Dalla “divina proporzione” alla “addizione erculea”; origini della città ideale nella cultura antropocentrica dell’Umanesimo; il ‘caso’ di Pienza

di Sara MAMMANA

Sara Mammana è laureata in Scienze dei Beni Storico Artistici, Musicali, Cinematografici e Teatrali presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Siena ed ha conseguito nell’anno accademico 2010-2011 la laurea magistrale con lode in Storia dell’Arte Moderna dedicandosi in seguito ad attività di studio e di ricerca in ambito storico artistico con svariate pubblicazioni di carattere scientifico su varie riviste di settore. Tra gli scritti più recenti vanno ricordati almeno quelli con Roggero Roggeri nei cataloghi delle mostre The Florence Academy of Art in La Forma della Bellezza, The Shape of Beauty, 2017, e Luciano Regoli e la Scuola dell’Elba in La Forma della Bellezza, The Shape of Beauty,2018; da ultimo ha firmato con Riccardo Cecchini e Gianna Gaudini il volume  Pienza e il Disegno dell’Utopia, Gianni Bussinelli editore, Verona 2020. Con questo saggio inizia la sua collaborazione con About Art.

La ricerca dell’Utopia

Il senso della Bellezza ( 1 )

Sin dalle origini della propria esistenza, l’umanità ha cercato di comprendere i misteri che sono alla base della vita e quindi del mondo. L’osservazione costante del dinamismo e della ripetitività dei cicli stagionali, insieme al movimento degli astri nella volta celeste, l’alternarsi continuo tra morte e rinascita, in stretto rapporto con le varie fasi della vita dell’uomo, hanno portato l’intelligenza umana a intuire la presenza di un ritmo cosmico che permea l’intero universo in tutte le sue componenti, interessando anche l’uomo stesso che diviene quindi testimone e protagonista di un continuum armonico tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, ovvero tra il microcosmo e il macrocosmo.

La volontà, antropologicamente innata, di cercare di svelare le leggi naturali per sfuggire al dramma di una sorte sconosciuta che rende l’uomo vulnerabile e fragile di fronte al destino imprevedibile degli eventi e quindi alla caducità umana, trova la sua rivelazione nella scoperta di un fondamento matematico del mondo, descritto per la prima volta in modo esplicito e sistematico da Pitagora e dalla sua scuola filosofica (VI secolo a.C.) (2). Tuttavia la percezione di un ordine cosmico, di tipo numerico, era già un aspetto ricercato e compreso, più o meno consapevolmente, anche nelle ere precedenti, quando in antiche civiltà, come quella babilonese (3), egiziana (4) o greca, con la scuola filosofica dei Fisiologi (VII sec. a.C.) (5), la ricerca del cosmos, cioè dell’ordine supremo e armonico che regolamenta l’esistenza, in rapporto al caos apparente della natura, costituì il principio base dello sviluppo del pensiero umano, strettamente correlato alle varie forme creative da esso generate.

La musica, la danza, la poesia, la scultura, la pittura e l’architettura sono infatti manifestazioni tangibili dell’esigenza antica di collegare l’esistenza dell’uomo a un tutto armonico, numericamente perfetto, già presente nell’universo, di cui la specie umana è parte integrante ed essenziale. In altre parole: la ricerca dell’armonia assoluta, ovvero della bellezza, applicata alle varie arti umane, è una tendenza istintiva della psiche atta ad incanalare il bisogno antropologico di infinito e di felicità in creazioni che, nella perfezione formale, già presente in parte nella natura, esorcizzino e allontanino il trauma della morte, del dolore e della separazione, rendendo partecipe ogni persona di attimi di eternità.

Viene da chiedersi, allora, in cosa consista il canone della vera bellezza cosmica, oggetto della primordiale ricerca dell’uomo, ovvero, quali siano i caratteri oggettivi e assoluti che definiscono la perfezione estetica.

A questo proposito è necessario fare cenno alla scoperta e alla definizione esplicita da parte dei pitagorici (VI scolo a.C.) della Sezione Aurea (6), le cui proprietà geometriche e matematiche, riscontrate in svariati contesti naturali e culturali apparentemente non collegati tra loro, hanno suscitato per secoli nella mente umana la conferma dell’esistenza di un rapporto tra il tutto e la parte, tra l’universo e la natura, tra Dio e l’Uomo. È inoltre questo rapporto algebrico, riconducibile al numero della perfezione divina: 1,61803…, ad esprimere l’armonia assoluta e quindi la bellezza, riscontrabile nelle arti, dalla musica alla pittura, e visibile nelle stesse caratteristiche del corpo umano (fig.1).

Fig.1– Esempi della presenza della sezione aurea in arte e natura

Quest’ultimo diviene, nella cultura rinascimentale dell’Umanesimo, paradigma di perfezione e misura armonica di tutte le cose (fig. 2).

Fig. 2-  Disegni antichi di studio e applicazione dei canoni di proporzione estetica del corpo umano in architettura

Nel Quattrocento, infatti, una rinnovata cultura politica ed economica, porta a nutrire profonda fiducia nelle possibilità e nell’intelletto dell’uomo, capace, con la propria ragione, di agire liberamente e di essere artefice della sua esistenza, plasmando il proprio destino. Le varie forme d’arte, tra cui l’architettura, divengono quindi manifestazione di una realtà concreta, filtrata da un nuovo pensiero antropocentrico, distante dal teocentrismo della cultura gotico-medievale. L’applicazione di un canone di proporzione matematica già presente in natura e applicabile dall’uomo in ciò che egli è in grado di generare, è il motore dell’arte rinascimentale e, ancora prima, di quella classica del mondo greco-romano.

Da Pitagora, Fidia (7) e Vitruvio (8) fino a Fibonacci (9), Luca Pacioli (10) e Galileo Galilei (11), varie sono le personalità che nel corso della storia, anche nell’era contemporanea, hanno rivolto il proprio studio verso la comprensione e l’applicazione, nelle varie arti, della “divina proporzione”. Tutto questo perché solo la ricerca della perfezione estetica è in grado di generare e trasmettere una forte energia positiva e propositiva, l’unica capace di affrancare l’uomo dalla propria caducità ed imperfezione, elevandolo spiritualmente, perfetto tramite tra la Natura e Dio, verso una dimensione più alta.

La città Ideale: storia di un mito

Tra le varie forme di creatività umana, nate per soddisfare il profondo bisogno di benessere e di armonia, vi è senz’altro l’architettura nella sua più nobile applicazione: l’urbanistica.

È infatti la necessità arcaica di dare forma ad un’organizzazione sociale basata sull’esercizio della buona politica, improntata sulla giustizia, sulle virtù umane e quindi sulla prosperità economica, a determinare la nascita di tessuti abitativi ordinati razionalmente, all’interno dei quali gli uomini di varie classi o estrazioni sociali possano vivere uniti in pace, perseguendo un benessere dato da un autentico accordo fra le parti. Approfondendo il concetto sulle origini della Città Ideale nei vari ambiti del mondo antico, emerge nella letteratura biblica, l’immagine della Gerusalemme Celeste, data dall’Apocalisse di Giovanni, risalente a circa il 90 d.C. (12), nella quale l’autore descrive, in modo concreto, la forma geometrica della città santa, purificata dal male e inondata dal bene assoluto proveniente da Dio. In questo caso, il numero con la sua valenza simbolica, riconducibile al rapporto aureo già descritto, determina l’idea di città nelle sue varie accezioni di significato.

Anche nella cultura greca, sia Platone (427 a.C.-347 a.C.) che Aristotele (384 a.C.-322 a.C.) si fanno portavoce, nelle loro opere filosofiche, di un’idea etica di città la cui organizzazione urbana è esemplare per condizionare un ottimale rapporto di confronto e di crescita fra i cittadini. È così che nei Dialoghi platonici di Timeo (13) e di Crizia (14) si descrive il mito di Atlantide (15), mentre, leggendo Aristotele, si scopre, nella Politica (16 )e nella Costituzione degli Ateniesi (17), un modello di città più concreta, in cui la realtà urbana perfetta è basata sul buon rapporto tra i cittadini e fra questi con la realtà naturale (18). È infatti la Civilis Justitia, descritta anche nella Repubblica (19) di Platone, ad esaltare la perfetta applicazione dell’ordine geometrico, matematico della natura nella società civile, organizzata in realtà urbane scientificamente e matematicamente calcolate, come trasposizione di un ordine sociale perfetto e organicamente concepito (20).

Nella cultura antropocentrica dell’Umanesimo quattrocentesco troviamo inoltre il progetto di rinnovamento della Milano sforzesca da parte di Leonardo da Vinci, in cui l’artista offre a Ludovico il Moro (21) preziosi consigli su come rendere la bellezza della città strettamente correlata alla sua impeccabile funzionalità (22); oppure l’ampliamento di Ferrara (1492), detta anche Addizione Erculea (23), promossa da Ercole I d’Este (24) grazie all’opera di Biagio Rossetti (25). Anche nelle teorie urbanistiche di Filarete (26) per il progetto di Sforza (27) o nei trattati di Leon Battista Alberti (28), il modello di città ideale sposa e coordina in maniera scientifica le leggi naturali per applicarle a un tessuto urbano in cui uomo e natura, ragione umana e legge naturale si integrano reciprocamente, tanto che la città ideale è, a un tempo, realtà naturale e razionale.

In tutte queste concezioni antiche di città ideale il modello urbano mostra una perfezione estetica, matematicamente calcolata, grazie anche allo studio della prospettiva, che è strettamente correlata alla sua imprescindibile funzionalità. In altre parole, l’idea di città del mondo greco-romano e poi di quello rinascimentale del XV secolo, non costituisce un’entità astratta, simbolica, ma un modello urbano tangibile dove la bellezza è generata dall’uomo e non è più soltanto riflesso e frutto di un Dio creatore, come contemplato nella cultura medievale.

Del resto, la concretezza di questa idea di città, atta a soddisfare esigenze spirituali e pratiche della comunità civile, si riscontra anche nel De Architectura di Vitruvio (29), caposaldo dell’urbanistica romana e rinascimentale o nei già citati pensieri filosofici di Platone ed Aristotele, sostenitori di un modello politico e urbano ideale che si concretizza nella polis greca (30).

