di Elvira D’AMICO
Una pionieristica mostra tenutasi all’Abbazia di Montecassino negli anni 2000, ebbe il grosso merito di esporre per la prima volta i tesori d’arte tessile salvatisi dal nefasto bombardamento aereo del febbraio del 1944, facendoli conoscere a un vasto pubblico di studiosi e appassionati.
In verità molto ridotto è oggi il nucleo originale della raccolta, che annoverava in passato eccezionali manufatti andati perduti – come la veste bizantina in porpora ed oro donata da Alessio I Comneno all’abate DesiderioXII-XIII, direttamente collegata alla figura di San Benedetto (1) – e che consta oggi di opere fortunosamente recuperate sul mercato antiquario, cui si aggiungono numerose nuove acquisizioni effettuate dall’abbazia nella seconda metà del ‘900. Il risultato è quello di una raccolta di tessuti, parati e arredi sacri pressoché unica che copre un arco temporale di svariati secoli –dal XV al XIX- dovuta alle più prestigiose manifatture europee – dalle francesi alle fiamminghe, dalle spagnole alle olandesi, dalle toscane alle veneziane -.
Una piacevole sorpresa risultava poi l’attribuzione alla Sicilia di una serie di opere primo settecentesche, tra le quali spiccavano due superbi paliotti assimilabili a veri e propri ‘quadri’ ricamati, superstiti di una più vasta serie recuperata al patrimonio abbaziale in modo rocambolesco (2). Essi, raffiguranti l’Incontro tra San Benedetto e Totila (figg.1-2)
e Mosé e il serpente di bronzo (figg.3-4),
con visi e incarnati in raso dipinto (fig.5),
ricamati interamente in fili d’oro e d’argento con anima di seta policroma legati da micro punti di fermatura negli stessi filati e impreziositi dall’applicazione di perle sulle vesti e di coralli nelle bordure (fig.6) (3), avevano infatti la particolarità di essere considerati ab antiquo di provenienza siciliana (4). La questione non era però semplice né scontata tant’è che veniva liquidata in catalogo con la considerazione che, non essendovi riscontri nelle carte siciliane su tali manufatti (?!) e ravvisandosi in essi il disegno del pittore napoletano Francesco Solimena, è più probabile che si tratti di manufatti napoletani e la conclusione che “basta il confronto con un paliotto coevo come quello di Casa Professa a Palermo per capire come la qualità del ricamo non sia altro che la conseguenza della qualità del disegno solimeniano” (?!) (5). Non è questa la sede per disquisire sulla qualità dei paliotti ricamati siciliani tra Sei e Settecento in seta oro coralli e pietre dure, con o senza disegno di figure, più frequentemente con sfondi architettonici e simboliche decorazioni floreali, considerati una delle eccellenze dell’arte siciliana e universalmente noti, ma si deve far notare che nei due manufatti in questione non è ravvisabile a mio parere nemmeno la mano del Solimena.
Manca di lui la sapiente orchestrazione teatrale delle scene, gli accentuati contrasi luministico chiaroscurali che costruiscono le forme, l’inconfondibile tipologia dei popolani dai visi lividi e corrucciati napoletani doc. Il vago ‘napoletanismo’ che si coglie potrebbe essere dovuto invece a un pittore che ebbe una breve esperienza a Napoli nel primo decennio del ‘700, assorbendo in specie la lezione del Giordano e del De Matteis, per passare poi in Sicilia e quivi trasferirsi in pianta stabile tanto da essersi naturalizzato palermitano, il fiammingo Guglielmo Borremans di Anversa (1673-1744). Giunto nell’isola nel 1714 egli diviene ben presto il decoratore principale di chiese e palazzi aristocratici anche per la mancanza di una seria concorrenza locale come era avvenuto a Napoli, apportandovi una ventata di novità e leggerezza, un gusto arcadico e bizzarro, un’ eleganza formale irriverente e mondana, caratteristiche fino ad allora sconosciute all’ambiente locale, più conservativo e tradizionale (6).
Egli lavora altresì per l’ordine benedettino presente nel capoluogo siciliano, dapprima per le suore della Martorana, eseguendo nel 1717 gli spettacolari affreschi della chiesa e dell’oratorio, questi ultimi con la Gloria di S.Benedetto e dell’Ordine bendettino (figg.7-8), che anziché risolversi nel consueto dispiegarsi dei santi dell’ordine secondo i modelli accademici correnti, diviene “un pretesto per dar sfogo al suo libero estro narrativo che trasporta il fatto religioso nell’immateriale e lucida atmosfera della favola”(7).
Nel 1727 è di nuovo al servizio dello stesso ordine, realizzando gli affreschi oggi perduti per la chiesa di S.Maria del Cancelliere e una pala d’altare per l’Abbazia di S.Martino delle Scale presso Monreale, raff La Vergine con S.Anna e Santi benedettini, firmata e datata al 1727 (fig.9), “costruita dietro precisa suggestione dell’eleganza raffrenata che caratterizza l’ultima produzione del De Matteis” (8), del quale erano da poco arrivate nell’abbazia alcune significative opere (cfr.più avanti).
