di Clovis WHITFIELD
Dal verisimile a il vero
(italian transaltion by Consuelo LOLLOBRIGIDA)
Il cardinal Francesco Maria del Monte era un philosophante, da quello che possiamo apprendere dai numerosi dipinti di santa Caterina (di Garofalo, Santi di Tito, Caravaggio, Guido Reni, e Annibale Carracci) santa patrona dei filosofi.
Ma che seguisse un pensiero filosofico rimane un’ipotesi visto che non è giunta fino a noi qualche descrizione né una testimonianza scritta. Tuttavia, il concetto della teoria della pittura umanistica, nata nel sedicesimo secolo quando i testi classici di Orazio e Aristotele furono riscoperti e tradotti, rifiorì specialmente nel diciassettesimo secolo generando una interpretazione abbastanza differente nella cosiddetta dottrina pseudo aristotelica dell’imitazione dei modelli perfetti’[1] .
La necessità di raggiungere una rappresentazione realistica era stato l’obiettivo principale della maggior parte dei pittori e dei committenti del Cinquecento, e mentre l’invenzione della prospettiva aveva risposto a uno dei problemi principali degli ammiratori di Leon Battista Alberti, c’era in effetti ancora molto da fare. Il sedicesimo secolo vide la nascita di molti metodi sofisticati di pittura, indipendentemente dal confronto con i classici. Alcuni artisti provarono a raggiungere una pittura che riflettesse in pieno esattamente quello che vedevano, e questo soprattutto nel genere del ritratto. Il verbo ritrarre [in italiano nel testo, ndt] sottende il sostantivo ritratto [in italiano nel testo, ndt], ma originariamente questa parola descriveva l’atto dell’artista che copiava dal vero [2] – ovviamente il ritratto era il primo genere ad esserne toccato, ma il concetto poteva essere applicato ai fiori, agli edifici, agli uccelli, o altri animali, o qualsiasi altra cosa l’artista avesse voluto ritrarre, come divenne norma nell’Accademia dei Crescenzi di Roma all’inizio del Seicento[3]. Giulio Mancini, nelle sue Considerazioni (1956 ed, I, p. 115), dà la descrizione del ‘ritratto semplice, senza attione et espressione d’affetto’, che mostra soltanto ‘la grandezza, proporzione e similitudine della cosa che imita, con colore et altro che costituisce quel tale essere individuo et d’esser individuato, quale, per essere perfetto, non ricerca altro che la similitudine’. Ci furono anche esperimenti che utilizzavano del vetro levigato, che dopo la metà del secolo avrebbe portato a un radicale miglioramento del modo di proiettare l’immagine in una camera obscura, insieme a delle immagini proiettate attraverso degli specchi concavi (generalmente di metallo).
Queste nuove procedure erano in grado di mostrare l’apparenza reale delle cose, spingendo gli artisti a imitare quello che vedevano. Pittori come Frans Pourbus e Scipione Pulzone erano determinati a annotare ogni singolo capello, e tutti i dettagli delle pietre preziose, dei ricami e dei gioielli, pur non riuscendo mai ad arrivare ad una convincente rappresentazione della realtà. Gli studiosi di letteratura del Cinquecento, inclusi coloro i quali appartenevano alla corte del Cardinal Del Monte, guardavano anche alla Poetica di Aristotele. Da quella fonte molti esponenti di una generazione ancora coinvolti nella rappresentazione pratica acquisirono l’idea che il dipinto non avrebbe dovuto seguire le stesse regole della poesia. Il risultato che ne conseguì fu la differenza tra verisimile (il realistico) e il vero (il reale). Questo fu il concetto principale a cui si riferiva Lodovico Castelvetro nei commentari alla sua traduzione della Poetica di Aristotele[4], dove supponeva (come ha suggerito Rudolf Preimesberger) che ‘mostrare il vero non è il verisimile, è il compito della pittura, il vero è l’autentica base del diletto estetico mentre il verisimile lo è in modo molto più debole’[5] arrivando alla conclusione che tutto il dipinto[6] (la Cattura di Cristo di Caravaggio) era stato studiato dal vero. E la ‘rassomiglianza di fuori’ che i pittori cercavano di raggiungere era l’esatto opposto della ‘rassomiglianza interna’ dei poeti [7]. Questa insistenza sulla rassomiglianza per il pittore è il concetto di base della poetica di Castelvetro.
L’idea che il vero fosse molto più commovente di qualsiasi altra invenzione è chiaramente quella che ispirò il Del Monte nell’ingaggiare Caravaggio, che in questo aveva un talento unico, e che era stato l’autore di uno dei ritratti dal naturale che il Cardinale ebbe modo di vedere (la Caraffa di fiori è documentata l’ultima volta nella vendita dei quadri del Del Monte del 1628), e che comprò senza neanche sapere chi l’avesse dipinto. Castelvetro mette in evidenza quanto fosse molto più difficile lavorare ‘dal naturale’ che su un’immagine inventata che richiedeva ‘minor industria’ (1576 p. 72).
Lodovico Dolce nel suo famoso Dialogo della Pittura (1557) osservava che la necessità centrale di un pittore era quella di imitare la Natura, così come si presenta nella sua normale predisposizione, citando il parallelismo e la relazione tra pittura e poesia dell’oraziano ut pictura poesis; non di meno, Dolce osserva anche che ‘i dipintori, se bene nel ritrarre dal naturale, debbono imitar la natura ed esprimere il vero,[8] ponendosi in questo non molto lontano dall’affermazione ‘altra regola non hanno i pittori ch’ imitare le cose vive, & proprie‘ che Paolo Pino aveva dato nel suo Dialogo della pittura, (Venezia 1548, ed Pallucchini 1935.p.70). Castelvetro dichiarava anche che le immagini dipinte di cose impressionanti come serpenti, rospi o carogne potevano essere apprezzate dal pubblico se l’artista riusciva ad operare una selezione proprio perché l’immagine del veleno non è di per sé velenosa o quella della carogna non puzza; il brutto, anche se colpisce per la sua violenza, poteva diventare bello[9].
La filosofia di Castelvetro intendeva la rifrazione della luce attraverso l’acqua e vetro della caraffa, mai studiata prima, come uno dei miracoli voluto da Govanni Battista della Porta (De i miracoli e maravigliosi effetti dalla natura prodotti, (Venezia 1560) p. 150ff ed era essenzialmente didattica ed educativa dal momento che ‘non si può riconoscere alcuna rassomiglianza che non s’impari .[10] Questo è l’essenziale obiettivo del patronage di Del Monte, dal momento che comprendeva che si poteva imparare dall’osservazione reale delle cose. Ma fino alla commissione della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, per la quale aveva ingaggiato Caravaggio, aveva fatto circolare questa sua scoperta solo all’interno del suo ambiente.
