di Nica FIORI
“Ho nella platea del Foro tutto un libro chiuso da leggere, ma occorreranno dodici anni almeno per aprirne le pagine”.
Queste parole dell’architetto e archeologo Giacomo Boni, scritte in una lettera all’indomani del suo mandato di direttore degli scavi al Foro Romano, incarico che ricoprì dal 1898 al 1922 (dal 1907 con la competenza ampliata al Palatino), rendono bene l’immensa mole di lavoro che lo avrebbe impegnato per riportare alla luce tutti quei reperti che noi possiamo ammirare nel museo o Antiquarium forense, da lui concepito e inaugurato nel 1908 nel chiostro del Complesso di Santa Maria Nova (Santa Francesca Romana).
Il Museo del Foro Romano, riaperto lo scorso anno dopo un lungo periodo di ristrutturazione e riallestimento, espone, in particolare, l’insieme delle sculture che decoravano la Fonte di Giuturna (tra cui i Dioscuri affiancati dai loro cavalli, Apollo, Ercole ed Esculapio), il fregio della Basilica Emilia con scene relative alle origini di Roma, materiali del Lapis niger e della Regia e i reperti di molte tombe del sepolcreto arcaico, rinvenuto nei pressi del Tempio di Antonino e Faustina, presentati in modo da ricostruire l’integrità delle singole tombe.
Una quantità impressionante di altri materiali, pure rinvenuti negli importanti scavi otto-novecenteschi, è invece custodita nei depositi del Parco archeologico del Colosseo, attualmente oggetto di un progetto di studio che intende censire, studiare e geolocalizzare tutti i ritrovamenti e che prevede, seguendo la nuova concezione di museo diffuso, un nuovo programma di visite guidate, intitolato “Depositi in mostra”. L’iniziativa, coordinata dall’archeologa Roberta Alteri, consentirà al pubblico di scoprire, ogni venerdì fino a tutto luglio, il patrimonio custodito in tre tabernae sulla via Nova, eccezionalmente aperte per far conoscere reperti che documentano la vita quotidiana nel Foro, non solo in età romana, ma anche in epoche successive.
Nel corso della presentazione la direttrice del Parco Alfonsina Russo ha dichiarato:
“Abbiamo fortemente voluto lanciare questo programma nella convinzione che l’inestimabile ricchezza di beni culturali presenti nel Parco archeologico del Colosseo debba essere condivisa quanto più possibile. Non volevamo lasciare invisibili reperti di grande valore e per questo abbiamo ideato un nuovo allestimento e aperto al pubblico dei luoghi prima inaccessibili. La nostra missione è tutelare e valorizzare questo immenso patrimonio e lo facciamo incessantemente, consapevoli dell’alto valore storico, culturale e identitario che appartiene a tutti e di cui noi siamo custodi temporanei a beneficio delle prossime generazioni”.
Le tabernae che si aprono sulla via Nova (la strada romana così chiamata per distinguerla dalla più antica via Sacra) fanno parte di un’insula (edificio a più piani) che arrivava fino al livello alto del complesso del palazzo imperiale (Domus Tiberiana). Per l’occasione tre di esse sono state oggetto di un importante lavoro di riqualificazione e sistemazione, e attrezzate per eventuali studiosi che vogliono approfondire e studiare a fondo i materiali. Il progetto espositivo, basato su un criterio tematico e cronologico, intende ricostruire i diversi contesti dei preziosi manufatti appartenenti alla collezione storica dell’Antiquarium forense, immagazzinati in occasione della realizzazione del nuovo Museo del Foro Romano nel 2021.
Le tre tabernae sono di fatto tre sale espositive che rappresentano altrettanti momenti fondamentali della città. La prima contiene reperti di età protostorica. Notiamo in particolare gli scheletri delle sepolture relative a una fase precedente alla fondazione di Romolo, quando la necropoli situata presso la via Sacra (vicino al tempio di Antonino e Faustina) era utilizzata dai villaggi limitrofi all’area del Foro, prima che esso diventasse il centro sociale e civile di Roma. Anche in questo caso, come nel museo, i reperti sono esposti dentro tavoli protetti da vetrine, che richiamano le forme tombali, con la massima attenzione a tutte le categorie di materiali ritrovati. Ricordiamo che tra il 1902 e il 1905 furono scavate sotto la direzione di Boni 41 tombe, che documentano le fasi di trasformazione dell’area dal X secolo a.C. (età del Ferro) all’età arcaica dell’Urbe.
La seconda taberna rappresenta l’epoca mediorepubblicana (tra il IV e il II secolo a.C.) e contiene materiali vari, ritrovati nei numerosi pozzi per la captazione dell’acqua che, una volta venuta meno la loro funzione idrica, in quanto soppiantata dagli acquedotti (dei quali quattro sono di età repubblicana), vennero dismessi e riempiti di vari materiali, come è stato anche evidenziato dalla mostra “La Roma della Repubblica” nei Musei Capitolini (fino a settembre 2023), che ho precedentemente recensito in questa rivista.
