Dall’età di Lorenzo il Magnifico a quella di Cosimo I: la Protomaniera, la Maniera e i riflessi in Lorenzo Lotto.

di Daniela MATTEUCCI

Daniela Matteucci, storico dell’arte, è nata a Roma. Laureata e Specializzata in Storia dell’arte moderna alla Sapienza, ha conseguito il Diploma in Antichità Cristiane. Ha svolto attività di catalogazione e ricerca per le Soprintendenze di Roma e di Urbino. Si occupa di Manierismo fiorentino e ‘minore’, ha pubblicato una monografia e un catalogo e molti saggi scientifici, alcuni coordinati da Federico Zeri. Con questo articolo inizia la sua collaborazine con About Art.

PERCORSI ICONOGRAFICI E TEMATICI A FIRENZE E OLTRE FIRENZE:

Nella seconda metà del Quattrocento, intorno al governo di Lorenzo il Magnifico, la pittura fiorentina inizia a sviluppare forme di grande eleganza estetica e al contenuto mitologico o religioso si accompagna una resa di grande cura calligrafica e decorativa. La ricchezza di particolari descrittivi determina insistenze lenticolari, memori del  ductus  donatelliano arricchito da spunti nordeuropei.  Lo spazio, la linea  e la prospettiva assumono un preziosismo che rinnova e supera la lezione  intellettuale e matematica del rigore scientifico.

L’approssimarsi della crisi che coinvolge Firenze si traduce così figurativamente in una spazialità capovolta sulla pelle del quadro, ancora prima della ufficiale ‘ribellione capricciosa’ della Prima Maniera Fiorentina: l’annullamento della profondità lascia posto a bardature, orpelli e gioielli, a una minuziosa resa di lussuose stoffe e monumentali apparati. Solo Jacopo Pontormo si esprimerà in una ortodossia secca e immediata dove i personaggi vagano in spazi rarefatti, ad eccezione dei lavori destinati alla traduzione in arazzo. A partire dalla metà del Cinquecento l’Europa parla figurativamente fiorentino, pittura ricca e complicata per poi sfumare e morire, infine, nella pittura-manifesto della Controriforma.

COPRIRSI IL VOLTO

A partire dall’ultimo quarto del XV secolo iniziano puntuali a mostrarsi nelle opere pittoriche personaggi che si coprono il volto per dolore o vergogna o paura; la crisi annunciata dell’età di Savonarola si manifesta in diversi esempi che appaiono come una sorta di comun denominatore e che collegano la pittura dell’ambito fiorentino e mediceo a quella intimista e dissidente di Lorenzo Lotto. L’aurea, neoplatonica corte medicea, la cui ferrea e indiscussa solidità si era manifestata con esclusive imprese pubbliche e culturali, subisce una prima demolizione con la Congiura dei Pazzi per concludersi con la condanna di Savonarola e la frattura definitiva tra Firenze e  Roma; e la pittura fiorentina si rifletterà nelle immagini e nelle iconografie nell’ambiente delle Marche minori (1).

Già l’Argan dichiarò che

“l’idea del neoplatonismo fiorentino non è propriamente l’archetipo neoplatonico; e non è, propriamente, nulla di definito, ma un vago essere-al-di-là, rispetto alla natura (o allo spazio) e alla storia (o al tempo). Anche il bello, con cui l’ idea si confonde, è aliquid incorporeum: sfiducia nella realtà più che nell’immagine perfetta. Ne’ bisogna dimenticare che il neoplatonismo è, come diremmo oggi, una ‘filosofia della crisi’: crisi dei grandi valori affermati dall’Umanesimo al principio del secolo, ma anche delle grandi aspirazioni politiche e culturali di Firenze”. E infine: “ Per i filosofi e i letterati della cerchia neo-platonica, dunque, l’idea è al di là del tempo (…) e l’antico non è storia vissuta ma un’ idea della natura, rispetto alla quale le sembianze delle cose sono mere allegorie”. (2)

 Nel 1470 Botticelli dipinge La scoperta del cadavere di Oloferne, che con  Il ritorno di Giuditta a Betulia costituisce il dittico che, secondo la testimonianza del Borghini nel 1584, Rodolfo Sirigatti donò a Bianca Cappello, amante e poi moglie di Francesco I de’ Medici (figg. 1 e 2).

