redazione
La notizia della conferma che fu Raffaello a dipingere le due figure della Giustizia e dell’Amicizia nella Sala di Costantino ha provocato un grande clamore nel campo degli addetti ai lavori e degli amanti delle belle arti. Si tratta in effetti di una scoperta notevole che tra l’altro, considerato il rilievo filologico e artistico delle due opere, peraltro realizzate con una tecnica molto particolare rispetto agli standard del genio urbinate, potrebbe comportare anche una rivisitazione di alcuni giudizi consolidati circa le caratteristiche esecutive e non solo ritenute tipiche. Abbiamo perciò sentito a questo riguardo, oltre a quello di Paolo Violini, il parere di due tra i massimi esperti italiani ed internazionali, autori di una ponderosa bilbiografia sulla figura e l’opera di Raffaello Claudio Strinati e Alessandro Zuccari (vedi gli articoli a seguire),e dunque assolutanente accreditati a fornire un proprio punto di vista, che sentitamente ringraziamo per aver accettato la nostra richiesta.
Giustizia e Amicizia: le due figure sono di Raffaello
Doveva essere l’anno di Raffaello ma certamente il 2020 non sarà ricordato per questo. Tuttavia le due ultime scoperte veramente clamorose, emerse nella Sala di Costantino e ritenute del grande urbinate in una qualche misura attenuano la delusione per le mancate iniziative già programmate e che avrebbero ricordato nel modo più efficace il Cinquecentenario della scomparsa dell’artista.
La possibilità che Raffaello fosse l’autore della Giustizia e dell’Amicizia si era avanzata già qualche tempo fa, dopo l’inizio dei lavori di restauro degli affreschi nelle Sale vaticane, ma oggi la conferma dell’attribuzione prorompe come un vero e proprio raggio di luce in un anno drammatico, che si prevedeva avrebbe rilanciato e rinverdito la fama già di per sé eccezionale del “divin pittore” con la grande esposizione delle Scuderie del Quirinale, interdetta per i noti motivi, come tutte le iniziative museali, e che riprenderà in modo limitato solo ai primi di giugno, quando è anche prevista la riapertura dei Musei Vaticani, così che anche il pubblico potrà rendersi conto della straordinaria qualità delle due figure, Iustitia e Comitas. Perché, a quanto pare, che le due immagini le abbia dipinte Raffaello di sua mano ci sono pochi dubbi.
Paolo Violini è uno dei restauratore dei Musei Vaticani; ha alle spalle decenni di lavori ad altissimo livello e di grandissimo rilievo; la grande esperienza maturata nel campo del restauro lo rende uno dei più competenti operatori del settore oltre che ricercatore e studioso delle tecniche diagnostiche. Sui lavori di restauro, iniziati nel marzo del 2015 che ha potuto osservare dal vivo – e che hanno visto all’opera altri specialisti del Laboratorio di Restauro guidato da Francesca Persegati, coordinati da Fabio Piacentini e diretti da Guido Cornini, ci ha detto senza riuscire a trattenere ancora una qualche emozione: ”Bisognava vederle, la differenza di qualità saltava agli occhi; mi dicevo di continuo ‘è Raffaello, è Raffaello’ e in effetti non penso ci siano dubbi; lo stile, la stesura, la partitura dei colori, l’incommensurabile grazia : Giustizia ed Amicizia non possono che essere di Raffaello; Giulio Romano, certamente grande artista, non poteva però sostenere quel linguaggio”.
E’ ben noto agli studiosi come Raffaello ottenne, al culmine della sua carriera, sul finire del 1518 da papa Leone X Medici la commissione di dipingere l’Aula Pontificorum Superior vale a dire la più grande Sala di rappresentanza del papa, al secondo piano del Palazzo Apostolico, destinata a ricevere le più alte autorità; è altrettanto noto come all’origine dei lavori, iniziati nel 1508, che porteranno il grande Urbinate a realizzare la ben note Stanze Vaticane, ci fu il rifiuto, da parte dell’allora Pontefice, Giulio II Della Rovere, di stabilirsi negli appartamenti appartenuti a Alessandro VI Borgia, suo predecessore nonché suo nemico giurato. E proprio accanto all’appartamento di Giulio II è situata l’Aula Pontificorum Superior, meglio nota come il Salone di Costantino, perché in effetti l’artista aveva ideato di realizzare una serie di opere a muro che dovevano testimoniare il percorso storico della vita dell’Imperatore che aprì al Cristianesimo (Editto di Costantino 313 dC).
A partire dalla famosa “Adlocutio” (o Visione della Croce) per poi proseguire con la Vittoria su Massenzio (la ben nota Battaglia di Ponte Milvio), proseguendo con il Battesimo di Costantino per finire con la Donazione di Roma: in sostanza l’avvento della Roma cristiana dopo quella pagana come fosse una sorta di trasferimento di autorità, in un percorso di eccezionale rilievo storico religioso progettato tramite una serie di finti arazzi celebrativi del trionfo della Chiesa cattolica, che avrebbe però lasciato a metà a causa della improvvisa scomparsa nel 1520. Saranno poi Giovan Francesco Penni e Giulio Romano a completare i lavori, il primo intervenne nel Battesimo di Costantino e l’altro nei successivi tre (ma su questo le ipotesi degli esperti sono discordanti).
Si sa però che già il Vasari aveva scritto di due figure fatte dalla mano di Raffaello, accennando peraltro al fatto che nella sala di Costantino “le invenzioni e gli schizzi delle istorie venissero da Raffaello” e inoltre sottolineando un particolare non trascurabile concernente la tecnica esecutiva, ossia che i due stretti seguaci dell’Urbinate all’inizio “ordinarono di mistura per farla in muro ad olio ma poi non riuscendo si deliberarono di gettarla per terra e dipignerla in fresco” (Vita di Giulio Romano, in le Vite de’ più eccellenti … a cura di L. Bellosi e A. Rossi, p. 830).
Raffaello ebbe ad utilizzare per le due figure della Giustizia – a destra della Battaglia di Ponte Milvio– e della Amicizia – a destra della Adlocutio di Costantino- effettivamente una tecnica davvero particolare. E’ ancora Paolo Violini che ci chiarisce:
”Colpisce in modo particolare il fatto di rendersi conto di come avesse lavorato; infatti se è vero che non era ignoto che due figure fossero dipinte ad olio non si conosceva però come e soprattutto su cosa fossero state realizzate, cioè su quale supporto. Solo il restauro e le indagini compiute dai nostri colleghi hanno potuto chiarire che il supporto era di tipo resinoso, un agglomerato a base di colofonia, quasi che l’artista avesse avuto intenzione di realizzare una sorta di “tavola”, un supporto compatto e levigato su cui poter operare al meglio, ottenendo la migliore resa del colore ad olio, sicuramente più compatibile con quel tipo di materia piuttosto che con l’intonaco tradizionale. Tant’è vero che la dimostrazione di questo suo intento è stata la scoperta basilare al di sotto della superficie pittorica, così come in tutta la parete dell’Adlocutio, e in misura minore anche in quella della Battaglia, di una serie impressionante di chiodi che dovevano assicurare un adeguato e sicuro ancoraggio al muro di questo insolito agglomerato resinoso”.
Fin qui la vicenda; è auspicabile che si possa ridefinire al più presto una data plausibile per il convegno internazionale già previsto per la fine di aprile e rinviato.
P d L Roma 24 maggio 2020