di Nica FIORI
«T’abbia in grazia Minerva, Imperatore. / La caccia come va?» – Goccia il sudore / pe ‘l divin fronte. Con l’estivo ardore / le mosche ricominciano abondare. / Calvo, le gambe povere, ed acceso / in volto, il divo Imperatore, inteso / alla caccia, piú mosche all’ago ha preso, / e pago esclama: – «Questo è un bel cacciare! (…)
Come questi versi di Luigi Pirandello (dalla poesia “La caccia di Domiziano” del 1912) sembrano confermare, dell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.) fino a non molto tempo fa si ricordava maggiormente la sua abitudine maniacale di infilzare le mosche stando solo in una stanza (da cui l’espressione “non c’è neanche una mosca”), riportata da Svetonio, e la sua presunta crudeltà, piuttosto che la sua capacità di organizzatore e di edificatore di grandiose architetture.
La mostra che gli viene dedicata a Roma nella Villa Caffarelli (Musei Capitolini) gli rende finalmente giustizia, facendolo conoscere sotto diversi aspetti, e declinando in particolare nel titolo due sentimenti contrastanti, come l’odio e l’amore, dovuti agli oppositori e agli adulatori del princeps, l’ultimo della dinastia Flavia (comprendente il padre Vespasiano e il fratello Tito).
La mostra “Domiziano imperatore. Odio e amore”, a cura di Claudio Parisi Presicce, Maria Paola Del Moro e Massimiliano Munzi, nasce dalla collaborazione della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con il Rijksmuseum van Oudheden della città di Leiden, ma si differenzia dalla mostra già realizzata nella città olandese, intitolata “God on Earth. Emperor Domitian”, perché ripensata per Roma. Pertanto, alle 58 opere provenienti dalla mostra di Leiden (superiore a quella romana come numero complessivo dei reperti) si sono aggiunti 36 pezzi diversi: si è maggiormente insistito sulle architetture imperiali dell’Urbe, ed emblematicamente l’esposizione inizia proprio in corrispondenza dei resti di un edificio domizianeo, il Tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio, che è stato lussuosamente restaurato da Domiziano dopo l’incendio dell’80 d.C.
Il Sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce ha presentato la figura di Domiziano, evidenziando subito come la giovane età al momento del suo insediamento come imperatore (solo 30 anni contro i 60 di Vespasiano e i 40 di Tito), oltre alla sua esuberanza e cultura, avesse creato un conflitto con la classe senatoria che difendeva lo status quo, mentre l’esercito, al contrario, lo amava, nonostante non fosse un conquistatore.
Domiziano è stato il primo ad aumentare la paga ai soldati e, più degli altri imperatori Flavi, a organizzare riforme urbanistiche che ancora oggi riusciamo a vedere. Egli, pur vissuto per tanto tempo col complesso d’inferiorità nei confronti del fratello Tito, maggiore di dieci anni e portato a esempio in quanto “amore e delizia del genere umano”, ebbe la capacità di immaginare una Roma diversa da quella che lo aveva preceduto.
Ma questa complessa figura di “principe e tiranno” non fu compresa dai contemporanei e successivamente dai posteri, che hanno basato il loro giudizio negativo sulle fonti storiche e letterarie a lui avverse. Svetonio pare non accorgersi che nei suoi 15 anni di regno sia stata portata a termine la conquista della Britannia e indugia invece sul suo sadismo, che diventa addirittura macabro nel caso delle Vestali che avevano mancato ai voti.
Dopo la sua uccisione nel corso di una congiura di palazzo, seguirono la damnatio memoriae, decretata dal Senato, che prevedeva l’erasione del suo nome dalle epigrafi pubbliche e l’abbattimento delle statue che lo ritraevano, e la formazione di una storiografia a lui ostile. Oltre a Svetonio, anche Plinio il Giovane, Tacito, Cassio Dione costruirono l’immagine di un tiranno nel clima di propaganda favorevole alla costruzione del consenso intorno a Traiano, che era invece visto come optimus princeps.