1. Sandro Botticelli, La scoperta del cadavere di Oloferne, 1470, tempera su tavola cm. 31 x 24, Firenze, Galleria degli Uffizi – 1 a particolare
2. Sandro Botticelli, Il ritorno di Giuditta a Betulia, 1470, tempera su tavola cm. 31 x 24, Firenze, Galleria degli Uffizi

La coppia di tavolette era un tempo unita da una cornice in noce e risponde al tipico formato del dittico privato e risponde a una

“destinazione privata, verosimilmente come oggetti da studiolo, e sistemati per fornire una visione ravvicinata”

 per la riflessione sui grandi e indiscussi temi dell’Antico Testamento (3). Già ravvisate istanze mantegnesche, tradotte negli archeologismi donatelliani filtrati in area padana conferiscono a queste tavolette un’illusoria dimensione dilatata eppure compressa nel fitto incastro delle figure.

Nel più recente studio in merito non si fa menzione della figura in secondo piano, probabilmente un soldato dell’esercito assiro di Oloferne, che per l’orrore si copre il volto; unico personaggio giovane, come è un soldato, e che contrasta con l’anzianità degli astanti (vedi fig. 1a). Giovane e modellato è anche l’elegante corpo di Oloferne, che però, com’è stato giustamente e anticamente ravvisato, contrasta con il capo mozzo di un anziano che l’ancella, pure giovane, porta sulla testa  seguendo Giuditta (4).

Nel 1472 Botticelli, con l’aiuto di Filippino Lippi, dipinge l’Adorazione dei Magi oggi alla National Gallery di Londra (fig.3).

3. Sandro Botticelli e Filippino Lippi, Adorazione dei Magi, 1472, tempera su tavola cm. 50 x 136, Londra, National Gallery; sotto fig 3 a, particolare
Fig 3a Partidcolare

Opera da sempre discussa e di non chiara destinazione, mostra un probabile impianto di Filippo Lippi o comunque riferibile a un ambito di bottega quasi destinata a esercizio pittorico; l’impianto iconografico e il formato lasciano presupporre una destinazione a cassone nuziale. All’estrema sinistra si nota un giovane che con un fazzoletto si copre il volto nel pianto; perché, in un tema così importante e sereno, relativo alla nascita del Bambino, un uomo ha motivo di piangere disperatamente al punto di coprirsi il volto? (vedi fig.3a)

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4. Lorenzo Lotto, San Vincenzo Ferrer, 1513, affresco cm. 265 x 166, Recanati, chiesa di San Domenico

Cominciando a profilare i legami già altrove ribaditi tra Firenze e Recanati e il Lotto, nel 1477 Giuliano da Maiano viene inviato da Lorenzo de’ Medici proprio a Recanati per la realizzazione del portale della chiesa di San Domenico, al cui interno si trova un’opera di Lorenzo Lotto, il San Vincenzo Ferrer del 1513 (fig.4). A Firenze esiste una lettera del 9 giugno del 1477 firmata dal card. Venier che testimonia l’evento, ringraziando solennemente Lorenzo il Magnifico per l’artista inviatogli.

Nella primavera del 1481 Botticelli dipinge in affresco l’ Annunciazione  per la loggia dello Spedale di Santa Maria della Scala di Firenze, ove sorgeva la tomba del suo fondatore, Cione Pollini; la loggia venne trasformata in atrio della chiesa nel 1624. Oggi l’affresco staccato si conserva alla Galleria degli Uffizi (figg.5 e 5a); nelle mani morbide e chiare di Maria troviamo per la prima volta una ‘sigla’ che diverrà trama psicologica di più mani nude delle sue Pietà  rispettivamente a Milano e a Monaco e, diversi anni dopo, in Lotto e Pontormo.

5. Sandro Botticelli, Annunciazione, 1481, affresco staccato, cm. 243 x 550, Firenze, Galleria degli Uffizi 5 a, particolare

Nel 1484 Filippino Lippi dipinge per la chiesa della Campora, a Firenze, fuori Porta Romana, oggi pressoché distrutta e territorio della Badia Fiorentina l’Apparizione della Vergine a San Bernardo, un ‘fantastico capriccio’ dove la natura si incastra a diafane figure, morbidi panneggi e “messe a fuoco fiamminghe” ; come “l’albero schiantato, descritto fin nelle minime schegge, che fa da leggìo”  (Argan) (fig.6).