La misura con la quale Caravaggio cercò di assecondare il desiderio e l’entusiasmo del suo committente per ‘il vero’ è chiaramente ricavabile dalla sua tecnica per il perseguimento della verosimiglianza “è così dilettevolissima a tutti, conciosia cosa propria dell’ huomo, & non comune con altro animale, la quale sempre cade nel riconoscere la rassomiglianza (come aveva scritto Castelvetro) [11]. Caravaggio aveva già raggiunto un grado interessante di realismo nella rappresentazione delle sue immagini, come si evidenzia dal Ragazzo morso da un ramarro, quando fu ospite dal cardinal Pucci a Roma, come sostiene Mancini. Bellori annota [12] che Caravaggio aveva imparato a macinare e fare i colori quando era a Milano, ma non c’è nessuna informazione che indichi come abbia raggiunto lo stupefacente realismo delle prime opere romane, e non c’è neanche nulla nelle sue opere contemporanee che preparino al suo metodo rivoluzionario.
Spessore di pensiero
L’entusiasmo per il realismo aveva anche governato la poetica di Scipione Pulzone, a tal punto che alcune sue opere, come gli Arcangeli dipinti per la Cappella degli Angeli al Gesù di Roma, erano considerate sconvolgenti perché in alcune delle immagini si potevano facilmente riconoscere le persone usate come modelli. L’artista era anche famoso per la sua accuratezza nel ritrarre le fisionomie degli individui, e questa è una delle ragioni per cui Del Monte lo favorì molto[13]. Ma Pulzone morì nel febbraio del 1598, quindi non ebbe grandi opportunità di scambiare delle idee con Caravaggio in merito alle loro tecniche. Pulzone era anche acclamato per il modo in cui rappresentava abiti e gioielli, come ad esempio la corona di Cristina di Lorena, nota solo attraverso il ritratto che le fece seduta al tavolo (Firenze, Uffizi), perché molti degli accessori oggi non esistono più. Ma questa imitazione de il vero fu superata da Caravaggio, che non aveva uguali nel modo di rendere il dato reale, grazie ad un approccio diverso.
C’era un’implicita riconoscenza della sua straordinaria abilità, vividamente descritta da Francesco Scannelli (Microcosmo della pittura, 1657, p. 199) quando descrive il Pastore Coridone (poi definito San Giovannino) dei Musei Capitolini, come, tra i dipinti privati dell’artista, così aderente alla realtà che ‘non potria dimostrare più vera carne, quando fosse vivo’. [14]. Anche un altro allievo di Del Monte a Palazzo Madama, Ottavio Leoni, sviluppò una tecnica con l’ausilio della camera obscura per catturare la vera immagine dei personaggi ritratti[15], e sembrerebbe proprio il personaggio di cui Del Monte cantò le lodi quando scrisse il 10 dicembre 1599 al Granduca: ‘un giovane mio allievo quale lavora meglio, più diligente e più somigliante senza comparatione di quel poveretto di Scipione Gaetano…’ ([16]) . La sua protezione di Cesare Ripa, autore dell’ Iconologia, un’antologia di tempi e immagini pittoriche (1593, prima edizione illustrata; 1603) è un altro indizio dell’interesse di Del Monte di raggruppare diversi aspetti della conoscenza.
I Gesuiti e il vero.
Anche se il pensiero dei gesuiti non ha mai veramente sostenuto la novità dirompente di Caravaggio, il pensiero retrostante e la modernizzazione reclamata dal Concilio di Trento, diede comunque un sostegno al perseguimento de il vero come nell’affermazione – ‘il compito del pittore fosse di raffigurare le emozioni e i sentimenti umani il più accuratamente possibile’ [17]– presente nel Tractato de poesi et picturae (1595) di Antonio Possevino. Per un gesuita come Roberto Bellarmino (collega di Del Monte alla Congregazione dei Riti) potrebbe essere sembrata la realizzazione del detto attribuito a Platone, e ripreso anche da san Tommaso d’Aquino, la bellezza è lo splendore della verità. All’epoca di Del Monte, Bellarmino capiva la ‘necessità che l’immagine dipinta sembrasi la cosa vera’. Del Monte era vicino a Bellarmino, e aspirava ad essere sepolto al Gesù, benché poi sarebbe stato inumato nella chiesa di Sant’Urbano.
Queste opere ‘private’ erano il risultato della collaborazione tra committente e artista per raggiungere il più possibile grado di fedeltà alla realtà. I ritratti dal naturale (come li chiamava Baglione) erano uno dei privilegi di cui godeva il cardinale come pure a lui era permesso di avere accesso ai libri che erano all’indice, che non potevano né essere capiti né disponibili per la consultazione pubblica. Come per Bellori, egli inizia la sua Vita degli pittori con un’analogia con il pittore classico Demetrio ‘che dilettosssi più dell’ imitazione che della bellezza delle cose’ [in italiano nel testo, ndt] -, e questo fu il giudizio che portò all’oscuramento dei risultati raggiunti da Caravaggio. Ma la sua osservazione dei dettagli più piccoli dei soggetti trattati non rientrava tra le caratteristiche del solito repertorio, era qualcosa fatta/ideata per un metodo di lavoro dirompente dove la ciò che appariva in superficie diveniva il punto iniziale dell’imitazione invece del disegno grafico, della prospettiva, della narrazione che per gli artisti contemporanei risultava essere la sfida più avvincente per immaginare o ricreare dalla loro fantasia [in italiano nel testo, ndt].
La registrazione diretta di effetti transitori, come la luce che passa attraverso un bicchiere, o le gocce di rugiada sui fiori (vedi la rugiada sulle margherite nel Suonatore di liuto), l’incidenza della luce e delle ombre, queste sono caratteristiche che solo il Merisi fu in grado di rappresentare. Egli vide quello che gli altri non avevano ben vistoperché non gli interessava illustrare una narrazione ma raggiungere la somiglianza [in italiano nel testo, ndt] che Castelvetro aveva proposto in maniera così appassionata. Che Caravaggio fosse in grado di fare questo tipo di osservazione dal momento del suo arrivo a Roma, è chiaro dal Ragazzo morso da un ramarro, un lavoro fatto per vendere [in italiano nel testo, ndt] quando ancora abitava dal cardinal Pucci, uno dei primi che lo accolse in città.
Caravaggio era già padrone della sua rivoluzionaria tecnica che fu una sua vera invenzione.
Un filosofo dell’arte
Cosa possiamo apprendere dal gusto estetico di Del Monte, e perché era così chiaramente orgoglioso dei raggiungimenti del suo famoso allievo [in italiano nel testo, ndt] ? Egli era un filosofo naturale [in italiano nel testo, ndt], che significa qualcuno che ha a che fare sia con la magia che con la fisica. Non solo sapeva fare bene, con grande pratica, esperimenti alchemici con le sue mani, distillando erbe, scoprendo nuove medicine, ma era anche l’uomo di fiducia di Ferdinando de’ Medici, sia per le novità artistiche, sia per tutto quello che riguardava il restauro e la ricostruzione delle antichità che poteva studiare nella collezione dei Medici.
Era anche l’erede del patrimonio alchemico che Francesco de’ Medici aveva lasciato nel Casino di San Marco. E’ ovvio che le preferenze estetiche del Cardinal del Monte avrebbero avuto un impatto sugli artisti che promuoveva, benché non esistano delle fonti che mettano in luce le trasformazioni avvenute, così come non lasciò indicazioni scritte su cosa volesse dai suoi pittori, a differenza di Agucchi che scrisse programmi per i dipinti che commissionava. Quando giunse a Roma non abbandonò la sua passione per le arti e mestieri [in italiano nel testo, ndt], che aveva esercitato a Firenze, continuandola attraverso una scuola virtuale che aveva a Palazzo Madama, frequentata da ben 40 giovani allievi [in italiano nel testo, ndt].
