“Darò l’acqua nel deserto…”. Una Brocca per l’Acqua del XIII secolo dall’Oasi di Kashan.

di Fabrizio FERRARI

Una Brocca per l’Acqua del XIII secolo dall’Oasi di Kashan.

“Ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte vi è nascosto un pozzo”

(Antoine de Saint-Exupery)

La Funzione

L’acqua  è la protagonista di questo nostro viaggio nel deserto. Spinti dall’osservazione dei manufatti utilizzati per trasportarla e conservarla dei quali osserveremo l’arte, l’invenzione e l’ingegno. È l’acqua, infatti, che definisce la funzione pratica e simbolica del versatore qui raffigurato: una brocca in ceramica invetriata, a testa di gallo, prodotta con una particolare tecnica di lavorazione denominata “lajvardina”, tra il XIII ed il XIV secolo, a Kashan, in Iran (antica Persia).

Siamo ai margini dei grandi deserti centrali dell’Iran: Kashan è la prima di una serie di grandi oasi che si incontrano lungo la via che porta da Qom a Kerman. L’acqua, qui, è un bene prezioso, molto prezioso, fonte di vita,  un vero dono per la sopravvivenza

Darò l’acqua nel deserto, fiumi nella steppa, per dar da bere al mio popolo, al mio eletto” Isaia 43, 20.

Acqua e deserto: in questo ambiente così ostile l’ingegno e la creatività dell’uomo hanno saputo sfruttare il profondo contrasto di questi elementi[1] plasmando straordinari manufatti.

E proprio qui, in quest’arido angolo di mondo, nella culla della civiltà preistorica, da sempre e tutt’ora oggetto dell’interesse degli archeologi, sono stati rivenuti straordinari manufatti databili fino al VI millennio a.C.: molti degli oggetti rivenuti raccontano della straordinaria importanza dell’acqua e dell’attenzione dedicata alla cultura del quotidiano.

I più pregiati e rari sono esposti nei più grandi musei del mondo: dal Louvre al Metropolitan Museum di New York, dal Museo Nazionale dell’Iran a Teheran, al Victoria and Albert Museum di Londra.

Disciplinare l’acqua nei giardini dell’Oasi così come preservarla e poterne godere privatamente a tavola o in casa erano simboli di un’evoluzione tecnica e di affermazione sociale, intesa per lo più con toni sacrali. Citata in tanti passi del Corano, l’acqua portava pace nel corpo e nello spirito ed esigeva rispetto: che fosse per bere, per purificarsi, per sopravvivere.

Mentre la nostra brocca, proprio per come formata e decorata, nel rispetto dell’arte figurativa dell’Islam, non è assolutamente considerabile come un oggetto sacro, quanto piuttosto evocativo della vita quotidiana aristocratica del tempo.[2]

Il ruolo dell’acqua in tutte le sue forme e con tutti i suoi nomi: pioggia, rugiada, sorgente, fiume, mare, lago… oasi, è stato e resterà per sempre centrale nella vita dell’uomo: cerchiamo acqua per capire se c’è vita qui sulla Terra o nello Spazio più profondo, usiamo l’acqua nei riti sacri così come nei giochi, temiamo l’acqua e la sua forza devastante, così come romanticamente ci soffermiamo ad osservarne il colore ed il movimento.

Questa brocca è stata pensata, studiata, formata e decorata per assolvere la sua funzione nel modo più alto ed onorevole possibile, quasi sacro; è sì un recipiente, tuttavia non si può prescindere dall’osservarne le raffigurazioni presenti sulla sua superficie per comprenderne a pieno la sua funzione ed il suo ruolo al tempo in cui venne prodotto.

Per quanto oggi appaia prezioso il contenitore, allora lo era sicuramente e ancor di più il suo contenuto.*

Lo Stile

Kashan deriva dalla parola “kashi” che significa “piastrella”: il richiamo alla produzione delle ceramiche è piuttosto evidente.

Nel 1170 d.C. in Iran venne introdotta una tecnica di lavorazione della ceramica chiamata minà-ì[3] il cui colore dominante, sotto invetriatura, era il blu o il verde chiaro e la tavolozza dei colori, utilizzata per le decorazioni, contava sette tipologie, non tutte sempre presenti su ogni manufatto.