In realtà l’analisi delle fonti materiali, soprattutto epigrafiche, ci restituisce l’immagine di un imperatore attento alla buona amministrazione con la realizzazione, il restauro e la manutenzione di numerose opere pubbliche, vicino alle esigenze dell’esercito e del popolo, devoto agli dei (in particolare a Giove e a Minerva) e riformatore della moralità dei costumi. Anche l’aspirazione a essere definito “dominus et deus”, che riprendeva la tradizione dei sovrani ellenistici, non era poi così netta, anche se da molti ritenuta la motivazione profonda del clima di sospetti, terrore e condanne a morte, sfociato nella congiura nella quale egli perse la vita.
L’immagine dell’imperatore particolarmente crudele, che trovava analogie con Nerone, si affermò nel IV-V secolo d.C. tra gli scrittori pagani e cristiani. Per questi ultimi Domiziano si era macchiato di un’ulteriore colpa: la persecuzione dei cristiani. Secondo le cronache relative alle vite dei santi, l’atto più grave di Domiziano fu l’aver condannato San Giovanni Evangelista ad essere immerso nell’olio bollente (ricordiamo a Roma la chiesetta di San Giovanni in oleo presso Porta Latina) e averlo poi esiliato nell’isola di Patmos. Anche il console Flavio Clemente, che apparteneva alla sua stessa famiglia, venne giustiziato per “impietas” (ateismo), ma in realtà perché cristiano, e sua moglie Flavia Domitilla esiliata. In verità la sua non sembra una persecuzione numericamente paragonabile a quelle di Nerone, di Diocleziano e Galerio, che hanno fatto innumerevoli vittime, e poi sappiamo bene che anche alcuni imperatori considerati “buoni”, come Traiano o Marco Aurelio, hanno infierito sui cristiani.
L’uccisione di Domiziano nel suo palazzo, il cadavere portato via dai becchini in una bara comune (anche se poi la nutrice Fillide lo trasportò nella sua residenza sulla via Latina e in seguito seppellì i suoi resti nella tomba dei Flavi) e l’annullamento dei suoi atti da parte del Senato erano visti dai cristiani come la giusta punizione voluta da Dio. Il destino del suo cadavere fu un tema ricorrente nel Medioevo. Si arrivò anche a costruire una nuova storia della morte dell’imperatore, inseguito dai congiurati perché lebbroso e annegato nel Tevere.
La mostra propone la visione di capolavori scultorei, frammenti architettonici e oggetti di lusso, provenienti dai più importanti musei internazionali e da quelli romani, compresi i depositi comunali con le loro opere di norma non esposte al pubblico. Di grande effetto sono i plastici dei principali monumenti dell’età Flavia, tra cui lo Stadio di Domiziano, il Colosseo, il Tempio di Giove Capitolino, l’Arco di Tito, l’area dei Fori Imperiali, comprendente il Foro di Nerva, che in realtà è stato eretto da Domiziano, come risulta dai bolli laterizi.
All’area delle pendici del Quirinale è stato dedicato un video immersivo. Scopriamo così che la rimozione della sella tra il Quirinale e il Campidoglio, realizzata per far spazio al Foro di Traiano, faceva parte del più grande progetto urbanistico della Roma antica, iniziato da Domiziano.
Il percorso espositivo è articolato in 15 sale e suddiviso in cinque grandi tematiche: Domiziano, imperatore e caro agli dei; l’esaltazione della gens Flavia e la propaganda dinastica; i luoghi privati di Domiziano, dalla casa natale sul Quirinale al palazzo imperiale sul Palatino e alla villa di Albano; l’intensa attività costruttiva a Roma; l’impero protetto dall’esercito e retto dalla buona amministrazione.
La prima opera che accoglie i visitatori è il ritratto di Domiziano dell’Esquilino, conservato nei Musei Capitolini, che, emblematicamente separato in due parti, è diventato l’immagine guida della mostra.