La nuova generazione di committenti prendeva spunti da Giovanni Paolo Lomazzo fino a Giovanni Battista Agucchi e Pietro Bellori, sviluppando una teoria dell’arte che continuava senza soluzione di continuità la critica nei confronti di Caravaggio, e che avrebbe permesso lo sviluppo di nuovi soggetti tali da evidenzare le doti che un artista aveva assorbito, a tal punto che un paesaggista come Grimaldi avrebbe reclamato che era stato preparato ad illustrare qualsiasi soggetto storico. Ma la passione per lo studio della natura era stata la spina dorsale della ‘filosofia naturale’ di Del Monte, che era anche il pensiero empirico e innovativo che stava dietro ai suoi colleghi, come Giovanni Battista della Porta, Fabio Colonna, Federico Cesi, Galileo Galilei. Egli non solo maneggiava nuovi materiali da alchimista, s’interessava della geologia, esplorava le medicine, ma osservava anche la realtà e cercava di ottenere una perfetta somiglianza al vero. Per molti versi la sua filosofia in relazione all’arte era vicina, come abbiamo visto, alle prime interpretazioni degli scritti di Aristotele conosciute nelle prime edizioni dell’Ars Poetica.
I commentari di Lodovico Castelvetro alla sua traduzione dell’originale greco rappresentano un punto di svolta nella storia del pensiero estetico, ed era ancora preoccupato per le difficoltà di creare un’immagine che fosse verisimile, partendo dal concetto di μιμησις (imitazione) perché l’obiettivo della maggior parte dei pittori era la rassomiglianza o la possibile tale; alcuni di loro compresero i principi della prospettiva come l’unico approccio possibile a rappresentare perfettamente il mondo reale. I miglioramenti fatti sull’introduzione della lente da parte di Gerolamo Cardano (1501 – 1576) fino all’utilizzo della camera obscura alla metà del secolo, dimostravano che il mondo all’esterno pareva fatto di due dimensioni, e che c’era più la percezione di esso che la sua costruzione reale quando si utilizzava la prospettiva, e di questo il Della Porta fece delle dimostrazioni pubbliche. Era uno strumento che permetteva all’uomo di vedere le cose come lui non pensava di poter vedere. Bellori, in maniera significava, tolse via le interpretazioni di Aristotele fatte da Castelvetro, affermando nella sua Idea della Pittura che ‘volendo questi che la virtù della pittura non consista altrimenti in far l’immagine bella e perfetta, ma simile al naturale, o bello, o deforme. La quale ragione del Castelvetro si restringe ali pittore icastici e facitori di ritratti, li quali non serbano idea alcuna e sono soggetti alla bruttezza del volto e del corpo, non potendo essi aggiungere bellezza, né correggere le deformità naturali, senza torre la similitudine , altrimenti il ritratto sarebbe più bello e meno simile’ [19].
Lo shock della novità
L’entusiasmo di riconoscere le immagini così come erano nella realtà era sempre avvincente perché non si può riconoscere alcuna rassomiglianza, che non s’impari, seguita che ogni rassomiglianza , in quanto è rassomiglianza, & è riconosciuta per tale, diletti tutti i riconoscitori, volendo secondo me Aristotele, che il comporre con lo ‘intelletto insieme le similitudini, & le dissimilitudini, che sono in diverse cose, è il mezzo da imparare che sia ciascuna cosa’. Questa frase non è una reazione (come poteva essere) ai dipinti della Cappella Contarelli, ma è ripresa dai commentari di Castelvetro alla sua edizione della Poetica di Aristotele[20]’. Questa rassomiglianza e il vero, che era ancor l’obiettivo della maggior parte dei pittori, nacque dall’interpretazione della filosofia di Aristotele dove εικóζ fu inizialmente tradotto con simile alla realtà.[21].
A Firenze Del Monte era stato a capo della fabbrica che portò alla Galleria dei Lavori messa su da Ferdinando de’ Medici, come uno dei primi atti, subito dopo essere succeduto a suo fratello il Granduca Francesco nel 1588, ingaggiando tutti gli artigiani e i professionisti che gravitavano intorno alle arti a ai mestieri. Probabilmente Del Monte era anche coinvolto nel progetto della villa Medici al Pincio, situata vicino alla sua, dove aveva il suo camerino alchemico e uno studiolo[22] che era il suo luogo sanctum, accessibile a pochissimi (come lo è ancora oggi). Abbiamo poche indicazioni su chi fossero i giovani allievi, forse una quarantina, e dei quali lui riportava i progressi al suo committente. Scrisse dei progressi di un altro allievo, molto probabilmente Ottavio Leoni. Evidentemente c’era molto più percezione del reale di quanto si potesse raggiungere attraverso l’uso della prospettiva. Del Monte ne era consapevole, non solo attraverso le presentazioni che Della Porta faceva di storie animate fuori da una camera oscurata, ma anche attraverso il possesso di specchi convessi e i risultati raggiunti dai dipinti di Caravaggio.
La ricerca de il vero
E’ paradossale che la campagna per un maggior raggiungimento de il vero fosse attiva prima del naturalismo di Caravaggio, e che subito dopo fu capovolta, principalmente fu raggiunta attraverso i suoi metodi non convenzionali che nessuno capiva, ma che sfidava tutte le possibili congetture delle pratiche professionali del lavoro, dalla prospettiva, largamente intesa come la tecnica finale per creare l’illusione della realtà, all’utilizzo del disegno e delle pratiche tradizionali.
Fino alla fine del Cinquecento, molti artisti studiavano in maniera ossessiva ogni dettaglio del costume, dei gioielli e delle caratteristiche dei ritratti, molto spesso per soddisfare le richieste dei personaggi ritratti e il loro bisogno di annotare il loro stato sociale. Si concentrava il pensiero di quei filosofi naturali sul bello di natura, le realtà immobili, e si incoraggiava l’imitazione attraverso l’abilità con la quale gli artisti potevano riprodurre gli oggetti, anche quelli brutti, e ‘quelli che non ci piacciono’, perché più si avvicinavano alla realtà, adunque la rassomiglianza è d’allegrezza a tutti. (Castelvetro, op. cit., 1576, p. 70). Le persone erano ovviamente attratte dalla verosimiglianza dei ritratti di Frans Pourbus, e Scipione Pulzone, i cui dipinti spesso mostrano dei meravigliosi dettagli della moda del tempo, e questo ne fece evidentemente uno dei motivi del loro successo, così come anche la verosimiglianza fisiognomica con i personaggi ritratti.
I Dipinti privati.
La concentrazione sulla somiglianza si palesa per essere il motivo dei dipinti privati che Caravaggio realizza incoraggiato dai filosofi naturali a Palazzo Madama, con un verismo che toglieva il fiato. Questi dipinti privati, tra cui il Pastore Coridone, i Musici, il Suonatore di liuto, l’Amore vincitore ora a Berlino (e forse il Marte che castiga Cupido, disperso) erano infatti il prodotto di una collaborazione tra mecenate e pittore mirando a effettuare la massima fedeltà al naturale, ritratti dal naturale come li descrive Baglione ed erano un privilegio di cui il Cardinale godeva, così come gli era permesso avere libri che erano iscritti all’ Indice.
