di Francesco CARACCIOLO
Le nuove attribuzioni
Con questo nuovo contributo intendo presentare dei dipinti, collocabili tra la prima metà del Cinquecento ed il periodo barocco, assolutamente inediti, in quanto essi hanno avuto una fortuna critica pressoché inesistente, pur trattandosi di opere d’arte di un certo rilievo. Attraverso una documentazione fotografica a cura del sottoscritto, ho analizzato opere presenti in contesti religiosi e in ville del territorio vicentino dove abitualmente mi soffermo per le mie ricerche storico-artistiche, culminate nella biografia di Alessandro Maganza, edita nel mese di marzo del 2023. Inoltre, non senza incontrare delle difficoltà dovute allo scarso reperimento di notizie bibliografiche ed archivistiche afferenti a queste opere, mi sono documentato consultando i volumi della Biblioteca Bertoliana di Vicenza, la più prestigiosa del capoluogo berico, che vanta una straordinaria raccolta di testi di storia locale nonché un vasto catalogo di libri sulle principali correnti pittoriche italiane.
Esordisco con la trattazione di una pala d’altare, di ampie dimensioni, custodita nella sagrestia dell’Abbazia di Sant’Agostino, sita a pochi chilometri dal centro urbano di Vicenza: il soggetto del dipinto è la Madonna con il Bambino incoronata dagli angeli tra Santa Maria Maddalena e San Pietro (fig. 1).
La pala, incorniciata da un’elegante cornice dorata, mostra dei colori smaglianti resi ancora più vividi e squillanti grazie ad un recente restauro che ha coinvolto anche gli altri dipinti della sagrestia, quasi tutti del ‘600 tranne la pala sopraindicata; la cromia particolarmente vivace mette in risalto i personaggi sacri che sono disposti simmetricamente ai lati di un evento miracoloso, quasi un’epifania mistica e trascendentale che si materializza nella visione della Vergine Maria incoronata dagli angeli, al centro di una mandorla di luce attorniata da un cerchio di nuvole, che creano ancora di più il distacco rispetto alla realtà terrena. In basso, a sinistra, Maria Maddalena reca un unguentario contenente la mirra, memoria del passo evangelico in cui si narra di come, dopo la Resurrezione, Maria Maddalena si fosse recata al sepolcro per cospargere con oli il corpo di Cristo e l’abbia trovato vuoto: questo particolare tipo di raffigurazione identifica Maddalena come la mirrofora e si tratta di un preciso richiamo alla Resurrezione di Cristo.
Invece a destra, emerge la figura ieratica di san Pietro ( fig.2) con le chiavi in mano: è abbigliato con una veste di color viola e un mantello di un rosso tendente all’arancio, diversamente dalla tradizionale iconografia in cui lo si vede indossare una veste verde o blu e la stola gialla. Persino Maria Maddalena è vestita con colori accesi e tendenti al viola, mentre il mantello appare chiaramente giallo.
Il tutto è avvolto da un’atmosfera vespertina di un paesaggio molto profondo dai colori che virano al ceruleo nel quale vi è la presenza di montagne e, più al centro, di un villaggio arroccato attorno al quale si intravedono altri borghi; emergono persino delle mura con torri e degli specchi d’acqua, una sorta di paesaggio lacustre incastonato da rilievi montuosi che dolcemente digradano verso lo sfondo dai colori sempre più evanescenti e sfumati.
La particolarità di questa meravigliosa pala , di cui se ne ignora la collocazione originaria, è che non si tratta di una sacra conversazione nel senso più tradizionale e canonico del termine – se ci riferiamo alle sacre conversazioni di Giovanni Bellini – ma di un’apparizione quasi estatica e mistica che trae ispirazione dalle immagini incise da Albrect Durer agli inizi del Cinquecento (fig.3);
altra particolarità del dipinto è il paesaggio di matrice nordica in cui compaiono dei castelli e delle fortificazioni che ci rimandano sia alla pittura fiamminga che alle miniature tardogotiche tratte dal libro d’ore dei fratelli de Limbourg (secondo decennio del XV secolo); il dipinto ricorda altresì la stupefacente composizione affollata della Festa del Rosario dello stesso Durer, conservata nelle Gallerie di Praga e risalente al 1506. Tuttavia gli stilemi presenti nel dipinto, in cui non sono estranei dei richiami alla coeva pittura di area bresciana, mostrano un modus operandi di un pittore che prediligeva il disegno nitido e preciso, ma anche la simmetria e un gusto arcaizzante, quasi quattrocentesco, che si arricchisce di un certo linearismo quasi gotico e una linea di contorno memore dello stile del Botticelli.