Le scene rappresentate si ispiravano per lo più al sacro testo “Shāh-Nāmeh”, il libro dei Rè[4] nel quale è narrata l’epica della creazione del mondo fino alla conquista islamica del VII secolo. Questo libro è così importante dall’essere ricompreso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) nella lista delle “Memorie del Mondo”[5].

Successivamente, come si deduce anche dall’importante pubblicazione “Dated Faiance”[6] di Oliver Watson, con la caduta di Baghdad, nel 1258, dovuta all’invasione dei Mongoli, si apre un nuovo periodo chiamato “Il-Khahids” che perdurerà fino a circa l’anno 1339.

Proprio in questo periodo, riprese la produzione di ceramiche, ma non senza un cambiamento significativo che rifletteva nuovi gusti anche perché, nonostante le tensioni politico sociali, Kashan ha continuato per lungo tempo ad essere il principale centro della ceramica della più alta qualità, insieme a Basra in Iraq e Raqqa in Siria. Le ceramiche in stile mina’i vennero dismesse per lasciare il posto ad una nuova produzione policroma caratterizzata da una combinazione di colori: decorazioni rosse, bianche e nere e doratura delle foglie su uno smalto. E’ il particolare l’utilizzo di smalto blu  che dà il nome a questa nuova produzione detta appunto “lajvardina”, dal “lajvard” in lingua persiana, che significa “lapislazzulo“.

Di questa nuova tecnica vi è traccia anche nel trattato sulle ceramiche scritto da Abu’l Qasim al-Kashani, discendente di una grande stirpe di ceramisti, che, nel 1301, compose un’opera contenente ricette (in particolare per la pasta silicea) e tecniche di decorazione e cottura proprio della ceramica Lajvardina.

La base cromatica dominante per ogni manufatto prodotto diventa il lapislazzulo, posto sotto invetriatura, e poi decorato in nero, rosso o bianco: l’uso dell’oro, che compare sul nostro esemplare, viene adottato per lo più per le raffigurazioni floreali o animali.

Mentre quindi sulle ceramiche Minà-ì venivano dipinte scene di corte e d’amore, nelle Lajvardina il decoro è quasi completamente privo di figure. Solitamente ritroviamo unicamente fiori e piante, disegni astratti geometrici, oltre a qualche animale come uccelli, fenici e pesci, che rivelano l’importante presenza e l’ulteriore penetrazione dei disegni di ispirazione cinese tipici della dinastia Il-Khanid[7]. Tuttavia la nostra brocca si distingue da questo programma decorativo come se vi fosse ancora una influenza della ceramica mina’i.

Il mercato delle Lajvardinia fu florido ed i pezzi realizzati con questa tecnica furono molto richiesti e vennero esportati soprattutto in Egitto, Nord Africa e Spagna.

Proprio in Spagna, l’influenza dell’arte mussulmana attecchì con forza tanto che, intorno al XIV secolo, prese vita la produzione delle ceramiche ispano-moresche anch’esse decorate prevalentemente con motivi geometrici, figure di animali e vegetali, talvolta con iscrizioni, in color oro, blu-cobalto (lajvardina) e rosso-porpora.

FIG.1 Piatto da parata in ceramica Ispano-Moresca con invetriatura “a lustro aureo”, diam. cm.40 Manises, Spagna fine XIV Inizio XV secolo.

Ne è splendido esempio questo piatto da parata tipico della produzione di Manises, Spagna, tra il 1400 ed il 1460 circa

Un esemplare particolarmente simile al nostro è quello del Montreal Museum of Fine Arts che, pur essendo del tutto simili nella forma, dimensione e colorazione, appare assai differente nel decoro.

