di Maco Fabio APOLLONI
LA COMMEDIA DELL’ARTE. Maschere e Carnevale nell’Arte del Novecento Italiano
A CURA DI MONICA CARDARELLI – CATALOGO EDIZIONI D’ARTE
Inaugurazione 23 FEBBRAIO 2022 – OPEN DAY 11.00-19.00
Date: Dal 23 febbraio al 30 maggio 2022
Galleria del Laocoonte – Via Monterone 13
00186 Roma – tel. 06/68308994
Una sezione a parte, Petrolineide è dedicata a un grande uomo-maschera del teatro comico italiano, Ettore Petrolini (1884-1936), di cui si presenta un gruppo di rari ritratti già a lui appartenuti, provenienti dagli eredi dell’artista. Tra questi un meraviglioso ritratto ad olio di Oscar Ghiglia, una replica del bronzo posto sulla tomba al Verano, del bulgaro Kiril Todorov, e un acquarello dove egli, maschera per natura, cela il suo volto dietro la maschera di Pulcinella. Questa sezione vuol essere un particolare omaggio al più originale attore romano di tutti i tempi, che fu carissimo e intimo amico di Wladimiro Apolloni (1888-1948), fondatore dell’omonima galleria W.Apolloni, nel lontano 1926. Quasi cent’anni fa.
Vicino all’antico Ponte di Ferro che non esiste più, all’ombra di S. Giovanni dei Fiorentini, in un dedaletto di viuzze, che si chiamavano vicolo di Civitavecchia, o delle Telline, c’era anche vicolo del Grancio, granchio in romanesco antico, quando il Tevere, prima dei Muraglioni, era quasi un porto di mare.
È nell’ormai scomparso vicolo del Grancio che è nato nel 1884, figlio di un fabbro ferraio, Ettore Petrolini. Non il più grande attore di Roma, ma il più originale attore del suo tempo: siccome però nacque proprio in riva al Tevere, fu anche attore romano e romanesco. Con quel fondo di cinismo e di aspra disillusione che i veri romani portano nel sangue da più di mille anni. Da ragazzino andò a finire in riformatorio e scappò poi di casa a quindici anni, per calcare le assi del palcoscenico, invero traballanti, in una gran baita di legno che era teatro di varietà e birreria, il “Gambrinus”, nell’allora piazza Guglielmo Pepe, tra miseri capannoni con popolari attrazioni da fiera. Furono i primi passi del comico che dovette la sua fortuna alla difficile arte di far ridere facendo il cretino, pur essendo molto intelligente, anzi geniale, e raggiungendo vette di cretinismo apparente così assoluto da anticipare il surrealismo e il teatro dell’assurdo.
Raggiunta una certa fama nell’ambito del varietà, interpretando “macchiette” prese dalla vita e parodie di personaggi del teatro serio e del cinematografo, Petrolini viaggiò a lungo in tournée in Sudamerica. Ritornato a Roma, fu messo a contratto per il Teatro Ambra-Jovinelli, che era sorto da pochi anni in quella stessa piazza Guglielmo Pepe dei suoi esordi, come il più elegante teatro di varietà di Roma. D’ora in poi avrà sempre un successo straordinario, divenendo in breve tempo il comico più pagato d’Italia, passando dal varietà alla rivista con una sua propria compagnia artistica, ed esibendosi nei principali teatri del paese.
Le sue “parole in libertà” suscitarono l’entusiasmo di Marinetti che lo celebrò come futurista ad honorem: «egli uccide con i suoi lazzi il non mai abbastanza ucciso chiaro di luna». Petrolini collaborò poi con i futuristi per alcuni suoi spettacoli e in un’occasione recitò anche un atto unico di Luigi Pirandello, Lumìe di Sicilia, tradotto dal siciliano in romanesco come Agro di limone.
Pur avendo in uggia il teatro ufficiale e i letterati, la cui retorica egli ribaltava in comicità, Petrolini cercò sempre la collaborazione della loro penna, cercando di confondere assieme le figure del creatore e dell’interprete in un unico genio, il proprio. Abbandonò la rivista per il teatro vero e proprio, scrivendo testi suoi o adattando quelli di altri, oppure interpretando veri e propri classici, come Il Medico per Forza di Molière, adattato alla propria vulcanica energia recitativa.
