di Fabrizio FERRARI
“Il tempo è rotondo; ritorna in sé stesso. E gli orologi, che servono a indicarlo, dovrebbero pure essere rotondi. Lo furono infatti: dalla loro invenzione a ieri. L’uso, ultimamente invalso di dare agli orologi forma quadrata, triangolare, ottagonale, è uno dei tanti piccoli indizi dello smarrimento dei nostri giorni. Di mille e non più mille.“[1]
La storia della nascita dell’orologio da tasca è strettamente connessa all’evoluzione meccanica del movimento dell’orologio ed in particolare alla scoperta del sistema a bilanciere ed dell’alimentazione a molla. I primi meccanismi imprecisi ed ingombranti sono prodotti già nel XVI secolo. L’innovazione tecnologica ne ha consentito una sempre maggiore miniaturizzazione, maturata pressoché nel XIX secolo, nonché la possibilità di un utilizzo pratico, funzionale sebbene destinato a pochi.
Si ritiene infatti che la moda abbia contribuito notevolmente alla diffusione all’utilizzo dell’orologio da tasca, in particolare con l’invenzione da parte di Carlo III d’Inghilterra del gilet che ne consentiva appunto la comoda possibilità di “indossarlo”.
Gli orologi da tasca sono stati i primi veri orologi meccanici adottati da tutti ed hanno posto le basi per la nascita dell’orologio da polso, la cui forma era originariamente rappresentata da un orologio da taschino con le anse saldate e l’aggiunta di un cinturino in pelle.
Prodotti in acciaio, come in oro e pietre preziose divennero veri e propri oggetti di culto, con meccanismo semplice o complesso, costruito in serie o completamente artigianale, per la semplice misurazione dell’ora o per uso tecnico come, ad esempio, i cronometri navali inglesi. Nacque così un nuovo mercato derivato e ispirato da una vera e propria passione, un collezionismo evoluto, un sentimento di tradizione che si esprimeva anche nel tramandarne di padre in figlio il possesso.
La straordinaria avventura del nostro misuratore del tempo si snoda tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, tra Londra e Parigi, e ne vede partecipi alcuni dei più importanti orologiai ed artigiani dell’epoca.
Il padre materiale da cui tutto ha preso vita è l’orologiaio Josiah Emery che, nato in Svizzera, a Ginevra, nel 1725, si era poi stabilito a Londra nel 1762 al 33 di Charing Cross dove aveva la sua bottega. Particolarmente noto per essere un abile e raffinato orologiaio, era conosciuto soprattutto quale pioniere nell’utilizzo del dispositivo dello scappamento della leva: fu infatti il primo importante produttore di orologi e cronometri da tasca a utilizzarlo, dopo il suo inventore l’orologiaio Thomas Mudge (Londra,1715-1794).
Figura chiave, nell’introdurre Emery nel lavoro di Mudge che lo incoraggiò nella produzione dello scappamento a leva, fu il Conte Heinrich von Brühl (Gangloffsömmern, 13 agosto 1700 – Dresda, 28 ottobre 1763), ambasciatore in Gran Bretagna per il conte di Sassonia.
Alla realizzazione di questo cronometro, per come ci è pervenuto oggi, hanno tuttavia preso parte non solo Josiah Emery (1725-1794) la cui firma sul quadrante ne rivendica e definisce l’originale provenienza e titolarità, ma altri grandi orologiai come J.R.Arnold (1736-1799) e forse, come vedremo in seguito, lo stesso A.L.Breguet (1747-1823) [2] nonchè tecnici artigiani come J.A.Borel per quanto al quadrante di porcellana e J.L. Joly ( attivo tra il 1788 ed il 1820) [3] per quanto alla cassa in oro massiccio.