Bellori inizia la sua Vita di Caravaggio coll’ analogia dell’ esempio di Demetrio ‘che dilettossi più dell’ imitazione che della bellezza delle cose’ e questo era il giudizio che avrebbe portato all’ eclisse della fama del pittore. Ma era effettivamente l’osservazione dei più piccoli dettagli che portò invece a una rivoluzione dirompente dei modi di lavorare, ove la superficie visiva diventava il punto di partenza per l’imitazione, invece del disegno grafico e la prospettiva, e una narrativa storica che imprigionava l’artista che doveva sempre fare dei salti per realizzare delle immagini che aveva nella sua fantasia, e quindi di seguire meglio le indicazioni del committente. Altri pittori reclamavano di essere in grado di fare pitture strapazzate e alla macchia, proprio come Tommaso Salini competeva con le sue nature morte, ma nessuno di loro aveva capito il segreto della sua straordinaria tecnica, perché c’era qualcosa di magico che non diede mai via.
Il legame con i suoi allievi
Quando Del Monte arrivò a Roma, continuò a coltivare la stessa passione per le arti e mestieri che aveva esercitato a Firenze, creando una scuola virtuale. Nello stesso tempo la nuova generazione di committenti, vicini a quelli più importanti, sviluppò una teoria delle arti che fu continua nella sua critica contro Caravaggio, e disapprovava la sua scelta dei soggetti così come il suo metodo di lavoro, liquidandola come mero seguace della natura. Gli stessi artisti erano più impressionati dalla sua rapidità di esecuzione, dalla possibilità di produrre dipinti dalla diretta osservazione senza un lungo apprendistato, e il pubblico divenne pazzo per questo nuovo modo di vedere le cose più familiari. Mentre questo fu spesso ridicolizzato con argomenti fittizi, da committenti e pittori che volevano proseguire i metodi tradizionali, alleati di vecchie pratiche di lavoro, in realtà questo approccio aveva scosso una professione che avrebbe abbracciato molto della nuova percezione.
L’intenzione del Cardinal del Monte era educativa e seguiva di fatto quella di Castelvetro, che dichiarava che ‘non si può riconoscere alcuna rassomiglianza che non s’impari’ [24] e voleva lasciare la collezione che aveva messo su per scopi educativi, come quella del suo collega a Milano, Federico Borromeo, che avrebbe fondato la Biblioteca Ambrosiana. Ma quest’ambizione fu interrotta dalla successione dei suoi beni, e dall’avidità della nuova generazione che ci avrebbe messo le mani sopra.
La comprensione di Del Monte per la pratica artistica
Il commentario di Castelvetro alla sua traduzione della Poetica di Aristotele fu un’importante pietra miliare nel pensiero estetico, che già riconosceva le difficoltà di creare un’immagine che fosse verisimile. L’idea di catturare la reale apparenza delle cose fu una sfida dal primo Rinascimento in avanti, e in tal senso la prospettiva costituiva uno degli strumenti più adatti al raggiungimento di questo scopo. Il Cinquecento è pieno di tentativi per provare a raggiungerlo, a volte con grandissima pazienza e preparazione, ma tutto questo impallidisce di fronte all’immaginario verisimile delle opere di Caravaggio.
Ci fu quasi subito una reazione alle sue opere (dagli artisti ai committenti) e Celio nel 1614[25] riferisce che la generazione più giovane che si scapicollava per vedere le opere di Caravaggio non era semplicemente pronta al vero dell’arte e l’idea che Caravaggio stava semplicemente copiando fu la critica più costruttiva alla sua straordinaria abilità di fare il ‘il vero’, piuttosto che il verisimile. Io penso che sia chiaro che Del Monte e I suoi filosofi naturali’ erano già coinvolti in quella ricercar, tanto quanto stava cercando un orologio che battesse il tempo o un bicchiere di cristallo chiaro. C’era una ragione filosofica qui; non era solo l’idea platonica che pulchritudo splendor veritatis, ‘la bellezza risiede nella verità’, ma anche un’interpretazione della Poetica di Aristotele che abiurava l’idea del rinascimentale ut pictura poesis che teneva quelle regole che applicate alla poesia potevano essere lette anche per la pittura. La visione del pensiero di Aristotele che aveva Castelvetro, combattendo il parallelo con la poesia, può essere visto invece come il fondamento dell’esplorazione del mondo reale di Del Monte, che chiaramente incoraggiava la perfetta rappresentazione di ogni cosa.
Questa interpretazione non era condivisa da tutti i pensatori del tempo, come abbiamo visto dalla censura di Agucchi: ‘certi hanno posto il fine loro nell’imitare il naturale perfettamente, come all’occhio appare, senza cercar niente di più. Da questo ancora nasce, che le cose dipinte & imitate dal naturale piacciono al popolo’ [26] . E il pregiudizio contro il suo populismo divenne ancora più veemente, quando nell’edizione del 1831 delle opere del Castelvetro, l’editore, Pietro Metastasio, dichiarava che ‘nessuno è mai caduto nel mostruoso paradosso, di credere obbligata l’imitazione ad illustrare tutte le circostanze del vero’ (p. 109), in altre parole celebrava la scelta delle migliori parti del corpo e delle ambientazioni.
L’approccio di Caravaggio
Nessuno può pensare che Caravaggio avesse letto le teorie artistiche che erano sorte intorno alla Poetica di Aristotele, o anche testi più recenti come quello di Lomazzo, ma è molto probabile che il suo committente e i filosofi naturali che erano intorno a lui, erano ben consapevoli della discussione intorno al verisimile che aveva circolato abbondantemente a Firenze e a Roma, e sapeva che questa visione del mondo era sorprendentemente nuova e non relata all’imitazione convenzionale della realtà. Il realismo di Scipione Pulzone, il pittore favorito da Del Monte prima di Caravaggio, era del tipo che si poteva contare ogni singolo capello, riconoscere il valore di perle e gemme, capire l’artigianalità di ogni pezzo ricamato. Questa era la vera raison d’être dei dipinti privati che l’artista faceva quando assecondava i filosofi naturali.
I dipinti privati sono il risultato della collaborazione tra artista e committente per raggiungere il più alto grado di aderenza alla vita, ritratti dal naturale (come li chiama Baglione) erano parte del privilegio del Cardinale. Rimane da esaminare più da vicino la sua tecnica alla luce della pressione che aveva di doveva raggiungere una rappresentazione realistica e un’apparenza accurate che era sta impossibile da contemplare visti i pregiudizi contro cosa poteva corrispondere con la copia. La sua illustrazione de ‘il naturale’ era parte naturale di quello che offriva e di quello che i suoi clienti richiedevano, perché avevano visto o sentito della sua tecnica miracolosa.