FIG.2 Lajvardina, Kashan (Iran) Lajvardina, Kashan (Iran) Fine XIII sec inizio XIV sec Fine XIII sec inizio XIV sec H. 30 cm. Diam. 19.5 cm  Coll. Privata Europea
FIG.3 Lajvardina, Kashan (Iran) Lajvardina, Kashan (Iran) Fine XIII sec inizio XIV sec Fine XIII sec inizio XIV sec H.30,2 cm – Dia. 16.1 cm
Coll. Privata Europea

Infatti contrariamente all’esemplare esposto al Montreal Museum che presenta decori vegetali, animali ed altri simboli, in linea con la tipica decorazione del periodo introdotta dalla tecnica lajvardina, nella nostra brocca sono presenti quattro raffigurazioni disposte in modo simmetrico radiale[8], inquadrate in altrettante riserve trapezoidali profilate da un decoro a rombi, ognuna delle quali contiene un cartiglio circolare. Sono i così detti “Piaceri Principeschi”[9] rappresentati da figure evocative della vita quotidiana della corte che comprendeva il cibo, qui raffigurato dall’Orice dalle corna a sciabola, la caccia, rappresentata dal Ghepardo Persiano, il bere, simboleggiato dalla brocca stessa, la musica: ecco il Musico che suona il rebab, ed infine  il Principe.

Addentriamoci quindi tra gli “intrattenimenti principeschi”:

Il Piacere del Cibo ( per il corpo e per l’anima) : l ’orice dalle corna a sciabola.

FIG.4 “Orice dalle corna a sciabola”, decoro sulla Brocca, retro lato sx

L’orice dalle corna a sciabola (Oryx dammah Cretzschmar, 1826) è un rappresentante del genere Oryx, (una specie di antilope) diffuso in passato in tutto il Nordafrica, ma dichiarato estinto in natura nel 2000.

Gli orici dalle corna a sciabola venivano addomesticati nell’antico Egitto e si ritiene che venissero utilizzati sia come fonte di cibo che come vittime da offrire in sacrificio alle divinità. L’utilizzo delle loro pelli, molto richieste per il cuoio da esse ricavato, ebbe inizio nel Medioevo. La leggenda vuole che il mito dell’unicorno abbia avuto origine dall’avvistamento di orici dalle corna a sciabola con un corno spezzato o per il fatto che, se osservato di profilo, può talvolta apparire come avere un solo corno. Sia Aristotele che Plinio il Vecchio consideravano l’orice come «prototipo» dell’unicorno.[10]

Un’altra riserva accoglie la figura di un animale reale, non mitologico, indubbiamente importante ed il cui significato trascende la sua funzione originaria, simbolo anch’esso di sostentamento e di vita, come l’acqua, è nutrimento anche per l’anima in quanto gradito ed offerto agli dei.

Il Piacere della Caccia: il Leopardo Persiano.

FIG.5 “Il Leopardo Persiano”, decoro sulla Brocca, fronte lato dx

Il leopardo persiano (Panthera pardus saxicolor , Pocock, 1927; syn. ciscaucasica), noto anche come leopardo dell’Iran settentrionale o leopardo del Caucaso, è una sottospecie di leopardo comune in Persia ed ha sempre influenzato la cultura del Vicino Oriente. Oggi il suo ambiente è quasi essenzialmente limitato al solo Iran: pur tuttavia nella memoria e nella tradizione locale l’importanza di questo animale è sempre viva, tanto che vi sono diversi luoghi chiamati proprio con il nome persiano Palang-Kuh ovvero la «Montagna del Leopardo»

Gli scritti arabi di zoologia e zoografia redatti tra il IX e il XV sec. rivelano l’atteggiamento fondamentalmente pragmatico dell’uomo dell’Islam medievale nei confronti degli animali. È lo stesso Corano a indicarne lo sfondo: gli animali sono stati creati come segno e ammonimento divino, ma esistono, essenzialmente, in funzione dell’uomo (Sura XVI). Essi gli sono utili come fonte di cibo e di materiali per il vestiario, come l’Orice dalle corna a sciabola, ed altri per il trasporto o i lavori di fatica. Utili sono gli animali da caccia come i rapaci, mentre con il cane sussiste un rapporto ambivalente poiché, se da una parte è considerato utile, dall’altra è ritenuto impuro. Il ghepardo è riservato al Principe e all’aristocrazia[11] .

Il Piacere della Musica: Il Musico che suona il Rebab.