Siamo davanti a quello che può essere definito come un raro esempio, ante litteram, di una collaborazione globalizzata “spontanea”, tra inglesi (J. Emery e J.R.Arnold), e francesi (A.L. Breguet, J.A. Borel e J.L. Joly). Questo orologio rappresenta quindi non solo un raro esempio di innovazione ed evoluzione tecnologica, ma sicuramente anche un collegamento storico, un’ideale ponte sulla Manica tra la grande scuola dell’orologeria inglese e quella francese, tra il rigore e la precisione dei cronometri da navigazione di Londra e la grandiosa ed unica capacità stilistica di Parigi magnificamente espressi sia nel quadrante che nella cassa.
Come vedremo, nel ripercorre la storia che abbiamo cercato di ricostruire basandoci quasi esclusivamente sui passaggi tecnico-stilistici, risulterà evidente che essa è figlia di un naturale susseguirsi di interventi, per certo non pianificati ab origine da Emery, nati liberamente, dalla passione, dallo studio, dalla moda e dalla abilità di mantenere un aggraziato e funzionale equilibrio rispetto all’impianto originario.
Prima di procedere oltre credo sia giunto il momento di presentare il nostro protagonista.
Il cronometro da tasca con movimento n. 847 è stato realizzato da Josiah Emery a Londra nel 1780 e rappresenta il quarto esemplare, ad oggi conosciuto, di ciò che viene definito come “primo tipo” di cronometro di Josiah Emery, con scappamento a dètente (“pivoted detent escapemet”, meccanismo che fu inventato da J.R. Arnold e adottato per espressa concessione di quest’ultimo da Emery dal 1778). È il secondo meccanismo di questo tipo prodotto in ordine cronologico.
Gli altri tre esemplari che si conoscono sono:
-1 Meccanismo J.Emery n.781, fabbricato nel 1778 e oggi custodito al British Museum di Londra.
-2 Meccanismo J.Emery n. 875, fabbricato nel 1781 ed aggiornato circa nel 1800 con una nuova cassa in oro, oggi in una collezione privata;
-3 Meccanismo J.Emery n.888, anch’esso fabbricato nel 1781 ed aggiornato qualche anno dopo con un nuovo meccanismo di compensazione ed una nuova cassa d’oro. Anch’esso oggi di un privato collezionista.
Il cronometro di J. Emery equipaggiato con il meccanismo n.781, appartenente al British Museum, può forse essere considerato come il più rassomigliate al meccanismo n.847 rispetto a come quest’ultimo era stato inizialmente creato e concepito.
La creazione del Cronometro n.847.
È al 33 di Charing Cross a Londra, nella sua bottega, che Josiah Emery, ha costruito questo cronometro dotandolo di un treno del tempo con movimento a conoide, in ottone dorato, equipaggiato con il meccanismo di mantenimento di carica inventato da Harrison (nb. il “maintainig power di Harrison consentiva all’orologio di continuare ad andare mentre veniva caricato), nonché del caricamento a molla, (proprio di J.Emery), montato sotto la canna. Tutti i perni del meccanismo sono ingioiellati fino al conoide ad eccezione della ruota centrale superiore e dei perni inferiori del conoide medesimo. Lo scappamento è, come già detto, a détente, con una ruota di scappamento in acciaio atta a dare movimento al rullo di impulso, realizzato interamente in zaffiro. Il banco per lo scappamento consiste in una vite orizzontale infilata attraverso la base del treno di potenza del perno.
Comunque, al di là delle, per molti, noiose nozioni tecniche, cosa balza agli occhi di chi osserva attentamente questo orologio? Sicuramente la sua multiforme unicità, conseguenza della mescolanza di stili anglo-francofoni, testimoniati anche dalle firme, dalle marche, dalle sigle e dai punzoni che, armoniosamente, lo rendono unico rispetto a tutto quello che ad oggi è pervenuto fino a noi dalla bottega di J.Emery.