Copiare dipingendo
Quando Celio parla di (1614) Del Monte che voleva un giovane uomo ‘che gli andasse copiando alcuna cosa’ [27], conosceva già il ritratto che Caravaggio aveva fatto della caraffa di fiori, che aveva acquistato senza sapere chi l’avesse dipinto. L’artista, dopo averlo conosciuto, aveva promesso che ne avrebbe fatti ancora altri dello stesso tipo (secondo il racconto che Guercino diede a Malvasia[28]). Questa fu la natura del contratto che aveva firmato con il cardinale, per il quale in realtà le opera che dipinse mentre era a Palazzo Madama illustrano la cura ossessiva che aveva nel riprodurre esattamente quello che vedeva, fossero strumenti musicali che lui aveva in prestito come accessori, fossero fiori e frutta per le nature morte, o anche delle figure umane dei modelli che erano disponibili a lavorare per lui.
Questo coincide con ciò che van Mander riferisce del giovane artista che aveva incontrato a Roma: Egli dice infatti che tutte le cose non sono altro che bagatelle, fanciullaggini o baggionate – chiunque le abbia dipinte – se esse non sono fatte dal vero, e che nulla vi può essere di buono o di meglio che seguire la natura. Perciò egli non traccia un solo tratto senza star dietro alla natura, e questa copia dipingendo[29]. Questa idea fu anche chiara agli influenzatori che lo scorso secolo hanno cercato di riabilitare la reputazione dell’artista. Uno sforzo così importante da suggerire che il nuovo realismo non fu il risultato di una incredibile percezione, ma era il risultato di un’attenzione unica di una creazione artistica che poteva fare una sola volta, un’invenzione presa in prestito che non sarebbe mai stata ripetuta. Questo è un romanzo. Caravaggio era tanto attaccato alla ripetizione delle sue invenzioni quanto alla riproduzione delle caratteristiche dal vero, dal naturale, perché lo credeva anche il Castelvetro quando affermava che la rassomiglianza di fuori richiedeva molta più industria dell’invenzione. Per Caravaggio l’impegno nel fare fiori era lo stesso di quello per fare figure, a causa della sua abilità di riprodurre esattamente cosa aveva davanti a se, e in questo c’è la volontà di seguire il pensiero filosofico di Del Monte.
L’idea che la sua percezione fosse senza precedenti, o che lui possedesse una facoltà simile a quella del musicista che possiede l’intonazione perfetta, non è stata neanche presa in considerazione, perché potrebbe permettere ad alcune delle dannate evidenze prodotte proprio nel suo tempo di ridurre l’effetto della sua rivoluzionaria osservazione diretta, suggerendo che ci poteva essere una riproduzione meccanica invece che raggiunta ad arte.
Non lontano dalle contaminazioni nelle lenti usate da Galileo per vedere le lune di Giove, secondo i suoi spietati critici che ugualmente non potevano riconoscere il merito di capire come apparivano in realtà le cose circostanti. La scusa era che nessuno poteva fare questo tipo di copie, benché nessuno fosse stato in grado di raggiungere tale verosimiglianza prima di lui. Ma sembra sempre impossibile finché non si è fatto, come ha dichiarato Nelson Mandela.
Per questo è importante conoscere di più della tecnica reale di Caravaggio, e come questa abbia cambiato la percezione di tutto.
Clovis WHITFIELD Umbria 23 dicembre 2021
ORIGINAL ENGLISH TEXT
From il verisimile to il vero
Cardinal Francesco Maria del Monte was a philosophante, as we gather from his numerous paintings of St Catherine, (by Garofalo, Santi di Tito, Caravaggio, Guido Reni, and Annibale Carracci) far she is the patron saint of philosophers . But his philosophical ideas have not come down to us in written form, no-one graced them with a description. By contrast the concept of the humanistic theory of painting, born in the sixteenth century when the classical texts of Horace and Aristotle had been discovered and translated, was one that flourished especially in the seventeenth century, and it turned out that it would take a quite different interpretation, generating the pseudo Aristotelian doctrine of the ‘imitation of perfect models’ [1] . The need to achieve realistic representation had been the main objective of most Cinquecento painters and patrons, and while the invention of perspective had fulfilled one of the main aims of the followers of Leon Battista Alberti, there was evidently more to be done. The sixteenth century saw a great deal of sophisticated methods of painting, independent of classical comparison. Some artists tried to achieve a wholly accurate picture of what they saw, and this was no-where more apparent than in portraiture. The verb Ritrarre underlies the noun ritratto, but originally this word described the artist copying from life [2] – as obviously portraits were, but it could be applied as well to flowers, buildings, birds, other animals or whatever the artist chose, as would become the norm in Accademia dei Crescenzi in Rome in the early Seicento [3]. Giulio Mancini, in his Considerazioni (1956 ed, I, p. 115), gives the description of the ‘ritratto semplice, senza attione et espressione d’affetto’, which only shows ‘la grandezza, proporzione e similitudine della cosa che imita, con colore et altro che costituisce quel tale essere individuo et d’esser individuato, quale, per essere perfetto, non ricerca altro che la similitudine’. There were also experiments with polished glass, that after mid-century led to a radically improved projected image in a camera obscura, along with images projected by concave mirrors (usually of metal). These new procedures were capable of showing the privileged few the ‘real’ appearance of things, and increased the pressure on painters to imitate what they saw. Artists like Frans Pourbus and Scipione Pulzone Detail of Pulzone’s Cardinal Ricci, Galleria Nazionale, Palazzo Barberini. were determined to record every hair and all the detail of precious stones, embroidery and jewellery, but never achieved a convincing depiction of reality. Cinquecento literary scholars, including those who belonged to the court of Cardinal Del Monte, also looked to Aristotle’s Poetics. From that source members of a generation still involved in practical solutions to representation acquired the idea that painting should not follow the same rules as poetry . As a result a distinction was made between the verisimile (the realistic) and il vero. (the real). This was the key idea that Lodovico Castelvetro referred to in the commentary to his translation of Aristotle’s Poetica [4], where he argued for this distinction (as Rudolf Preimesberger has suggested) that ‘mostrare il vero non è il verisimile, è il compito della pittura, il vero è l’autentica base del diletto estetico mentre il verisimile lo è in modo molto più debole’[5] reaching the conclusion that all [6] of the painting (Caravaggio’s Taking of Christ) was studied from life. And the ‘rassomiglianza di fuori that painters tried to convey was the opposite of the rassomiglianza interna of the poet [7]. His insistence on rassomiglianza for the painter is the key theme of Castelvetro’s artistic endeavour. The idea that il vero was far more moving than what came from invention is clearly what inspired Del Monte to pursue and employ Caravaggio, who had a unique talent for this, and who was the author of one of the ritratti dal naturale that the Cardinal came across (the Caraffa di fiori last documented in the 1628 sale of Del Monte’s pictures) , and bought without even knowing who had painted it. Castelvetro emphasises how much more difficult it was to work ‘dal naturale’ while the invented image required ‘minor industria’ (1576 p. 72).