6. Filippino Lippi Apparizione della Vergine a San Bernardo, 1484, tempera grassa (?) su tavola cm. 210 x 195, Firenze, Badia Fiorentina

L’acuta analisi formale e iconografica non viene abbandonata nel più recente studio sulla pittura di Botticelli e Filippino, in cui si fa risalire la derivazione e l’ispirazione del dipinto al ‘Paradiso’ di Dante, in cui San Bernardo spiega al Poeta dove guardare per poter vedere Cristo, che “diffuso era per li occhi  e per la gene/ di benigna letizia”. Bernardo siede in una sorta di nicchia ricavata tra tronchi e verzura, che assume dignità di pensatoio rinascimentale, mentre la pila accatastata di libri alla sua destra di sviluppa verso il cielo in rocce puntute e disarticolate, verso la luce, la luce di Maria.

Si è ben visto in quest’opera “l’obiettivo centrale degli artisti del Rinascimento: la conciliazione fra la cultura antica e i valori cristiani” e anche come sia affermazione di una delle più piene manifestazioni della bellezza (5).

Ma un aspetto non è stato messo a punto: la figura di Maria è affiancata da due angeli adolescenti, inginocchiati, e seguita da altri due angeli adolescenti, che sono come in atto di commentare, o parlare tra di loro. Particolarmente quello di destra si sporge oltre la testa del compagno, quasi a cercare di vedere meglio la scena: una ‘presa di possesso’ della realtà e una tangibilità assolutamente nuova e di grande impatto emotivo. Si ritroverà anni dopo in Raffaello, nella figura laterale a destra nella Disputa del Sacramento del 1509 e in Lotto nel Polittico di Recanati del 1508 (figg.7 e 8)  dove l’artista pone papa Urbano V alla sinistra del trono di Maria, evidentemente in una posizione un po’ scomoda, poiché ha bisogno di sporgersi per poter meglio vedere la scena (fig.8 a).

7.Raffaello, Disputa del Sacramento, 1509, affresco base cm. 770, Città del Vaticano, Stanza della Segnatura
8. Lorenzo Lotto, Polittico di Recanati, 1508, olio su tavola cm. 307 x 242, Recanati (Mc), Pinacoteca civica
Villa Colloredo Mels – 8 a, particolare dello scomparto centrale, cm. 227 x 108

Guillame de Grimonard fu eletto papa nel 1362: l’identificazione si deve al Gentili, per il confronto con la maschera funebre che si conserva ad Avignone. Papa Urbano V riportò a Roma da Avignone la sede pontificia e nei restauri da lui promossi per la celebrazione dell’evento si ricorda la commissione del tabernacolo di San Giovanni in Laterano con la relativa posa delle reliquie dei Santi Pietro e Paolo (6). 

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Lo spazio viene trattato egualmente da Filippino Lippi e Lorenzo Lotto coinvolgendo emotivamente lo spettatore in una sorta di boccascena teatrale.

La prospettiva adottata da Lorenzo Lotto offre una soluzione che prelude a una concezione spaziale ‘prebarocca’ : nella sua Madonna del Rosario  di Cingoli del 1539 saranno gli angioletti a mettersi in relazione con l’ideale spettatore, gettandogli addosso i sacri petali di rose bianche  raccolti in un semplice tino; splendido fotogramma in pittura (figg. 9 e 9a).

9 Lorenzo Lotto, Madonna del Rosario, 1539, olio su tela, cm. 384 x 264, Cingoli (Mc), Pinacoteca
Comunale – sotto 9 a, particolare
fig 9a particolare

Intanto nel 1489 Savonarola fu a Venezia per tentare di separare all’interno l’ordine domenicano, distinguendo i fiorentini dalla Lombardia e tentando di fare leva su Ludovico il Moro.

Intorno al 1495 vengono collocate sia la Pietà che Botticelli dipinse per la chiesa fiorentina di Santa Maria Maggiore oggi conservata a Milano, che quella per la chiesa di San Paolino oggi conservata a Monaco (figg.10 e 11).

10. Sandro Botticelli, Pietà, 1495, tempera su tavola, cm. 107 x 71, Milano, Museo Poldi Pezzoli
11. Sandro Botticelli, Pietà, 1495, tempera su tavola, cm. 140 x 207, Monaco, Alte Pinakothek

Il dramma è trattato con un’assolutezza lirica che è già stata definita protomanierista e che

“dolorosamente anticipa le istanze spirituali che, di li a pochi anni, saranno clamorosamente enunciate, ad Augusta, da Martin Lutero” (Argan).