FIG.6 “Il Musico che suona il rebab”, decoro sulla Brocca Fronte lato sx.
Fig.7 Museum of Islamic Art ( Berlin ). Bowl with musician playing a rebab ( ca.1200 ), from Rayy ( Iran ), Inv.Nr I  1506.

Che la figura decorata sul lato frontale sinistro sia un Musico che suona il rebab (lo strumento base della musica classica araba e persiana)[12] è sostenibile anche per quanto raffigurato nella ciotola qui sotto, esposta al Museo dell’Arte Islamica di Berlino.

Tra il IX e il X secolo il teorico persiano Al-Farabi definì il rebab, padre di tutti gli strumenti ad arco,lo strumento che canta” per la sua capacità di imitare la voce umana, il principale modello nell’estetica sonora di tutta la musica prebarocca. Questa vicinanza all’ideale sonoro del canto ha posto gli strumenti ad arco in una posizione di vertice nella gerarchia strumentale della cultura musicale europea tra XII e XVII secolo.[13] Si ritiene che sia il progenitore del violino.

La musica, il suono, il canto richiedono armonia, pace interiore ed esteriore: il musico richiama la simbologia dell’armonia e della distensione, un momento di riflessione e di elevazione dello spirito, di collettività, di raccoglimento.

 Il Principe-

Fig 8

La figura del principe e le sue occupazioni costituiscono uno dei temi principali della rappresentazione figurativa nelle arti dell’Islam, seduto in posizione frontale, a gambe incrociate su un tappeto, aureolato che mostra tutto il suo potere. A seconda degli oggetti che circondano il principe seduto, il significato dell’immagine può variare leggermente. Abbas Daneshvari Professore di Storia dell’Arte dell’Università di stato della California ( Los Angeles) dimostrò che il principe sul trono che regge un ramo ( qui posto alla sua sx) e una coppa ( pare proprio essere tenuta dalla mano dx del principe) si identifica con il sole e l’abbondanza della terra.

Volendo spingersi oltre nel trovare uno o più nessi funzionali interpretativi, come sopra detto, tra la brocca e le raffigurazioni dipinte sulla stessa si potrebbe sostenere, da un lato, che è grazie all’acqua contenuta nella brocca che i Piaceri Principeschi sono possibili ed esistono, piuttosto che, dall’altro, che l’acqua ne sia il centro, il cuore, l’oasi stessa dove tutto prende vita.

La simbologia del versatoio: l’acqua portatile.

Fig. 9

Le radici del significato del versatoio affondano sia nella religione sia nella simbologia poetica. Per evidenti ragioni climatiche l’acqua ha avuto un ruolo prioritario nella cultura mussulmana: l’acqua “portatile” personale e quindi addomesticata, ancora di più.

Anche il Corano prescrive l’abduzione prima della preghiera ed il lavaggio delle mani prima di tante attività quotidiane: l’acqua è purificatrice e, nella lirica persiana, sempre ricca di metafore e personificazioni, il corpo umano è simboleggiato come un versatoio con 5 beccucci, i 5 sensi, contenenti l’acqua della grazia divina. Per tutti questi motivi le raffigurazioni del versatoio e del vaso di fiori sono da considerarsi sineddochi dell’elemento dell’acqua e sono tra i motivi decorativi più diffusi nell’architettura e nell’arte islamica.

Esempio ne è anche questo piatto Iznik prodotto in Turchia nell’ ultimo quarto del VI secolo, “fritta con decorazione policroma e sotto vetrina trasparente” decorato appunto con un versatoio.[14]

Fig.10 Piatto in ceramica decorata Iznik, Turchia,
cm.25,5X4 MIC Museo internazionale delle ceramiche in Faenza, inv. n,6299.

La forma della brocca a “Testa di Gallo”

Fig 11

Sicuramente la produzione di Kashan fu particolarmente prolifica, con migliaia di pezzi prodotti; tuttavia, questa brocca risalta per il suo virtuosismo tecnico-decorativo. Alcune di queste brocche sono state formate con un corpo centrale avvolto da un corpo esterno: se ne conoscono diciannove catalogate da Ernst Grube[15] e sono caratterizzate da una particolarità tecnica assolutamente particolare non presente nella nostra brocca.