Lavorò poco per il cinema, ma, per nostra fortuna, con l’avvento del sonoro, nel 1930, Alessandro Blasetti potè girare alcune delle sue più note interpretazioni, Fortunello e i salamini, Gastone, Pulcinella e l’atto unico Nerone, famosissimo per il suo discorso al popolo dal balcone, erroneamente ritenuto dai posteri una caricatura di Mussolini – anche lui figlio di un fabbro! – ma che fu invece creato nel lontano 1917.
Il Duce fu invece un suo sincero ammiratore, e si copriva la faccia con il fazzoletto per non farsi veder ridere fino alle lacrime ai suoi spettacoli. Petrolini si dichiarò fascistissimo sin dalla prima ora, ma era stato anche iniziato in Massoneria, al fascismo antitetica: il che, forse, fa pensare più all’opportunismo di chi lusinghi il potere più che ad una sincera fede politica. Negli ultimi anni andò in tournée a Parigi, dove interpretò Molière alla Comédie Française, a Londra, in Austria e in Germania, dovunque con grandissimo successo, pur recitando sempre in italiano o al massimo in romanesco: «Petrolini actor of genius… smashes the barrier of language», titolò un giornale londinese.
Nel 1935 si ritirò dalle scene, malato di “angina pectoris” e riuscì a scrivere il suo ultimo libro di memorie: Un po’ per celia e un po’ per non morir… poco prima di morire davvero. Al medico che lo rassicurava sul suo stato, rispose: «Meno male, vorrà dire che morirò guarito!». «Sono fritto!», disse al prete che gli amministrava l’olio dell’estrema unzione. La sua ultima battuta, il 29 giugno 1936, fu «Che vergogna! Morire a cinquant’anni!». Non era vero. Anche in punto di morte, si calava gli anni: ne aveva cinquantadue.
Il gruppo di ritratti del grande attore romano proviene dalla collezione di Claudia Ricci, una cara persona scomparsa l’anno scorso, nipote di Petrolini e amica d’infanzia di mio padre. Petrolini infatti era amico di famiglia, compagno inseparabile di mio nonno Wladimiro Apolloni (1888-1948), che prima di diventare antiquario nel 1926, fu regista di cinema muto, sodale del divo e poi grande regista anch’egli Mario Bonnard, che fu uno dei modelli del Gastone di Petrolini, quando andava in giro in frac con le basette a punta, assieme a Tatiana Pavlova, fuggita dalla rivoluzione, esibiva cappelli dalle tese smisurate e i suoi levrieri Borzoï al guinzaglio. Mario Bonnard aveva diretto nel 1920 il film Mentre il pubblico ride, con Petrolini che recitava muto in coppia con Ninì Dinelli, sorella della moglie di mio nonno, che ho conosciuto come zia Nini, un’amabile vecchia signora che viziava i suoi nipoti ma che ai tempi suoi era stata una diva mangiatrice d’uomini.
Petrolini faceva parte del lessico familiare attraverso la memoria di mio padre, che aveva fatto in tempo a vederlo da bambino, non a teatro, ma nella splendida villa che si era fatto costruire a Castel Gandolfo, dove passava l’estate e le ottobrate e dove si andava in carrozzella. Quando si chiedeva a Petrolini qual era il suo passatempo preferito, egli non rispondeva recitare, ma «attaccare quadri e ordinare libri a casa mia». Aveva una biblioteca di ottomila testi teatrali antichi, e collezionava antiche maschere e cimeli dell’arte del teatro, perché il guitto ignorante era un profondo conoscitore dei testi e della storia del palcoscenico.
Alberto Sordi racconta di essere stato influenzato dalle memorie di mio nonno sul suo amico Petrolini, di cui egli interpretò in un film (1960) il personaggio Gastone per la regia proprio di Bonnard. È nella tomba di Petrolini al Verano, dov’è il busto di Todorov di cui qui si mostra una replica, che mio nonno fu parcheggiato da morto prima di averne una tutta sua. Le “macchiette” di Petrolini, le battute di Nerone («E tu che sei poeta e sei dell’arte / Al fischio del vapor la pipa parte!»), sono parte di un patrimonio culturale ereditario, che mi ha insegnato seriamente a non prendere le cose troppo sul serio, e che la vera incultura è la noia.
Marco Fabio APOLLONI Roma 13 Febbraio 2022