Altri ritratti dell’imperatore sono presenti nel percorso, evidenziando l’evoluzione della sua iconografia nel tempo, ma certo non sono molti a causa della sua damnatio. Quello proveniente da Ostia antica lo ritrae molto giovane con bei capelli riccioluti, mentre in seguito l’incipiente calvizie gli avrebbe dato fastidio, “tanto che giudicava un’offesa personale se veniva rinfacciata a qualche altro o per scherzo o per fottitura”, come ci fa sapere Svetonio (Vita di Domiziano, XIX).
Ovviamente sono pure rappresentati i componenti della famiglia dell’imperatore: il padre Vespasiano e il fratello Tito, nonché le due Auguste Domizia Longina, moglie di Domiziano, e Giulia, figlia di Tito e amante di Domiziano (e pensare che Tito gliel’aveva proposta come moglie, ma lui l’aveva rifiutata, salvo poi farne la sua amante quando lei era già sposata a un altro).
Le ricercate acconciature delle due donne sono emulate dalle dame di età flavia e sono quindi l’occasione per proporre una carrellata di ritratti femminili, tra i quali primeggia il cosiddetto “Busto Fonseca”.
Domiziano non ebbe eredi, in quanto l’unico figlio avuto da Domizia morì in giovanissima età; pertanto nella prima sala, dedicata alla caducità della vita, vi sono alcuni ritratti infantili, allusivi all’imperatore e al figlioletto morto prematuramente, e la vetrina “del tempo della vita”, comprendente otto oggetti-simbolo dei momenti cruciali della vita dell’imperatore, a partire dalla “bulla” in oro (un gioiello che i fanciulli portavano al collo fino al raggiungimento dell’età adulta), per finire con il pugnale che lo avrebbe ucciso. Tra questi oggetti particolarmente affascinante appare il cammeo in calcedonio con l’imperatrice Domizia trasportata da un pavone (animale sacro a Giunone), proveniente dal British Museum di Londra, mentre un aureo dell’82-83 d.C. è relativo alla stessa Domizia definita “Mater Divi Caesaris”, ovvero madre del figlio divinizzato di Domiziano (il primo esempio di divinizzazione di un bambino nella storia romana).
I frammenti di affreschi del I secolo d.C., esposti nella stessa sala, provengono da una domus di via Genova, nella zona del Quirinale caratterizzata da dimore aristocratiche, dove Domiziano, come ricorda Svetonio, era nato presso il melograno (ad Malum Punicum).
Ed è proprio su quel colle, presso la casa natale, che egli eresse il tempio della gens Flavia, per seppellirvi il padre e il fratello, in continuità con il Mausoleo di Augusto, ma anche in contrapposizione, perché per la prima volta venivano deposti imperatori divinizzati entro il pomerio. Il monumento, che verrà distrutto dalla costruzione delle Terme di Diocleziano, è stato localizzato nell’area tra la chiesa di San Bernardo e l’Aula Ottagona delle Terme. Al complesso sono stati riferiti i rilievi detti del “Dono Hartwig”, cinque dei quali sono in mostra, e la testa colossale di Tito, rinvenuti nelle vicinanze. I rilievi esposti dovevano decorare l’arco di ingresso al tempio, o forse un grande altare.
La testa di Tito attesta il culto dell’imperatore divinizzato e torna a Roma per la prima volta, dopo che nell’Ottocento era stata ceduta al Museo archeologico di Napoli.
Dal suo gigantesco volto promana una grande potenza espressiva, così che appare giusta la sua sistemazione in corrispondenza della sala dedicata all’Anfiteatro Flavio, che Tito aveva inaugurato con le venationes, ovvero le cacce dove trovarono la morte migliaia di bestie feroci, provenienti dai più lontani paesi dell’Impero. Nella stessa sala è esposto l’importante Rilievo degli Haterii (prestato dai Musei Vaticani), interessante per una sequenza di edifici romani di età flavia, tra cui il Colosseo non ancora terminato e l’arco d’ingresso all’Iseo Campense (vi si legge Arcus ad Isis).