Si ritiene che questo tipo di manufatto possa essere rappresentativo di un tipo di produzione tipica della Dinastia Seljuk in Iran durante il XIII sec , appunto in Kashan.

Alcune brocche con la testa di gallo sono pervenute fino a noi e sono esposte al Louvre, al MET di NY, al Musèe des Art Decoratiis di Parigi. La forma dell’oggetto può essere comparato con alcuni modelli prodotti in Cina ai tempi della Dinastia Tang (618-907 d.C) le cui influenze hanno sicuramente intaccato il Centro Asia ed appunto la vicina Persia.

Al Museo delle Arti orientali di Torino è esposta una Brocca con testa di Gallo, fine del 12 secolo inizio del 13, che curiosamente è priva della tipica invetriatura e preparazione a base di lapislazzulo che, come detto, caratterizza le Lajvardina, tuttavia, i brani tematici fanno sempre riferimento al Libro dei Rè (Shahanameh) of Ferdowsi.

Fig 12

I galli sono spesso identificati con il Sole, la Luce contro gli spiriti malvagi, la cresta infuocata è evocativa dei raggi brillanti che con il loro potere donano la vita e scacciano le tenebre. In un viaggio miracoloso, dal Paradiso all’Inferno, il profeta Maometto incontra un enorme gallo bianco che è anche un Angelo. La sua cresta sfiora il piede del trono celestiale di Allah, gli artigli si posano sulla terra e le ali, tanto ampie da avvolgere cielo e terra, sono adornate di smeraldi e di perle. Quando arriva il momento della preghiera, il gallo sbatte le ali e canta “Non esiste altro dio all’infuori di Allah” un canto a cui fanno eco tutti i Galli della Terra[16].*

Un Viaggio nel tempo: la Pantera di Kashan e la Panthère della Maison Cartier.

È recentemente comparso sullo Smithsosian Magazine un affascinante articolo di Sara Kuta, daily correspondent, datato 17 maggio 2022, intitolato

“How Islamic Art Influenced One of Fashion’s Most Famous Jewelers. A new exhibition trace how Middle Eastern patterns and motifs inspired and flued- Cartier”.

L’interessante articolo descrive come l’influenza dei ritrovamenti e le esibizioni d’arte abbiano influenzato Louis J. Cartier, figlio del fondatore della maison, nei colori, nelle forme, nei disegni con caratterizzazioni inseriti nei braccialetti, negli orologi, anelli, etc.

Oggi una mostra creata dal Dallas Museum of Art e dal Museé des Arts Décoratifs di Parigi, in collaborazione con Cartier esamina come l’arte islamica abbia influenzato la casa di gioielli di lusso francese e aiutato Cartier a diventare un nome di riferimento in tutto il mondo.

Ma qual è il nesso? A cosa facciamo riferimento? Al Leopardo Persiano ovvero alla Panthera pardus saxicolor e, quindi, alla Panthère de Cartier.

La figura iconica della Maison Cartier è quindi in qualche modo connesso e al felino dipinto sulla nostra brocca?

Fig.13 Panthera pardus saxicolor

Fu Luis Cartier che sviluppò una particolare attenzione verso la cultura e la moda “orientaleggiante”. Ne è esempio l’incarico che egli conferì al pittore George Barbier, un artista grafico tra i più  famosi illustratori francesi del primo Novecento in stile Art Nouveau, per creare un dipinto ad acquerello da utilizzare come invito ad un’importante mostra di gioielli: nacque, così, la Dame à la Panthèere.

Fig.14 Dame à la Panthère, di George Barbier, 1914

L’immagine ebbe un grande successo e Cartier iniziò ad utilizzare l’immagine della Panthère nella sua comunicazione e nella creazione di gioielli, che, simbolo dell’indomabilità, conquistarono il cuore e la passione di donne famose e dalla spiccata personalità.