Lodovico Dolce in his notable Dialogo della Pittura (1557) regarded the central necessity for the painter to imitate Nature, as modified by the way of what nature provokes in his heart, citing Horace’s parallel. concept of the relation of painting to poetry u t pictura poesis; nonetheless he still affirmed that ‘i dipintori, se bene nel ritrarr dal naturale, debbono imitar la natura ed esprimere il vero,[8] not far from the confirmation that Paolo Pino gave in his Dialogo della pittura, (Venice 1548, ed Pallucchini 1935. . p.70) Castelvetro also asserted that painted images of shocking things like snakes, toads and carrion, were liked if the artist was selective, because they did not convey their poison and stink; the ugly, even violent blows, could be beautiful [9]. Castelvetro’s philosophy was essentially didactic and educational for ‘ non si può riconoscere alcuna rassomiglianza che non s’impari .[10] This ambition is an essential part of Del Monte’s patronage, for he saw the virtue of learning from the real appearance of things. But up to the Contarelli Chapel commission in San Luigi dei Francesi,, for which he promoted Caravaggio, he had kept this discovery in house.
The extent to which Caravaggio attempted to fulfil his patron’s enthusiasm for ‘il vero’ is actually clear from his technique, detail of lips of St Catherine, Madrid for following likeness è così dilettevolissima a tutti, conciosia cosa propria dell’ huomo, & non comune con altro animale, la quale sempre cade nel riconoscere la rassomiglianza, (as Castelvetro had written). Caravaggio had already achieved imagery that was strikingly real, as the Boy bitten by a Lizard that was was done, according to Mancini, when he was staying at one of his first lodgings in Rome, with Cardinal Pucci. Bellori notes [11] that he had learnt how to grind and use colours in Milan, but there is nothing to indicate how he achieved the striking realism of the early Roman works, and there is nothing in contemporary painting that prepares for his revolutionary method.
Consistency in thinkin.
The enthusiasm for realism was also what had governed Scipione Pulzone’s ethos, so much so that some of his pictures like the lost Archangels painted for the Cappella degli Angeli at the Gesù in Rome, were considered shocking because the people he had used he had used as models were easily recognised . The artist was also famous for the accuracy of his portrait likenesses, and this was evidently one of the principal reasons why Del Monte favoured him so much [12]. But Pukzone died in February 1598, so he and Caravaggio had little opportunity to compare their techniques. Pulzone was also celebrated for his representation of costume and jewellery, so that Cristina di Lorena’s crown is only known from its picture on the table beside her in in the portrait Scipione did (Uffizi, Florence) , because like so many props, it no longer exists. But this imitation of il vero was surpassed by Caravaggio, who had a quite unequalled grasp of appearance done with a different approach . There was implicit recognition of this extraordinary ability, described vividly by Francesco Scannelli (Microcosmo della pittura, 1657, p. 199) when describing the Shepherd Corydan now in the Capitoline Museums, among the artist’s dipinti privati, as so lifelike ‘non potria dimostrare più vera carne, quando fosse vivo’. (Detail of Shepherd Corydon, Capitoline Museums))[13] . Another of Del Monte’s allievi at Palazzo Madama, Ottavio Leoni, also developed a technique using a camera obscura to capture the likenesses of his sitters[14], and Del Monte sang the praise of what seems to be him when he wrote 10 December 1599 to Grandduke Ferdinando about ‘un giovane mio allievo quale lavora meglio, più diligente e più somigliante senza comparatione di quel poveretto di Scipione Gaetano…’ ([15]) . His protection of Cesare Ripa, the author of the Iconologia, the anthology of pictorial themes and images (1593, first illustrated edition, 1603) was also characteristic of Del Monte’s interest in assembling knowledge.
Jesuits and il vero.
Even though Jesuit thinking did not ever support the novità dirompemte of Caravaggio, the thinking behind it, and the modernising of the Council of Trent, did voice support for the pursuit of il vero as in Antonio Possevino’s statement in the Tractato de poesi et picturae (1595). ‘il compito del pittore fosse di raffigurare le emozioni e i sentimenti umani il più accuratamente possibile’ [16] For a Jesuit like Roberto Bellarmino (Del Monte’s colleague on the Congregazione dei Riti) it could be seen as a realisation of the saying attributed to Plato, and extended also to St Thomas Aquinas. la bellezza è lo splendore della verità. In Del Monte’s time Bellarmino, saw the ‘necessità che l’immagine dipinta sembrasi la cosa vera’. Del Monte was close to Bellarmino, and aspired to burial in the Gesù, although he would actually be interred n the church of S. Urbano.
The extent to which Caravaggio attempted to fulfil his patron’s enthusiasm for ‘il vero’ is actually clear from his technique, and following likeness è così dilettevolissima a tutti, conciosia cosa propria dell’ huomo, & non comune con altro animale, la quale sempre cade nel riconoscere la rassomiglianza, as Castelvetro had written [17]. These ‘private’ pictures are the results of a collaboration between patron and artist to achieve the greatest possible fidelity to life, ritratti dal naturale (as Baglione called them) that were part of the privilege the Cardinal enjoyed even as he was also allowed the have books that were on the Index, neither intended nor available for public viewing As for Bellori, he starts out his Life of the painter with an analogy of the example of the classical artist Demetrios ‘che dilettosssi più dell’ imitazione che della bellezza delle cose’, and this was the judgement that led to the eclipse of Caravaggio’s achievements. But his observation of the smallest detail from subjects that did not feature in the usual repertory, was what made for a disruption of working methods, with surface appearance becoming the starting point of imitation, rather than graphic design, perspective and a narrative, that represented the great challenges for the contemporary artist to imagine and recreate from his own fantasia. The direct recording of transitory effects like the light passing through glass, or the dewdrops on flowers, (Dewdrops on daisy, Lute Player) the incidence of light and shade, these are features that Caravaggio alone noticed. He saw what other people had not seen precisely because he was not attempting to illustrate a narrative, but achieve the somiglianza that Castelvetro had proposed so passionately. That he was able to do this kind of observation from the start of his Roman stay is clear from the Boy bitten by a Lizard, a work done per vendere when he was still staying with one of his very first hosts. He already was in command of his revolutionary technique, which was his own invention.
