di Raffaella TIONE
L’arte africana e la sua influenza sulle correnti artistiche della Parigi di inizio Novecento
Il 22 giugno prossimo, all’interno del cartellone della 60° Edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto, presso la nuova sede di Casa Modigliani (Palazzo Montani – Piazza Fontana 3), inaugurerà la mostra “Modigliani e l’art nègre: simbolo, opere, tecnologia”; curata da Cesare Pippi, l’esposizione è il primo appuntamento del ricco calendario di eventi approntato dall’Istituto Amedeo Modigliani, che ci accompagnerà fino alle Celebrazioni del Centenario della morte del pittore livornese, nel 2020. Il percorso della mostra, visitabile fino al 30 luglio 2017, presenterà un importante selezione di 50 sculture e maschere tribali di arte tradizionale africana appartenente alla ricca collezione di Bruno Albertino e Anna Alberghina, opere pittoriche in fase di attribuzione a Modigliani, quadri di arte contemporanea del pittore tanzaniano Lilanga (1934-2005) e un affascinante itinerario fra i più noti capolavori di Modigliani, riprodotti nell’innovativo format Modlight.
Le opere dei collezionisti torinesi Bruno Albertino e Anna Alberghina esposte in mostra rappresentano una selezione significativa delle principali espressioni etniche e tematiche socio-religiose africane. I reperti spaziano dalle figure di fertilità e maternità, alle statue di antenati mitici, dalle maschere in tutte le loro forme d’uso (maschere ritratto, di iniziazione, di giustizia), alle statue funerarie. La scultura africana si caratterizza, dal punto di vista formale, per frontalità, stilizzazione geometrica e equilibrio dei volumi, elementi che affascinarono le avanguardie artistiche dei primi del ‘900. Provenienti da tutte le aree dell’Africa sub-sahariana, con una prevalenza di testimonianze dall’area occidentale e centro-equatoriale, i reperti ci ricordano i volti aguzzi e solenni delle Demoiselles d’Avigon di Picasso, tra i primi artisti estimatori dell’arte appena giunta dalle colonie. Infatti l’interesse per il valore plastico e formale delle opere africane spinse gli artisti delle avanguardie parigine ad intraprendere un percorso di ricerca, che ha portato ad alcune tra le più rivoluzionarie correnti artistiche dell’epoca moderna.
Il primo artista che manifestò il proprio interesse verso l’Art Nègre fu Maurice de Vlaminck, nel 1905. La diffusione dell’Art Nègre si fa ufficialmente risalire al 1906, quando Henri Matisse, sollecitato da Derain, si recò nel negozio parigino di Emile Heymann, per acquistare una statuetta Kongo/Vili: l’opera mostrata a Picasso e Gertrude Stein li conquistò quali entusiasti estimatori del genere. Negli stessi anni, Paul Gaugin, Georges Braque, André Lhote, Maurice de Vlaminck e Alberto Magnelli acquistarono sculture africane, documentate dalle fotografie dell’epoca realizzate negli atelier dei singoli artisti. Sempre ai primi anni del ‘900, risalgono le prime grandi collezioni di arte tradizionale africana, come quella dello scultore americano Jacob Epstein e quella di Jacques Lipchitz. Allo stesso tempo, fiorì a Parigi un vivace mercato con i primi grandi galleristi, abili commercianti, ma anche colti ed illuminati promotori delle arti africane: Emile Heymann, Joseph Brummer, Paul Guillaume e Charles Ratton.
Il Primitivismo, cioè l’adozione di alcuni dei canoni caratteristici dell’arte africana ed in particolare l’estetica delle maschere e delle sculture lignee, fu così alle origini di due movimenti della Parigi dell’epoca: il Cubismo ed il Fauvismo.
L’opera che diede ufficialmente inizio al movimento cubista è infatti ritenuta Les demoiselles d’Avignon (Picasso, 1907), nella quale le figure femminili presentano volti assimilabili alle maschere Mahongwe del Congo.