Proprio nell’Iseo Campense (che prende il nome dal Campo Marzio) Domiziano aveva collocato l’obelisco, poi trasportato nel Circo di Massenzio e che attualmente ammiriamo a piazza Navona nella splendida fontana berniniana dei Quattro Fiumi. Solo nell’Ottocento, dopo la corretta lettura dei geroglifici dell’obelisco, è stato possibile capire che l’iscrizione era di epoca romana e portava nel cartiglio faraonico il nome di Domiziano. Evidentemente il suo nome non era stato abraso nella damnatio e per uno strano scherzo del destino il manufatto era andato ad occupare proprio la piazza sorta sullo Stadio di Domiziano.
Lo stadio, dove si tenevano le gare di atletica, era arricchito da riproduzioni marmoree di originali greci di atleti e divinità. In mostra viene esposto un torso relativo al capolavoro di Lisippo raffigurante Ermes che si slaccia il sandalo. E, a ricordare le gare di poesia, che si tenevano nel vicino Odeon, troviamo la copia del monumento sepolcrale del giovinetto Quinto Sulpicio Massimo, che aveva partecipato a un agone poetico indetto da Domiziano e i cui versi in latino e greco sono riportati nella stessa tomba.
L’esaltazione della gens Flavia avvenne anche con l’erezione di ben due archi intitolati al fratello, quello al Circo Massimo e quello, pervenuto sostanzialmente integro, sulla via Sacra. Anche il tempio del Divo Vespasiano, sotto il Campidoglio, venne portato a termine da Domiziano. Anche in questo caso il lusso e la monumentalità erano di casa, come testimoniato dalla gigantesca testa di Vespasiano, esposta nella mostra.
Tra le costruzioni private di Domiziano si ricordano le ville fuori Roma, in particolare quella di Castel Gandolfo, che domina il lago di Albano e quella sul lago di Paola, nelle quali praticava l’otium letterario e la caccia con l’arco, e soprattutto il palazzo imperiale sul Palatino, opera dell’architetto Rabirio. Come spiegato nel relativo pannello didattico, era questo il luogo dove l’imperatore appariva come dominus e dove l’opulenza e il lusso flavio maggiormente si esprimono, grazie a nuovi linguaggi architettonici e decorativi, che ricorrono al massiccio impiego di marmi colorati, tra cui il proconnesio, l’africano e il giallo antico. Significativa del lusso di età domizianea è la vetrina con piccoli oggetti, quali uno specchio in argento firmato da Euporos (proveniente dal Badisches Landesmuseum di Karlsruhe), che presenta l’imperatore con un’immaginetta di Minerva in assetto di guerra, o il ritrattino in nudità eroica che nasce da un cespo di acanto (dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen).
Nella sezione “Fuori da Roma, fuori dai confini”, introdotta dalla pianta dell’Impero, sono affrontati il rapporto di Domiziano con l’esercito e l’attività edilizia e monumentale nelle città e nei territori imperiali, a conferma di una coesione non solo militare, ma anche sociale nell’arco del suo principato.
La mostra è assolutamente consigliabile, perché storicamente valida e ben allestita, con opere marmoree giustamente valorizzate dalla collocazione scenografica su sfondi in azzurro e oro (i due colori scelti per simboleggiare i due aspetti contrastanti del suo principato), ma senza eccessi.ù
Nica FIORI Roma 17 Luglio 2022
“Domiziano imperatore. Odio e amore”
Musei Capitolini – Villa Caffarelli, via di Villa Caffarelli, Roma
Dal 13 luglio 2022 al 29 gennaio 2023
Orario: tutti i giorni dalle 9,30 alle 19,30 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura)
Info: tel. 060608
www.zetema.it; www.museicapitolini.org; www.museiincomune.it