 La Pietà del Poldi Pezzoli è di grande potenza drammatica, compressa in uno spazio verticale che stringe le figure in una piramide umana il cui vertice coincide con la figura di Nicodemo” (7). La struttura spaziale e compositiva è data dalle figure intrecciate, chiuse negli occhi chiusi; a sinistra una delle Marie si copre il volto con il mantello, lasciando in vista le mani, che diventano ‘sintesi emotiva’ nel dipinto-manifesto della Prima Maniera Fiorentina, cioè la Deposizione di Jacopo Pontormo nella Chiesa di Santa Felicita a Firenze (figg.12 e 12 a).

12. Jacopo Pontormo, Deposizione, 1526, olio su tavola, cm. 313 x 192, Firenze, chiesa di Santa Felicita,
Cappella Capponi – 12 a, particolare

Al di là delle già ravvisate affinità con le opere del Dürer, l’impianto aggrovigliato e piramidale tornerà, molto più tardi, nella Pietà di Lotto ora a Milano, del 1545, straordinaria lirica manierista e vagamente, curiosamente ‘bronziniana’. (fig.13).

13. Lorenzo Lotto, Pietà, 1545, olio su tela, cm. 185 x 150, Milano, Brera

Nel 1499-1500 Botticelli raffigura le Storie di Lucrezia , una tavoletta ora a Boston, pèndant con le Storie di Virginia dipinte per Giovanni Vespucci, dove appare lo stesso gesto in una donna che piange la morte di Lucrezia, sulla destra in secondo piano (figg.14 e 14 a).

14. Sandro Botticelli, Storie di Lucrezia, 1499- 1500, tempera su tavola, cm. 80 x 178, Boston, Isabella
Stewart Gardner Museum –  sotto 14 a, particolare
14 a, particolare

Il gesto di coprirsi il volto, lasciando più o meno le mani in vista, diventa il filo conduttore di queste opere sciolte in temi e fonti diverse. L’opera, secondo la notizia del Vasari, fu realizzata per Giovanni Vespucci intorno al 1499-1500:

fece intorno una camera molti quadri chiusi da ornamenti di noce per ricignimento e spalliera, con molte figure et vivissime et belle”;

qui è il Botticelli che reagisce ‘sofistico’ chiudendosi in un misticismo assoluto e astratto, alla condanna di Savonarola e alla crisi a Firenze. Già in antico l’opera fu vista come intento politico e condanna al governo dispotico; la reazione medicea si ripercuoterà da Firenze a Roma prima con l’elezione al soglio pontificio di papa Giulio II, altro Della Rovere, della stessa famiglia di Sisto IV e successivamente con l’elezione dell’illustre figlio di Lorenzo il Magnifico, Leone X Medici.

La crisi di Firenze è legata in larga parte, com’è stato dimostrato, ai Medici e alla figura di frà Girolamo Savonarola; Botticelli aderisce alle sue istanze nella fase finale della sua poetica e La Calunnia

“incarna questo momento di passaggio (…) di cui era stato partecipe il possibile destinatario Antonio Segni, banchiere della curia papale”.

Dipinto del 1497, manifesta la grande crisi della cultura laurenziana e la nostalgica denuncia del perduto mondo neoplatonico; denuncia la personale adesione dell’artista mediceo per eccellenza alle dottrine del Savonarola (adesione completa solo dopo la morte del frate), denuncia il coinvolgimento del Cronaca, di Baccio da Montelupo e di due membri della famiglia Della Robbia che invece bruciarono i propri lavori nei “ due martedì di carnevale del 1497 e del 1498”, come risulta dalla cronaca del Vasari e che, in abito domenicano, impugnarono le armi per la difesa, purtroppo inutile, del frate ferrarese. (8).

Il ‘secolo mediceo’ si chiude con un’opera-chiave della spiritualità botticelliana: la Madonna con Bambino e San Giovannino del 1500, tela destinata alla privata devozione che, al pari delle Pietà datate al 1495, incarna perfettamente gli anticipi sulla prima ‘linea eccentrica’ pontormesca (fig.15) ;

15. Sandro Botticelli, Madonna con Bambino e San Giovannino, 1500, olio su tela, cm. 134 x 92, Firenze, Galleria Palatina

troviamo la cortina di rose bianche e rose, ricorrenti nelle opere dell’artista fiorentino e che diverranno fondale della Madonna del Rosario  di Lotto a Cingoli (vedi fig.9 a).