È proprio quest’ultima ad essere celebrata da grandi pensatori e intellettuali dell’Umanesimo come Leonardo Bruni (31) che fanno dell’esaltazione dell’homo faber (32) il protagonista e il rappresentante di una nuova classe politica egemone, quella della ricca borghesia, in grado di controllare moderni contesti urbani divenuti capitali di piccole città-stato (signorie), frutto della ragione umana e della buona politica ispirata all’antico modello repubblicano greco, garanzia di ordine, giustizia, pace e prosperità fra i sudditi.

Nella città del Rinascimento, oltre all’aspetto della bellezza estetica, matematicamente determinata, è importante ricordare anche quello celebrativo, volto ad esaltare le doti intellettuali e la potenza del signore che si fa promotore e artefice di una nuova realtà urbana.

Emulando le antiche città di fondazione come Cesarea, Alessandria d’Egitto o Costantinopoli, la nuova classe dominante del Quattrocento italiano, sostenitrice di forme politiche basate sul rafforzamento di piccoli stati indipendenti, ruotanti attorno ai principali centri urbani della penisola, si fa promotrice di un mecenatismo artistico volto ad esaltare, a dare lustro e prestigio, alla rinnovata dinastia regnante (33). Basti pensare alla Repubblica di Firenze durante il governo di Lorenzo dei Medici detto il Magnifico (34) o alla città di Urbino sorretta dal duca Federico da Montefeltro (35).

Un altro esempio, analogo ad Urbino, riguarda Sabbioneta, di circa cento anni successiva. Nel corso del Cinquecento, Vespasiano Gonzaga (36), costruisce la sua città in cui ogni aspetto dell’urbe mira a celebrare, in maniera più o meno diretta, la magnificenza del principe (37). Inoltre, non sfugge l’importanza data, in questa come in altre città definite “ideali” del Cinque-Seicento, alla necessità funzionale delle varie parti del piano regolatore urbano: osservando infatti le planimetrie di Sabbioneta, Palmanova, Eliopoli, Grammichele, solo per citare alcuni esempi italiani, è evidente come la disposizione razionale delle varie aree abitate ruoti attorno a una piazza principale, centro nevralgico del potere del Signore, in cui si affacciano tutti gli edifici più importanti, inclusa la cattedrale, e rilevante è però notare l’essenziale presenza di zone destinate alle pratiche attività quotidiane destinate, ad esempio, all’acquartieramento e all’addestramento delle truppe militari, all’organizzazione delle attività economiche legate all’artigianato e all’agricoltura, insieme a quelle di tipo assistenziale-ospedaliero. Il tutto racchiuso da un’imponente ed efficiente cerchia difensiva a garanzia di una sicura difendibilità, testimonianza del clima cupo e belligerante di un’Europa ormai diversa da quella del Quattrocento (38).

Per completare il nostro breve excursus sui vari modelli di città ideali italiane, create tra il Quattrocento e il Seicento, occorre notare come, proprio sul finire del XVI secolo, parallelamente alla fondazione delle “città fortezza” appena descritte, nate in un contesto europeo e quindi italiano di conflitto tra potenze rivali, si affermi anche la necessità filosofica, già in nuce nella Firenze di Savonarola (39) di fine Quattrocento, di elaborare modelli teorici di nuove Gerusalemme, di città solari, di monarchie universali in cui la componente divina e sovrannaturale compensi la caducità del destino dell’uomo e quindi il decadimento delle azioni che egli produce. In altre parole, il clima di piena fiducia nell’uomo e nelle sue capacità creative e intellettuali tipiche del primo Umanesimo, viene intaccato, già a partire dalla fine del XV secolo, da un contesto politico mutato, che nel corso del Cinquecento vedrà con ‹‹le esercitazioni platoniche di Francesco Patrizi (40) e le bizzarrie di Anton Francesco Doni (41), le “repubbliche immaginarie” che vogliono salvare, anacronisticamente, fra invasioni e guerre di imperi, l’illusione del piccolo stato-città›› (42), presente in Italia e celebrato nel Quattrocento come modello civile da perseguire grazie al genere letterario della Laudatio o delle Historiae (43).

L’unicità di Pienza

È doveroso a questo punto concentrare la nostra attenzione su un tipo di città diverso da quelli presi in considerazione fino ad ora. Per quanto partecipe di alcuni aspetti concettuali e formali riconducibili ai differenti esempi di città ideale già descritti, Pienza mostra infatti caratteristiche non riscontrabili altrove che permettono di applicare a questa realtà straordinaria della Toscana meridionale, la giusta definizione di Città Utopia.

Il piccolo centro della val d’Orcia, nel sud della provincia di Siena, che ha dato i natali ad un grande papa umanista, Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, è un sito tutelato dall’Unesco in quanto manifesta, in maniera completamente intatta, dal 1462, la forma plastica e concreta della prima vera e unica utopia urbanistica della storia (fig.3).

Fig 3 Pienza vista dalla Val d’Orcia

Abbiamo già notato come il mito della città ideale, nasca di fatto con l’uomo e sia stato descritto, nell’idea filosofica e nella forma concreta, mediante vari modelli urbanistici tutti legati ad una bellezza estetica che, negli esempi appena esaminati, è anche specchio di perfetta funzionalità ed esaltazione di una società illuminata. Tuttavia, nel caso di Pienza, è necessario sottolineare come la componente pratica e funzionale del progetto urbano sia solo apparentemente presente, in quanto, a mio parere, ontologicamente assente nel pensiero di coloro che l’hanno concepita. In altri termini: nonostante l’idea del pontefice e il progetto dell’ architetto Bernardo Rossellino si adattino alle esigenze concrete di una realtà abitativa preesistente, quella dell’antico borgo di Corsignano, rispettandone la forma, la dimensione e il perimetro murario con le principali porte di accesso, alla base del significato della città di Pio vi è una spiegazione più alta che fugge il mero criterio di perfetta funzionalità e di autocelebrazione del committente, tipico di altre città di fondazione definite, a mio avviso, impropriamente “ideali”.

Per quanto Pienza sia stata voluta da Pio II come sua creazione, nel ricordo amorevole del luogo dei propri natali e come manifestazione del suo pensiero teologico, filosofico e politico, e per quanto la città mostri aree di organizzazione razionale della società (la piazza principale con il palazzo comunale e la cattedrale, emblemi delle due principali forme di potere, spirituale e temporale; il palazzo Piccolomini, residenza papale, in riferimento all’autorità del signore; la piazza del mercato, per il commercio; il quartiere popolare della Case Nuove per sopperire alle esigenze dei più bisognosi, la testimonianza storica della presenza di un albergo e di un ospedale), il piccolo centro, realizzato in poco più di tre anni, tra 1459 e il 1462, ha l’unicità mondiale e quindi l’immenso valore, di essere una vera e intatta manifestazione di Città Utopia, vale a dire di un luogo che non esiste se non nella sua idea suprema.

≪Lo spirito che anima il centro monumentale di Pienza non trova paragoni con nessuna opera architettonica ad essa contemporanea. L’unico confronto possibile, che suscita, in chi osserva, le stesse straordinarie sensazioni è quello, non a caso, realizzabile con un’opera d’arte, il dipinto della cosiddetta Città Ideale, attribuito nel tempo a vari artisti e indagato con diverse interpretazioni, conservato nel palazzo ducale di Urbino. Solo con quest’opera, infatti, definita da molti studiosi, a ragione, il primo esempio di pittura metafisica, e, in minor misura, con le altre tavole della serie (44), è possibile un parallelo ideologico con Pienza (fig.4).

Fig.4 Analogie e confronto del dipinto La Città Ideale (Urbino, Palazzo Ducale) e il prospetto architettonico del centro di Pienza ( ricostruzione digitale)

La scena urbana rappresentata nel dipinto è un puro esercizio intellettuale, le regole prospettico- matematiche, utilizzate in modo rigoroso, danno vita ad un ambiente architettonico, privo, all’evidenza, di ogni funzione pratica, estremamente armonico e simmetrico, che va oltre la realtà percepita. Attraverso lo sguardo, la nostra mente è risucchiata, come in un vortice dolce ma inesorabile, all’interno della scena. Tutto ci invita idealmente a passeggiare in quegli spazi equilibrati, silenziosi e senza tempo, solitari ma non angoscianti, dove la presenza dell’uomo si intuisce dai molti piccoli dettagli disseminati tra gli edifici. Affascinati, siamo indotti a restare in questo spazio, intrigante e misterioso, dove il nostro spirito, placato, finalmente riposa.

Il pensiero è liberato dalle incombenze quotidiane e la mente può, nella serenità ritrovata, elevarsi al di sopra e al di là dei confini imposti dalla realtà. Il distacco da un luogo del genere sarà doloroso e difficile ma il ritorno alla vita di ogni giorno sarà mitigato dalla rigenerazione che il nostro animo avrà ricavato da una simile esperienza. Le sensazioni appena descritte sono le stesse che percepisce, a vari livelli di consapevolezza, chiunque arrivi nella piazza di Pienza (fig.5).

Fig.5- Pienza, vedute dei principali prospetti della piazza Pio II.

Il primo moto di lieto stupore è presto sostituito da una sensazione di benessere che induce lo spettatore a restare, sedendosi sui sedili che, non a caso, adornano le facciate dei palazzi. La perfetta armonia dell’ambiente, unita alla positiva disposizione d’animo, stimola la mente alla meditazione e allo straniamento, elevando il pensiero e rigenerando lo spirito.

Questa è, dunque, la Città Utopia, paragonabile solo alle emozioni che un’opera d’arte può suscitare, lontana dall’utilità pratica del vivere quotidiano ma meccanismo perfetto, nel caso di Pienza funzionante mirabilmente dal 1462, costituito da edifici e spazi così armonicamente costruiti e distribuiti che inducono, in modo ineluttabile, le nostre menti ad aumentare e migliorare le capacità meditative e intellettuali, a ridurre l’aggressività e ad aprire l’animo alla bellezza e quindi alla verità ≫ (45) .

