di Massimo PULINI
Pubblichiamo in anteprima il saggio del Prof. Massimo Pulini che ha potuto riconoscere la mano di Michelangelo Merisi da Caravaggio nel formidabile dipinto che presentiamo raffigurante l’Ecce Homo che, come viene chiarito nel saggio, è l’autentico presentato al famoso ‘concorso Massimi’ cui Caravaggio prese parte agli inzi del Seicento. Il Prof. Pulini già due settimane orsono aveva confidato al sottoscritto il valore straordinario della scoperta concernente il dipinto che veniva presentato con indicazione generica di scuola riberesca in un’asta spagnola, affidando ad About Art l’onore della pubblicazione del suo lavoro, raccomandandoci di attendere l’esito dell’evento organizzato dalla casa d’aste, presso cui la sua ricerca era stata già depositata. Per questo abbiamo mantenuto -con molta sofferenza, dobbiamo ammetterlo- un rigoroso silenzio che rompiamo solo oggi, prendendo atto che la notizia appare ora sui quotidiani più importanti in Italia e all’estero (PdL)
1) Michelangelo Merisi detto Caravaggio (qui attribuito), Ecce Homo, Madrid, aste Ansorena 8 aprile 2021
Caravaggio e l’Ecce Homo della gara Massimi ‘portato in Ispagna’
Siamo nel loggiato del Sinedrio di Gerusalemme, il luogo dal quale i sacerdoti e i consiglieri comunicano col popolo ebraico.
A basamento e margine della tragica scena che stiamo osservando stanno due semplici cordoli di pietra sporgenti, uno a sezione circolare e l’altro a taglio squadrato, delimitano la cornice che corre per tutto il lato inferiore del dipinto accennando infatti alla balaustra di una loggia.
Un uomo che ha lunga barba ed è cinto di un copricapo a scodella tiene il gomito appoggiato sopra al parapetto e il suo sguardo è rivolto fuori dal quadro, mentre i gesti sono impegnati a mostrare alla folla un arrestato, sofferente e chiuso nella propria rassegnazione.
Il petto di Gesù è sporco di sangue e segnato da lividi che affiorano da sotto la pelle, dunque gli è già stata inflitta una tortura, ma a quella violenza, eseguita a flagello, si è aggiunta la derisione gratuita. Un preciso pretesto ha scatenato l’ingiuria degli aguzzini e il compiacimento del sacerdote, al punto da fare della gogna un atto pubblico, secondo una sintesi di quel che narrano i vangeli di Marco, Matteo e Giovanni intorno al processo di Gesù.
Nella raccolta di accuse qualcuno aveva riferito che dai suoi seguaci l’imputato veniva considerato il “Re dei giudei“. Per questo le guardie gli hanno improvvisato una corona, accuratamente scelta da rami di rovo provvisti di lunghe spine, gli hanno messo in pugno uno scettro di semplice canna di fiume, mentre l’ultimo atto dello spregio lo vediamo rappresentato nella pittura stessa,
L’artista ha immaginato un giovane dall’espressione sinceramente stupita, lo ha posto alle spalle di Gesù nell’atto di ricoprirlo con un mantello rosso e a guardare bene le due mani del sacerdote in primo piano indicano entrambe proprio il panno purpureo. Potremmo così intuirne le parole sapendo che quel colore, al tempo antico della storia, è simbolo e prerogativa del potere romano, che domina e amministra la terra d’Israele.
È questo l’uomo che viene detto il vostro re, guardate di quali attributi si fregia.
Un Ecce Homo quindi, viene presentato alla folla e a quella verrà infine domandato se preferisca liberare costui o il brigante Barabba, nella ‘magnanima’ concessione di una e una sola grazia, in vista delle celebrazioni pasquali.
Secondo un pittore italiano di primo Seicento, questa è l’essenziale messa in scena della vicenda evangelica, sul palco ci sono tre figure, qualche oggetto e due coordinate spaziali, ma alla descrizione compositiva del quadro resta da aggiungere il sentimento profondo che ne muove il racconto notturno.
