di Gaetano BONGIOVANNI
Il presente saggio del Prof. Gaetano Bongiovanni fa parte del volume Studi in onore di Maria Pia Di Dario Guida, a cura G. Bongiovanni, G. De Marco, M. K. Guida, recentemente dato alle stampe per i tipi delle edizioni Paparo, Napoli 2022 pp. 191-197. Ringraziamo sentitamente l’autore e l’editore per aver concesso la pubblicazione su About Art.
«Antonio Campi, lasciò memoria di tre suoi discepoli, Ippolito Storto, Gio. Battista Belliboni, Gio. Paolo Fondulo, che passò in Sicilia; tutti e tre ugualmente rimasi oscuri in Lombardia, e obbliati negli Abbecedari».
Così viene ricordato sul finire del Settecento dall’abate Luigi Lanzi nella sua Storia pittorica della Italia (1), all’interno della parte dedicata alla scuola cremonese, il pittore oggetto di queste note. La rara citazione lanziana di Giovanni Paolo Fonduli con ogni certezza appare desunta dal noto libro di Antonio Campi Cremona fedelissima città, et nobilissima colonia de romani rappresentata in disegno con contado…, stampato nella stessa città nel 1585 (2), coevo quindi al Fonduli.
Dal testo si evince che il Fonduli dalla Sicilia mantenne i rapporti con la sua Cremona e in particolare col suo maestro Antonio Campi e dalla stessa fonte sappiamo che si trasferì in terra siciliana al seguito di Francesco Ferdinando d’Avalos, VII Marchese di Pescara, viceré di Sicilia dal 1568 al 1571. Già nell’ottobre 1568 a Palermo è chiamato, insieme al fiammingo Simone de Wobreck, a stimare alcuni dipinti decorativi eseguiti dal pittore romano Baldassarre Marocco nel Palazzo Reale di Palermo (3). In questa città Fonduli abitava nel quartiere di Seralcadi dove aveva sede la bottega di Vincenzo da Pavia e dove risiedevano sia il Marocco che il Wobreck. Proprio col Wobreck, Fonduli certamente intrattenne un lungo rapporto di amicizia e consuetudine: difatti alla morte del pittore fiammingo, la moglie Maddalena de Wobreck nomina il Cremonese esecutore testamentario. Fonduli approda a Palermo come un artista connotato dalla tradizione pittorica raffaellesca e lombarda e non appare un caso da sottovalutare che venga incaricato di completare nel 1572 il Transito della Vergine della chiesa del Carmine di Sciacca, lasciato incompiuto nel 1557 dal raffaellesco Vincenzo da Pavia, opera questa caratterizzata dai toni cromatici freddi e aderente al linguaggio raffaellesco, probabilmente mediato dalle incisioni di Marcantonio Raimondi (4).
In questo breve contributo l’attenzione vuole concentrarsi su due tavole dipinte dal Cremonese in Sicilia nell’arco temporale di dodici anni circa: la Discesa dalla Croce della chiesa madre di Villafrati (1572) e il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria (1584) della chiesa di Santa Maria La Nova a Palermo. La prima (fig. 1), resa nota da chi scrive nel 19885, presenta l’iconografia della Discesa articolata in tre nuclei espressivamente concentrati: la discesa del corpo di Cristo dalla Croce, lo svenimento della Vergine e le dolenti e infine i carnefici che portano via i corpi dei ladroni.
Lo scarno scenario dell’ambientazione, l’espansa nuvola scura e il terreno privo di vegetazione non fanno altro che acuire la tensione drammatico-narrativa dei tre gruppi, insieme alla gestualità, a tratti enfatica, delle figure di San Giovanni e della Maddalena, poste in primo piano a ritmare la composizione. Tuttavia la mia proposta di riferire il dipinto di Villafrati al Wobreck, seppure in un momento di straordinaria omogeneità col Fonduli (si indicava la quasi sovrapponibilità della nostra Maddalena con la gemella della pala col Crocifisso tra San Tommaso d’Aquino e la Maddalena della principale chiesa dei Domenicani a Palermo (6), firmata e datata dal Cremonese nel 1573), è stata superata grazie a quanto emerso nel restauro effettuato agli inizi del nuovo secolo che ha svelato l’iscrizione dipinta “F…. lo Cremo.se / 1572” (7). Pertanto la Discesa dalla Croce, allo stato attuale delle ricerche, costituisce la prima opera nota del pittore. Va comunque ribadito che la presenza di una certa vivacità cromatica che ci aveva indirizzato ad attribuire al Wobreck la tavola di Villafrati rispetto al Fonduli, non estraneo a forme rigide se non proprio convenzionali, lascia arguire quanto questa tavola palesi un linguaggio atipico e diverso (8) del pittore lombardo, a confronto con le numerose pale d’altare dipinte per Palermo e per Castelvetrano.