L’aspetto straordinario di questa cittadina toscana riguarda, dunque, la sua inesorabile bellezza che, in questo caso, non è manifestazione necessaria di un’impeccabile funzionalità o di un’altisonante celebrazione della magnificenza del proprio fondatore, ma esiste di per sé come espressione di un accordo armonico basato sulla riscoperta e lo studio dei solidi platonici (46) e sull’applicazione dei canoni del rapporto aureo nelle architetture che creano un tutto organico, indissolubile, capace di emanare un’ energia positiva e un benessere infiniti che ogni uomo, di qualsiasi epoca o estrazione culturale, è in grado di avvertire.

Per la prima e unica volta in architettura la macchina della serenità assoluta, in grado di elevare l’animo umano verso le sfere celesti e di affrancarlo dalla sua finitezza, trova potente espressione, e tutto questo perché dietro la perfezione formale dei palazzi della città, nella loro efficace disposizione in uno spazio sapientemente gestito e calcolato, vi è anche la spiritualità di un pontefice che è sì, signore umanista, mecenate e promotore di arte e di bellezza ma è anche il rappresentate di Cristo-Dio sulla terra. Se Pienza sfugge ai meri criteri autocelebrativi di alcune città di fondazione è perché dietro il progetto del Rossellino vi è la necessità unica e irripetibile di unire la città celeste, divina ed eterna di sant’Agostino (47) o la Gerusalemme biblica (48), ai nuovi ideali filosofici di razionalità del neonato Umanesimo, in grado di riscoprire ed esaltare l’uomo e di porlo al centro di un universo di cui lui è protagonista in quanto creatura prediletta e profondamente amata da Dio.

Di conseguenza, Pienza non possiede di per sé continui richiami alle virtù civiche, militari o ecclesiastiche del proprio fondatore, come riscontrabile ad esempio nel palazzo ducale di Urbino o a Sabbioneta, e non manifesta la sua valenza bellica mediante la presenza di una cerchia muraria difensiva imponente, tipica delle città fortezza del Cinque-Seicento.

Nell’Utopia, infatti, la città non è toccata da alcun pericolo, non vi è guerra, distruzione, mancanza, ma solo benessere ed armonia assoluti.

Dopo l’esempio unico di Pienza, già dalla fine del Quattrocento e soprattutto dalla seconda metà del Cinquecento, i valori estetici, etici e spirituali delle città utopiche sono irrimediabilmente corrotti in nome della funzionalità o dell’autocelebrazione (49). Uniche isole in cui si ritrovano, seppur parzialmente, questi ideali, sono costituite dalle splendide ville rurali, chiuse ad un mondo divenuto sempre più ostile e disarmonico, nelle quali i colti committenti, cercano di ricreare, pur con tutte le diversità rispetto all’idea primigenia, per l’inesorabile evoluzione culturale, un ambiente più equilibrato, in stretto rapporto con la natura, che possa indurre nel visitatore gli stessi sentimenti di serenità, pace e innalzamento spirituale improntati sulle antiche regole dell’utopia urbana, ormai in buona parte perduti nei principali centri cittadini (50).

È con questo spirito, che pur tiene conto delle nuove funzioni economiche che tali edifici rivestono, che sorgono, ad esempio, nella campagna veneta del tardo Cinquecento, le splendide dimore palladiane, così come quelle dei Medici nel territorio fiorentino o le straordinarie residenze cardinalizie di villa d’Este e di Caprarola, nelle terre dell’antico stato pontificio.

Il ritorno alla campagna, luogo di un eden terreno dove l’uomo si possa ricongiungere con l’armonia dell’universo, e la fondazione in essa di queste meravigliose dimore, nella valenza di piccole città ideali private che possano riproporre quell’alto sogno di felicità ed equilibrio, proprio del mito della città utopia, è un fenomeno riscontrabile in modo trasversale in varie epoche storiche, come conseguenza dell’affermarsi di un’ideologia anti urbana, le cui origini sono già presenti negli scritti latini di Ovidio e Virgilio e nel Canzoniere petrarchesco, fino ad attraversare i secoli e raggiungere le teorie fisiocratiche di Francois Quesnay (1694-1774) (51).

La città e i suoi enigmi

Nella città di Pio, l’applicazione del primo piano regolatore della storia moderna trova manifestazione attraverso le norme scientifiche della prospettiva, finalizzata a creare e a gestire, con metodo matematico, uno spazio completamente piegato dall’intelletto umano sui principi estetici di ordine, simmetria, armonia, proporzione e quindi bellezza, elementi base di un innovativo progetto urbano che nella realtà pientina si avvale anche dell’illusionismo ottico.

L’aspetto scenografico, teatrale (ispirato alle teorie di Vitruvio), riscontrabile nella piazza principale di Pienza (52), si basa infatti sulla forma del trapezio, voluta dal Rossellino, con l’intento di creare un effetto di ampliamento illusionistico di una superficie limitata, quella dell’antica piazza di Corsignano (fig.6).

Fig.6- Aspetto trapezoidale di piazza Pio II e planimetrie mostranti la piramide prospettica della piazza con il duomo orientato verso la vetta del Monte Amiata

Questo espediente si avvale della disposizione della cattedrale sulla base maggiore del poligono, mentre dalla parte opposta, il palazzo comunale, occupa la base minore; il tutto accompagnato dalla residenza papale e dal palazzo Borgia, disposti rispettivamente lungo i lati obliqui che divergono verso sud, in direzione della val d’Orcia. In questo modo, si determina una piramide prospettica, al centro della quale è inscritta la piazza, volta a rendere solenne la mole e la bellezza della facciata del duomo, la cui disposizione è perfettamente allineata, seguendo una retta immaginaria, con la vetta del monte Amiata che si staglia in lontananza sul lato opposto della valle (fig.7).

Fig. 7- Veduta della vetta del Monte Amiata dall’abside del duomo di Pienza

Grazie ai numerosi studi scientifici condotti su Pienza (53), primo fra tutti, l’immenso lavoro svolto da Jan Pieper a partire dagli anni Ottanta del Novecento, abbiamo la certezza di una perfetta relazione progettuale che esiste tra il costruito e la natura circostante, rappresentata dal magnifico territorio della val d’Orcia (54) (fig.8).

Fig.8– La val d’Orcia nei pressi di Pienza

L’unicità della città di Pio, non riguarda, quindi, solo la concretizzazione di un ideale urbano di perfezione estetica dal forte significato filosofico e teologico, ma anche la sua collocazione in un contesto naturale che, grazie all’uomo, ha assunto le vesti di un paesaggio dell’anima, interamente rispondente anch’esso, a criteri estetici ideali riconducibili ad un Eden terreno. Questo paesaggio di indicibile armonia, in parte rispondente alle antiche descrizioni che ci sono giunte grazie agli scritti di Pio II (55) o a quelli del cardinale Jacopo Ammannati (56), e riproposto, dopo secoli di abbandono ed incuria, nel primo Novecento, tramite una profonda opera di bonifica delle colture agresti e di alfabetizzazione del mondo contadino locale, è frutto anche di una ricerca estetica promossa tra gli anni Venti e Quaranta del XX secolo, dai marchesi Iris e Antonio Origo che mirarono a risollevare le tristi sorti di una landa povera e desolata di aride argille, per trasformarla in un luogo di prosperità economica, educazione e bellezza, esprimente l’ideale estetico rinascimentale del paesaggio toscano nel mondo (57).

La valle percorsa dal fiume Orcia, già profondamente amata da papa Pio II e descritta, nella sua celebre autobiografia: I Commentari, è lo scenario ideale e il giardino spirituale sul quale si proiettano le architetture di Pienza che esprimono, nella geometria dei volumi, i rapporti numerico-matematici già presenti in natura e nel corpo umano. È così che la città di Pio, manifestazione del genio razionale che ha saputo far propri i principi matematici dell’armonia cosmica e li ha perfettamente applicati alla sfera urbana, è collocabile sia fisicamente che concettualmente, in un percorso simbolico verso la conoscenza e la crescita spirituale che dalle vette boscose dell’Amiata, montagna “sacra”, luogo dell’ignoto, idealmente rispondente alla parte più recondita, sconosciuta e irrazionale del cosmo e quindi dell’animo umano, procede, attraverso la campagna della dolce valle dell’Orcia, dove la natura si è già in parte antropizzata, fino ad approdare al giardino pensile del palazzo Piccolomini (fig.9), espressione tangibile di un paradiso terrestre in cui l’uomo, tramite la ragione e il proprio intelletto ha saputo plasmare la natura per elevarla a forme di suprema bellezza (58).

Fig. 9- Il giardino pensile di Palazzo Piccolomini a Pienza e la val d’Orcia con in fondo il monte Amiata

È questo, di fatto, il ruolo delle arti nel pensiero del Rinascimento così come del mondo classico: non si deve, rappresentare il mondo naturale imitandolo banalmente ma è necessario e quindi virtuoso trasformarlo, tramite la conoscenza delle sue leggi, in una espressione estetica ancora più alta, concepita solo dalla mente umana, l’unica in grado di trascendere la cruda realtà per elevarla ad un ideale di armonia e di perfezione che solo nell’arte trova vera applicazione. In questa operazione spirituale e di profonda intelligenza introspettiva, l’artista ha il ruolo sacro e oneroso di captare il quid divino, ovvero l’essenza spirituale, armonica, suprema, infinita, riconducibile al numero aureo, che è alla base della bellezza, già presente, seppur in modo latente, nel mondo, e di esplicarla, tramite il proprio sublime operato, comunicandola al resto dell’umanità (59).

Pienza, grazie a Pio II e ai sui illustri collaboratori, esprime, nell’architettura, questa nobile funzione dell’arte ed i principali edifici che la compongono, soprattutto quelli che circondano la piazza principale, sono di fatto paragonabili a un insieme di note musicali, piccole e indipendenti insulae di perfezione che, unite insieme, sono in grado di generare una bellezza potenziata, riconducibile al meraviglioso suono dell’universo, a cui tutta la musica, fatalmente, tende.

Del resto, la similitudine musicale appena utilizzata, nel caso di Pienza, ha un fondamento logico- matematico in quanto, grazie a ricerche scientifiche (60), è stata appurata la presenza di intervalli numerici e quindi di specifici rapporti matematici, presenti nelle micro e nelle macro parti delle architetture cittadine che corrispondono in maniera sorprendente a quelli esistenti nelle ottave musicali. Jan Pieper ha sottolineato come le regole della bellezza estetica, visiva, siano di fatto le stesse di quelle applicabili nella teoria musicale e quindi, la piazza di Pienza possiede di per sé un ritmo tra le parti che, se tramutato in suono, potrebbe creare un’armonia sonora di assoluta bellezza.