Sempre nel 1500 Filippino Lippi dipinge la Pietà per la Chiesa di Santa Maria Maggiore di Firenze, ora a Washington e inaugura un tipo di iconografia intorno all’”Ecce Homo” che verrà sviluppato da Lorenzo Lotto qualche anno dopo, come dimostra l’orientaleggiante Nicodemo, assai poco ‘fiorentino’ nel suo atteggiamento pietoso e diretto verso lo spettatore a sorreggere il corpo esanime di Cristo (figg. 16 e 16 a).

16. Filippino Lippi Pietà, ca 1500, olio su tavola, cm. 19 x 38,4 (totale), Washington, National Gallery of Art e 16 a particolare

E’ solo Lotto nella sua ‘venezianità’ a proporre uomini col turbante che si affacciano improvvisamente alle spalle del soggetto dell’opera, ed è sempre Lotto che dipingerà, pochi anni dopo, un esterrefatto, intensissimo Giuseppe d’Arimatea che sorregge Cristo guardandoci diritto negli occhi, come a ribadire i colpevoli: nella cimasa dello stesso Polittico di Recanati (fig.17).

17. Lorenzo lotto, Polittico di Recanati, 1508, particolare della cimasa raffigurante la Pietà, cm. 80 x 80.

Lorenzo Lotto assimila forme e ideologie attraverso il proprio linguaggio; è ciò che vide già anni or sono il Gentili:

“Lorenzo Lotto non copia, non riproduce, non trascrive: ma taglia e ricuce, decontestualizza e ricontestualizza dettagli a suo piacimento, con frenetico ardore sperimentale”.

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Il Polittico di Recanati  fu incaricato all’esordiente artista dalla Confraternita di San Pietro Martire di Recanati approvata nel 1505, in San Domenico; si tratta di una grande pala d’altare che firmerà nel 1508. Probabilmente già frequentava la città a seguito del padre, mercante, poiché qui aveva luogo uno dei più grandi mercati dello Stato Pontificio (poco dopo, nel 1509, fu a Roma). Con buona probabilità il polittico recanatese non dovette nemmeno essere la sua prima grande opera: si presume che la committenza scelse un artista dal nome non proprio sconosciuto.

La pittura di Lotto ha una ferma linea di contorno, come dimostrano le sue opere, soprattutto giovanili, dove si avverte il debito non soltanto verso le stampe tedesche di Albrecht Dürer (al pari del Pontormo), ma verso le ricerche mantegnesche, verso “le gridate Pietà lasciate da Carlo Crivelli nelle cimase dei polittici marchigiani” (Gentili), e in grande forma verso Giovanni Bellini e Antonello da Messina, rendendo giustizia ai vaghi termini di ‘tonalismo’ e ‘sfumato’ che distinguono, in parte, la pittura veneziana. Nella stessa cimasa della stessa pala appare sulla destra quella che il Gentili ha identificato come Maria di Cleofe nell’atto di coprirsi il volto con il mantello azzurro e tornano le mani nude in evidenza: quelle di Cristo, quella di Giuseppe d’Arimatea, quelle della Maddalena (9).

Il Polittico di Recanati comprende anche una significativa predella, raffigurante la Predica di un monaco domenicano ora conservata al Kunsthistoriches Museum di Vienna (fig.18).

18. Lorenzo Lotto, Polittico di Recanati, 1508, particolare della predella raffigurante la Predica di un monaco domenicano, cm. 24 x 61.

Sempre il Gentili osserva, tra l’altro, l’attualizzazione dell’evento nella piazza di Recanati, di fronte la chiesa di San Domenico (che aveva visto l’intervento di Giuliano da Maiano su incarico di Lorenzo il Magnifico) come “ben riuscita prova del fuoco” a proposito della vittoria sull’eresia, problema particolarmente sentito dall’ordine, mentre il Punzi ritiene che il santo predicatore sia Pietro Martire.