Una delle probabili ragioni di tale diversità di linguaggio si può indicare nella scelta di un modello “lombardo” ovvero nella Discesa dalla Croce (fig. 2), tavola di medie dimensioni, del Museo Diocesano di Milano, già nella collezione del cardinale Cesare Monti che resse la diocesi ambrosiana dal 1632 al ’50, sebbene la raccolta mostri un orientamento a una certa varietà
«nella rappresentanza delle scuole, ma specialmente impostata sul Cinquecento veneto e sul Seicento lombardo ma anche sui leonardeschi e gli emiliani e, presenti almeno nelle aspirazioni, sui grandi maestri del Rinascimento, visto che a rigore di filologia le opere a loro attribuite sono state declassate al rango di copie o di scuola» (9).
La Discesa milanese – restaurata nel 1983 da Pinin Brambilla – è stata per la prima volta segnalata nell’Inventario della collezione Monti del 1638 come opera di Giulio Campi, mentre nei successivi inventari (1643, 1802, 1810), questo nome viene sostituito con quello del fratello Vincenzo. Nella scheda inventariale redatta da Giulio Bora nel 1988, il dipinto viene attribuito dubitativamente a Giulio Campi.
Il modello iconografico deriva dalla Deposizione in cera eseguita da Jacopo Sansovino tra il 1508 e il 1510 e adesso al Victoria and Albert Museum, alla quale si sono ispirati molti dipinti, seppure con varianti, e tra questi il più importante si individua nella Deposizione dalla Croce (fig. 3) del Museo Civico di Bassano del Grappa (inv. 163), proveniente dal Monastero di San Benedetto di Polirone presso Mantova, attribuita, alternativamente, al Perugino o al Bacchiacca ma in realtà «opera umbra, peruginesca tarda», secondo Ragghianti (1938) (10).
La postura e la gestualità delle figure di San Giovanni Evangelista e della Maddalena mostrano precisi riscontri con la Discesa del Museo Diocesano milanese. Dipinto questo che rivela una sua connotazione stilistica con le variate cromie dei panneggi, «quanto nell’affettuoso e dimesso naturalismo con cui sono indagati i molteplici dettagli della scena» (11), tutti elementi che collocano l’opera nell’ambito del manierismo padano che trova conferma con gli stretti richiami alla cultura cremonese degli anni prossimi alla metà del secolo, tra Solaro e Bernardino Campi. In considerazione dell’intima correlazione tra il dipinto del Museo Diocesano, già collezione Monti, e la tavola di Villafrati firmata da Giovanni Paolo Fonduli nel 1572 possiamo rivalutare quanto sostenuto nei vecchi inventari della collezione Monti: Giulio o Vincenzo Campi.
Il rapporto di discepolato tra Antonio Campi e Fonduli lascia propendere che il dipinto di Milano sia opera di Antonio Campi, come peraltro suggerito dal raffronto con alcune sue opere. Senza tuttavia dimenticare che il linguaggio dei Campi influenzerà la cultura artistica lombarda per lungo tempo, come attesta un inedito tardo dipinto con l’Andata al Calvario (fig. 4), passato di recente sul mercato antiquario come bottega di Antonio Campi (12).
Verosimilmente Fonduli porta in Sicilia un modelletto della Discesa della Croce, un disegno forse, ma soprattutto conserva fresca la memoria visiva di un quadro realizzato a Cremona nella bottega del suo maestro, e credo non possiamo escludere una partecipazione in qualità di aiuto; così, la sua prima opera siciliana palesa un carattere lombardo e, in particolare, cremonese.
Nel corso degli anni trascorsi a Palermo, ancora le opere degli anni ’70 appaiono segnate dalla cultura lombarda con aggiornamenti raffaelleschi: la Crocifissione con i Santi Tommaso d’Aquino e Maria Maddalena13 (1573) (fig. 5) presso la chiesa di San Domenico a Palermo e poi le due pale con la Sacra Famiglia e Santi (1573) e l’Andata al Calvario (1574), copia da Raffaello, dipinte per l’importante chiesa di San Domenico a Castelvetrano.
L’attività del Fonduli nella città feudale del trapanese dovette essere favorita da don Carlo Tagliavia d’Aragona, principe di Castelvetrano e presidente del Regno di Sicilia sotto Filippo II di Spagna, che commissiona al Cremonese nel 1581 anche la decorazione dei palchi della Cappella Palatina nel Palazzo Reale. Sappiamo che nei decenni trascorsi in Sicilia, Fonduli riteneva Simone de Wobrek suo maestro e difatti una certa omogeneità di linguaggio fra i due è stata spesso rilevata dalla critica: emblematico il grande dipinto celebrativo raffigurante Palermo liberata dalla peste, già nella chiesa di San Rocco alla Guilla a Palermo e ora al Museo Diocesano; nella processione propiziatoria per la cessazione della peste si individua il citato Presidente del Regno Tagliavia d’Aragona, committente del dipinto (14) e che intrattenne rapporti di collaborazione e mecenatismo con i pittori della tarda maniera di stanza a Palermo: Wobreck, Fonduli, Musca e Alvino, attivi nel cantiere di Palazzo Reale (15).