Alla base di tutto questo c’è l’homo artifex et faber, artefice e costruttore del proprio destino, e in particolar modo, lo sterminato pensiero enciclopedico della cultura rinascimentale che a Pienza si concretizza nella presenza di menti eccelse e poliedriche come quella del papa, Enea Silvio Piccolomini, di Bernardo Gambarelli detto Rossellino (61), di Leon Battista Alberti, di Nicola Cusano (62), di Paolo dal Pozzo Toscanelli (63), solo per citarne alcuni.

Dietro a questa schiera di raffinati intellettuali, profondi conoscitori delle arti e delle scienze, ispirati dalla filosofia antica di Platone, Aristotele, nonché dal pensiero di Vitruvio e dalla teologia metafisica medievale, vi è la volontà di unire in Pienza i vari ambiti del sapere, compreso quello matematico, astronomico e quindi scientifico, per dare forma ad una creazione urbana che sia manifestazione unica ed eclatante di una visione umanistica del mondo, in cui gli opposti trovano perfetta conciliazione e le diversità non sono motivo di scontro ma di arricchimento reciproco (64). Sia nel pensiero di papa Pio II così come in quello del suo illustre contemporaneo, Nicola Cusano (65), troviamo infatti un approccio universalistico all’esistenza in cui vi è una ricerca volontaria e profonda di unione dei contrari finalizzata ad un accordo armonico che nasce dall’osservazione empirica della natura e che si traduce, a livello politico e religioso, nel superamento delle differenze culturali ed etniche tra popoli, viste da Pio II come diverse declinazioni di un comune denominatore costituito, nel contesto europeo, dalla cultura cristiana e greco-romana, che supera gli antagonismi e le guerre, riconducendo i vari stati ad identificarsi nell’idea di un’ Europa unita, per la prima volta descritta dal pontefice in un trattato geopolitico di assoluta modernità e lungimiranza: il De Europa (1458) (66).

Il desiderio di ordine e di armonia, nella ricerca di una pace terrena volta a sanare i conflitti, colmando le diversità, è tradotto da Pio II, insieme a Nicola Cusano, anche nella ricerca di una pax fidei, in cui le differenze religiose non vengono concepite come motivo di lotta e scontro tra civiltà ma come opportunità di confronto dell’uomo nella sua comune ricerca e adorazione del divino (67). Questi concetti, sempre attuali, che legittimano la molteplicità delle credenze nel mondo, si manifestano anche nelle caratteristiche del centro storico di Pienza, il cui contenuto ideologico è talmente complesso da essere considerato enigmatico agli occhi dei più.

Tuttavia, l’arte rinascimentale in ogni sua forma, non è mai esplicita o banale nella comunicazione del proprio significato, in quanto parte dal presupposto che il cammino verso la conoscenza e quindi verso la virtù, non sia un percorso semplice, ma complesso, fatto di applicazione, sacrificio, studio, curiosità e costanza nel voler perseguire la Verità che si nasconde dietro alle apparenze. In altri termini, Pienza, così come le iconografie rinascimentali nei loro articolati significati concettuali, costituisce un monito rivolto all’umanità, invitata ancora oggi a far uso sapiente del proprio intelletto, l’unico capace di superare la soglia limitata delle apparenze per comprendere e raggiungere la vera sostanza dell’esistenza. Questa è la sola condizione in grado di elevare ogni persona verso le alte sfere dell’armonia e quindi di avvicinare l’esperienza della vita umana ad un’autentica serenità.

Osservando le architetture del centro di Pienza, è interessante notare come il principio umanistico della concidentia oppositorum (68), ovvero dell’unione armonica dei contrari a cui sia le cose del mondo naturale che le creazioni umane tendono, trovi incredibile applicazione nella piazza e nei suoi monumenti principali: il palazzo Piccolomini (fig.10), residenza papale e la cattedrale dedicata alla Madonna Assunta in cielo (69) (fig.11).

Fig.10- Palazzo Piccolomini di Pienza, veduta aerea dalla val d’Orcia, dalla Piazza Pio II e cortile interno.

Fig.11- Cattedrale di Santa Maria Assunta, facciata

Nel primo edificio, la fusione, del tutto sui generis, tra la tipologia abitativa del palazzo urbano rinascimentale, chiuso all’esterno e aperto all’interno in un ampio cortile rivolto verso il cielo, e la villa rurale, strutturalmente proiettata verso la natura circostante, fa della dimora papale il simbolo della volontà, tipicamenete umanistica, di ricercare la bellezza nelle leggi di natura che l’uomo riesce a far proprie e a superare tramite la perfezione dell’arte (70).

In termini più concreti, il palazzo papale si presenta come un insula poligonale che sorge sui resti della casa natale del pontefice ed è caratterizzato, nella forma a parallelepipedo, da tre facciate molto simili, rivolte sulla piazza e sulle vie principali di Pienza, mentre la quarta, disposta sul lato meridionale, mostra un triplice loggiato, corrispondente ai vari piani dell’abitazione che si apre, come nelle dimore gentilizie della campagna romana, sul primo giardino pensile della storia moderna (71), a sua volta prospiciente l’immensa vallata.

Anche la cattedrale con il suo apparato decorativo è un singolare esempio di eclettismo stilistico atto a far convergere le diversità formali in un insieme armonico di assoluta bellezza.

I canoni di perfezione estetica, ripresi dal mondo classico, sono applicati alla facciata in candido travertino del duomo, concepito come tempio antico, il cui interno è completamente pervaso dalla luce solare, che secondo il pensiero neoplatonico di Ficino (72) o la teologia Medievale del monaco Dionigi (73), è diretta emanazione della presenza di Dio nel mondo.

L’aspetto classico del prospetto frontale della chiesa, somigliante, nelle tre ampie arcate di suddivisione, ad una arco di trionfo romano, impreziosito da motivi decorativi all’antica molto in voga nel Quattrocento italiano ed ispirati all’architettura di Leon Battista Alberti, maestro del Rossellino, si accompagna in maniera del tutto originale e sorprendente ad un interno gotico-tedesco, riproposizione esatta di un’ Hallenkirche (fig.12),

Fig.12- Interno della cattedrale di Santa Maria Assunta dalle forme di un Hallenkirche

ricordo dei viaggi diplomatici che Enea Silvio Piccolomini aveva compiuto nel nord Europa e, in particolare, in Germania, le cui caratteristiche di straordinaria luminosità, dovute alla presenza di ampie vetrate gotiche, costituiscono il motivo principe che ha spinto il pontefice a commissionare questo tipo chiesastico non italiano ma proveniente dal mondo tedesco.

Il sogno di una domus vitrea, interamente inondata dall’alba al tramonto e in ogni stagione dalla luce del giorno, presente all’interno della chiesa in modo costante ed inalterato nel proprio candore, grazie a pareti di riflesso, volutamente chiare, e ad ampie vetrate trasparenti, di forma gotica, disposte lungo il perimetro della chiesa, è descritto dal pontefice nel suo capolavoro letterario, I Commentari (74), come principio filosofico e teologico esaltante il valore simbolico e metafisico della luce. Quest’ultima diviene l’esempio assai originale di fusione sincretistica fra la cultura gotico-medievale, richiamata dalle forme e dalla planimetria chiesastica, e il pensiero teologico umanistico-cristiano, profondamente influenzato dal Neoplatonismo di Marsilio Ficino, secondo il quale:

‹‹il cosmo è un immenso organismo animato sul quale Dio irradia la propria luce, e tramite questa, la sua energia celebrativa; tutte le cose reali, quindi, essendo illuminate dalla luce di Dio, sono partecipi della sua presenza che infonde in loro, forza spirituale››  (75).

Questo profondo significato, riguardante la simbologia della luce, coinvolge anche l’apparato decorativo dell’interno della cattedrale, costituito da cinque pale d’altare realizzate, per volere del pontefice, dai più grandi pittori senesi intorno al 1460 (76). Le opere (fig.13), eseguite con l’antica tecnica gotico-bizantina della tempera su tavola lignea e sfondo oro zecchino, costituiscono il primo esempio di pala rinascimentale in terra di Siena e uniscono, analogamente alla struttura della chiesa, la cultura gotico-medievale, evocata dalla tecnica e dallo stile dei dipinti, a quella rinascimentale, riferita all’innovativa forma delle pale, con superficie unica quadrangolare e cornici classiche riprese dai modelli dell’architettura greco-romana.

Fig.13- Pale d’altare nel Duomo di Pienza opera di Giovanni di Paolo, Matteo di Giovanni,Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, Sano di Pietro, Matteo di Giovanni ( 1460 ca.)

Il bagliore della luce riflessa sulla superficie dorata delle opere, le rende simili a preziosi manufatti di oreficeria ed enfatizza il loro significato spirituale incentrato sull’iconografia della Vergine assisa in trono con Bambino, circondata da santi, allegoria della chiesa vincitrice sul male, nonostante le difficoltà e le insidie del mondo (77).

Tuttavia, il valore filosofico della luce non riguarda solo l’interno luminoso della cattedrale ma anche l’esterno della piazza antistante, dove la suddivisione della pavimentazione in nove riquadri regolari e la presenza centrale di un anello in travertino, assumono un importante significato simbolico che si pone in antitesi rispetto a quello descritto per l’interno della chiesa. La piazza rappresenta infatti l’oscurità, il luogo dove si effonde l’ombra della facciata della cattedrale. Quest’ultima mostra una suddivisione, tramite ampie fasce in travertino, in nove rettangoli che, oltre ad esprimere graficamente la prima ed unica applicazione in scala urbana del reticolo albertiano (78), sono anche simbolo numericamente riferito alla tradizione pagana dei misteri orfici (79) e a tutti i riti legati ad altre immaginazioni del mondo degli inferi. Infatti:

‹‹l’antico culto dei morti si articola in enneadi di nove giorni, nove settimane, nove mesi, nove anni, secondo le quali dovevano essere prestati i servizi ai defunti›› (80).

