di Alessandra IMBELLONE
DON’T MISS IT! STILL ON MIKHAILOV’S UKRAINIAN DIARY
Porte aperte fino al 28 gennaio 2024 alla mostra Boris Mikhailov: Ukrainian Diary (Roma, Palazzo delle Esposizioni, dal 10 ottobre 2023), la più ampia retrospettiva dedicata in Italia all’ucraino Boris Mikhailov, uno dei maggiori artisti contemporanei dell’Europa dell’Est.
Curata da Laurie Hurwitz in stretta collaborazione con lo stesso Mikhailov e sua moglie Vita, la mostra ripropone a Roma quella tenutasi alla Maison de la Photographie di Parigi con l’aggiunta di un gruppo d’istantanee scattate nell’Urbe nel 2002 e di una video-intervista all’autore girata da Federico Del Prete (2005).
La rassegna riunisce più di 800 immagini, selezionate da circa venti delle serie storiche più importanti realizzate tra il 1965 e gli anni Duemila. È un’occasione da non perdere per approfondire la conoscenza dell’opera dell’artista, fotografo autodidatta e dissidente oggi attivo fra Berlino e l’Ucraina, vincitore di premi prestigiosi e acclamato fra le figure di spicco della scena internazionale.
Nato a Kharkiv nel 1938 da madre ebrea, Mikhailov si laureò in ingegneria e fu impiegato in una fabbrica statale. A metà degli anni ’60 i suoi superiori gli affidarono una macchina fotografica con l’incarico di realizzare un reportage sulla vita della fabbrica. Lui scattò anche dei nudi della moglie, che furono però rinvenuti in un’ispezione del KGB, causando il suo licenziamento. Da allora si dedicò a tempo pieno alla fotografia, lavorando per il mercato nero ed esponendo nelle cosiddette “cucine dissidenti”, mostre clandestine organizzate in abitazioni private. Sotto costante sorveglianza, Mikhailov fu perseguitato e vessato per le sue fotografie non allineate all’estetica sovietica; le sue macchine e i rullini vennero più volte distrutti.
Le serie create quando l’Ucraina faceva parte dell’Unione Sovietica, Red, 1968-75; Luriki (Coloured Soviet Portraits), 1971-85; Sots Art, 1975-86; Salt Lake, 1986, mettono in luce con umorismo le contraddizioni di un’epoca che voleva presentarsi come granitica. I corpi massicci delle ginnaste o delle bagnanti fotografate di nascosto su un lago salato nel sud dell’Ucraina rivelano il lato grottesco del socialismo reale e delle immagini da questo prodotte. Gli scatti di matrimoni, poliziotti in divisa, adunate di partito e parate militari, così come i ritratti composti secondo l’iconografia ufficiale della propaganda sovietica, furono colorati a mano da Mikhailov con colori sgargianti; un’operazione che cambia di fatto il significato delle immagini, che, desacralizzate, vengono ad assumere lo status di icone kitsch.
“Colorare a mano le fotografie come fanno i bambini – dichiara l’artista – era, così come tutta la fotografia dissidente sovietica, un modo per mettere in discussione, per delegittimare le immagini che ci arrivavano dalla televisione e dagli schermi cinematografici, da ogni dove”.
By the ground (1991) e altre serie realizzate durante e dopo la dissoluzione dell’U.R.S.S. e la riconquistata indipendenza dell’Ucraina, documentano la fine del comunismo e la nuova povertà venutasi a creare con il passaggio a una società capitalista, facendo luce sulle origini della guerra tutt’oggi in corso. At Dusk (1993), ad esempio, riunisce una serie di fotografie scattate con la macchina allacciata alla vita e impostata su un obiettivo panoramico ai poveri di Kharkiv, sdraiati a terra o in fila per il cibo. Le stampe sono poi state colorate a mano in blu cobalto, il colore del crepuscolo, legato per sempre a un episodio traumatico dell’infanzia di Mikhailov, quando, durante la Seconda Guerra mondiale, all’età di tre anni dovette fuggire con la madre dalla città prima che i nazisti vi entrassero.
“Il blu per me è il colore dell’assedio, della fame e della guerra”, ricorda.
Case History (1997-98) è un ritratto ancor più crudo e devastante dei diseredati della sua città natale, rimasti senza casa nella nuova società capitalista, in preda al freddo, alla povertà e alla disperazione, condizioni che rendono tragica la provocazione del nudo e dell’erotismo. “Ho notato delle ombre passare per la strada: erano i senzatetto e aumentavano di continuo. Rimasi scioccato. Mi venne in mente di dedicare un requiem a questi uomini e donne che stavano morendo; di fotografarli come se stessero andando alla camera a gas […] Ho ritenuto che fotografare queste persone fosse una mia responsabilità sociale”, dichiara l’artista, che pagò i soggetti per farsi immortalare e spesso se li portò a casa per offrire loro un pasto o un bagno caldo.
L’ironia dissacrante di Mikhailov tocca l’apice con National Hero (1991) e I am not I (1992). In National Hero si autoritrae nell’uniforme militare sovietica, decorata però con i ricami tradizionali ucraini al posto delle mostrine, e ancora una volta dipinge le fotografie, creando immagini dall’ambiguità disturbante come quella dallo sfondo rosa confetto che è stata scelta per la locandina della mostra[1].
In I am not I va oltre: si autoritrae nudo con una parrucca, in varie pose plastiche, mentre gioca con un clistere, con una spada o con un fallo artificiale, che brandisce e posiziona a suo piacimento, sul naso, in un occhio, a mo’ di corno o di coda, con un’ironia irresistibile che sfida ogni tabù, non solo le proibizioni e gli ideali estetici della ex dittatura sovietica ma anche le categorie consumistiche e le inibizioni delle benpensanti democrazie occidentali.
“Il Paese stava cambiando – ricorda Mikhailov –. Se nell’era sovietica sapevamo chi erano gli eroi, ora la idea stessa di eroe era stata spazzata via. Non rimaneva, quindi, che un antieroe”.
La vetta nell’arte della manipolazione delle immagini è raggiunta in Yesterday’s Sandwich, una serie di diapositive sovrapposte realizzate fra il 1965 e il 1975, che Mikhailov proietta dal 1973 con in sottofondo The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Colpito dalla strana immagine risultante da due diapositive che si erano incollate casualmente fra di loro, l’artista ucraino ha sperimentato la sovrapposizione come metodo di lavoro, ottenendo immagini nuove e metaforiche “che riflettevano il dualismo e le contraddizioni della società sovietica” e alludevano a temi proibiti quali la politica, la religione, la nudità.
Anche qui Mikailov ha creato a tutti gli effetti una nuova estetica, stranamente vicina al lirismo lisergico della sperimentazione condotta negli stessi anni dal gruppo musicale britannico e in particolare al loro ottavo album, The Dark Side of the Moon, che poneva l’accento sui significati nascosti e gli aspetti che sfuggono al controllo razionale dell’animo umano.
Alessandra IMBELLONE Roma 7 Gennaio 2024
NOTA