di Pierluigi CAROFANO
Si è inaugurata a Terni lo scorso 26 Ottobre, presso la Fondazione Carit, Palazzo Montani Leoni, la mostra “Dramma e passione. Da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi”, curata da Pierlugi Carofano, che terminerà l’8 Gennaio 2023. Ringraziamo il prof. Carofano per aver concesso ad About Art la pubblicazione dell’estratto della sua Introduzione che fornisce le coordinate e gli scopi dell’evento.
Vorrei cominciare con una provocazione: siamo veramente certi che la produzione drammatica e profondamente realistica di Caravaggio soggiaccia allo svolgersi dell’intera pittura italiana almeno sino a tutto l’Ottocento?
Di fronte a questa domanda, che oggi potrebbe sembrare irriverente, stante una manualistica che fa di Caravaggio una sorta di campione dell’Età moderna, è bene ricordare che la sua arte non fu sempre amata ed anzi è stata negletta per oltre 200 anni, in gran parte a causa della critica accademica del XVII secolo, che ne condannava il crudo naturalismo. Ma oggi non è più così; ed è sempre meno sorprendente vedere turisti che, visitando gli Uffizi, dedicano meno tempo alle sale della pittura medioevale e rinascimentale (tranne quelle dedicate a Botticelli), e sospirano di fronte alla posa languida del Bacco, sfidano lo sguardo magnetico della Medusa, si commuovono per la ‘tragedia’ a buon fine del Sacrificio di Isacco.
A questa narrazione è bene ricordare che la fortuna di Caravaggio, e di conseguenza dei pittori caravaggeschi, nasce soltanto a partire dai primi anni del Novecento, sulla scia dell’affermazione delle Avanguardie storiche.
È in quel tempo che nuove generazioni di storici dell’arte guardano con interesse crescente i suoi dipinti e non a caso, i primi studi a carattere monografico vedono impegnati giovani critici militanti (che poi diventeranno autorevoli cattedratici) come Lionello Venturi e Roberto Longhi che nel giro di pochi anni pubblicheranno una serie di saggi versati soprattutto sugli aspetti stilistico-formali dell’arte di Caravaggio, senza tralasciare di indagare il suo seguito con straordinarie aperture su artisti della sua cerchia, o ai lui affini come Orazio Borgianni, Battistello Caracciolo, Orazio e Artemisia Gentileschi, Mattia Preti.
Né il resto d’Europa fu da meno ed anzi, se possibile, ancora più sensibile alla riscoperta di una figura che progressivamente stava assumendo i tratti del genio. Ne è esplicita testimonianza la convergenza degli studi nella realizzazione della mostra milanese del 1951 (Mostra del Caravaggio), evento che diede impulso alla pubblicazione di numerosi saggi e libri dedicati all’arte di Caravaggio e dei suoi seguaci. Senza quell’evento, curato da Roberto Longhi, non godremmo degli studi (in verità in anticipo, ma che godranno di numerose riedizioni) di Denis Mahon (Studies in Seicento Art and Theory, 1947), di quelli di Walter Friedlander (Caravaggio studies, 1955) e soprattutto del formidabile repertorio di Benedict Nicolson (Caravaggism in Europe, 1979 e 1991), vera e propria ‘bibbia’ per chi si occupa di questi argomenti.
Tutta questa produzione ha portato la comunità scientifica a parlare di una vera e propria “Età di Caravaggio”, definizione divenuta titolo di una fortunata esposizione in più sedi museali (The Age of Caravaggio, 1985) che per la prima volta si è interrogata sulle relazioni tra l’universo caravaggesco e gli altri mondi contemporanei presenti a Roma e nel Vicereame (per esempio quello facente capo ad Annibale Caracci ed agli emiliani in generale; quello dei fiorentini con Cigoli capofila etc.), secondo una prospettiva di dare e avere.
Da quel momento in avanti è veramente impossibile dare conto, anche per sommi capi, della fortuna della critica caravaggesca che ha raggiunto un vero e proprio apice in occasione del quarto centenario della morte del Maestro lombardo (1610-2010), con la monumentale mostra monografica alle Scuderie del Quirinale, una messe impressionante di altre mostre, monografie, volumi miscellanei, convegni, seminari, ricerche documentarie che sono tutt’ora in corso.
Ebbene, è bene ribadirlo, tutta questa messe di conoscenze, impensabile appena qualche decennio fa, ha il suo centro propulsore nel nome di Caravaggio.