Tra gli oggetti esposti troviamo le cose più disparate, come alcune anfore, una serie di pesi che probabilmente venivano utilizzati per chiudere i pozzi, numerosi vasi miniaturistici che venivano offerti in dono alle divinità connesse con le acque e altri oggetti rituali, tra cui un elegante incensiere bronzeo con zampe leonine, che reca inciso il nome Theuda, risalente forse al II secolo a.C. Ancora più affascinanti appaiono dei piccoli dadi in osso inseriti in una teca lignea realizzata dallo stesso Boni, gli stili, pure in osso, che venivano usati per scrivere e perfino un calamaio. In una vetrina ci colpisce la statuetta di un attore comico con una vistosa pancia e una Minerva seduta con scudo ed elmo (un probabile ex voto).
Gli oggetti più belli sono delle terrecotte colorate venute alla luce in scavi successivi all’epoca di Boni, presso la Basilica Iulia.
Tra le terrecotte, risalenti agli inizi del V secolo a.C., spiccano due antefisse, una con una figura di Sileno e l’altra, molto più frammentaria, con Iuno Sospita (Giunone propizia). È stato ipotizzato che decorassero il primo Tempio dei Castori, oppure il Tempio di Giunone Sospita che si trovava sul Palatino.
La terza taberna è relativa all’epoca tardoantica e medievale. Comprende i materiali rinvenuti nella Fonte di Giuturna, che era particolarmente venerata dai Romani, perché in quel luogo i due gemelli divini Castore e Polluce avrebbero annunciato a Roma la vittoria dei Romani sui Latini nella battaglia del Lago Regillo (496 o 499 a.C.). E in effetti le statue dei Dioscuri (esposte nel museo) furono ritrovate a pezzi nello scavo. Per le sue proprietà salutari la fonte continuò a essere usata fino all’epoca tardo medievale, quando venne abbandonata e al suo interno venne riversata una quantità di altri materiali, quali brocche, boccali e altri vasi in ceramica, sia invetriata sia comune, esposti in una grande vetrina.
Data l’abbondanza di questi manufatti (alcuni di un bel colore verde oliva, molti altri ambrati), si è pensato al momento del loro rinvenimento a una manifattura per la maiolica invetriata di epoca medievale.
Alcune ceramiche, esposte in un’altra vetrina, sono di epoca successiva (si arriva fino al XIV – XV secolo).
Particolarmente curiosa appare una maiolica con un decoro che riproduce un fallo sormontato da un uccello.
Gli oggetti più appariscenti sono in realtà tre modellini di fontana di epoca romana, in marmo, che erano dedicati alla ninfa Giuturna e che erano pure lì accatastati.
Due, in particolare, hanno decori quali conchiglie, animali e altre figure, che si alternano a un motivo che imita una scala a gradoni.
L’allestimento delle vetrine sulla parete di fronte presenta i materiali rinvenuti nella Basilica Emilia, a nord dell’area centrale del Foro, vicino alla Curia Iulia. La basilica subì vari incendi, come quello sotto l’imperatore Carino nel 283 d.C. Le monete che si erano cementate nel pavimento hanno permesso di datare l’epoca di questo incendio, cui sarebbe seguito quello ancora più distruttivo del 410, nel corso del sacco di Roma di Alarico.
Nella basilica furono ritrovati oggetti che servivano al suo funzionamento in epoca romana (vi si amministrava la giustizia), come pure oggetti relativi alle fasi successive, quando sui suoi resti si installarono abitazioni medievali e alla fine del ‘500 i palazzi del Quartiere Alessandrino (così chiamato dal cardinale Michele Bonelli, che era nato ad Alessandria), palazzi che furono rasi al suolo all’epoca di Boni per poter procedere con gli scavi.
Sono esposti lingotti di piombo e oggetti in ferro che hanno fatto ipotizzare la presenza di un’attività di manifattura di metalli. Ci sono anche reperti come un paiolo e altri oggetti da camino, che fanno riferimento alla vita quotidiana in epoca medievale, mentre un’altra vetrina accoglie i serramenti delle porte, sempre di epoca medievale. Viene quindi documentata una fase della vita nel Foro che evidenzia il cambiamento di funzioni, il passaggio dalla vita pubblica a quella privata.
Per fornire ai visitatori dei “depositi in mostra” un ulteriore approfondimento dei contesti storico-culturali presi in esame, le visite guidate, curate dal personale interno del PArCo, proseguiranno al Museo del Foro Romano con un percorso espositivo che valorizza i risultati degli scavi effettuati da Giacomo Boni. Per ciascun venerdì sono disponibili tre turni di visita – 15:30; 16:30; 17:30 – fino a esaurimento posti (8 posti per turno), per una durata di un’ora e mezza circa. L’accesso è libero previo acquisto di uno dei biglietti di ingresso al Parco archeologico del Colosseo e per i possessori della Membership Card. La prenotazione può essere effettuata al link: https://www.eventbrite.it/e/615513947787
Nica FIORI Roma 23 Aprile 2023
Per maggiori informazioni: https://parcocolosseo.it/press kit/depositi-in-mostra/