Propongo il nome di Girolamo dal Toso, originario di Nanto (Vicenza), artista attivo in numerosi cantieri della provincia di Vicenza come pittore di pale d’altare e di affreschi: l’artista, nato probabilmente tra il 1480-90, realizzò degli affreschi oggi perduti per la Cattedrale di Vicenza ma anche una pala d’altare raffigurante la Madonna col Bambino tra le SS. Caterina d’Alessandria e Apollonia, firmata e datata al 1526 (ora presso i Musei civici di Vicenza). L’affinità molto stringente con quest’ultima pala mi consente di pronunciarmi a favore di Girolamo Dal Toso.
Il secondo dipinto è stato scovato , se così si può dire, nei locali della Foresteria di Villa Valmarana ai Nani, famosa per gli affreschi dei Tiepolo, padre e figlio: funge da sovrapporta un piccolo dipinto, un olio su tela, raffigurante la Deposizione nel sepolcro (fig.4), opera assolutamente inedita, che restituisco a Giambattista Maganza il Giovane (1577-1617).
Nel piccolo dipinto, di formato rettangolare e il cui stato di conservazione appare precario, viene mostrata una scena dolente tratta dalle Storie della Passione di Gesù: la Deposizione nel sepolcro scavato nella roccia nei pressi di un orto vicino al Calvario. I personaggi sono cinque e si dispongono nella mezzeria del dipinto sovrastando il sepolcro di pietra sul quale giace il corpo livido ed esangue di Cristo avvolto dal sudario: a sinistra compare San Giovanni Evangelista che indossa una tunica verde con un mantello di un rosso tendente all’arancio; assolutamente in preda alla disperazione la Vergine Maria con le braccia spalancate dal dolore; Maria Maddalena che veglia su Nostro Signore, disteso sopra il sepolcro e più a destra Nicodemo che solleva il lembo del sudario per avvolgere il corpo di Cristo.
C’è da dire che il corpo statuario di Gesù, di cui il martirio non ha assolutamente deformato i tratti nobilissimi delle sue membra, ricorda nella posa il corpo di Gesù scolpito da Michelangelo nella Pietà Vaticana (1498-99). Il secondo elemento che mi fa protendere per un’attribuzione a Giambattista Maganza il Giovane, il più dotato artisticamente tra i figli di Alessandro Maganza, è lo schema compositivo molto rigoroso e manierista che fa sì che la Deposizione Valmarana sia stata effettivamente eseguita negli stessi anni della pala d’altare dello stesso soggetto conservata attualmente nella chiesa di San Marco in San Girolamo, risalente al 1615.
Infine, avviandomi alla conclusione dell’articolo riguardante le nuove attribuzioni, mi preme particolarmente inserire un dipinto (fig. 5), quasi sconosciuto, di forma ottagonale, raffigurante San Gelasio II Papa di Gaeta ( 1060-1119) che io attribuisco al pittore barocco Francesco Maffei (Vicenza, 1605 – Padova, 1660).
Quest’ultimo dipinto, avvolto nel mistero più fitto, è tuttora conservato nella chiesa di San Marco in San Girolamo: fa parte di una serie di sette dipinti provenienti dalla distrutta chiesa di San Bartolomeo a Vicenza, dove erano appesi alle pareti. Esiste un acquerello del 1834 di Bartolomeo Bongiovanni conservato nella Civica Pinacoteca di Vicenza che ritrae l’aspetto dell’interno di San Bartolomeo prima della demolizione avvenuta nel 1838: esso mostra precisamente l’originaria collocazione dei dipinti di forma ottagonale, tra cui quello raffigurante San Gelasio II.
La struttura del dipinto segue un andamento diagonale partendo dagli angeli in alto a sinistra, avvolti in un turbinio delle membra paffute e contorte, fino al libro incendiato in basso, all’estrema destra, mentre al centro appare il santo barbuto che impugna la ferula dotata di una croce a tre braccia ; il santo mostra una postura instabile e poco bilanciata con il volto imperioso che incute timore e riverenza. L’espressività particolarmente accentuata, le pennellate veloci e la composizione particolarmente tormentata denunciano una matrice maffeiana soprattutto del periodo giovanile ancora legata alla bottega vicentina dei Maganza, da cui trasse insegnamenti molto validi prima di intraprendere una fortunata carriera di pittore tra i più notevoli della stagione barocca veneta ed europea.
Francesco CARACCIOLO Vicenza 1 Ottobre 2023