Non è dubbio che i due paliotti di Montecassino manchino della complessità compositiva e della drammaticità espressiva del Solimena, ma siano più inclini allo spirito idillico-pastorale e arcadico del Borremans che si esplica in particolare nelle sue opere siciliane (9). Analoghe sono le figure con viso rotondo e piccoli occhi neri, come quelle dei monaci benedettini (figg.10-11)
o del Mosé, più volte trattato (figg.12-13),
la tipologia femminile ‘nordica’ con capelli biondi raccolti e fermati sulla nuca (figg.14-16),
ed ancora il plasticismo dei panneggi e il decorativismo delle vesti, gli sfondi ampi e costellati da antichi edifici e le architetture con colonne scanalate, entrambi di ricordo napoletano (figg.17-18),
ma anche la presenza di simpatici particolari, quali gli animali in primo piano che punteggiano la scena quasi casualmente (figg.19-20).
Ma quale potrebbe essere il tramite tra il pittore fiammingo-siciliano e l’Abbazia di Montecassino?
La chiave risolutiva in tal senso è da ricercarsi a mio parere nella storia e nelle vicende culturali della gemella Abbazia di S.Martino delle Scale, più sopra citata, retta come quella laziale da monaci benedettino-cassinesi . Qui è abate in quegli anni il monaco fra’ Onorato Biundo da Salerno (1725-1731) che vi lascia un segno indelebile del suo passaggio commissionando prima al pittore napoletano solimenesco Paolo De Matteis i sei teleri per il presbiterio con storie bibliche (1726) ancora presenti in loco (figg.21-22) ;
quindi al pittore emergente Borremans la già citata pala d’altare con la Madonna e Santi benedettini (1727) (fig.9) (10). Non è escluso dunque che lo stesso abate Biundo, che fa ulteriori commissioni al Borremans di opere minori e disegni fino al decennio successivo (11), potesse incaricare il fiammingo di realizzare il disegno dei due pregiati paliotti per Montecassino, ritenuti del 1726, magari come omaggio per l’importante evento che si andava preparando, la riconsacrazione dell’abbazia laziale voluta da papa Benedetto XIII alla fine del 1727(12).
E una suggestione in tal senso ci può venire dai documenti d’archivio relativi all’abbazia siciliana. In questi sono citati due paliotti ‘in corallo’ oggi perduti che adornavano gli altari di San Martino e di San Benedetto, di cui abbiamo notizia solo per il restauro che subirono nel 1725 ad opera del rinomato ricamatore Girolamo Mancarelli (13). Purtroppo nessuna descrizione vi è dei manufatti se non della fodera che doveva essere in lama a specchio tessuta apposta sulla quale il ricamatore doveva riposizionare il ricamo aggiungendovi un perfilo di rizzolo, cosa che ci fa pensare a dei manufatti d’eccezione, risistemati e rinforzati forse per un’occasione particolare, dei quali si è persa purtroppo ogni traccia. Anche se essi non sembrano identificabili con quelli di Montecassino in quanto già bisognosi di restauro, quindi presumibilmente più antichi, il documento è comunque suggestivo in quanto ci rivela che i monaci siciliani avessero già dimestichezza con simili lavori in oro e coralli che richiedevano per la loro esecuzione dei laboratori altamente specialistici.
Sembra dunque più che plausibile che i due eccezionali paliotti ricamati di Montecassino risalgano a manifattura siciliana e ideazione del Borremans nonché alla committenza dell’illuminato abate salernitano don Onorato Biundo, che fece da tramite nel terzo decennio del secolo XVIII tra la cultura siciliana e quella napoletana, lasciando un’ indelebile impronta di sé nella storia culturale dell’abbazia monrealese e probabilmente anche in quella della gemella abbazia laziale.
Elvira D’AMICO Palermo 25 Febbraio 2024
NOTE
1.R.Orsi Landini, Il patrimonio tessile recuperato dell’Abbazia di Montecassino, in Tesori salvati di Montecassino.Antichi tessuti e paramenti sacri, a cura di R.Orsi Landini, Carsa edizioni Pescara, Ascoli Piceno,2004
2.Orsi Landini, cit.
3.M.Carmignani, scheda n.40 in Tesori salvati di Montecassino…cit.
4.M.G.Aurigemma, Donatrici,condottieri,argentieri e ricamatori per gli arredi dell’Abbazia, in Tesori salvati di Montecassino …cit.,pp.27-31
5.Aurigemma , cit.,nota 21
6.C.Siracusano, Guglielmo Borremans tra Napoli e Sicilia, Palermo 1990, Introduzione di A.Marabottini, Palermo 1990
7.Siracusano,cit.
8.Siracusano, cit.
9.Ringrazio la prof.Mariny Guttilla,massima esperta della pittura siciliana del Settecento, per il parere favorevole in tal senso
10.M.Guttilla, Note sulla pittura del Settecento a San Martino delle Scale. De Matteis e Borremans, pp.93-102, in L’eredità di Angelo Sinisio. L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, a cura di M.C.Di Natale e F.Messina Cicchetti, Palermo 1997
11.Guttilla, cit.
12.Aurigemma, cit.
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Regesto di documenti inediti, in L’eredità di Angelo Sinisio…, cit., 6, p.308