di Elena GRADINI
Una sottile seduzione permea le opere dell’artista Benjie Basili Morris, il quale sembra voler affascinare lo spettatore attraverso una serie di opere dal sapore antico, ove predomina una certa epochè – la sospensione temporale – che tanto ha suggestionato i grandi maestri del manierismo italiano ed internazionale. Seguendo infatti l’esempio degli Antichi Maestri, ma con un linguaggio ora del tutto personalizzato e decantato tanto dagli anni degli studi accademici quanto dalla personale reinterpretazione del mondo che lo circonda, Morris riesce ad evocare nei suoi lavori la seduzione fascinosa di un tempo lontano, sospeso.
Una sorta di primigenia età dell’oro abitata da antiche divinità, avvolte nelle loro porpore suadenti, bloccate in pose plastiche dal sapore seduttivo, che comunicano tutta la loro carica attraverso la negazione della parola, bloccate anch’ esse come sono nella loro muta ed altisonante eloquenza.
Ecco dunque svelarsi, nel suo personale boudoir esistenziale, un’eterogenea congerie di volti, corpi, oggetti semantici che fungono da mediatori di certi piaceri estetici dal sapore arcaico ma carichi della loro forza espressiva in grado di assorbire l’attenzione dell’osservatore, quasi solleticandone segretamente le sue passioni più remote, quelle che abitano in certe zone buie dell’inconscio e che l’artista in certo modo, delicato e violento insieme, riesce a far riaffiorare sulla tela.
Nelle sue opere c’è tutto l’antico insegnamento già un tempo appartenuto ai grandi dell’arte occidentale, eppure Benjie riesce con il suo modus operandi silente a creare quelle intime connessioni tra il soggetto osservante e l’oggetto della seduzione, il quale si palesa in tutta la sua eloquenza semantica nel suo spazio rarefatto, avvolto nei velluti che modulano i corpi in morbidi intrecci di luci ed ombre.
Si accendono così le fascinazioni subconscie, che spaziano da certe fiabe d’Oriente sino alle antiche Chansons medievali e in questo universo sospeso al di sotto la soglia della vigile coscienza, un carosello antico di oggetti diviene il connettore tra il nostro mondo reale e quello immaginifico delle seduzioni. Nelle sue opere tutto evoca il senso di un certo proibito diletto, un piacere estetico fine a se stesso e all’idea del bello che intende suscitare, decantato com’è dalle banalità del reale quotidiano. In questa funzione semantica il colore assume un’importanza decisiva poiché scandisce il tempo e il luogo dell’immagine, della sua carica evocativa.
Benjie è l’alchimista incantatore che attraverso una magica e irresistibile attrazione avvia un procedimento per cui ottiene uno stato ipnotico attraverso l’impiego di mezzi suggestivi. In questo modo anche gli oggetti, cosi come gli animali che abitano lo spazio dell’immagine, assolvono la loro funzione speciale; come negli antichi gabinetti rinascimentali dei curiosa abbiamo qui ed ora oggetti-culto dal gusto antropologico che sembrano animare gli stadi più primitivi della religiosità umana in una sorta di animismo estetico-decadente, rivolto in particolare a tutto quell’amalgama di oggetti considerati carichi di potenza sacra nell’ambito dei molti culti a cui l’arte e l’etologia ci hanno abituati.
Altra funzione chiave espletata dalle sue opere è la mise en scene dell’inesorabile scorrere del tempo che tutto trascina, logora, trasforma. Sulla falsariga di questa ondata affettiva tutto diviene l’ombra di un tempo che fu. Così alcuni oggetti dipinti divengono la chiave di accesso per aprire il mondo della memoria, degli affetti impalpabili, della seduzione dei ricordi ammantata ora di certa carica evocativa. Piace pensare di poter cogliere certi memento mori che suscitano in noi un vago languore dal sapore malinconico, neppure tanto legato al ricordo in sé quanto piuttosto alla immutabile consapevolezza del tempo che scorre impietoso e nel suo incedere, apparentemente lento e statico, noi non siamo che tasselli, brandelli esistenziali, imperfetti e incerti dinanzi all’immensità dell’eternità del mondo.
Forse tale è la chiave di lettura interpretativa che l’artista sembra voler suggerirci: attivare il proprio sguardo interiore sul mondo reale, espungendo da questo tutti quei passaggi disturbanti, banali, privi di senso che la quotidianità ci obbliga a sopportare ed elevarci verso il tempo antico, la perduta età dell’oro della conoscenza che si apre alla seduzione del bello e delle sue forme dissolte in certe sfumature estetiche, vaghi diletti dell’anima, ove questa può lasciarsi andare libera dalla contingenza del presente, del tempo avaro e delle sciocche necessità incalzanti per elevare se stessa verso un mondo altro, uno stadio superiore, ammantato di sospensioni, dorate delizie abbaglianti e antichi languori dal fascino seduttivo mai sopito.
Elena GRADINI Roma 8 Ottobre 2022