La celebrazione del numero nove associato all’oltretomba viene poi ripreso e adottato anche dal pensiero cristiano nella concezione religiosa dell’inferno e del purgatorio: Cristo scende nei nove inferi durante i quaranta giorni tra la Crocefissione e l’Ascensione ed anche nel viaggio che Dante compie nell’Inferno si parla di nove gironi.

La piazza Pio II diviene quindi l’espressione del mondo delle tenebre, della perdizione, della cecità della sapienza umana, a cui allude l’anello della piazza definito anche l’umbilicus urbis, che è la proiezione esatta ma “chiusa” dell’occhio “aperto” portatore di luce del centro della facciata della chiesa. Queste caratteristiche sono ricondotte volontariamente a un significato filosofico e teologico della luce la cui assenza è sinonimo di morte, ignoranza, perdizione mentre la sua presenza è riflesso della ragione umana illuminata dalla sapienza divina che permette di vedere e comprendere la via del bene e della giustizia. Il passaggio dalle tenebre alla luce è percorribile da ogni persona che dalla piazza si accinge ad entrare nella luminosa cattedrale e questo percorso, ideale ma anche concreto, assume un alto significato universale riassumibile nel celebre motto di Pio II:Post tenebras spero lucem” ovvero “dopo le tenebre spero nella luce” (81).

Questo è di fatto un monito che il papa, attraverso Pienza, rivolge all’umanità affinché non percorra la via d’ombra, con tutte le sue associazioni di incertezza, incomprensibilità, inquietudine e morte, ma persegua il sentiero della luce che nell’esercizio della sapienza, attuato dall’intelletto e dalla ragione, porta alla visione e al perseguimento delle virtù, anticamera della bellezza che a sua volta conduce a Dio.

Oltre a questo affascinante significato filosofico e teologico, legato alla simbologia della luce, la piazza di Pienza è depositaria anche di un altro fenomeno ad esso correlato.

Sappiamo, grazie ad accurati studi scientifici, basati su raffinati calcoli matematici, fisici e astronomici, frutto, probabilmente, dell’alto pensiero di Paolo dal Pozzo Toscanelli, che l’inusuale orientamento verso sud e l’altezza della cattedrale siano stati appositamente calcolati per creare nella piazza Pio II, un immenso orologio astronomico (82). Attraverso lo studio delle fasi solari e lunari, il cuore della città di Pio è divenuto il luogo dove l’impalpabilità del tempo ha preso forma. Quest’ultima si manifesta nella mutevole proiezione dell’ombra della facciata del duomo sulla piazza, durante i giorni dell’anno solare, manifestando la propria perfetta corrispondenza con l’intera superficie della piazza solo allo zenit dei giorni equinoziali del calendario giuliano (83), non dimenticando che in base all’equinozio di primavera si calcola il giorno della Pasqua cristiana (fig.14).

Fig.14- Veduta della piazza Pio II con la suddivisione in nove riquadri e la proezione dell’ombra della facciata sulla pavimentazione allo zenit degli equinozi. Studio grafico della corrispondenza planimetrica tra la gli elementi della facciata del duomo e la loro proezione ortogonale sulla superficie della piazza.

Come attraverso la prospettiva matematica l’uomo del Rinascimento è riuscito a padroneggiare e a modificare lo spazio a seconda delle proprie idee ed esigenze, così a Pienza l’intelletto umano, mediante un procedimento scientifico è stato in grado di comprendere e fare proprio anche il dinamismo incessante del tempo. Quest’ultimo si piega al pensiero dell’uomo per rispondere a necessità di tipo teologico e dottrinale. Infatti, è stato appurato che il fenomeno astronomico appena descritto risponde al calcolo degli equinozi dell’antico calendario giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C. e ancora in voga nel Quattrocento, prima che venisse attuata la nuova riforma calendaristica gregoriana, basata su calcoli astronomici scientificamente più esatti (84).

Jan Pieper ha scoperto, con l’analisi dell’alzato dell’edificio, che in origine la cattedrale era stata concepita con un’altezza inferiore per essere poi rialzata, in corso d’opera, con una aggiunta, ben visibile all’interno del duomo, se si osserva l’altezza molto sviluppata dei pulvini in rapporto ai sottostanti capitelli (85) (fig.15).

Fig.15- Veduta del rialzamento dei pulvini nei pilastri interni del duomo in rapporto ai capitelli e alle imposte degli archi delle volte a crociera.

Questa importante modifica avvenne perché in origine, l’orientamento del duomo verso sud-ovest, insieme al suo sviluppo verticale, erano stati calcolati secondo le moderne e precise applicazioni astronomiche di Toscanelli e Cusano, sostenitori della riforma del calendario giuliano che era, di fatto, basato su calcoli matematici errati, poi corretti nel successivo calendario riformato da papa Gregorio XIII nel 1582 (86).

Il nuovo modello calendaristico, era già ampiamente sostenuto da Pio II e dagli umanisti intellettuali di occidente ma trovava forte opposizione dottrinale nella chiesa cristiana d’oriente, ferma sostenitrice dei precetti liturgici enunciati dal Concilio di Nicea nell’anno 325 d.C., in cui fu stabilito che l’equinozio di primavera fosse il 21 marzo di ogni anno e in base a questo fosse calcolata la festa pasquale, stabilita per la prima domenica, dopo la prima luna piena che segue all’equinozio di primavera.

Seguire la definizione della proiezione totale dell’ombra della facciata del duomo sulla piazza, in conformità con le nuove teorie scientifiche del calendario riformato che spostava in avanti di dieci giorni la data del vero equinozio di primavera, facendo cadere quest’ultimo non il 21 marzo ma il 1aprile, avrebbe creato la nascita di un grave conflitto dottrinale tra la chiesa cattolica e quella ortodossa che Pio II voleva assolutamente evitare. Di conseguenza, il pontefice ordinò di creare un orologio astronomico nella piazza che prevedesse la completa proiezione dell’ombra della facciata del duomo, rispettando la cadenza degli equinozi del calendario giuliano, scientificamente non esatti ma ideologicamente accettati dalla chiesa ortodossa87.

Enea Silvio Piccolomini: l’ideale di una vita

Fig.16- Busto di Pio II realizzato dallo scultore Paolo Romano ( 1460 ca. – Biblioteca Vaticana)

La naturale attitudine di Pio II (fig.16) a voler ricercare una risoluzione ordinata e razionale alla complessità delle vicende umane, può trovare analogia in ciò che in architettura o in retorica si chiama concinnitas (88); un termine che descrive di fatto la ricerca dell’armonia, la propensione all’ordine e all’equilibrio che trova straordinaria applicazione sia nella persona del pontefice che nell’orientamento delle sue molteplici azioni. Ciò che ha alimentato costantemente questa inclinazione di Enea Silvio riguarda il possesso di un’innata visione estetica della vita. Questo dono naturale, alimentato anche dalle privilegiate condizioni sociali e dall’epoca storica in cui il papa visse, ha consentito al Piccolomini, di saper discernere, all’interno del caos dell’esperienza umana, la Verità che si cela dietro l’apparenza, perseguendo, secondo ragione, un ideale religioso, politico e sociale basato sulla coerenza, sulla giustizia e sul bene comune. Il principio umanista della concidentia oppositorum che si manifesta nelle architetture di Pienza, è lo stesso perseguito nelle varie e molteplici, talvolta contrastanti, vicende umane di papa Pio II.

Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse a Corsignano, nella modestia economica di una famiglia di nobili decaduti, il giovane Enea Silvio ha saputo assorbire e fare propria, con risultati assai felici, la conoscenza delle diverse discipline, riflesso della infinita molteplicità del mondo di natura, a cui corrispondono gli svariati ambiti del sapere, armonicamente collegati tra loro. Fu così che alla formazione giuridica e umanistica appresa a Siena, grazie soprattutto al grande Mariano Sozzini (89), si accompagnò un profondo e sempre maggiore interesse per gli studia humanitatis e le humanae litterae, alimentato dalla frequentazione dei vivaci circoli intellettuali dell’Umanesimo fiorentino che permisero al giovane Enea di approcciarsi ad una visione laica dell’esistenza improntata sui valori etici, morali, filosofici e politici del mondo greco-romano.

Grazie a Leonardo Bruni (90), Francesco Filelfo (91), Poggio Bracciolini (92), solo per citare alcuni tra i più grandi intellettuali dell’epoca, il Piccolomini potè respirare quel clima frizzante, vivace e fiducioso nelle capacità umane, che pervadeva l’Italia del primo Quattrocento e che, nel recupero del pensiero degli antichi, poneva le profonde basi intellettuali per la nascita del nuovo uomo del Rinascimento.

La curiosità, lo studio, l’applicazione e la volontà di perseguire la bellezza in ogni sua forma furono condizioni esistenziali favorevoli per la formazione enciclopedica di Enea Silvio, la cui cultura spaziava con disinvoltura dalle arti alle scienze, sfociando nella produzione di opere e scritti assai variegati che dal genere licenzioso ed erotico, dalla drammaturgia comica, di stampo plautino, arrivavano a trattati scientifici di pedagogia, storia, politica e geografia, proponendo opere come il De Asia, studiato dallo stesso Cristoforo Colombo come testo d’avanguardia nel settore della prima geografia scientifica, o il De Liberorum Educatione Tractatus, rivolto al giovane ungherese, Ladislao Postumo, per l’educazione pedagogica dei primi umanisti.

La modernità e l’innovazione delle idee partorite dalla mente di Enea Silvio sono anche la conseguenza di straordinarie esperienze di vita, grazie alle quali il futuro pontefice ebbe la possibilità di viaggiare in tutta Europa e di conoscere capillarmente, con metodo scientifico e non ideologico, la molteplicità delle culture e dei costumi dei vari popoli europei, apparentemente diversi ma allo stesso tempo vicini per la comune appartenenza ad un passato politico e culturale, quello dell’antica Roma, tramesso, mutato e sedimentato alla luce del successivo pensiero cristiano. Questa consapevolezza è espressa dal Piccolomini, in un’opera di assoluta lungimiranza e attualità: un trattato di geopolitica, il De Europa, nel quale il papa, nonostante il clima di antagonismo e belligeranza tra i vari stati europei, sostiene l’idea possibile di un’Europa unita. Del resto, la pace, il dialogo e la concordia tra diverse culture e religioni, nel ricongiungimento armonico di un’umanità divisa, è quanto predicava, nel De pace fidei (1453)93, il grande teologo umanista Niccolò Cusano, cardinale amico di Enea Silvio e suo importante punto di riferimento durante i difficili anni del pontificato.