A philosophy of arT
What can we assume about Del Monte’s aesthetic taste, and why was he so evidently proud of the achievement of his most famous allievo ? His was a filosofia naturale, which has as much to to with natural magic as with physics. He was very practical, not only doing alchemical experiments with his own hands and distilling himself, finding new medicines, but he was the go-to man for Ferdinando .de Medici, for artistic innovation as well as the the restoration and reconstruction of the antiquities he came across for the Medici collections, and the continuation of Francesco de’ Medici’s alchemical legacy in the Casino di San Marco. It is obvious that the aesthetic preferences of Cardinal del Monte would have an impact on the artists he promoted, even though the usual sources do not refer to the transformation that occurred, and there is no suggestion that he gave a written description of what he wanted from his painters, unlike Agucchi who wrote programmes for pictures he commissioned. When he came to Rome he continued the same passion for the arti e mestieri that he had exercised in Florence, counting as many as 40 young allievi in the virtual school he ran at Palazzo Madama. The new generation of patrons who took their cue from Giovanni P.aolo Lomazzo to Giovanni Battista Agucchi, to Pietro Bellori, would develop a theory of art that was unremitting in its criticism of Caravaggio, and developing new subject-matter that would exploit the ‘skill’ that the artist had absorbed, so much that a landscapist like Grimaldi would claim to be prepared and able to illustrate any history subject. . But the passion for studying nature had been the backbone of Del Monte’s ‘filosofia naturale’, that was also the explorative and innovative mentality behind his colleagues, such as Giovanni Battista della Porta, Fabio Colonna, Federico Cesi, Galileo Galilei. He was not only handling new materials, as an alchemist, looking at geology, exploring medicines, but also observing reality and trying to achieve perfect somiglianza al vero In many ways his philosophy as it related to art was close as we have seen, to the early interpretations of Aristotle’s writings as they became known in the first editions of the Ars Poetica. Lodovico Castelvetro’s commentary to his translation of the original Greek, represents an important milestone in aesthetic thinking, and was still concerned with the difficulties of creating an image that was verisimile or lifelike, and started from the concept of μιμησις, for the goal of most painters was indeed likeness or probability; some of them understood the principles of perspective that was at first thought of as being the perfect recreation of the real world. The advances made by the introduction of a lens by Gerolamo Cardano (1501 – 1576) into the aperture of the camera obscura in mid-century, showing generously what the outside world actually looked like in two dimensions, demonstrated that there was more to this perception than the stage setting of a perspective invention, and Della Porta staged demonstrations of its magic. It was a device that was to enable a man to see things that he was not supposed to see. Bellori, significantly, dismissed Castelvetro’s interpretation of Aristotle, affirming in his Idea del Pittore that the commentator ‘volendo questi che la virtù della. pittura non consista altrimenti in far l’immagine bella e perfetta, ma simile al naturale, o bello, o deforme. La quale ragione del Castelvetro si restringe ali pittore icastici e facitori di ritratti, li quali non serbano idea alcuna e sono soggetti alla bruttezza del volto e del corpo, non potendo essi aggiungere bellezza, né correggere le deformità naturali, senza torre la similitudine , altrimenti il ritratto sarebbe più bello e meno simile’ [18]
The shock of the new
The excitement of recognising images that are lifelike was always compelling, ‘perché non si può riconoscere alcuna rassomiglianza, che non s’impari, seguita che ogni rassomiglianza , in quanto è rassomiglianza, & è riconosciuta per tale, diletti tutti i riconoscitori, volendo secondo me Aristotele, che il comporre con lo ‘intelletto insieme le similitudini, & le dissimilitudini, che sono in diverse cose, è il mezzo da imparare che sia ciascuna cosa’ . Detail from Calling of St Matthew. This is not a reaction (as it might have been) to the paintings in the Contarelli Chapel, but from the commentary by Castelvetro to his edition of. Aristotle”s ^Poetica [19]’. This rassomiglianza and il vero, still the goal of most painters, was born from an interpretation of Aristotle’s philosophy where εικóζ was originally translated as likeness., simile alla realtà.[20]. In Florence Del Monte had been the guiding force behind the establishment of the Galleria dei Lavori set up by Ferdinando de’ Medici as one of his first acts on succeeding his brother Francesco as Grandduke in 1588, to bring together all the artisans and professions involved in the arts and sciences, He was probably also involved with Ferdinando’s massive project of the Villa Medici on the Pincio, next to his own Villa. where he had his alchemical workshop and a studiolo[21] that was his inner sanctum, inaccessible to all but a very few. (as it still is). We get occasional references to his giovani allievi, of whom there were as many as forty, and he reported back to his patron on their progress. He wrote of the skills of another allievo, most likely Ottavio Leoni, who developed a technique of using a camera obscura to capture the likenesses of his sitters. Del Monte sang the praise of what seems to be Leoni when he wrote 10 December 1599 about ‘un giovane mio allievo quale lavora meglio, più diligente e più somigliante senza comparatione di quel poveretto di Scipione Gaetano…’ and this again testifies to his passion for somiglianza in art. There was evidently much more to perception than could be achieved by the stage setting of a perspective invention. Del Monte was aware of this, not only through the staged performances that Della Porta showed of events outside a darkened room, but also through his possession of convex mirrors and the resulting images in Caravaggio’s paintings.
The pursuit of il vero
It is paradoxical that the campaign for a close version of il vero was principally active before Caravaggio’s naturalism, that almost immediately went into reverse afterwards, mainly because it was achieved by his unconventional methods that no-one understood, but challenged all sorts of assumptions about the working practices of the profession, from perspective, widely regarded as the technique that finally made the illusion of imagery lifelike, to the assumptions of traditional design and practice . Up to the end of the Cinquecento, many artists obsessively studied every detail of costume, jewellery and portrait features, often seemingly to satisfy their sitters’ need to record their social status. It concentrated the thinking of those filosofi naturali on the bello di natura, le realtà immobili, and encouraged imitation, for the skill with which artists could reproduce things, even ugly ones and ‘those we dislike’, for the closer they are to reality, the more we like them adunque la rassomiglianza è d’allegrezza a tutti. (Castelvetro, op. cit., 1576, p. 70). People were obviously struck by the portrait likenesses of Frans Pourbus, and Scipione Pulzone, whose pictures often show their magnificent apparel, evidently a great part of their success, and even the his subject pictures also incorporated recognisable likenesses.
The Dipinti privati.
This concern with somiglianza is really the raison d’être of the dipinti privati that Caravaggio did when seconded by the filosofi naturali at Palazzo Madama, with a naturalism so vivid that it took one’s breath away. These ‘private’ pictures, including the Musica di alcuni giovani, the Suonatore di liuto and the Amore vincitore now in Berlin, (and perhaps the lost Mars chastising Cupid), are the results of a collaboration between patron and artist to achieve the greatest possible fidelity to life, ritratti dal naturale (as Baglione calls them) that were part of the privilege the Cardinal enjoyed even as he was also allowed the have books that were on the Index. Bellori, he starts out his Life of Caravaggio with an analogy with the example of the classical sculptor Demetrios ‘che dilettosssi più dell’ imitazione che della bellezza delle cose’[22], and this was the judgement that led to the eclipse of Caravaggio’s achievements. But his painter’s observation of the smallest detail was what made also for a disruption of working methods, with surface appearance becoming the starting point of imitation, rather than graphic design and perspective, in a narrative that was a challenge for the artist to imagine and recreate from his own fantasia., and gave the patron more control. Other painters claimed to be able to do pitture strapazzate and alla macchia, just as Tommaso Salini competed with his still lifes, but none of them understood the secret to his extraordinary technique, because there was an element of magic that he never gave away.
A dedication to his allievi
When Del Monte came to Rome he continued the same passion for the arti e mestieri that he had exercised in Florence, creating a virtual school. In the meantime the new generation of patrons who were close to important patrons, developed a theory of art that was unremitting in its criticism of Caravaggio, and disapproved of his choice of subject as well as his working method, dismissing him for ‘merely’ following nature. The artists themselves were more impressed with the speed of execution, the possibility of producing paintings from direct observation without lengthy apprenticeships, and the public went wild with this new way of seeing the familiar. While this was ridiculed often with specious arguments, by patrons and painters who held on to established methods, allied to ancient working practices, it shook a profession that would in fact embrace much of the new perception. Cardinal del Monte’s intention was an educational one, following Castelvetro, who declared ‘non si può riconoscere alcuna rassomiglianza che non s’impari’ [23] ‘and to leave the collection he had assembled as an education facility, much like what his colleague in Milan, Federico Borromeo, would do with the Biblioteca Ambrosiana. But this aim was frustrated by the succession to his estate, and the greed of the new generation to lay their hands on it.