Una certa contaminazione di modi di dipingere si evidenzia nel ricordato Martirio di Santa Caterina d’Alessandria16 (fig. 6), grande pala commissionata al Fonduli, come sostiene il Di Marzo (17), da tal Antonio Catalano – al quale si riferisce lo stemma visibile a seguito del restauro – e firmata e datata 1584 con un’i- scrizione lacunosa in colore rosso: «Paul. Fondullius / Cremon… Pictor».
Qui Fonduli «si muove con una maggiore libertà compositiva e una scioltezza vivacemente manieristica nella collocazione delle figure, del tutto assente negli altri quadri» (18): così la Pugliatti che vede l’opera prima del restauro, proficuo per la lettura del tessuto cromatico con la vivacità dei chiari in rap- porto a toni spenti se non cupi. Si notino soprattutto i cangianti sulla figura della Santa – caratterizzata sul volto da particolari raffinatezze grazie alla trasparente stesura pittorica (fig. 7) – e del carnefice atterrato in primo piano a destra. Altra cifra manieristica è data dalla figura di soldato con corazza che fugge in primo piano a sinistra, reggendo con le mani la propria testa (fig. 8).
La tavola nella parte superiore centinata – oltre 1/3 dell’intero dipinto – mostra un radicale intervento settecentesco di riconfigurazione con l’Eterno al centro di un coro angelico e un Arcangelo con ali spiegate e spada sguainata che incombe sulla scena del Martirio. Tale intervento si rese necessario per più motivi: i gravi guasti della tavola dovute a infiltrazioni e umidità e l’adeguamento estetico degli altari della chiesa, tutti trasformati poco dopo la metà del Settecento in adesione al contemporaneo gusto tardo-barocco.
In via ipotetica questo brano si può riferire al pittore Antonio Sortino, autore nella medesima chiesa di due pale d’altare, Santa Maria La Nova e il vicerè Ettore Pignatelli duca di Monteleone e una Pietà (19). Prima del restauro questa parte della grande pala d’altare era genericamente ritenuta cinquecentesca come il sottostante Martirio, e forse orientò il negativo giudizio del Di Marzo che la inseriva in un periodo di decadenza del Fonduli. Un’ultima nota stilistica avvicina questo Fonduli al Wobreck: lo spazio pittorico gremito di figure, una specie di horror vacui, presente anche nell’Epifania (20) del Wobreck del convento di San Domenico a Palermo, dipinta qualche anno prima del Martirio di Santa Caterina d’Alessandria.
Il 26 novembre 1578 la nobile trapanese donna Maria Ferro inviava alla viceregina di Sicilia Felice Orsini, moglie del vicerè Marcantonio Colonna, un San Sebastiano di corallo (21); la scelta del santo protettore dal morbo pestifero da parte della Orsini si lega alla pala della cappella votiva di San Rocco, commissionata dal vicerè Colonna al Fonduli nel 1578, in cui gran risalto hanno San Rocco e San Sebastiano, entrambi invocati contro la peste.
E grazie a questi santi la peste a Palermo era stata da poco debellata con la conseguente richiesta – quasi un ex voto – della grande pala con la Madonna in gloria e i Santi protettori di Palermo a Giovanni Paolo Fonduli, pittore “forestiero” ma fortemente apprezzato da vicerè e pretori nella Palermo di fine Cinquecento.
Gaetano BONGIOVANNI Palermo Settembre 2023
Note
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Lanzi, Storia pittorica della Italia, sesta ed., vol. 4 (ove si descrivono le scuole lombarde di Mantova, Modena, Parma, Cre- mona e Milano), Milano 1823, p. 155. La segnalazione del Fondu- li da parte di Luigi Lanzi non sembra abbia avuto molto seguito negli studi.
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Campi, Cremona fedelissima città, et nobilissima colonia de romani rappresentata in disegno con contado…, Cremona 1585, pp. 197-198: «D’un solo son sforzato far memoria, che è stato mio allievo, il qual’intendo con mio gran contento che è tenu- to in molto pregio nella Sicilia, ove fu condotto dal Marchese di Pescara, e questi Gio. Paolo Fondulo che fino da fanciullo dava segno di dover riuscire perfetto, si come intendo che è riuscito».
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G. Di Marzo, La pittura in Palermo nel rinascimento. Storia e documenti, Palermo 1899, p. 290.