La volontà di conciliare le diversità, di ricondurre le varie parti ad una condizione di ordine autentico, fu il motore esecutivo delle azioni diplomatiche portate avanti da Enea Silvio Piccolomini, già a partire dalla sua partecipazione, a ventisette anni, al concilio di Basilea (94) come giovane avvocato e abilissimo oratore del cardinal Domenico Capranica (95), fino agli importanti ruoli di mediazione diplomatica (96) rivestiti in qualità di legato dell’antipapa Felice V (97), dell’Imperatore tedesco Federico III d’Asburgo (98) e del papa Eugenio IV (99). Fra questi tre importanti personaggi della storia di Europa e tra le potenze politiche ad essi correlate, Enea Silvio riuscì ad attuare proposte di alleanza, perseguendo il nobile intento di porre freno al clima di aspro antagonismo fra potenze rivali, miranti esclusivamente all’affermazione della propria supremazia economica e politica.

L’ultimo grande tentativo di mediazione, offerto dalla straordinaria vita di Pio II, fu quello di ricondurre la potenza islamica sotto l’egida culturale della chiesa d’occidente. Il papa cercò in tutti i modi, di tessere un’azione diplomatica che portasse alla difesa dei valori culturali europei fortemente minacciati dal mondo turco-islamico che già nel 1453 aveva conquistato e distrutto l’immenso patrimonio artistico e letterario di Bisanzio, l’antica Costantinopoli, capitale cristiana dell’impero romano d’oriente e fonte imprescindibile di trasmissione del pensiero greco antico in occidente.

La caduta di uno dei centri propulsori della cultura greca classica, fu un fatto che sconvolse profondamente il mondo degli umanisti, compreso Pio II, il cui pontificato, durato solo sei anni (1458-1464) fu interamente improntato alla salvaguardia dell’identità culturale greco-romana e cristiana del mondo europeo, in antitesi rispetto alla concezione del vivere civile e religioso proprio dell’Islam. La stesura, da parte del pontefice, di una lettera, mai spedita, al sultano, Maometto II, risultò essere un gesto estremo e disperato di mediazione diplomatica fra due realtà profondamente diverse e anche l’organizzazione di un’ultima, anacronistica crociata da parte di un papa ormai morente, si rivelò un vano tentativo di difesa di un sogno di armonia e di pace universale purtroppo mai attuato (100).

Se nella realtà, la felice convivenza tra religioni e culture diverse non trovò applicazione concreta, a Pienza esiste, tuttavia, un luogo dove è possibile trovare la sua plastica rappresentazione (101). Nel bellissimo coro intarsiato della cattedrale, lungo gli stalli adiacenti alla seduta centrale del pontefice, sono visibili alcune piccole teste scolpite nel legno, raffiguranti i principali esponenti delle correnti scismatiche rispetto al cattolicesimo, che in questa sede straordinaria coesistono in una pace universale senza tempo.

Così, sulla destra, è possibile ammirare la testa di un patriarca ortodosso (102) e di un tartaro nestoriano (103), mentre sulla sinistra, si scorge quella del dotto conciliarista (104) che si trovava accanto alla testa che rappresentava un turco ottomano, oggi perduta, a testimonianza di un ideale di concordia universale che Pio II, in tutta la sua breve ma intensa esistenza, cercò ostinatamente di perseguire.