Infatti, se il meccanismo n.847 fosse stato un “classico” orologio di J.Emery, per come sono assemblati tutti gli altri meccanismi a noi noti, si sarebbe dovuto presentare innanzitutto protetto da una placca a tappo in ottone dorato, con inciso sopra quasi certamente il nome del fabbricante (Josiah Emery), il suo indirizzo (33 Charing Cross, Londra) ed il numero di serie dell’orologio.
Non è affatto così. Anche il quadrante del cronometro avrebbe dovuto essere un tipico “marine”[4] con numeri romani e non arabi, recante scritta estesa della firma di Josiah Emery ( non solo EMERY in stampatello) e del suo indirizzo o quantomeno l’indicazione “London” in smalto bianco, con ore concentriche e piccole lancette, e non certo un quadrante che stilisticamente esprime tutto ed unicamente il gusto francese.
Il tutto avrebbe dovuto essere raccolto in una cassa consolar, in oro 18 ct., realizzata più che probabilmente da Valentine Walker e non certo in una cassa realizzata dal primo e più importante produttore di casse di A.L.Breguet, J.L.Joly.
Perché non è cosi? Perché tutte queste differenze stilistiche rispetto a qualsiasi altro orologio di J. Emery? Perché soprattutto le ritroviamo non in un orologio comune, ma su un meccanismo che rappresentava la massima espressione tecnologica dell’epoca? Perché questa reciproca partecipazione tra i più grandi artigiani inglesi e francesi? Soprattutto perché questa connessione tra la bottega di Charing Cross con quella di Quai de L’Horloge?
L’ipotesi più plausibile è che tutte queste modifiche differenze non sarebbero state apportate se l’orologio fosse stato costruito per essere prontamente venduto, ma è assai probabile che questo meccanismo sia stato ideato con un altro fine rimanendo, nella prima parte della sua storia, ad esclusiva disposizione del suo inventore, come exempli gratia, piuttosto che come prototipo di studio
L’Up-Grade Tecnico, presso la bottega di John Roger Arnold [5].
Sono passati 17 anni dalla creazione del Cronometro n.847, siamo nell’Aprile 1797 a Londra. Dopo la morte di Emery, avvenuta pochi anni prima il 14 luglio del 1794, il cronometro n.847 venne completamente aggiornato e modificato.
Innanzitutto venne aggiunto un meccanismo di bilanciamento della compensazione: ciò fu possibile rimuovendo l’intera piastra scorrevole e il vecchio meccanismo di compensazione, collegando tutti i fori non più necessari (tutt’ora ancora appena evidenti) e ridorando la piastra del treno di potenza. La vecchia compensazione venne sostituita dalla famosa compensazione a “doppia S” inventata da J.R. Arnold nel 1782 e già utilizzata da Emery, su espressa autorizzazione di quest’ultimo, nei suoi cronometri con scappamento a leva (ne è esempio il meccanismo n.1089 oggi al British Museum). Non essendo però l’orologio nato per ospitare questo tipo di compensazione vennero fatti degli adeguamenti speciali e specifici per bilanciare correttamente il meccanismo n.847. Allo stesso tempo, la molla di bilanciamento a spirale piana venne sostituita con una molla elicoidale d’oro, e anche la molla principale, detta “mainspring”, dovette essere sostituita con quella che oggi ritroviamo all’interno del meccanismo. Quest’ultima è marcata “April 97” all’interno della molla medesima (come era tipico degli interventi realizzati da orologiai inglesi). Il bariletto è anch’esso marcato anche sul lato inferiore con la scritta “5 ½ turns” ad indicazione del settaggio richiesto. Ugualmente il conoide, rispetto all’impianto originario, fu riadattato in questo periodo.
Cosa nasce da tutto ciò? Un Unicum, ovvero un “pivoted detent esapement con doubble s balance”.
Si conoscono movimenti denominati “pivoted detent escapement” con compensazione semplice, si conoscono movimenti “doubble s con scappamento a leva” (circa 12 nel Mondo). Del nostro no, di quest’ ibrido nessun altro. Il meccanismo n.847 è unico.