Esiste un parallelismo fra l’interiorità dell’artista e le regole dell’ordine, come ben vide la Mariani Canova:

“(…) la spiritualità domenicana appare appunto caratterizzata da un singolarissimo culto dell’introspezione quale strumento di purificazione e quale via alla conoscenza dell’anima in quanto specchio della divina verità. (…) . E a questo proposito risulta opportuno accennare marginalmente al problema dell’ortodossia di Lorenzo Lotto su cui spesso sono stati insinuati dubbi soprattutto sulla base dei contatti avuti dal maestro con personaggi vicini o ritenuti vicini agli ambienti della riforma. Ora è senz’altro plausibile che il Lotto, nella sua appassionata vocazione alla ricerca interiore, non sia rimasto insensibile ad esperienze che puntavano su una maggiore purezza nella pratica evangelica ma è altrettanto vero che, pur con quegli scarti, quelle ansie, quelle incertezze, quelle aperture al rischio che sono proprie di ogni vero credente, egli dovette mantenersi sempre sulla linea della più schietta ortodossia(10).

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ELEGANZE RAFFINATE

Gli artisti della Maniera

“si servono liberamente, quasi quanto gli artisti medievali, della costruzione arbitraria e delle forme volutamente allungate”;

ma proprio in virtù di questo più che all’uso di “tonalità che agiscono immediatamente più sul sentimento che sull’intelletto(11), si può ravvisare il contrario, dal momento che il Primo Manierismo, come arte di èlite, specie nella sua prima fase, nomina la Pittura a maestra della pittura, lasciando da parte la Natura, invece indagata nei suoi molteplici aspetti dalle ricerche non soltanto artistiche del Quattrocento e del Cinquecento, fino ad arrivare agli interessi per la geologia, l’alchimia, i giochi d’acqua di Francesco I nella sua villa di Pratolino, e non solo. Infatti sarà proprio questo aspetto a mettere in dubbio il ruolo della pittura diventata strumento intellettuale e morale, personale, forte e perciò alla fine condannato senza attenuanti nei parruccosi Discorsi sopra le immagini morali (12).

“Il Primo Manierismo toscano deve aver avuto relazione colla Riforma, ma nei termini di una suggestione culturale e spirituale, senza tuttavia comportare adesioni precise, ne’ finì col svellere dalla loro radice italiana e classica quegli artisti” così come non si può negare “l’esistenza di un rapporto Primo-Manierismo/Riforma, rivelata proprio dal Pontormo (…) senza includere aderenze ortodosse al protestantesimo, all’iconografia luterana, al rigetto della cultura italiana”(13).

La profonda crisi religiosa trova in Firenze il suo centro di aggregazione e la poetica di Pontormo troverà piena attuazione nella sua fase ultima, con i perduti affreschi di San Lorenzo, così come la poetica di Lotto si raccoglierà nelle suggestive, straordinarie tele del Palazzo Apostolico lauretano, pur non potendosi mai annoverare “pittura di maniera”.

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Ciò ha aperto e apre a suggestive e interessantissime ipotesi sugli orientamenti dottrinali di questi artisti, soprattutto di Pontormo, in merito alle sue amicizie, alle sue convinzioni intellettuali nell’ambito dell’Accademia fiorentina sotto Cosimo I e soprattutto in collegamento al catechismo di Juan de Valdés. Il Valdés ritiene infatti che ogni uomo è responsabile del suo dialogo interiore con “las secretas inspiraciones que se atribuyen al spìritu sancto” e che il sapere consiste in una “cognizione segreta… alla quale pervengono le persone per inspiratione” in una “esperienza interiore”, in una “sciencia scabrosa… para conoscer, gustar y sentir a Dios”, in una rivelazione “venida del cielo” concessa magari a donnicciole e ignoranti e invece negata ai sapienti. La fede è il vangelo “que escribe y estampa Dios en los corazones” e che, a differenza del Vecchio Testamento non si fonda sulla legge ma sulla grazia”; da solo infatti, il testo della Sacra Scrittura è debole luce. Infatti “no somos obligados a servir a Dios por la Yglesia, sino a la Yglesia por Dios”. Il Dialogo de doctrina cristiana di Valdés venne stampato ad Alcalà nel 1529 e fu la sua prima e unica opera pubblicata in vita, che lo portò al processo inquisitoriale (14).