Sara MAMMANA

NOTE

1 Desidero ringraziare sentitamente Roggero Roggeri, i cui preziosi insegnamenti sono stati per me fonte di ispirazione e importante supporto in questa mia ricerca.
2 Pitagora, matematico e filosofo, nato a Samo, in Grecia, nella prima metà del VI secolo a.C. Intorno al 529 a.C., si trasferisce nell’Italia meridionale, a Crotone, dove fonda la sua celebre scuola filosofica che considera il numero essenza e principio di tutte le cose.
3 Civiltà Babilonese: costituita in Mesopotamia e risalente al III-II millennio a.C.
4 Civiltà Egiziana, comprende circa quattromila anni di storia, dal 3900 a.C. al 342 a.C.
5 ‹‹Fisiologi sono chiamati da Aristotele i filosofi presocratici impegnati soprattutto nello studio della natura piuttosto che in quello dell’uomo›› CECCHINI, Pienza…, pp.3-4.
6 La sezione aurea, corrispondente in algebra al numero aureo 𝜑, dal punto di vista geometrico, indica la divisione (sezione) di un segmento in due parti diverse, in modo tale che il rapporto fra la parte più piccola (c) con la più grande (a), sia uguale a quello della parte più grande con tutto il segmento (b). Tale equazione, 𝑐: 𝑎 = 𝑎: 𝑏 = 𝜑, è un numero irrazionale, 1, 61803… (𝜑), le cui mirabili proprietà matematiche erano conosciute sin dall’antichità più estrema. Poiché indica uno sviluppo di crescita costante, espresso con una spirale che si sviluppa all’infinito, era considerato il sigillo del principio creativo che si osserva ripetuto nfinite volte in natura, dalla disposizione dei germogli e dei semi delle piante, alla spirale delle conchiglie dei molluschi, alla conformazione dei cristalli, ed era venerato come espressione diretta del potere divino.
LIVIO, La sezione…; CROCINI, Sezione
7 Fidia: grande scultore ateniese del V secolo a.C. Fu il protagonista delle magnifiche e numerose creazioni artistiche dell’Atene di Pericle, in particolar modo del Partenone e della sua decorazione scultorea.
8 Marco Vitruvio Pollione: trattatista latino di architettura, quasi certamente dell’età di Augusto, autore del celebre trattato in dieci libri De Architectura, fu fondamento teorico imprescindibile per l’architettura romana del periodo imperiale, medievale e rinascimentale.
9 Leonardo Fibonacci detto Leonardo Pisano (Pisa 1175-1235 ca.) è da considerarsi per il suo Liber Abbaci (1202 – 1228) e per la sua Practica geometriae (1220) tra i più grandi matematici del Medioevo. Nel 1202 individuò una successione matematica presente in natura, costituita da numeri interi positivi di cui ciascuno è la somma dei due precedenti: 0,1,1,2,3,5,8,13,21… fino all’infinito. Nel XIX secolo si scoprì che la successione di Fibonacci può essere applicata al calcolo delle probabilità, nella sezione aurea e nel triangolo aureo. Sull’ argomento cfr.: DEVLIN, I numeri…; CROCINI, Sezione
10 Luca Pacioli (Borgo San Sepolcro 1445- Roma 1517), frate francescano e grande matematico, fu docente e autore del primo trattato generale di aritmetica ed algebra pubblicato a stampa: Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità (1494). Amico di Leonardo da Vinci, Piero della Francesca e Leon Battista Alberti, cercò di dedurre i principi dell’architettura e dell’anatomia umana dalla matematica. Tra le numerose pubblicazioni realizzate da Pacioli, vi è il De divina proportione (1509), trattato scientifico basato sullo studio delle applicazioni della sezione aurea.
11 Galileo Galilei (Pisa 1564- Arcetri 1642), astronomo, fisico, filosofo, matematico e accademico italiano è considerato il fautore della scienza moderna in quanto protagonista della rivoluzione scientifica e responsabile dell’introduzione esplicita del metodo scientifico. Il suo nome è associato ad importanti contributi in fisica ed in astronomia.
12 Comunemente conosciuta come Apocalisse, Libro della rivelazione o Rivelazione, è l’ultimo libro del Nuovo Testamento e quindi della Bibbia. CECCHINI, Le Città…, p.5.
13 Timeo di Locri (Locri -V secolo a.C.), giurista, astronomo e filosofo greco antico della scuola pitagorica del V secolo a.C. Il Timeo, scritto da Platone intorno al 360 a.C., è il dialogo platonico che maggiormente ha influito sulla filosofia e sulla scienza a posteriori
14 Crizia il giovane (Atene 460 a.C.- Atene 403 a.C.): politico, scrittore e filosofo greco antico, già discepolo di Socrate.
15 Isola leggendaria il cui mito è menzionato per la prima volta da Platone. Atlantide sarebbe stata una potenza navale approssimativamente novemila anni prima di Cristo. Dopo aver fallito l’invasione di Atene, sprofondò nel mare. Ha ispirato molte opere di letteratura e fantasia.
16 La Politica (IV secolo a.C.) è un trattato di Aristotele dedicato all’amministrazione della polis. È suddivisa in otto libri nei quali il filosofo analizza le realtà politiche a partire dall’organizzazione della famiglia, intesa come nucleo base della società, per poi passare ai diversi tipi di costituzione.
17 La Costituzione degli Ateniesi (330-322 a.C.) è un’opera attribuita ad Aristotele e ai suoi allievi che descrive il regime politico dell’antica Atene.
18 CECCHINI, Le Città…, p.7.
19 La Repubblica è un’opera filosofica di Platone scritta in forma di dialogo tra il 390 e il 360 a.C. Il testo ha avuto un’enorme influenza nella storia del pensiero occidentale.
20 GARIN, La Città…, p.11.
21 Ludovico Maria Sforza detto il Moro (Vigevano 1452- Loches, Francia, 1508), è stato duca di Bari dal 1479, reggente del Ducato di Milano dal 1480 al 1494, al fianco del nipote Gian Galeazzo Maria Sforza, e infine duca egli stesso dal 1494 al 1499.
22 GARIN, La Città…, p.2.
23 L’Addizione Erculea, voluta da Ercole I d’Este e realizzata a Ferrara tra il 1471 e il 1505, grazie a Biagio Rossetti, consiste in un’opera di ampliamento della città basata sul progetto di un quadrilatero attraversato da due assi viari perpendicolari. La rete viaria organizzata attorno a questa ossatura principale non segue, invece, criteri di ortogonalità.
24 Ercole I d’Este (Ferrara 1431- Ferrara 1505), importante mecenate e uomo di cultura del Rinascimento, marchese di Ferrara, Modena e Reggio Emilia, fu successore del fratellastro Borso nel 1471 e secondo duca di Ferrara fino al 1505.
25 PORTOGHESI, Dizionario…, vol.II, pp. 323-325; CECCHINI, Le Città…, p.16. Biagio Rossetti (Ferrara 1447 ca., Ferrara 1516), fu architetto e ingegnere di particolare rilevanza negli anni del Rinascimento estense. È considerato artista geniale e il primo urbanista del mondo in senso moderno. Sotto il ducato di Borso ed Ercole I d’Este trasformò l’aspetto di Ferrara in senso monumentale.
26 Antonio di Pietro Averlino o Averulino, detto il Filarete (Firenze 1400-Roma 1469), è stato uno scultore, teorico dell’architettura e architetto, fautore e protagonista della diffusione di importanti concetti riguardanti l’urbanistica rinascimentale inerenti al tema della città ideale.
27 Sforzinda è la città immaginaria descritta da Filarete nel suo Trattato di architettura datato 1464. Il nome della città è un omaggio offerto dall’ autore alla famiglia Sforza. GARIN, La Città…, p.14; FIRPO, La Città…
28 GARIN, La Città…, p. 12 e segg. Leon Battista Alberti (Genova 1404- Roma 1472), fu architetto, trattatista, matematico, crittografo, linguista e filosofo umanista. Fu punto di riferimento delle principali opere architettoniche del Rinascimento italiano.
29 Il De Architettura, opera di Vitruvio (80 a.C-15 a.C.), è l’unico trattato romano sull’architettura pervenuto ai nostri tempi. Soprattutto nel Rinascimento costituirà un importante riferimento per la classicità romana. Conosciuto anche nel Medioevo, non fu una scoperta originale dell’Umanesimo che lo utilizzò nuovamente accompagnato dallo studio delle rovine romane, paradigmi importanti per la progettazione delle nuove architetture. CECCHINI, Le Città…, nota 12, p.24; PORTOGHESI, Dizionario…, vol.I, p.544.
30 GARIN, La Città…, p. 15.
31 CECCHINI, Le Città…, nota 11, p.23. Secondo Eugenio Garin (1909-2004), Leonardo Bruni, cancelliere di Firenze e traduttore di Platone e Aristotele, è il massimo esponente nella letteratura che tratta il tema della città intesa come città-stato. I più importanti teorici e trattatisti dell’Umanesimo e del Rinascimento, in campo architettonico, posso essere, inoltre, considerati: Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martini, Piero della Francesca, Luca Pacioli, Sebastiano Serlio, Jacopo Barozzi detto il Vignola, Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi.
32 La locuzione latina homo faber fortunae suae, espressa anche nella forma alternativa homo faber ipsius fortunae, significa letteralmente “l’uomo è artefice della propria sorte”. Il verbo est è implicito. Questo concetto, esprimente la piena fiducia nelle capacità e nell’intelletto dell’uomo, considerato protagonista e autore del proprio destino, è alla base della cultura antropocentrica del Rinascimento.
33 GAUDINI, Pienza…, pp. 25-26.
34 Lorenzo di Piero de’ Medici, detto il Magnifico (Firenze 1449-Careggi 1492), fu il terzo signore di Firenze appartenente alla dinastia Medici. Governò la città toscana da illustre principe umanista, dal 1469 fino alla morte, mostrando doti oculate nella gestione del potere ed esprimendo la sua vasta cultura quale scrittore, mecenate e poeta amante delle arti.
35 Federico da Montefeltro, definito anche Federico III da Montefeltro (Castello di Petroia Relais 1422-Ferrara 1482), duca di Urbino. Figlio illegittimo di Guidantonio conte di Montefeltro e duca di Urbino fu uno dei più raffinati mecenati del Rinascimento. Abile condottiero, tra le varie imprese politiche, sostenne papa Pio II contro Sigismondo Malatesta (1417-1468), signore di Rimini.
36 Vespasiano I Gonzaga, noto anche come Vespasiano Gonzaga Colonna (Fondi 1531-Sabbioneta 1591), è stato un condottiero, politico e grande mecenate, duca di Sabbioneta e marchese di Ostiano.
37 FERLISI, Sabbioneta…pp. 93 e segg.
38 CECCHINI, Le Città…, pp.8-18.
39 Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (Ferrara 1452-Firenze 1498), è stato un religioso, politico e predicatore italiano. Appartenente all’ordine dei frati domenicani, profetizzò sciagure per Firenze e per l’Italia propugnando un modello teocratico per la Repubblica fiorentina instauratasi dopo la cacciata dei Medici. Fu arso al rogo come eretico il 23 maggio 1498.
40 Francesco Patrizi (Cherso 1529-Roma 1597), filosofo e letterato del Rinascimento difensore del platonismo contro l’aristotelismo da lui principalmente combattuto nelle Discussiones peripateticae (1571-1581).
41 Anton Francesco Doni (Firenze 1513- Monselice 1574), ecclesiastico, editore, letterato, umanista e scrittore prolifico, fu uno dei protagonisti della letteratura italiana del Cinquecento.
42 GARIN, La Città…, p.16.
43 Ivi, pp. 5-6. Sono generi letterari di tipo celebrativo e politico in cui una determinata città-stato (Firenze, Venezia, Milano) è presentata come l’ideale della coesistenza umana, l’attuazione di una convivenza impiantata su basi razionali poste a modello di imitazione. Tra gli esempi del periodo rinascimentale, ispirati alla letteratura antica greco-romana, ricordiamo la Laudatio florentinae urbis e le Historiae fiorentini populi di Leonardo Bruni.
44 Per un approfondimento e una lettura comparativa sulla descrizione e le ipotesi di significato delle tre tavole dipinte custodite a Berlino, Baltimora e Urbino, relative al tema della Città Ideale ed analoga bibliografia di riferimento, si consulti: MARCHI, La “prospettiva”, pp. 35-49; PIEPER, Pienza, pp.134-140.
45 Il brano è tratto da uno scritto privato, riguardante lo studio di Pienza, città ideale, opera di Roggero Roggeri.
46 In matematica, in particolare in geometria solida, il termine solido platonico è sinonimo di solido regolare e indica un poliedro convesso che ha per facce poligoni regolari congruenti (cioè sovrapponibili esattamente), con spigoli e vertici equivalenti. I solidi platonici, studiati sin dall’antichità grazie a Pitagora e a Platone, da cui hanno derivato il nome, sono cinque (tetraedo, esaedro o cubo, ottaedro, dodecaedro e icosaedro) e il loro nome deriva dal numero delle facce di ogni figura: 4,6,8,12 e 20. Le regolarità dei solidi platonici sono straordinariamente suggestive e ciò ha determinato il loro studio da parte dei principali matematici e artisti della storia.