Jonatthan Betts, massimo esperto di J. Emery, autore de Josiah Emery, Watchmaker of Cahring Cross, Antiquarian Horology, Vol.22-24, No.1-6, a tal riguardo dice che
“ritiene che tutto questo lavoro possa essere fatto da John Roger Arnold in ragione della tipica predilezione che egli aveva in questo specifico momento storico nell’utilizzare la molla elicoidale d’oro al posto della molla a spirale piana, come per l’appunto è stato fatto su questo cronografo. Ma vi sono altre modifiche che l’orologio ha subito a sostegno del fatto che fu Arnold ad intervenire sullo stesso”.
L’Up-Grade Stilistico nella bottega di Quai de L’Hòrloge:l ’influenza Francese nel rigore Inglese.
Qualche anno dopo l’upgrade realizzato da Arnold, l’orologio venne inviato in Francia, presso la bottega di Abram Louis Breguet, grande amico di Arnold medesimo. I due, che si erano conosciuti a Parigi dove avevano collaborato nei primi anni del 1790, avevano mantenuto uno stretto rapporto coltivato nei frequenti viaggi a Londra fatti da Breguet (nel periodo in cui era in essere la società con Xavier Gide), tra il 1787-1791, per cercare di ampliare il suo commercio e ricevere il pagamento degli orologi realizzati su commissione della Corona inglese, portando con se anche il figlio Antoine Louis.
Dalla bottega di Charing Cross a Londra, a quella di Quai de L’Horologe a Parigi. Fu qui che venne realizzato l’up-grade stilistico sul cronometro n.847. Venne applicato sulla struttura del meccanismo, un quadrante nuovo di altissima qualità, nuove lancette ed una nuova, straordinaria, cassa d’oro (sempre che prima ve ne fosse stata un’altra).
Il quadrante in smalto bianco, che misura 47,7 mm di diametro, è ovviamente in stile “Breguet”, con numeri arabi ed è semplicemente firmato in stampatello “Emery” alle 6. Esso è stato realizzato da Jean-Antoine Borel ( firmato sul retro dello smalto “Borel” e “339”), artigiano specializzato che venne utilizzato in particolare come fabbricante di quadranti da Breguet a partire dal 1799. Le lancette a mezza luna, realizzate in acciaio bluastro, sono del tipo preferito da Breguet e la lancetta dei secondi è incassata nel quadrante sotto le 12, con un taglio fatto sul fronte nei modi di Breguet (si veda ad esempio il Breguet n.84 , dic.1800, dove i secondi sono posti alle 2). Un esempio particolarmente calzante è il Breguet n. 1407 “Montre a Ripetition des Quarts à toc” pag.225 Catalogo Breguet dell’Esposizione tenutasi al Louvre inaugurata il 23 giugno 2009.
È importante considerare che il nuovo disegno del quadrante di Borel, che mette i secondi alle 12, ha probabilmente portato anche alla sostituzione del bordo di ottone, mentre il modo inusuale che aveva adottato Emery per fissare il quadrante al bordo di ottone, attraverso l’utilizzo di alette rettangolari negli slot, è stato perfettamente rispettato e completamente mantenuto. Così come è stato mantenuto in originale lo “stop” ed anche il taglio nel bordo di ottone che lo ospita. Sul nuovo bordo di ottone è inciso un “A” e una “M” su entrambi i lati della leva ad indicare “Arresto” (stop) e “Marcia”(start).
L’orologio è stato poi dotato di una nuova cassa consolare di eccezionale finezza, interamente realizzata in oro dal produttore di casse preferito e più utilizzato da Breguet: Jean-Louis Joly. All’interno della cupola interna e nella parte posteriore della stessa sono presenti i punzoni a diamante di Joly e i punzoni di Parigi utilizzati tra il 1798 ed il 1809. Sulla parte posteriore è inoltre stampato il numero “207” e la lettera “B” ad indicare un lavoro fatto per Breguet.
