modelli di grandi maestri e la pratica del dipingere dal naturale (Spezzaferro 1979; Pupillo 2010; Savina 2013, pp. 53-54, con bibliografia precedente).
Ebbe contatti anche con il cardinal Del Monte, collezionista acquirente dei Bari di Caravaggio, da cui fu coinvolto poi nelle vicende dell’Accademia di S. Luca. Il Baglione fornisce notizie utili a ricostruire il suo percorso artistico e, sottolineando la svolta in senso caravaggesco all’inizio del secondo decennio del Seicento scrive: “diedesi a ritrarre dal naturale, con gran diligenza”. Copiare i Bari del maestro Merisi doveva essere un’ottimo esercizio, preliminare a questo tirocinio naturalistico, con risvolti economici interessanti, dato il successo riscosso dal soggetto.
Nell’opera sono presenti le note distintive del linguaggio dell’artista, interprete originale della lezione del Merisi, coniugata alla sua matrice classicista: le tinte vibranti, la cura realistica dei dettagli, con la profilatura dei contorni, la sapienza luministica e compositiva, con una rete diagonale di gesti e sguardi, attraverso cui coinvolge l’osservatore nella scena, e un’attenzione alla distribuzione di luci ed ombre, con un raggio di luce che taglia in diagonale il muro di fondo. Queste caratteristiche ritornano anche nel Sacrificio d’Isacco di Princeton e nel S. Giovanni Battista di Capodimonte, incluse nel corpus di Cavarozzi e già attribuite a Caravaggio (Lapucci 1991,pp.152-173), dove la mano dell’artista è riconoscibile nei teneri ovali dei volti, nella morbidezza delle ciocche dei capelli, nella delicatezza dei contorni, nelle espressioni intense ed assorte delle figure.
Dopo un’intervento iniziale dell’artista, nell’ambito di un’esercitazione accademica giovanile, in seguito anche alla sua morte precoce, il dipinto dei Bari potrebbe essere stato completato da un’altra mano, in una fase posteriore come sembra suggerire l’impiego dell’antimonio documentato dopo il 1630. Si è riscontrato inoltre il ricorso ad un legante tipico della scuola fiamminga, facendo ipotizzare un intervento da parte di un maestro nordico, orbitante nella cerchia caravaggesca a Roma, soprattutto nella figura di destra, dotata di minor rilievo plastico.
Barbara SAVINA Roma 16 Luglio 2023
BIBLIOGRAFIA:
RELAZIONE RESTAURO, a cura di P. Toso, 2021
RELAZIONE TECNICA E DIAGNOSTICA, a cura di R. Lapucci, A. Princivalle, 2021
Savina, La produzione di repliche nella lettura di fonti ed indagini scientifiche, in V. Sgarbi, Ecce Caravaggio. Da Roberto Longhi ad oggi, Milano 2021, pp. 219-229. Il dipinto è stato visionato e studiato anche da Fabio Scaletti, che ha intenzione di inserirlo nell’edizione inglese del suo catalogo sul Merisi, con un regesto aggiornato delle repliche.
Savina, Il ritrovamento di un’interessante versione dei Bari: ancora su Caravaggio tra originali e copie, in Amica veritas. Studi di storia dell’arte in onore di C. Strinati, a cura di A. Vannugli, Roma 2020, pp. 447-460
Savina, Ancora su Caravaggio tra originali e copie: l’intrigante vicenda di una versione dei Bari, in About art on line, 3 ottobre 2021
Cardinali. Le copie da Caravaggio tra connoisseurship, critica d’arte e technical art history, in G. Silvia Ghia e C. Strinati (a cura di), Caravaggio nel patrimonio del fondo edifici di culto: il doppio e la copia, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Barberini), Roma 2017, pp. 37-47
Scaletti, Caravaggio. Catalogo ragionato delle opere autografe, attribuite e controverse con un regesto completo delle repliche e delle copie, Napoli 2017, pp. 54-55
Vodret, Caravaggio. Opere a Roma: tecnica e stile, Milano 2016
Savina, Caravaggio tra originali e copie. Collezionismo e mercato dell’arte a Roma nel primo Seicento (Foligno, et Graphiae 2013), V, pp. 111-117, con bibliografia precedente
Carofano, I Bari a confronto: il giovane Caravaggio nella casa del cardinale Francesco Maria del Monte, in “Atti del Convegno”, Monte Santa Maria Tiberina 2012
Spike, Caravaggio, New York Londra 2001, nuova ed. 2010 (n. 4, pp. 20-24)
Pupillo, Bartolomeo Cavarozzi, in Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, a cura di A. Zuccari, Milano 2010, pp 351-359
Paolucci, D. Benati (a cura di ), I Bari della collezione Mahon, catalogo della mostra Milano 2008
Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma 2001, pp. 401-404
Bauer, S. Colton, Tracing in some works by Caravaggio, in “The Burlington Magazine”, CXLII, 2000, pp. 434-436.
Expertise E. Negro, 6-12-1999
Lapucci, scheda tecnica, in Caravaggio. Come nascono i capolavori, catalogo della mostra (Firenze-Roma), Milano 1991, pp. 102-109; 152-173
Christiansen, Some observations on the relationship between Caravaggio’s two treatments of the Lute -player, in “The Burlington Magazine”, CXXXII, 1042, 1990, pp. 21-26
Cinotti, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Tutte le opere, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, Bergamo 1983, pp. 554-556
Spezzaferro, ad vocem, Cavarozzi Bartolomeo, in Dizionario Biografico degli italiani, XXIII, Roma 1979, pp. 26-28
Moir, Caravaggio and his copysts, New York 1976, pp. 104-107
SARFATTI, William Murray, in Dizionario Biografico Treccani on line
[1] Ringrazio di cuore il proprietario e Roberta Lapucci per avermi dato l’opportunità di studiare e pubblicare le foto di questo dipinto e delle analisi compiute, in occasione del recente restauro.