L’età di Cosimo I, divenuto signore di Firenze a soli diciassette anni, mostra l’indebolimento e la crisi di una città di fatto ancora in mano agli spagnoli (quando già il papato si era alleato con la Spagna nel 1530): il matrimonio del 1539 con la figlia del vicerè di Napoli Eleonora di Toledo porterà, tra l’altro, alla restituzione delle fortezze di Livorno e di Firenze (qualche anno più tardi, nel 1543), al cambio di residenza con il trasferimento a Palazzo della Signoria, a una serie di ristrutturazioni che trasformarono Firenze (per limitarsi alla realtà della città) in una vera e propria capitale che si mostra attraverso committenze pubbliche piuttosto che nel mecenatismo privato; sono inclusi il Perseo di Benvenuto Cellini e i disegni per gli arazzi nel Salone dei Duecento (15).

Pontormo, come ha ben visto il Firpo, si qualifica come artista indipendente e libero, tanto da subire infine la ben nota damnatio memorie degli affreschi del coro di San Lorenzo: lavora per Ludovico Capponi, come si è già visto, mentre per la famiglia Pinadori, offrì un capolavoro che rimase lirica intonazione isolata nella campagna fiorentina: la Visitazione di Carmignano (16).   Ciò che qui si è voluto ravvisare, un ‘abbraccio tra Firenze e Roma’ resta invece un’ipotesi vaga; limitandoci soltanto al fatto che l’elezione al soglio papale e del figlio di Lorenzo il Magnifico, Leone X e del successore Clemente VII, fiorentini, non riuscirono a rinsaldare le antiche fratture risalenti alla Congiura dei Pazzi del 1487. 

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Le figure di Lotto e Pontormo appaiono curiosamente legate anche da eventi che vanno oltre il comune intento, credo religioso e valore culturale; muoiono entrambi nel 1556, quando il secolo entra nella sua seconda metà, decisiva per il ritorno all’ordine della Controriforma e per la ‘svolta ortodossa’.

Il profilarsi di un lento ma inesorabile disagio interiore che porterà a una frattura più di ordine spirituale che di adattamento alle circostanze storico-politiche, alle quali entrambi dovettero a malincuore piegarsi, è annotato nelle pagine dei rispettivi diari, che guarda caso pochi artisti dell’epoca si presero cura di tenere. Più tecnico, relativo agli impegni di lavoro e intimista quello del Lotto, invece cupo e ipocondriaco quello del Pontormo; artisti colti e introversi, soffrirono i disagi e le oppressioni del tempo, senza riuscire effettivamente a ribellarsi se non attraverso solitarie e accorate pagine personali (17).

Lotto e Pontormo, gli ultimi grandi pittori spirituali del Cinquecento.

Lorenzo Lotto scrive dell’ ’homo’ che

’deve haver gran rispeto de vivere et dubitare de non essere; sicchè io me sottometto facilmente essere corretto’.

E ancora il senso sottile della solitudine, la sua, nel

‘vivere et dubitare de non essere  e nel considerarsi ’solo, senza fidel governo et molto inquieto de la mente’.

Il Pontormo, con intellettualismo tutto fiorentino riferisce a Benedetto Varchi, a proposito della celebre inchiesta, che il proposito dell’arte è sempre quello di superare la natura: si deve

‘ imitare tute le cose che ha fatto la natura, co’ colori, perché le paino esse (e ancora migliorarle) per fare i sua lavori ricchi e pieni di cose varie, faccendo dove accade, come dire, splendori, notte con fuochi e altri lumi simili, aria, nugoli, paesi lontani e dappresso, casamenti con tante varie osservanze di prospettiva, animali di tante sorti, di tanti vari colori e tante altre cose; che è possibile che in una storia che facci vi s’intervenga ciò che fe’ mai la natura, oltre a come io dissi di sopra, migliorarle e co’ l’arte dare loro grazia e accomodarle e comporle dove le stanno meglio’.

Sempre il Pontormo riflette sulla solitudine dell’uomo lasciando una nota che  spicca tra le pagine del suo diario che fobicamente, solo annotano il ritmo dei pasti, solitari o in compagnia di pochi amici, dove spunta drammatica l’affermazione di impotenza di fronte agli eventi, al Superiore, all’incertezza:

’e sto così senza sapere quello che à essere di me’.