Tale ipotesi è sostenuta anche dal fatto che in un estratto preso dalla scheda di commento intitolata “Boites” (trd. “Casse”) pp.224-225 del libro “un Apogèe de l’Horlogerie Europèenne, Breguet – Musèe du Louvre Edition” si può leggere
“…Breguet per le sue casse utilizza i migliori artigiani della sua generazione e si avvale per lunghi anni dei servizi di veri artisti, che si chiamano: Gros, utilizzato senza interruzione tra il 1787 ed il 1819, Mermillot 1792-1806 e oltre Tavernier e Joly, che iniziano a lavorare per Breguet, rispettivamente nel 1792 e 1796 e che, tra loro, realizzano la maggior parte delle casse per gli orologi costruiti mentre ancora A.L. Breguet era in vita, per poi continuare il loro lavoro sotto la direzione di suo figlio. Le casse degli orologi sono contrassegnate con il punzone del maestro costruttore (nel nostro caso J. L. Joly) e possiedono il proprio numero ( nel nostro caso il n.207), diverso dal numero di serie dell’orologio ( nel nostro caso non citato non essendo un Breguet), e spesso preceduto dall’iniziale del nome del suo produttore ( nel nostro caso “B”)”.
Ancora a sostegno di questa ipotesi si prende a riferimento il Breguet n.4265 ( comperato da M. Divoff il 14 gennaio 1825 ) venduto da Christie’s. Anche in questo caso nella cassa oltre ad essere riportato il numero del meccanismo, appunto il n.4265, è riportato il numero della cassa “250” e la lettera “B”.
Ed ancora a sostegno di questa ipotesi si prende a riferimento il Breguet n.2632 (comperato da Mrs Nicolson il 17 febbario 1815) sempre recentemente venduto da Christie’s. Anche in questo caso nella cassa oltre ad essere riportato il numero del meccanismo, appunto il n.2632 è riportato il numero della cassa “1983” e la lettera “B”. [1]
Ancora: tratto da “L’archivio meraviglioso” Breguet 6° parte ( vedi allegato) :
“Dal 1791 in poi i documenti diventano sostanziosi e ci permettono, grazie alla loro precisione, una ricostruzione affidabile dell’andamento delle vendite. Essi ci mostrano anche come si vanno diversificando le attività di Breguet, e consentono di delineare un abbozzo di storia economica. L’attività dell’azienda è articolata in vari settori di diversa importanza. Il settore principale è costituito naturalmente dalla fabbricazione e dalla vendita di orologi nuovi. Non va trascurata però la riparazione, che comprende la manutenzione e quello che oggi definiremmo il servizio di assistenza tecnica per gli orologi prodotti da Breguet (gli esemplari più antichi hanno ormai più di vent’anni), né la riparazione di orologi francesi e stranieri d’ogni marca.”
Tutto quanto sopra porta al poter ragionevolmente sostenere la tesi che, nel caso del Cronometro Emery n.847, all’interno della cassa consolare in oro fabbricata da J.L.J. non ritroviamo il numero del meccanismo in quanto non era un Breguet, ma il numero della cassa sì ed anche la lettera “B” perché fu un lavoro eseguito per A.L.Breguet. Una Collaborazione? Una Commissione?
Durante le ricerche si è proceduto a verificare presso l’Archivio Breguet, con la Collaborazione dell’erede della dinastia, Emmanuel Breguet, se risultassero riferimenti all’orologio, ma purtroppo non trattandosi di un meccanismo Breguet, non si è potuto ritrovare nessun riscontro.
È necessario verificare se esista un Archivio tenuto da J.L. Joly cui fare riferimento. Infine l’analisi del meccanismo dell’Emery n.847 ha rivelato che, durante il montaggio del quadrante e della cassa di Joly, il movimento venne quasi sicuramente revisionato e di ciò si può trovare traccia nella molla di carica principale (mainsprings) dove è segnato un “B X I” sulla parte esterna della bobina, dove per l’appunto i produttori francesi ( non inglesi) tradizionalmente segnavano le molle. Il significato di queste lettere non è noto.