Modigliani, che si trasferì da Venezia a Parigi nel 1906, cercò, come i cubisti, di dare una visione frontale o di profilo all’opera, per accentuarne l’asimmetria e una diversa relazione delle proporzioni, ma da essi si distinse per il significato spirituale e psicologico che attribuiva alla deformazione e alla stilizzazione. Le forme ovali e allungate dei volti, del collo, del naso e degli occhi dei suoi ritratti ricordano le maschere primitive di provenienza africana, che fecero la loro prima apparizione in Europa in occasione dell’Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1897; l’ampio spazio dedicato alla sezione dei reperti prelevati da Leopoldo II al museo coloniale di Tervuren, suscitò una fortissima eco nel panorama artistico mondiale. L’arte di Modì fu influenzata, ma non dominata dall’arte africana. Egli si pose come elemento di transizione tra la continuità della tradizione figurativa e l’innovazione. Durante il soggiorno parigino, Modigliani conobbe Jacob Epstein, lo scultore americano giunto a Parigi per realizzare la tomba di Oscar Wilde al cimitero Père Lachaise, che fu uno dei primi e più importanti collezionisti di arte africana e Paul Guillaume, collezionista e commerciante di arte africana, che si sforzò, durante tutta la sua carriera, di coniugare la presentazione di sculture e pitture contemporanee con oggetti di arte africana, valorizzando l’aspetto estetico di questi ultimi che fino ad allora erano stati considerati solo nel loro valore etnografico. Altrettanto influente per Modigliani fu, nel 1909, il suo incontro con Constantin Brancusi, che aveva sposato con entusiasmo i principi del primitivismo e che stimolò ulteriormente il suo interesse per la sintesi delle forme, la ricerca della loro purezza assoluta, facendo emergere la monumentalità e l’armonia volumetrica presente anche nelle forme dell’arte classica, in particolar modo quella delle statue greche ed egizie, che Modigliani amava visitare al Louvre. In questo periodo per Modigliani iniziò il tempo della scultura: a partire dall’autunno del 1909 e per quattro anni egli si concentrò quasi esclusivamente su questa forma d’arte. Non si trattò certo di una parentesi, ma rappresentò il fulcro stesso della sua personalità. Praticò la scultura a taglio diretto sino al 1913, quando gli vennero a mancare le forze necessarie, a causa del peggioramento della sua malattia polmonare, aggravata delle polveri prodotte nella lavorazione della pietra; egli ripiegò così sulla pittura che peraltro non aveva mai veramente abbandonato.
La riduzione dei tratti e delle caratteristiche dell’immagine condusse Modigliani a eliminare tutto ciò che di superfluo c’è in un volto, selezionandone i tratti essenziali. La ricezione dell’ispirazione dell’arte africana divenne dunque fondamentale e non riguardò soltanto il suo aspetto formale, ma anche la pacata armonia dei visi e dei corpi, data dall’incisività e dalla leggerezza delle linee, in sintonia con un ritmo interiore. L’influsso dell’arte tribale risulta, infatti, più evidente proprio nelle sculture in pietra e nei disegni preparatori, nei quali l’attenzione è focalizzata su una figura umana sublimata attraverso la potenza espressiva della linea, piuttosto che attraverso il colore, il rilievo o il contrasto. A titolo di esempio, la maschera della tribù Guro della Costa d’Avorio, conservata al Metropolitan di New York, presenta numerose somiglianze con la testa scolpita da Modigliani tra il 1911 e il 1912, oggi conservata alla Tate Gallery di Londra.
Inoltre come non riconoscere una parentela stretta tra le maschere bianche “ngil” Fang del Gabon e le sue sculture ieratiche o i lunghi colli, gli occhi a mandorla, i volti sottili, che tradiscono la solennità onnipresente nella sua pittura a partire dal 1914 ? Amedeo Modigliani sembra aver trovato nella curva, nelle linee di contorno, la forza istintiva che gli artisti dell’Africa remota sono stati in grado di testimoniare nella loro ricerca dell’ultraterreno e del mondo degli spiriti.
Questo elemento, unito ad un uso ridotto della tavolozza dei colori, con la loro applicazione al massimo dell’intensità, conferisce un aspetto quasi “digitale” ai suoi ritratti, esaltandone nitidezza e chiarezza espressiva. Quale scelta migliore dunque per assaporarne l’originalità, se non una riproduzione che prediliga una forma di approccio tecnologico all’arte, attraverso la realtà aumentata proposta nel percorso della mostra? Non ci resta che continuare a cercare nelle maschere africane della collezione di Bruno Albertino e Anna Alberghina i volti aguzzi e solenni delle `Demoiselles d’Avignon` e i lineamenti dei ritratti di Modì.
di Raffaella TIONE
Palazzo Montani, Piazza Fontana 3, Spoleto (dal 22 giugno al 30 luglio 2017)