Daniela MATTEUCCI  Roma 18 Febbraio 2024

NOTE

1. D. Matteucci, Ercole Ramazzani. L’altro Manierismo marchigiano, Istituto di Studi Piceni, Fano 1994; D. Matteucci, Ercole Ramazzani de la Rocha Aspetti del Manierismo nelle Marche della Controriforma, catalogo della mostra, Marsilio editori, Venezia, luglio 2002.
2. G.C.Argan, Storia dell’Arte Italiana, vol.2, Sansoni, Firenze, 1982, pp. 238-239. Cfr. stesso volume per le citazioni successive.
3. Botticelli e Filippino. L’inquietudine e la grazia nella pittura fiorentina del Quattrocento, catalogo della mostra, Palazzo Strozzi 2004, Skira, Milano 2004, p. 108. Cfr. per citazione al passo dell’inventario di Via Larga.
4. Ibid, p. 108 (Lightbrown, 1978, I, p. 28)
5. Per l’attenta ed esaustiva analisi dell’opera cfr. Botticelli e Filippino, cit, pp. 136- 139 con tutti i riferimenti relativi.
6. A. Gentili, I Giardini di Contemplazione. Lorenzo Lotto 1503- 1512, Venezia 1981, pp. 143 e segg.
7. Botticelli e Filippino, cit., p. 296.
8. Denaro e bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità, catalogo della mostra a cura di L. Segrebondi e T. Parks, catalogo della mostra, Palazzo Strozzi 2012, Giunti, Firenze 2012, p. 237.
9. I Giardini di Contemplazione, cit, p. 141.
10. G. Mariani Canova, Lorenzo Lotto e la spiritualità domenicana, in Lorenzo Lotto, Atti del Convegno Internazionale di Studi per il V Centenario della Nascita, Asolo 1980, pp. 339- 340.
11. A. Blunt, Le Teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manierismo, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1966, p. 116.
12. Impossibile citare anche solo la bibliografia essenziale in merito; ci limitiamo alla segnalazione dei due seguenti testi: G.A. Gilio, Due dialoghi, Camerino 1564 e G. Paleotti, De Imaginibus Sacris, Igolstadt 1594. Si aggiunge la citazione che sancita in chiusura del Concilio tridentino: “D’ora in poi le immagini di Cristo, della Vergine, Madre di Dio, e degli altri Santi si terranno e conserveranno specialmente nelle chiese e si tributerà loro l’onore e la venerazione dovuti, non perché si creda che esse abbiano alcunché di divino o qualche altra virtù per cui si debbano adorare, oppure perché si debba chiedere loro qualcosa o prestar fede alle immagini come un tempo facevano i Gentili, che ponevano la loro speranza negli idoli, ma perché l’onore che si tributa a queste immagini si rivolge a Coloro che rappresentano; cosicchè, attraverso le immagini che baciamo e davanti a cui scopriamo il capo e ci prosterniamo, adoriamo Cristo e veneriamo i Santi, che sono in esse raffigurati. Ciò è quanto è stato sancito nei decreti dei Concili, e soprattutto in quelli del secondo Sinodo di Nicea, in opposizione agli iconoclasti” (Canoni e decreti del Concilio di Trento, Sessione XV, tit. 2; dalla nota a p. 118 del testo di A. Blunt, cit).
13. Si veda il fondamentale studio di M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo.
eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Einaudi 1997. Passi alle pp. 76- 77.
14. Gli affreschi di Pontormo in San Lorenzo, cit, pp. 96- 99. A tal riguardo si sottolinea il ruolo fondamentale della ‘grazia’, che si ritrova anticamente nell’Argan e nel Firpo.
15. Gli affreschi di Pontormo… cit, pp. 298- 299; D. Matteucci, Presenze marchigiane e cultura fiorentina: aspetti della Maniera a Santo Spirito in Sassia di Roma, in “Storia dell’Arte”, n. 88, La Nuova Italia, Firenze, giugno 1997. Per una più completa visione circa l’intento propagandistico dell’arte sotto Cosimo I si veda il recente studio di I. Assimakopoulou, A political interpretacion of Cellini’s bronze relief “The Liberation of Andromeda” presentato al XXXI Congresso Internazionale di Studi Umanistici ‘L’Umanesimo: Europa, Italia, le Marche’, Sassoferrato 30 giugno- 3 luglio 2010.
16. Gli affreschi di Pontormo, cit, p. 80 e relativa nota 39, A.Paolucci, La pittura a Firenze, pp. citate.
17. Lorenzo Lotto, Libro di spese diverse, 1536- 1556, a cura di P. Zampetti, Venezia- Roma 1969. Jacopo Pontormo, Diario fatto nel tempo che dipingeva il coro di San Lorenzo, Gremese editore, Roma 1988.