di Nica FIORI
Foto di Francesca Licordari
La Piazza dei Miracoli
A Pisa ricorre il 900° anniversario della Dedicazione della Cattedrale, intorno alla quale sorsero il Campanile pendente e gli altri spettacolari edifici, denominati da d’Annunzio “Miracoli”
Il 26 settembre 1118 è per Pisa una data dallo straordinario valore simbolico: quel giorno la cattedrale di Santa Maria Assunta venne consacrata da papa Gelasio II. Ricorre in quest’anno pastorale (2017-2018), quindi, il 900° anniversario della sua Dedicazione. La sua fondazione risale invece al 1064, sotto la supervisione del vescovo Guido da Pavia. Per i pisani di quel tempo, l’erezione di un edificio così solenne era un modo per eternare le loro imprese d’oltremare, oltre che per accogliere degnamente la Madre di Dio. Fu proprio il ricchissimo bottino, conseguito a seguito di una vittoriosa spedizione contro i musulmani di Palermo, a finanziare uno dei più importanti cantieri del Medioevo, che portò alla realizzazione di un complesso monumentale senza precedenti. Buscheto, Rainaldo, Guglielmo, Diotisalvi, Bonanno Pisano sono i nomi degli artisti che si alternarono alla guida del cantiere nell’arco di oltre un secolo. E, dopo una lunga pausa, i lavori ripresero per molto tempo ancora. Ben quattro edifici stilisticamente omogenei vennero eretti per creare una piazza di rara bellezza architettonica, che Gabriele d’Annunzio rinominò “Piazza dei Miracoli”.
Un luogo davvero miracoloso, dove “i santi marmi ascendono leggeri, / quasi lungi da te, come se gli echi / li animassero d’anime canore”, sempre secondo il nostro poeta delle Città del Silenzio, tra le quali inserì Pisa.
Se lo si visita nelle mattine nebbiose tipiche dell’autunno o della primavera, il Campo genera nello stupito osservatore un incantamento al quale è difficile sottrarsi. Scrive a tale proposito Maurizio Macale (in Itinerari magici e iniziatici d’Italia): “Dalle sue brume emergerebbero, a metà strada tra l’inquietante ed il fascinoso, il Duomo, il Battistero, il Campanile (la celeberrima torre pendente, nota in tutto il mondo) e il Camposanto, senza dimenticare, un poco all’esterno, l’Ospedale. Tutte costruzioni tra loro collocate in un rapporto tanto particolare da renderle le meridiane di un vasto orologio cosmico”.
Nel passato, in effetti, la fondazione di una cattedrale non avveniva in un luogo qualunque, ma secondo determinati criteri geografici ed astronomici. In questo caso il duomo, il battistero e la porta del campanile riprodurrebbero a terra le posizioni delle stelle alfa, beta e gamma della costellazione di primavera, l’Ariete. Sappiamo che la fondazione del Duomo avvenne il 25 marzo 1064, giorno in cui il sole entrava proprio in tale segno. Ma il 25 marzo ricorre anche l’Annunciazione a Maria, cui è dedicato l’edificio. Per ricordare tale data, era stata aperta una finestra (poi murata in seguito all’incendio del 1595), detta “aurea”, che aveva una funzione astronomica: attraverso di essa, infatti, filtrava la luce del sole al mezzogiorno della ricorrenza della fondazione.
Per il Duomo e gli altri edifici venne scelta un’area al di là della cinta muraria che delimitava la città, forse perché si trovava ad un livello superiore ed era quindi al riparo da possibili inondazioni. Non va dimenticato, infatti, che Pisa si trovava all’epoca sulla foce dell’Arno, non lontano dal mare, che ora dista invece una decina di chilometri. Tuttora, come ha scritto Enzo Carli in Tuttitalia, “non si può capire Pisa senza il suo mare: seduti sui gradini del duomo, dinanzi a quel prato unico al mondo, possiamo avvertire il vento salino che accarezza il nitore dei marmi e sappiamo che più in là l’Arno cerca lento la sua bocca”.
Il duomo fu costruito sul sito di una chiesa più antica. Realizzato quasi del tutto nel calcare bianco e grigio di San Giuliano, in quanto ad imponenza gareggia con gli antichi edifici imperiali, dei quali qua e là ingloba elementi marmorei di scavo. I pisani, infatti, nelle loro spedizioni marittime non si limitavano a far bottino di pietre e metalli preziosi, stoffe e schiavi, ma caricavano le loro navi di marmi istoriati, di urne e di tutte le altre “anticaglie” che trovavano. Pure di epoca romana è il sarcofago strigilato che raccoglie le spoglie di Buscheto, primo architetto del duomo, cui si deve la creazione del nuovo stile romanico-pisano. Uno stile che molto deve alle reminescenze classiche e bizantine dell’ambiente in cui nacque, ma che era suffragato anche da eccezionali conoscenze tecniche.
Una ricca decorazione di archi e archetti caratterizza l’insieme architettonico. Gli archetti a tutto sesto, retti da colonne sottili e slanciate e impreziositi da elementi vegetali e testine, creano delle loggette, che sono indubbiamente la più originale invenzione architettonica dell’edificio.
Del resto la loro fortuna è chiaramente attestata dagli altri principali monumenti della piazza.
Altri motivi decorativi di un certo rilievo sono i rosoni realizzati con tasselli policromi, al di sopra dei portali laterali, e le losanghe di marmo e smalto poste all’interno delle restanti arcate e ripetute lungo tutti i lati.
La pianta dell’edificio, a cinque navate nel corpo principale e a tre navate nei transetti, ricorda quella di alcuni edifici sacri d’oltremare.