Dunque, dopo più di un secolo di ricerche costanti e fruttuose è possibile affermare che la comprensione del ruolo di Caravaggio all’interno della pittura del Seicento, non soltanto italiana, ma europea, è stato definito, le fonti della sua arte decifrate e studiate, il catalogo e la datazione delle sue opere sicure più accuratamente definito, innumerevoli dipinti dei seguaci sono stati scoperti e indagati per una migliore comprensione della loro arte. Alcuni di quegli artisti che lo conobbero ed ebbero con lui rapporti professionali, se non amicali, sono presenti in questa mostra come Antiveduto Gramatica, Orazio Gentileschi, il Cavalier d’Arpino, Fede Galizia, forse Brueghel dei Velluti. Manfredi e Spadarino erano ritenuti da Giulio Mancini tra gli appartenenti alla “schola” del Caravaggio (insieme a Ribera e Cecco del Caravaggio), mentre suoi fieri avversari, anch’essi presenti in mostra, furono Giovanni Baglione e Tommaso Salini.
E poi gli epigoni con alcuni significativi esempi di maestri di toscani folgorati dalle brucianti novità caravaggesche come Rutilio Manetti ed Orazio Riminaldi, sino ad arrivare all’ultimo “caravaggesco” universalmente riconosciuto, quel Mattia Preti con la cui Maddalena penitente, recente acquisto della Fondazione Carit, ci è parso opportuno chiudere questa rassegna.
Con la presenza in mostra di un capolavoro di Savoldo, il Ritratto di dama in veste di santa Margherita di Antiochia, abbiamo voluto indicare i ‘maestri putativi’ di Caravaggio,
e con la Natura morta della cerchia del Maestro di Hartford,
richiamare l’attenzione sulla presenza del giovane Caravaggio nell’attrezzatissima bottega del Cavalier d’Arpino (si veda in proposito in catalogo il saggio di Alberto Cottino).
La scansione delle varie sezioni è funzionale ad una migliore comprensione del percorso, ma si tratta soltanto di una delle tante chiavi di lettura della ricaduta dell’arte di Caravaggio nel suo tempo, in quanto è evidente che alcuni maestri passavano dall’essere più fedeli al linguaggio caravaggesco, o meglio alla sua più ampia variante naturalistica (penso ad esempio a Guido Reni, ma anche a Lanfranco), a aderire repentinamente ad un linguaggio classicista se non addirittura barocco. D’altro canto, siamo nel Seicento e le novità, i cambiamenti, sono dietro l’angolo. Ecco spiegata in mostra la presenza di maestri emiliani come Lanfranco, Guercino e Tiarini che del caravaggismo recepirono gli aspetti esteriori, sarei per dire ‘alla moda’, dando vita a quel classicismo emiliano che tanta fortuna incontrerà nel Seicento.
È bene qui precisare che diversi artisti sono stati associati al caravaggismo solo perché ricorsero al tenebroso, senza le dovute analisi delle loro prospettive e concetti estetici. Questo, a sua volta, ha portato all’annullamento di differenze tra caravaggismo e classicismo. È risaputo che anche maestri come Guido Reni e Guercino, pur riconoscendo la potenza dell’immaginario di Caravaggio e l’eloquenza del suo linguaggio pittorico, e pur realizzando nelle loro composizioni ricercati effetti chiaroscurali, certamente non si consideravano seguaci di Caravaggio.
Tuttavia, l’attenzione nei confronti del caravaggismo degli ultimi decenni, pur promuovendo la chiarificazione di molte tematiche fondamentali, ha per converso comportato la tendenza ad attribuire all’influenza di Caravaggio qualsiasi interesse manifestato dagli artisti nei confronti della rappresentazione del ‘naturale’ e per l’uso dei contrasti di luci e ombre.
Tutto ciò ha contribuito meritoriamente a ricostruire il catalogo di molti dei protagonisti di quella feconda stagione, applicando tuttavia in modo talvolta estensivo l’appellativo di caravaggesco a pittori che non lo furono affatto come nel caso di Artemisia Gentileschi. Questo enorme sforzo catalogatorio di tipo ‘linneo’ non ha completamente fatto luce su alcuni aspetti essenziali di quel fenomeno a cominciare dall’esistenza o meno di una “schola” del Caravaggio, del rapporto tra “originali, repliche, copie” di e dal maestro lombardo ed anche della piena convinzione che il Merisi si avvalesse, come tutti i suoi colleghi contemporanei, di strumenti di lavoro basici come lo schizzo, il disegno preparatorio, il modello.
Su alcuni di questi aspetti la mostra propone alcune riflessioni, esponendo la Maddalena addolorata, opera assai nota alla comunità scientifica, pubblicata come opera di Caravaggio per la prima volta sulla rivista “Paragone Arte”, e la Crocifissione di sant’Andrea cosiddetta ex Beck-Vega. Entrambe le opere sono accompagnate da schede analitiche (una redatta dal sottoscritto, si parva licet) senza alcuna pretesa assiomatica, ma con la consapevolezza che la conoscenza cresce soltanto attraverso lo studio (supportato da documenti, fonti e dati scientifici) e il confronto anche di opinioni assai distanti.
Pierluigi CAROFANO Novembre 2022