di Claudia RENZI
L’INFLUENZA DI LEONARDO SU CARAVAGGIO: IL MUSICO, RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO
Ogni qual volta Caravaggio ha “citato” uno dei grandi artisti che lo hanno preceduto, da Michelangelo Buonarroti a Raffaello a Botticelli a Leonardo o altri, lo ha fatto rielaborando la fonte, interpretandola e dipingendola a suo modo; dunque non una mera copia ma una rievocazione che è, al contempo, omaggio e riprova di ammirazione.
È il caso, ad esempio, del Musico di Leonardo (Fig. 1) che, rimasto a Milano, può esser stato noto al giovane Merisi durante gli anni di apprendistato presso Simone Peterzano, così come le altre opere del genio vinciano nella città.
Il Musico, come gli altri due ritratti leonardeschi pervenuti eseguiti a Milano, La dama con l’ermellino e La belle ferronière – tutte e tre le opere sono su tavola di noce, presentano un’imprimitura analoga e provengono dallo stesso ceppo – non presenta paesaggi ma emerge piuttosto da uno sfondo neutro, che suggerisce il chiuso di una stanza, e volge lo sguardo fuori campo. Datato al 1485 ca., e unico maschile dei tre, il Musico è anche attualmente l’unico ritratto maschile autonomo conosciuto di mano di Leonardo.
Il volto incorniciato da riccioli, il soggetto è fissato nell’acme della giovinezza con straordinario naturalismo: i minuziosi riflessi sui riccioli (già visti nel ritratto di Ginevra Benci, 1474 ca., Firenze, Museo del Bargello), il luccichio delle pupille e la trasparenza delle iridi, la resa plastica del volto dall’affinità probabilmente non casuale con alcuni disegni anatomici oggi a Windsor (1489 ca., Windsor, Royal Library, Inv. 19058v), concorrono a rendere il Musico un ritratto di grande suggestione nonostante le modeste dimensioni.
Il moto dell’animo è suggerito dallo sguardo, sollevato or ora dallo spartito che l’effigiato regge con la mano dx. I suoi occhi sembrano interrogare qualcuno che non vediamo, quasi a chiedergli di guidare il canto poiché il giovane sta per iniziare a cantare e dunque gonfia il petto per prendere fiato [1]: il foglio è rivolto all’esterno, dunque verso un ipotetico altro musicista che possa così leggere le note e accompagnare la sua voce e, soprattutto, verso lo spettatore.
Nel restauro del 1905 fu rimosso uno strato di ridipintura nera presente in basso a dx, dove si era intuito vi fosse una mano reggente un cartiglio (non è chiaro quando il cartiglio e la mano siano stati coperti, di certo in alcuni inventari ottocenteschi la tavola compare classificata come Ritratto di Ludovico Sforza, quindi dettaglio non era visibile) che si è poi rivelato essere uno spartito musicale, da cui l’attuale titolo del dipinto.
Negli anni seguenti la scoperta sono state avanzate diverse proposte circa l’identità del modello: si è fatto il nome di Franchino Gaffurio [2], organista, compositore e maestro di cappella del duomo di Milano fino al 1484, interpretando la scritta sul cartiglio “Cant/Ang” come riferimento al trattato Angelicum ac divinum opus pubblicato nel 1508 (ma, essendo Gaffurio nato nel 1451, all’epoca del dipinto, il 1485, aveva 34 anni, troppo maturo rispetto al modello); poi quello di Angelo Testagrossa [3], maestro di canto di Isabella d’Este, sciogliendo la scritta come: Cant[or] Ang[elus]; quello di Joaquin des Prez [4], maestro di cappella alla corte estense presente a Milano tra 1481 e 1484; infine quello di Atalante Migliorotti [5], amico di Leonardo che lo aveva seguito da Firenze a Milano, del quale lo stesso Leonardo cita un ritratto in un elenco di opere e oggetti nel Codice Atlantico (f. 888r).
Nessuna delle proposte ha altri riscontri iconografici risolutivi per un confronto, tuttavia la candidatura di Migliorotti risulta al momento quella più credibile.
Com’è noto, Leonardo era anche dilettante di musica: nel secondo viaggio a Milano [6] il sommo si presentò infatti alla corte sforzesca con una lira di sua invenzione, decorata in argento, avente per cassa armonica un teschio di cavallo (restano anche disegni di strumenti musicali del maestro, es. una lira su mandibola di drago, nel Ms Ashburnham 2037). Per l’esibizione milanese Leonardo si fece “accompagnare” dal giovane Atalante che, nato nel 1466, nel 1485 aveva 19 anni, un’età compatibile col soggetto del Musico (secondo l’Anonimo Gaddiano, Atalante avrebbe appreso da Leonardo – che lo rincontrerà poi a Roma nel 1513 come architetto di San Pietro – anche a suonare).