E la slanciata cupola ellittica, posta all’intersezione dei due assi, poggia internamente su archi acuti di ispirazione arabo-islamica: ciò che fa apparire come certa una conoscenza dell’edilizia orientale da parte dei suoi costruttori. Viene spontaneo pensare, come per le più celebri cattedrali francesi, a un contatto con i Templari o con altri Ordini gerosolimitani. Del resto proprio a Pisa venne eretta la Chiesa del Santo Sepolcro da parte dei Cavalieri Ospedalieri (l’architetto fu Diotisalvi), con una pianta ottagona che ricalca quella di Gerusalemme. Inoltre sempre a Pisa arrivarono reliquie provenienti dalla Terrasanta: un po’ di terra del Golgota conservata nel Camposanto e la spina della corona di Cristo nella chiesetta gotica sul Lungarno di Santa Maria della Spina.
Nel ricco e sontuoso apparato decorativo del Duomo, figurano anche le decorazioni musive dei catini absidali. Nella navata centrale è collocato il celebre “nuovo pulpito” di Giovanni Pisano (1310) (il vecchio, opera di Guglielmo, venne portato nella Cattedrale di Cagliari).
Capolavoro di Giovanni Pisano, è caratterizzato da una complessità decorativa senza precedenti, tanto che alcuni sostegni sono come privati della loro conformazione architettonica per le numerose figure e statue che vi si aggrappano. Oltre ai tipici leoni stilofori, si notano Profeti e Sibille, le tre Virtù teologali e le quattro cardinali, le raffigurazioni delle Arti liberali, i quattro Evangelisti, San Michele Arcangelo ed Ercole, associato a Cristo per la vittoria sul regno dell’Ade-Inferno.
Un notevole senso del movimento caratterizza la porta di San Ranieri, situata lungo il transetto meridionale: è stata realizzata in bronzo da Bonanno Pisano tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. Le porte principali sulla facciata, che erano considerate il capolavoro dello stesso Bonanno, sono invece andate distrutte durante il disastroso incendio del 1595. A tale sciagura si cercò di porre rimedio con una speciale tassa sul sale che permise di affrontare i restauri, ovvero le ricostruzioni plastiche tardo-manieristiche che, pur assai diverse dall’architettura romanica, si amalgamano con essa armoniosamente.
All’esterno del Duomo, in posizione distanziata, sorge il bellissimo campanile pendente, con un diametro esterno di 20 metri e un’altezza di 58,5 metri. Il corpo cilindrico in muratura, rivestito da conci di calcare di San Giuliano è circondato da sei ordini di loggiati con archi e colonne, che lo rendono particolarmente elegante.
Al suo interno si snoda una scala elicoidale che, con i suoi 293 scalini, permette di arrivare alla cella campanaria. Il problema della pendenza si verificò già in fase costruttiva. È dovuto al terreno di fondazione di tipo sabbioso, particolarmente instabile a causa della presenza di falde acquifere sotterranee. Innumerevoli sono stati gli interventi di correzione, che non sempre hanno dato esiti positivi. Dopo l’ultimo intervento, che sembra aver bloccato il movimento, sono state adottate numerose misure di sicurezza e il campanile è stato restituito ai pisani, e ovviamente a tutti i turisti che vengono apposta nella città per ammirarlo. La torre più famosa del mondo sembra per ora fuori pericolo. Ma non tutti hanno il coraggio di salirvi, perché lassù si rischia di perdere il senso dell’equilibrio.
Il Battistero, a base cilindrica, è il più grande d’Italia (oltre 107 m di circonferenza e un’altezza di quasi 55 m) ed è di una bellezza mozzafiato.
È cinto anch’esso da arcate su colonne, mentre la cupola (sormontata da un cupolino) è coperta da tegoli rossi verso il mare e lastre di piombo verso levante. All’interno otto colonne monolitiche in granito, alternate a quattro pilastri, delimitano lo spazio centrale con il fonte battesimale ottagonale di Guido da Como (1246), fiancheggiato dal pulpito di Nicola Pisano (1260). L’iscrizione “Deotisalvi magister huius opera”, riportata su un pilastro, dichiara la paternità del Battistero.
Quanto al Camposanto, la cui visita richiede molto tempo perché sembra un museo, più che un cimitero (e infatti venne trasformato in museo nell’Ottocento), venne fondato nel 1277 per accogliere i sarcofagi di epoca romana, che si trovavano intorno alla cattedrale, reimpiegati come sepolture dei pisani illustri. Molti monumenti sepolcrali di varie epoche sono indubbiamente notevoli (ci sono sepolti tra gli altri i più importanti docenti dell’Ateneo pisano e membri della famiglia Medici), ma ciò che ci affascina maggiormente sono i meravigliosi affreschi trecenteschi, incentrati sul tema della vita e della morte. Sono stati realizzati da Francesco Traini e Bonamico Buffalmacco.
Quest’ultimo, noto come protagonista di alcune novelle del Boccaccio, ha realizzato un Giudizio universale che sembra mettere spaventosamente in scena alcune visioni dell’Inferno della Commedia dantesca.
L’edificio è incentrato intorno a un grande cortile delimitato da eleganti quadrifore: una sorta di chiostro dove la sacralità e lo splendore sono di casa. Questo luogo, simbolo di serenità ultraterrena, ispirò a d’Annunzio il finale della sua ode dedicata a Pisa: “Forse avverrà che quivi un giorno io rechi / il mio spirito, fuor della tempesta, / a mutar d’ale”.
di Nica FIORI
Le fotografie sono di Francesca Licordari