In particolare si ritiene che la moda all’orientale venne lanciata in particolare durante una serata mondana, la Fète de la Mille et Deuxième Nuit  tenutasi il 24 giugno del 1911 organizzata nel giardino della residenza dello stilista francese Paul Poiret, che poneva alla base delle sue creazioni le suggestioni provenienti dalla lontana Persia.

L’influenza è, credo, evidente e testimonia il mutare del significato che nei secoli, nei millenni, l’uomo dà alle cose, agli animali, a tutto ciò che lo circonda. A volte anche solo parzialmente. Infatti la pantera che era simbolo di uno dei “Piaceri del Principe” e quindi connessa più alla caccia ed al potere di dominare una forza selvaggia della natura, sia anche oggi una iconografia forte, che attrae e coinvolge chi la osserva e, grazie a Cartier in un certo senso, chi la indossa.

Oggi resta simbolo di ricchezza, di lusso, di esclusività riservato a chi, anche se non principe, è, attratto da questa figura iconica.

*

Infine, abbracciando proprio lo spirito romantico che emozionò Cartier, credo sia piacevole chiudere questo breve scritto provando ad immaginare l’ambiente e l’atmosfera in cui, molto probabilmente, la nostra brocca era collocata.

L’immaginazione, quindi, corre spedita: il pensiero abbandona i temi storico-artistici e si lascia spontaneamente catturare dal miraggio di un ideale contesto dove poter inquadrare la nostra silenziosa protagonista.

È notte nell’Oasi di Kashan, c’è un avvolgente silenzio interrotto solo dal sibilo proveniente dalle Torri del Vento dei palazzi nobiliari. Qui, all’interno di una storica dimora, edificata in autentico stile persiano, spiccano le elaborate decorazioni in stucco, i vetri colorati, gli specchi, le simmetrie perfette degli spazi e delle porte, il tutto in contrasto con l’elegante semplicità dei muri fatti d’argilla e paglia. La forma, il colore, le decorazioni dorate della nostra lajvardina sono illuminate dalla luce fioca di una piccola lampada ad olio, anch’essa in ceramica blu invetriata: come una silenziosa spettatrice serve alla sua funzione e definisce il suo contesto.

Qui essa è indiscussa protagonista e primeggia. I suoi decori, i loro significati, la rendono parte della casa, dei costumi, dei momenti di vita, delle tradizioni e dei riti. È arredo, ma è anche magnifico strumento.

Forse è questo il modo meno alto, ma più vero di osservare la nostra brocca: più che guardarla con atteggiamento effimero nella vetrina del museo dove è esposta, credo appunto valga la pena di provare ad immaginarla nel suo mondo d’origine, là, nel deserto, dove chiunque è costretto a scrollarsi di dosso la superficialità.

 

Fig 19

Fabrizio FERRARI  19 Febbraio 2023

BIBLIOGRAFIA

AA.VV Enciclopedia Catalana. Barcellona 1997
al-Fann Arte della civiltà Islamica -La collezione al-Sabah, Kuwait, Milano 2010
Blair S., Bloom J, The art and architecture of Islam 1250-1800, Yale University Press, 1994;
Bosworth, C. E. Les Dynasties musulmanes, 1996;
Ettinghausen R, Grabar O. Jenkins-Madina M., Islamic Art and Architecture 650–1250, ,2001;
Grube, Ernst J.. – Monographie, Islamic pottery of the eighth to the fifteenth century in the Keir collection London (1976) …
Hattstein M. e Delius P. Arts et civilisations de l’Islam, Colonia, 2000;
Makariou  S., Les Arts de l’Islam au Musée du Louvre, Musée du Louvre e Hazan coedizioni, 2012,
Stierlin H. Islam: de Bagdad à Cordoue, des origines au XIIIe siècle, Taschen, 2002
Sèguy M.R. Pevear R. The Miraculous Journeys of Mahomet: Miraj Nameh, , 1977
Soustiel  J, Ceramica islamica , Friburgo / Parigi, Office du livre (Friburgo) e Dilo (Parigi), coll.  “La guida dell’intenditore”,1985
Vanoli A. Acqua, Islam, e Arte, Goccia a goccia dal cielo cade la vita, Silvana Editoriale, 2019
Cataloghi delle case d’asta: Bonhams- Sotheby’s- Christie’s-Drouot