Questo è quanto.
Le singolari caratteristiche di questo orologio sono state per certo le ragioni per cui questa ricerca ha preso vita. La curiosità di voler cercare di capire il perché su di esso abbiano messo mano tanti straordinari tecnici ed artigiani, è stata determinante e credo che, almeno in parte, qualche risposta sia stata data.
Passione, cultura, capacità e innovazione si percepiscono in ogni singolo passaggio tecnico e stilistico apportato nel corso del tempo, testimoni di una straordinaria evoluzione nel complicato campo dell’orologeria tutt’ora in corso.
***
La provenienza.
Arma dei Talon: scaglione di oro accompagnato da – 3 lune montanti di argento poste 2,1 cimate da una sfiga posta in palo di oro tutto su azzurro – cane levriere rampante di oro collarinato di rosso su azzurro.
L’orologio proviene dalla Collezione privata della nobile Famiglia Talon , originaria d’Irlanda, che si trasferì in Francia nel XVII secolo, dove occupò le più alte cariche dell’esercito e della magistratura. Il capostipite fu Artus, nato verso il 1490 da cui discesero Omer Talon (1538-1618) che fu avvocato e poi procuratore del Re, nel Tribunale di Parigi e referendario della Regina Caterina de Medici. Carlo Francesco Talon fu invece dottore in Teologia, Curato di San Gervasio, Elemosiniere del Re, Gran Vicario dell’Arcivescovo di Parigi: morì nel 1612. Denis Talon fu Signore di Boulaj e di Cluzzellet, avvocato e presidente del Tribunale di Parigi: morì nle 1696 e fu sepolto nella Chiesa di San Cosimo a Parigi, nella tomba di famiglia. Omer, unico figlio di Denis, militò nell’esercito con il grado di colonnello ed ereditò i titoli di Marchese di Boulaj e Visconte di Tremblaj. Luigi Dionigi Talon nacque nel 1701 e fu consigliere del Parlamento, mentre Antonio Omero, Marchese di Boulaj e Thierrj, anch’egli consigliere e avvocato del Tribunale parigino, lasciò erede, alla sua morte avvenuta nel 1811, il Generale Matteo Chiaro Talon. Questi ebbe tre figli di cui solo uno sopravvisse, Dionigi Gabriele Vittorio, che si trasferì in Italia e precisamente a Bologna, dove sposò la Marchesa Carolina, ultima discendente della famiglia.
Tre i personaggi illustri della famiglia figurano quindi, Omer Talon ( 1595-1652) Grande Avvocato e procuratore di Parigi, Jean Talon ( 1625-1694) promotore degli interessi nel Continente Nord Americano e Primo intendente della “Nuova Francia” ( il Canada), ed è considerato il fondatore dello stato canadese del Quebec. Infine Antonio-Omero Talon (1760-1811) che fu “Lieutenent Chatelet”, una delle posizioni più alte della sicurezza francese sotto Luigi XVI, contro-rivoluzionario, ed organizzatore in favore del Re della celebre “fuga di Varenne”. La Marchesa Cayla Talon ( 1785-1852) fu la favorita di Luigi XVIII.
Secondo le vicissitudini temporali della Famiglia, l’orologio di Emery n.847 venne portato da Parigi in Italia dal Generale Matteo Chiaro Talon quando si trasferì a Bologna nel 1830 e qui vi è rimasto per oltre 150 anni, per poi traferirsi nella in una Collezione privata nella vicina Modena.
Il Cronometro di Josiah Emery n.847 faceva parte di una più ampia collezione di proprietà della Famiglia Talon. Tra i vari pezzi v’era infatti anche un importante Breguet e precisamente il Breguet n.218. Dalla ricerca condotta sugli archivi Breguet riguardo a questo importante orologio emerge che nel 1840,1842 e 1844 il “General Talon” in qualità di proprietario fece aggiustare l’orologio alla Breguet, come peraltro testimoniato dall’allegato estratto dall’archivio Breguet, rilasciato da Emmanuel Breguet il 17 dicembre 2012.