47 Aurelio Agostino d’Ippona (354 d.C. – 430 d.C.), è stato un filosofo, vescovo e teologo romano di origine nord africana e lingua latina. Conosciuto come sant’Agostino è Padre, dottore e santo della chiesa cattolica detto anche Doctor Gratiae. Nel De Civitate Dei ( 413- 426), primo grande saggio di teologia della storia e uno dei testi più significativi della letteratura cristiana universale, Agostino tratta l’apologia del cristianesimo nei confronti della civiltà pagana offrendo una visione organica della storia umana dominata dall’alternativa fondamentale tra il vivere secondo la carne, Civitas Terrena, ossia la città del diavolo, fondata da Caino, oppure secondo lo spirito, Civitas Dei, ovvero la città dello spirito, celeste, fondata da Abele.
48 La Gerusalemme Celeste è descritta nell’Apocalisse di Giovanni all’incirca nel 90 d.C. CECCHINI, Le Città…, p.5; MAGGIONI, L’Apocalisse…, p.20.
49 CECCHINI, Le Città…, pp. 14-17.
50 LOI, La Città…, p.28.
51 Ibidem
52 PIEPER, Pienza…, pp. 128- 17; MAMMANA, Pienza…, p.120; DONDOLI, Le tre
53 Per la numerosa bibliografia di riferimento riguardante gli studi scientifici su Pienza si consulti: PIEPER, Pienza…; SORDINI, Breve…; CECCHINI, GAUDINI, MAMMANA, Pienza…; BICHI, In Val d’Orcia…, nota 42, p.273.
54 PIEPER, Pienza…pp.208-231, 375-381, p.452; CECCHINI, Il Modello…, pp.63-76. 7
55 BERNETTI (a cura di), I Commentari, pp. 163-172.
56 PELLEGRINI, Il promotor…, pp. 22-24.
57 MAMMANA, La Val d’Orcia…pp.87-88. Cfr. note 4 e 5.
58 MAMMANA, Pienza…, p.113.
59 Alla base di questa aulica concezione delle arti vi è una rivoluzione culturale riguardante l’architettura, la pittura e la scultura, un tempo annoverate tra le artes mechanicae e dal Quattrocento riconosciute invece come artes liberales. Cfr. GAUDINI, Pio II…, p.58.
60 PIEPER, Pienza…pp. 468-470; NAREDI –RAINER, La Bellezza…, pp.292-297.
61 Bernardo di Matteo Gambarelli detto Rossellino forse per i suoi capelli rossi (Settignano 1409- Firenze 1464), fu scultore, decoratore, architetto, urbanista. Condusse un’attività assai intensa tramite una ben organizzata bottega di scultori e scalpellini tra cui i suoi fratelli ed esperti collaboratori. La sua formazione si lega a Filippo Brunelleschi e soprattutto a Leon Battista Alberti. GAUDINI, Pienza…, pp.31-33.
62 Nicola Cusano, noto anche come Niccolò Cusano o da Cusa (Bernkastel-Kues, Germania 1401- Todi 1464) fu cardinale, teologo, filosofo, umanista, giurista, matematico e astronomo tedesco, uno dei pilastri del mondo culturale del Rinascimento.
63 Paolo dal Pozzo Toscanelli (Firenze 1397-Firenze 1482) è stato un grande matematico, astronomo e cartografo del Rinascimento.
64GAUDINI, Pio II…, p.59-60; PIEPER, Pienza…, p.92-93.
65 Ivi, p.74.
66 Ivi, p.92. L’opera, scritta da Pio II, fa parte, insieme al De Asia (1461), delle prime due sezioni del primo trattato di geografia scientifica della storia, dal titolo Cosmographia, rimasta incompiuta, che doveva abbracciare lo studio e la descrizione di tutte le terre allora conosciute. Cfr. FINELLI, L’Umanesimo…, p.51-52; PIEPER, Pienza…, p.19.
67 Ivi, pp.194, 206.
68 Ivi, p.27.
69 Ivi, p.22.
70 Ivi, p.91; GAUDINI, Pienza…p.25.
71 PIEPER, Pienza…, p.153 e segg.
72 Marsilio Ficino (Figline Valdarno 1433- Careggi 1499), filosofo, astronomo e grande umanista, fu autore di un ampio lavoro di traduzione e di commento dell’opera di Platone, di Plotino e degli scritti ermetici, permettendo la diffusione nella cultura europea di un patrimonio fino ad allora sconosciuto. Nella Teologia platonica (1469-74) propose la ripresa del pensiero platonico e ne dimostrò l’affinità con il cristianesimo.
73 Dionysius van Rijkel (italianizzato in Dionigi di Rijkel, noto anche come Dionigi Certosino; Rijkel 1402- Roermond 1471) è stato un monaco cristiano, presbitero e mistico belga. È conosciuto con il titolo di “dottore estatico” ed è riconosciuto dalla chiesa cattolica con il titolo di venerabile. PIEPER, Pienza…, p. 27.
74 BERNETTI (a cura di), I Commentari, pp.223-226.
75 GAUDINI, Pio II…, p.58.
76 Per un approfondimento sulle pale del duomo di Pienza: CARLI, Pienza…, pp.100 e segg.; MARTINI, Tabulae…, pp.251-267; PIEPER, Pienza…, pp. 200-204; MAMMANA, Pienza…, pp.104-108.
77 Questa interpretazione del significato iconografico delle pale d’altare del duomo di Pienza, da noi condivisa, è proposta da Jan Pieper. PIEPER, Pienza…, p.308.
78 FINELLI, L’Umanesimo…, p.66-68. Nel pensiero di Filippo Brunelleschi e quindi di Leon Battista Alberti, da cui deriva il nome, il reticolo albertiano è un espediente grafico, costituito da un insieme di linee rette perpendicolari fra loro atte a formare una scacchiera prospettica mediante la quale il pittore o l’architetto ha la possibilità di calcolare l’esattezza di uno spazio matematicamente determinato e rappresentato in modo tridimensionale su una superficie piana, quella del disegno o del dipinto.
79 Nell’antica Grecia, i misteri orfici, costituirono un insieme di pratiche e credenze della religione misterica (cioè segreta) dell’Orfismo derivante il proprio nome dal mitico cantore tracio Orfeo protagonista del tentativo fallito di liberare la moglie Euridice dal mondo degli inferi e poi ucciso da una schiera di baccanti in preda al furore orgiastico. Secondo la dottrina Orfica gli adepti dei culti misterici per raggiungere la salvezza intesa come possibilità di ritornare sulla terra dopo la morte non dovevano limitarsi ad acquisire determinate conoscenze ma dovevano anche adottare determinati comportamenti morali.
80 PIEPER, Pienza…, p. 26.
81 PIEPER, Pienza…, p.81.
82 PIEPER, Pienza…, pp. 23-25; PIEPER, DEL GRANDE (a cura di), Pio II…, p.26-31. 83 Ivi, p.23; PIEPER, Pienza…, pp. 24-25.
83 FINELLI, L’Umanesimo…, p.66-68.
84 Quando Pienza fu costruita era ancora in uso il calendario Giuliano, chiamato così perché istituito da Giulio Cesare nel 46 a.C. Con la riforma del calendario, già iniziata da Nicola Cusano nel XV secolo e poi istituita in modo ufficiale nel 1582 da papa Gregorio XIII che introdusse l’attuale calendario gregoriano, i giorni degli equinozi, pur mantenendo le date del 21 marzo e del 21 settembre, differiscono di fatto di alcuni giorni rispetto alle corrispondenti date del calendario precedente: in altre parole, l’equinozio di primavera del calendario giuliano era da collocarsi circa dieci giorni dopo l’attuale equinozio del metodo gregoriano mentre l’equinozio di autunno cadeva circa dieci giorni prima del 21 settembre del calendario corrente. Cfr: PIEPER, Pienza…, p. 27-32.
85 Ivi, pp. 32-33, 251 e segg.
86 Cfr. nota 84.
87 PIEPER, Pienza…, p.32.
88 Concinnitas è un termine latino usato per indicare una particolare attenzione alla forma e all’ordine per coniugare elementi umani con regole naturali, matematiche, armoniche o ritmiche.
89 Mariano Sozzini il Vecchio (Siena 1397- ?) illustre docente dell’università di Siena, fu uno dei più grandi intellettuali dell’Umanesimo. Dotato di una vasta cultura enciclopedica fu giurista, filosofo, matematico, poeta e trattatista, punto di riferimento imprescindibile per la formazione del giovane Enea Silvio Piccolomini.
90 Leonardo Bruni, detto Leonardo Aretino (Arezzo, 1° febbraio 1370- Firenze, 9 marzo 1444) è stato un politico, scrittore e umanista attivo prevalentemente a Firenze dove nella prima metà del Quattrocento ricoprì il sommo incarico di cancelliere della Repubblica.
91 Francesco Filelfo ( olentino 25 luglio 1398- Firenze, 31 luglio 1481) illustre docente, umanista e scrittore del Rinascimento.
92 Giovanni Francesco Poggio Bracciolini, nome umanistico Poggius Florentinus (Terranova, 11 febbraio 1380- Firenze, 30 ottobre 1459), è stato un umanista e storico italiano. A lui si deve il recupero e la diffusione di illustri capolavori della letteratura latina tra cui il De rerum natura di Lucrezio, l’Institutio oratoria di Quintiliano e le Silvae di Stazio.
93 In questo scritto Cusano aveva definito le religioni un ‹‹colloquio di ricerca di Dio››. ‹‹Egli espone un dialogo tra diciassette dotti, in qualità di esponenti dei diversi popoli e religioni, circa la necessità di una religione unica e universale che conceda alle diverse nazioni le loro particolarità nei rituali e nei miti sebbene queste siano concordi nella convinzione che sia Cristo a portare a compimento tutte le religioni››. Cfr. PIEPER, Pienza…, p. 194.
94 Il concilio ecumenico di Basilea (Svizzera) fu convocato da papa Eugenio IV nel 1431 e fu subito da lui sciolto. I cardinali conciliaristi che sostenevano la superiorità del concilio sul pontefice si opposero allo scioglimento dell’adunanza. La lotta si prolungò con alterne vicende che videro lo spostamento del concilio a Ferrara e a Firenze fino al 1439, quando si giunse alla deposizione del pontefice e all’elezione di Amedeo VIII di Savoia (antipapa Felice V). Grazie all’intermediazione di Carlo VII di Francia, si arrivò a una riconciliazione, all’abdicazione di Felice V e al riconoscimento del nuovo papa Niccolò V come pontefice legittimo nel 1449. Sul ruolo di Enea Silvio Piccolomini presso il concilio di Basilea e all’interno dello scisma conciliarista si consulti: PIEPER, Pienza…, pp. 73 e segg.
95 Domenico Capranica (Capranica Prenestina 31 maggio 1400- Roma 14 agosto 1458) è stato cardinale, vescovo cattolico e umanista italiano. Ebbe una forte influenza all’interno della chiesa del XV secolo tanto da essere potuto eletto papa al posto di Pio II.
96 Nonostante l’aver abbracciato in giovane età la causa conciliarista, sostenitrice del primato del concilio sull’autorità papale, ed aver quindi approvato l’elezione dell’antipapa Felice V, divenendone segretario, Enea Silvio riuscì, in seguito, con grande abilità, a riunire, nel riconoscimento reciproco delle supreme autorità, il papa di Roma Eugenio IV e l’imperatore tedesco Federico III, grazie ad accordi e concessioni diplomatiche elaborate in modo acuto e sorprendente.
97 Amedeo VIII di Savoia, detto il Pacifico (Chambery 4 settembre 1383- Ginevra 7 gennaio 1451). Fu conte e duca di Savoia, principe di Piemonte, di Acaia, Conte d’Aosta, Ginevra, Moriana e Nizza. Dal 24 luglio 1440 al 7 aprile 1449 fu l’ultimo antipapa, con il nome di Felice V.
98 Federico III d’Asburgo (Innsbruck 21 settembre 1415- Linz 19 agosto 1493), figlio di Ernesto I e di Cimburga di Mosovia, è stato Re dei Romani quale successore di Alberto II nel 1440. Col titolo di duca asburgico d’Austria divenne Federico V, come re tedesco prese il nome di Federico IV e infine con la sua incoronazione ad imperatore del Sacro Romano Impero fu denominato Federico III. Per i legami diplomatici e personali tra Federico III ed Enea Silvio Piccolomini si consulti: PIEPER, Pienza…, pp. 76 e segg.
99 Eugenio IV, al secolo Gabriele Condulmer (Venezia 11 gennaio 1383- Roma 23 febbraio 1447), fu papa della chiesa cattolica dal 1431 alla sua morte.
100 Per un approfondimento riguardante i rapporti diplomatici e il pensiero di Pio II nei confronti dell’Islam si consulti: PIEPER, Pienza…, pp.94-103.
101 PIEPER, Pienza…, pp.204-207; 327-335.
102 In riferimento al Grande Scisma detto anche Scisma d’Oriente del 1053, in seguito al quale l’unità della chiesa di stato dell’impero romano venne meno con l’istituirsi, per questioni dottrinali e politiche non condivise, della chiesa cristiana ortodossa in opposizione a quella cattolica romana.
103 Riguarda l’adesione all’eresia del nestorianesimo, movimento religioso cristiano sorto nel V secolo a Costantinopoli per opera di Nestorio. Il concilio di Efeso nel 431 condannò le dottrine di Nestorio, accusato di sostenere l’esistenza, in Gesù Cristo, oltre che di due nature (divina e umana), anche di due persone.
104 Esponente del movimento scismatico del conciliarismo, presente all’interno della chiesa nei secoli XIV e XV, e responsabile della concezione della superiorità del concilio ecumenico della chiesa sull’autorità papale, non più illimitata ma subordinata all’organo conciliare.

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