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Per la letteratura sul pittore si veda la recente voce di Bon- giovanni, Fonduli Giovan Paolo, in Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia dalle origini al sec. XVIII, a cura di F. Armetta, vol. V, Caltanissetta-Roma 2018, pp. 2164- 2166
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G. Bongiovanni, Contributo a Simone de Wobreck, in «Quaderni dell’Istituto di storia dell’arte medievale e moderna. Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Messina», n. 12, 1988, pp. 13-18; Idem, Le arti, in Omaggio a Villafrati. Studi sul- la Chiesa Madre, a cura di G. Bongiovanni, A. Pravatà, D. Ruf- fino, Villafrati 1993, pp. 39-99. L’attribuzione al Wobreck avan- zata in questi due testi è stata accolta da T. Viscuso nella voce biografica relativa pubblicata in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, vol. 2, Pittura, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, pp. 572-573.
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T. Pugliatti, Pittura della tarda maniera nella Sicilia occidentale. 1557-1647, Palermo 2011, pp. 67-68.
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G. Bongiovanni, Da Wobreck a Fonduli. Su una tavola del Cinquecento a Villafrati, in «Karta», a. 3. n. 1, 2008, pp. 4-5; riedito in Idem, Studi e ricerche sulla pittura in Sicilia, pref. di E. Debenedetti, Bagheria 2013, pp. 76-80.
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Su questo aspetto si veda T. Pugliatti, Pittura della tarda maniera… , 2011, p. 81.
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Bona Castellotti, La collezione Monti, in Quadreria dell’Arcivescovado, a cura di C. Pirovano, M. Bona Castellotti, S. Bandera Bistoletti, Milano 1999, p. 18; nella stessa raccolta era pure la Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista e Maria Maddalena del Mantegna, ora alla National Gallery di Londra.
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il parere di Ragghianti riferito nella scheda relativa al di- pinto in L. Magagnato, Il Museo civico di Bassano del Grappa: dipinti dal XIV al XX secolo, Vicenza 1978, pp. 113-114.
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Frangi, Pittore mantovano. Deposizione, in Quadreria… cit., 1999, pp. 46-47. Per la Deposizione Monti il Frangi preferisce quindi non avanzare un nome; cfr. anche E. Bianchi, scheda, in Le stanze del Cardinale Monti 1635-1650: la collezione ricompo- sta, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 18 giugno-9 ottobre 1994), Milano 1994, p. 180.
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Olio su tela, 92 x 75 cm. Databile alla fine del XVI sec., il dipinto mi è stato segnalato dal Giovanni Falcetta presso le Antichità Castelbarco a Riva del Garda (TN) dove è stato presen- tato col riferimento alla bottega di Antonio Campi.
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Sul carattere lombardo di questa pala d’altare, cfr. S. Botta- ri, L’arte in Sicilia, Messina-Firenze 1962, 60.
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G. Bongiovanni, Simone de Wobreck, attr., Palermo liberata dalla peste, in R.: Rosalia eris in peste patrona, a cura di V. Abbate, G. Bongiovanni, M. De Luca, Palermo 2018, pp. 112- 115, in cui si esaminano le posizioni degli studiosi fra Fonduli e Wobreck.
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Sul Fonduli nei cantieri palermitani del Palazzo Reale e nel Palazzo del Senato, cfr. F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia me- ridionale: il Cinquecento, Roma 2001, 300.
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Il dipinto è stato sottoposto a un accurato intervento di re- stauro nel 2014 da parte della Soprintendenza di Palermo: di- rettore dei lavori Gaetano Bongiovanni, restauratore Giovanna Comes
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T. Pugliatti, Pittura della tarda maniera… cit., 2011, pp. 72-82; si veda pure G. Falcetta, Un pittore cremonese nella Sicilia del ‘500: Giova Paolo Fondulo, in «Rassegna della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Cremona» 1981, pp. 19-28. Dopo il restauro è emerso lo stemma del Catalano formato da uno scudo bipartito e attorniato da alcune parti del nome e del cognome.
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Pugliatti, Pittura della tarda maniera… cit., 2011, pp. 72-73
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Vedile riprodotte in Bongiovanni, A margine dei “Dialo- ghi familiari sopra la pittura”: la cultura artistica del Settecento fra Sicilia e Roma, in Padre Fedele da San Biagio fra letteratura artistica e pittura, a cura di G. Costantino, Palermo-Caltanissetta 2002, pp. 129-146.
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Riprodotta nel catalogo della mostra In Epiphania Domini: l’Adorazione dei Magi nell’arte siciliana, a cura di C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1992. /2020, pp. 51-77 (p. 56).
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R.F. Margiotta, Committenza e collezionismo di donna Felice Orsini Colonna, in «Storia dell’Arte», n. 154, nuova serie, 2