Del Monte’s understanding of artistic practice
Castelvetro’s commentary to his translation of Aristotle’s Poetics was an important milestone in aesthetic thinking, which was still concerned with the difficulties of creating an image that was verisimile or lifelike. The idea of capturing the real appearance of things was a challenge from the early Renaissance onwards, and perspective was widely regarded as achieving this goal. The Cinquecento was full of attempts to match it, often with immense preparation and patience, but this all paled beside Caravaggio’s lifelike imagery. There was almost immediately a backlash to his work, (from artists as well as patrons) and Gaspare Celio in 1614[24] reports that the younger generation who rushed to admire it were simply not initiated in the true skills of art, and the idea that Caravaggio was simply copying, was the most constructive criticism of his astonishing ability to do ‘il vero’, rather than the verisimile. I think that it is clear that Del Monte and his filosofi naturali’ were already engaged in this pursuit, just as he was of finding a clock that kept time, or glass that was crystal clear. There was a philosophical rationale here, this was not only the Platonic idea that pulchritudo splendor veritatis, ‘beauty resides in the truth’, but also in an interpretation of Aristotle’ Poetics that eschewed the Renaissance idea of ut pictura poesis that held that the rules that applied to poetry were also to be read into painting. Castelvetro’s view of Aristotelian thought, resisting the parallels with poetry, can be seen instead to be the foundation of Del Monte’s exploration of the real world, which clearly encouraged a perfect representation of everything. This was not shared by all thinkers at the time, as we see from Agucchi’s censure ‘certi hanno posto il fine loro nell’imitare il naturale perfettamente, come all’occhio appare, senza per car niente di più. Da questo ancora nasce, che le cose dipinte & imitate dal naturale piacciono al popolo’ [25] And the prejudice against this populism became ever stronger, so that it the 1831 edition of Castelvetro’s work the editor, Pietro Metastasio, declared ‘nessuno è mai caduto nel mostruoso paradosso, di credere obbligata l’imitazione ad illustrare tutte le circostanze del vero’ (p. 109), in other words celebrating the choosing of the better parts of bodies and settings. To discourage the effect of Caravaggio’s disruptive innovation, that appealed especially to the younger generation, Baglione, even though he had initially been drawn to Caravaggesque chiaroscuro. had made it harder for them to belong to the Academy, raising the entry age progressively to 30.
Caravaggio’s own approach
No-one would think that Caravaggio himself had read the art theories around Aristotle’s Poetics, or even more recent texts like Lomazzo’s, but it is more than likely that his patron and the filosofi naturali around him were well aware of the discussion about the verisimile that abounded in Florence and in Rome, and knew that his view of the world was surprisingly different, and not related to the conventional imitation of reality. The realism of Scipione Pulzone, Caravaggio’s predecessor as the favourite painter of Del Monte, was of the kind where one can count every hair, value every pearl and gem, see the workmanship of every embroidery. The extent to which Caravaggio attempted to fulfil his patron’s enthusiasm for ‘il vero’ is actually clear from his technique, which followed likeness that is così dilettevolissima a tutti, conciosia cosa propria dell’ huomo, & non comune con altro animale, la quale sempre cade nel riconoscere la rassomiglianza, as Castelvetro had written. This is really the raison d’être of the dipinti privati that the artist did when seconded by the filosofi naturali. These ‘private’ pictures, including the Musica di alcuni giovani, the Suonatore di liuto and the Amore vincitore now in Berlin, and perhaps the missing Mars Chastising Cupid,, are the results of a collaboration between patron and artist to achieve the greatest possible fidelity to life, ritratti dal naturale (as Baglione scalls them) that were part of the privilege the Cardinal enjoyed even as he was also allowed the have books that were on the Index. As for Bellori, he starts out his Life of the painter an analogy with the example of the classical sculptor Demetrios ‘che dilettosssi più dell’ imitazione che della bellezza delle cose’, and this was the judgement that led to the eclipse of Caravaggio’s achievements. But his observation of the smallest detail was what made for a disruption of working methods, with surface appearance becoming the starting point of invention, rather than graphic design and perspective, in a narrative that was a challenge for the artist to imagine and recreate from his own fantasia. It remains to examine closely his technique in the light of the pressures upon him to achieve a lifelike and accurate appearance that has been impossible to contemplate given the prejudices against what could could correspond with copying. His illustration of ‘il naturale’ was the commonplace of what he offered, and what his clients wanted, because they had seen of heard of this miraculous technique.
Copiare dipingendo
So when Celio speaks (1614) of Del Monte wanting a young man to copy something ‘che gli andasse copiando alcuna cosa’ [26] he was already familiar with the ritratto Caravaggio had done of a carafe of flowers, which he had bought without knowing who it was by. The artist after meeting him promised he would do more of the same (according to the account Guercino gave to Malvasia[27]). This was the nature of the contract that he had with the Cardinal, for in reality the works he painted while at Palazzo Madama illustrate the obsessive care he took to reproduce what he saw exactly, whether the musical instruments he was lent as props, the flowers and fruit of the still-life, or the human features of the models who were available for hm to work from. It coincides with what Van Mander reported of the young artist his colleague had met in Rome, Egli dice infatti che tutte le cose non sono altro che bagatelle, fanciullaggini o baggionate – chiunque le abbia dipinte – se esse non sono fatte dal vero, e che nulla vi può essere di buono o di meglio che seguire la natura. Perciò egli non traccia un solo tratto senza star dietro alla natura, e questa copia dipingendo[28]. This idea was even apparent to the influencers who sought to rehabilitate the artist’s reputation in the last century, so much so that every effort was made to suggest that the new naturalism was not the result of an incredible perception, but was from a unique attention to an artistic creation that he could only possibly do once at a time, an invention borrowed that would never be repeated. That was a fiction, Caravaggio was as attached to repeating his own inventions as he was to reproducing features from life, dal naturale, because his original patron too believed Castelvetro when he affirmed that the rassomiglianza di fuori involved a lot more industria than that which was invented. It was just as much work for Caravaggio to do a painting of flowers as of figures, for the ability to reproduce what he had in front of him was his professional claim, and it followed Del Monte’s philosophical thought. A good artist was one ‘che sappi dipingere bene et imitar bene le cose naturali’ as the artist himself testified (13 Sept. 1603) in the libel trial Baglione brought against him. [29]
The idea that this perception was unprecedented, or that he possessed a faculty akin to a musician’s perfect pitch, has not even been considered, because it might allow some of the damning evidence produced in his own time to dampen the disruptive effect of his straightforward observations., suggesting that they were a mechanical reproduction, rather than achieved by art. Not far from the impurities in the lens Galileo used to see the moons of Jupiter, according to those implacable critics who equally could not see the merit of finding out what their surroundings actually looked like. The excuse was that anybody could do this kind of copying, despite the fact that no-one had ever been able to achieve it before. But it always seems impossible until it is done, as Nelson Mandela declared. For this it is important to know more about Caravaggio’s actual technique, and how it changed perception for all
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