Questa sicuramente è una certa e concreta prova del fatto che la famiglia Talon entrò in contatto con A.L.Breguet e la sua bottega, ed è sicuramente un ulteriore importante informazione che ci aiuta a ricomporre il puzzle sulla storia di questo orologio.
Oggi l’orologio appartiene ad una collezione privata Europea.
Fabrizio FERRARI Bologna 30 Ottobre 2022
Scheda Tecnica del Movimento:
Dimensioni di ingombro (MMS): Altezza (arco alto): 78.6; Larghezza: 56.6; Profondità: 24.9 / Bordo in ottone Ø: 48.4. / Potence piastra Ø: 40,3 / Pilastro piastra Ø: 40,3 / Distanza Piastra: 8.3 / Barrel Ø: 16,9 / Arbor Ø: 5.7 / Primavera Altezza: 6.0 / Primavera Th: 0,25-0,19 (conico)
Treno del Tempo (n & OD in mm)
Grande: 63 / 18.2 / M / P: 104 / 18.2 / Set-up cricchetto: 14 / 3.8 / Centro: 80/16 18,2 + / 4.8 / Terzo: 75/10 + 16,5 / 2,5 / Quarto: 76/10 15.9 + / 2.4 / Fuga: 16 / 13.2 + 8 / 1,9/ (18.240 vbs per ora) / Saldo Ø totale: 23.0 / Bilancia a molla Ø: 6.6, in oro, 8 ¾ giri (c / w giù), con terminali su entrambi i lati. / Solid zaffiro imp Rullo Ø: 3,5 / Raggio di zaffiro pallet a rulli di scarico: 1.0 / Ruota Hour: 54 / 14.2 / Pignone Minute: 18 / 5.1 / Ruota Minute: 56 / 15.1 / Cannon pignone: 14 / 4.1.
NOTE
1] Umberto Saba poeta italiano 1883 – 1957 51, p. 52 Scorciatoie e raccontini
[2] Nato a Neuchâtel, in Svizzera, Breguet trascorre a Parigi gran parte di una esistenza scandita da invenzioni tanto varie quanto importanti. La sua carriera, che investe progressivamente tutte le specializzazioni dell’orologeria, inizia con una serie di impreseeccezionali. Perfeziona l’orologio automatico detto “perpetuo”. Introduce la molla sonora negli orologi a ripetizione. Inventa il “paracadute”, il primo dispositivo antiurto della storia.Apprezzati dal re Luigi XVI e dalla regina Maria Antonietta, gli orologi di Breguet racchiudono movimenti originali e scappamenti ad àncora o a cilindro che vengono continuamente perfezionati. Nel momento più critico della rivoluzione francese Abraham-Louis Breguet si rifugia in Svizzera. Il suo ritorno a Parigi è accompagnato da una nuova serie di invenzioni, tra le quali spiccano la spirale Breguet, la prima pendulette da viaggio ( venduta a Bonaparte ), la “pendola simpatica”, l’orologio a tatto e infine il tourbillon, brevettato nel 1801.Breguet è ormai noto e stimato in tutte le corti d’Europa. Diventa l’orologiaio di fiducia di diplomatici di rango, di scienziati, di uomini d’arme e della finanza. Fabbrica esemplari speciali per i suoi migliori clienti. Per la regina di Napoli, Carolina Murat, crea nel 1810 il primo orologio da polso storicamente documentato. Colmato di onori, è nominato membro del Bureau des Longitudes e Orologiaio della Marina Reale francese. È accolto nell’Accademia delle Scienze e riceve la Legion d’Onore dalle mani del re Luigi XVIII.Muore nel 1823, quando tutti lo considerano ormai da tempo l’uomo che, con la sua genialità, ha rivoluzionato ogni aspetto dell’orologeria.