NOTE

[1] Sono due dei quattro elementi naturali : acqua, terra, aria e fuoco, dal cui equilibrio, secondo la cosmogonia Occidentale e Orientale, dipendeva la vita dell’uomo e la sopravvivenza del cosmo.
[2] Già da anti Il divieto islamico di utilizzare in tavola vasellame di metalli preziosi portò ad aprire un nuovo mercato per le ceramiche di lusso. Ciò consentì alle élite pre-islamiche dei primi imperi persiani di produrre smalti fantasiosi come oggetti in lustro e decorazioni dipinte di alta qualità.  (Ceramica persiana wikitesto)
[3] La ceramica mina’i è un tipo di ceramica persiana sviluppata a Kashan, in Iran, nei decenni precedenti l’invasione mongola della Persia nel 1219, dopo la quale la produzione cessò. È stata descritta come “probabilmente il più lussuoso di tutti i tipi di ceramiche prodotte nelle terre islamiche orientali durante il periodo medievale”. Il corpo di ceramica vitrea o pasta di pietra biancastra era completamente decorato, con dipinti dettagliati che utilizzavano diversi colori, di solito comprese le figure umane.
[4] Scritto dal più celebrato poeta persiano Hakīm Abū l-Qāsim Ferdowsī Tūsī (dal persiano: حکیم ابوالقاسم فردوسی توسی‎; Ṭūs, 940 – Ṭūs, 1020) più noto nella traslitterazione del 1000 d.C.coi nomi Firdūsī, Ferdowsi, o Firdowsi.
[5] Memoria del mondo (in inglese Memory of the World) è un programma dell’UNESCO fondato nel 1992 e volto a censire e salvaguardare il patrimonio documentario dell’umanità dai rischi connessi all’amnesia collettiva, alla negligenza, alle ingiurie del tempo e delle condizioni climatiche, dalla distruzione intenzionale e deliberata. Il programma ha come obiettivi: facilitare la conservazione dei documenti, favorirne l’accesso universale e aumentare la consapevolezza diffusa dell’importanza del patrimonio documentario.
[6]  O.Watson, 1985 and Ettinghausen, “Dated Faience”  e O. Watson, “Persian Lustre Ware, from the 14th to the 19th Centuries,” Le monde iranien et l’Islam, 3, 1975,
[7] Anche nota come Ilkhanid o called Il-Khan, o Ilkhan, la dinastia Mongola che ha governato in Iran dal 1256 to 1335.
[8] Jean Soustiel , Ceramica islamica , Friburgo / Parigi, Office du livre (Friburgo) e Dilo (Parigi), coll.  “La guida dell’intenditore”,1985, 427  pag. ( ISBN  2-7191-0213-X ), sostiene che la maggior parte delle decorazioni delle ceramiche lajvardina sia di tipo radiale.
[9]
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Oryx_dammah
[11] https://www.treccani.it/enciclopedia/la-civilta-islamica-scienze-della-vita-zoologia-zoografia-e-medicina-veterinaria_%28Storia-della-Scienza%29/
[12]  rebab , arabo الرباب o رباب (anche rebap, rabab, rebeb, rababah, al-rababa) è uno strumento ad arco la cui origine si fa ascendere all’Afghanistan, intorno all’VIII secolo e diffuso dagli arabi nel Maghreb, e nel bacino del Mediterraneo. Il rebab è lo strumento dal quale è poi nato il violino, per filiazione dalla medioevale ribeca.
[13] “Lo strumento che canta: dal rebab al violino” – Sette secoli di evoluzione degli strumenti ad arco, Gianfranco Russo, Seminario tenuto al Conservatorio Nicolò Piccinini di Bari, 11-9-21.
[14] Acqua, Islam, e Arte, Goccia a goccia dal cielo cade la vita, Silvana Editoriale, 2019 p.42.
[15] Grube, 1976, n.137, pp.187-188, note 2 and pl. Fronte p.185 de _________
[16] Sèguy M.R. Pevear R. The Miraculous Journeys of Mahomet: Miraj Nameh, pl.9, NY, 1977.