Il Musico è colto in un attimo sospeso per via del quale lo spettatore può riflettere, anche, sulla caducità del tempo umano, come fosse un’allegoria del tempo che passa poiché la musica muore subito dopo esser stata suonata, mentre la pittura dura di più:
“La musica non è da essere chiamata altro che sorella della pittura […] ma la pittura eccelle e signoreggia la musica perché essa non muore immediatamente dopo la sua creazione come fa la sventurata musica, anzi, resta in essere e mostra in vita quel che in fatto è sola superficie. O meravigliosa scienza, tu riservi in vita le caduche bellezze de’ mortali […] Quante pitture hanno conservato il simulacro di una divina bellezza di cui il tempo o morte in breve ha distrutto il naturale esempio, ed è restata più degna l’opera del pittore che della Natura sua maestra!”[7].
Dalle radiografie moderne si evince che, a dx della tavola, in un primo momento fossero visibili anche le dita della mano sinistra del Musico e che il foglio, leggermente più corto, fosse quindi retto da entrambe le mani (Fig. 2). Persino osservando il dipinto dal vivo e da vicino il dettaglio non si legge, celato com’è dall’ocra della mestica lasciata a vista per la giubba: va supposto perciò che a coprire la mano sx sia stato lo stesso Leonardo, passando un secondo strato di mestica; così come non si legge la fila di bottoncini che doveva inizialmente decorare il petto, né la sagoma, appena sotto il colletto della camicia, che qualcuno ha proposto essere il profilo di un medaglione[8].
Una “cripto-citazione” caravaggesca del Musico leonardesco è ravvisabile, a mio avviso, nella posa e atteggiamento di San Giuseppe nel Riposo durante la fuga in Egitto (1595, Roma, Galleria Doria Pamphili).
Il Riposo durante la fuga in Egitto (Fig. 3) è un dipinto ancora luminoso e dal sapore vagamente raffaellesco, nel quale non solo è presente uno dei rari paesaggi di Caravaggio ma emerge l’approccio naturalista del giovane maestro:
il pittore registra infatti la corda rotta dello strumento (anch’esso una sorta di vanitas) così come prima aveva reso il tarlo nella mela della Canestra di frutta o, più tardi, riporterà lo spago sganciato dell’impannata nella Chiamata di Matteo in San Luigi dei Francesi.
Giuseppe ha il volto di tre quarti, si strofina i piedi stanchi accoccolato sul bagaglio appena scaricato dalla schiena del dolce asinello dallo sguardo languido alle sue spalle, attento alla musica, e tiene lo spartito con entrambe le mani, ad uso del “musicista” che gli sta di fronte ma più inclinato per consentirli di leggerlo con maggior agio (Fig. 4).
La musica nel dipinto caravaggesco è stata riconosciuta essere una composizione del fiammingo Noël Bauldewijn (1480-1530), nello specifico la parte del superius del mottetto Quam pulchra es et quam decora, charissima in deliciis, con testo tratto dal Cantico dei cantici (VII; 6) [9]; la posa della Madonna (che ricorda la Zingarella di Correggio [10]) abbracciata allo Sposo-Gesù [11] ne richiama un altro verso: Io dormo, ma il mio cuore veglia, mentre le lettere Q e L rinviano all’edizione romana Giunta-Dorico-Pasotti del 1526. Per la partitura sul cartiglio del Musico, invece, non si è giunti a individuazioni certe.
Al momento di dipingere un San Giuseppe reggente uno spartito è possibile che Caravaggio abbia ricordato la tavola di Leonardo conosciuta anni prima e l’abbia voluta, a suo modo, citare: se Leonardo ha davvero, inizialmente, contemplato entrambe le mani per reggere il cartiglio-spartito del suo Musico, la posizione del Giuseppe caravaggesco sarebbe ancor più simile al presunto modello; tuttavia mancherebbe evidentemente un pezzo del puzzle: se Leonardo ha coperto le dita della mano sx per allungare lo spartito è plausibile lo abbia fatto quasi subito, dunque come potrebbe Caravaggio aver avuto notizia di quella prima idea che contemplava entrambe le mani a reggere il foglio?
È necessario, in mancanza di altro, ipotizzare l’esistenza a Milano, nel periodo di apprendistato di Michelangelo presso Simone Peterzano (oppure, più difficilmente, a Roma, dove pure Leonardo ha vissuto e ha lasciato probabilmente molto più di quanto attualmente conosciuto), di uno o più disegni rappresentanti questa prima idea, considerando anche che Leonardo era notoriamente discontinuo nell’esecuzione delle sue pur straordinarie opere, perciò è possibile anche che un allievo o seguace abbia avuto tempo di copiare il dettaglio prima che il maestro ci ripensasse e lo coprisse per sempre. Perché Caravaggio, osservando bene il suo san Giuseppe, pare aver insistito sul particolare: ha voluto cioè mostrare per forza anche la mano sx, quando non era indispensabile farlo, mettendola in una posa un po’ troppo scomoda per non significare qualcosa.
Le ipotesi rimangono aperte, ma va comunque riconosciuto a Caravaggio essere stato sempre estremamente attento ai maestri precedenti, a Leonardo in modo speciale e ancora non del tutto studiato.
Claudia RENZI Roma 3 Settembre 2023
NOTE