[3] Fonte The British Museum, www.britishmuseum.org
[4] Nell’evoluzione della storia dell’orologeria apprendiamo che è solo nella seconda metà del ‘700 che fanno la loro comparsa i primi cronometri da marina colmando un’esigenza primaria per la sicurezza delle navigazioni. Dalla scoperta delle Americhe e dopo l’identificazione della Longitudine , coordinata geografica che consente il calcolo teorico di posizione terrestre tramite un ipotetico tracciato del globo diviso a settori, esigenza primaria fu quella di trovare un metodo preciso e affidabile per una navigazione sicura perché sbagliare di pochi gradi la rotta, sulla lunga distanza, portava ad errori di migliaia di chilometri, conseguentemente si aggiungevano numerosi giorni di navigazione che potevano avere conseguenze disastrose.
[5] R.Arnold, Bodmin, 1736 – Eltham, 25 agosto 1799 Orologiaio inglese originario della Cornovaglia, fu il pioniere della produzione a livello industriale di cronometri. Si perfezionò in Germania ed Olanda ed imparò la lingua tedesca. Conquistò le simpatie di re Giorgio III, appassionato di orologeria, e di sua moglie, la tedesca Sofia Carlotta di Mecklenburg-Strelitz. Raggiunse la fama quando nel 1764 riuscì a miniaturizzare un orologio, rendendolo piccolo tanto da inserirlo in un anello. Fu costruttore di orologi per la marina e dal 1780 si dedicò alla realizzazione di cronometri.
[6] Contrariamente poi agli esempi qui riportati quando J.L. Joly costruisce casse per altri orologiai non appone alcuna “B” all’interno della cassa, né altra lettera. Ne sono esempio: orologio da tasca di L. Recordon – movimento n°2188, circa 1815 – cassa numerata e siglata con i punzoni di J.L.J. , nessuna “B” né altra lettera (Christie’s Lot.322 /Sale 1372). Ancora, orologio da tasca di Lepine – movimento n.5988, circa 1795 – cassa consolare in oro ( del tutto simile a quella dell’Emery in oggetto) numerata con il n.255, nessuna “B” né altra lettera incussa nella cassa (Christie’s lot. 345 Asta del 12 maggio 2008, Ginevra). Ancora orologio da tasca di L. Berthoud – movimento n°2594, circa 1812 – cassa consolare in oro marcata da JLJ e con il numero di cassa n°1229, nessuna “B” né altra lettera presente ( Venduto anch’esso da Christie’s).
Bibliografia
- VV. Breguet, Un Apogèe de l’horlogerie Europèenne Musèe du Louvre edition, Paris, 2009
- VV. Les Montres ed Horloges de table du Musèe du Louvre, Tome II, Ed. De la Rèunion des Musèes nationaux, Paris 2000, 49
- VV. Clocks ad Their Value Ed N.A.G. Press Ltd, London ECtV 7QA, 1979.
- Britten F.J Old Clocks and Watches and their makers, 7° ed, G.H. Baillie, 15 Bedford Street W.C.2 London 1956.
- Giuseppe Brusa L’Arte della Orologeria in Europa, Bramante, 1978
- Cecil Clutton e George Daniels Watches, Batsford LTD, London1965.
- Donald de Carle Storia degli Orologi, Istituto Geografico De Agostini S.p.A. Novara1980.
- Dominique Flechon La Conquista del Tempo, Storia dell’Orologeria dalle Origini hai giorni nostri: scoperte-invenzioni-progresso, Foundation Haute Horlogerie, ed Flammarion, Paris 2011.
- Fulgido Panella L’orologio da portare addosso. Arte e Tecnica nell’orologio tascabile dalle origini al 1820-1830 ad uso di amatori e collezionisti, Ed. Priuli e Verlucca, Ivrea 1978,.