Siamo nel cuore di quell’esistenza umana che è stata elevata a rango divino, ben sopra dunque al ruolo di “Re dei giudei”, ma in questo momento il condannato è l’ultimo degli uomini, in balia di un potere che lo usa al pari di un burattino, un fantoccio vivente da mostrare al pubblico ludibrio. La risposta a queste ingiurie l’artista la interpreta con una nuova idea morale, raffigura una mestizia malinconica che si traduce in fierezza segreta, opposta all’enfasi chiassosa dei denigratori. Eppure non si caricano nemmeno di un cenno le espressioni degli ingiusti, del giovane soldato a bocca aperta che quasi sperimenta l’incanto di trovarsi per la prima volta nel pulpito, acclamato dal popolo, così come non è sguaiato il volto del sacerdote, che nei vangeli svolge il ruolo più determinante al concretizzarsi della condanna. È lui l’incitatore della folla, ma non viene penalizzato da alcuna caricatura pittorica. Come se l’autore del quadro aderisse alla compostezza di Gesù.
Secondo l’artista nemmeno nel XVII secolo può dirsi giusto imporre un giudizio preventivo e restituire l’ingiuria di allora con grottesche espressioni aggiornate. Questo mi sembra sia il pensiero che sta a monte di questa montagna d’opera. Una radicalità etica della rappresentazione, che non vuole ridursi a vendetta, ma si attiene a mostrare, nel silenzio più intimo, un dolore che possiamo solo meditare. Questo concetto della pittura sacra, sobrio e francescanamente spogliato, costituisce il filo tenace che lega tutta la poetica di Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Io Michel Ang.lo Merisi da Caravaggio mi obligo a pingere all Ill.mo Massimo Massimi per essere stato pagato un quadro di valore e grandezza come è quello ch’io gli feci già della Incoronazione di Crixto per il primo di Agosto 1605. In fede ò scritto e sottoscritto di mia mano questa, questo dì 25 Giunio 1605.
(nota rinvenuta da Rossana Barbiellini nel 1987 presso l’archivio della Famiglia Massimi a Roma)[1]
Michel Angiolo Merisi da Caravaggio…… Alli signori Massimi colorì un Ecce Homo che fu portato in Ispagna.
(Giovanni Pietro Bellori, Vita de’ pittori, scultori et architetti moderni,1672)[2]
Volendo Monsignor Massimi un Ecce Homo che gli soddisfacesse, ne commesse uno al Passignano, uno al Caravaggio et uno al Cigoli senza che l’uno sapesse dell’altro, i quali tutti tirati al fine e messi a paragone (quello di Ludovico Cigoli) piacque più degli altri, e perciò tenutolo appresso di se Monsignore mentre stette in Roma fu poi portato a Firenze e venduto al Severi.
(Giovan Battista Cardi Cigoli, 1628)[3]
A dì marzo 1607 io Lodovico di Giambattista Cigoli o ricevuto da Nobili Sign,r Massimo Massimi scudi venticinque a buon conto di un quadro grande compagno di uno altra mano del sig.r Michelagniolo Caravaggio resto contanti scudi sopradetto Giovanni Massarelli suo servitore et in fede mia o scritto q.o di suddetto in Roma. Io Lodovico Cigoli.
(nota rinvenuta da Rossana Barbiellini nel 1987 presso l’archivio della Famiglia Massimi a Roma)[4]
Questa sequenza di citazioni è sufficiente a dispiegare le vicende che portarono alla genesi dell’inedito dipinto che qui presento per la prima volta e attribuisco a Michelangelo Merisi. L’opera doveva riemergere in un’asta madrilena, precisamente l’8 aprile 2021 presso la casa d’arte Ansorena, presentata come “Circulo de José de Ribera” ed è eseguita a olio, su una tela di cm. 111 x 86[5], ma all’ ultimo minuto è stata ritirata dall’esposizione e dalla battuta d’asta.
Ritengo si tratti di un quadro molto famoso, commissionato da Massimo Massimi nel 1605 e che il pittore si era impegnato a eseguire con soli trentasei giorni a disposizione, se tenne fede a tale promessa[6], eppure sono convinto che quel dipinto verrà riconosciuto come uno dei risultati più intensi e riusciti dell’artista.
Chi si interessa di questa materia è al corrente che la casella dell’Ecce Homo Massimi risulta già occupata da una tela conservata alla Galleria Civica di Palazzo Bianco a Genova[7]. Un bel dipinto, ma dai caratteri aspri che si ritrovano non nel Merisi, ma nei suoi seguaci operanti in Sicilia e proprio nel messinese sono ancora conservate alcune copie di quella composizione. Un quadro comunque discusso e rigettato da vari specialisti di Caravaggio, come Christiansen, Bonsanti e Van Tuyll, così cercherò di spiegare perché anche a mio parere l’Ecce Homo di Genova non è quello ricordato nella raccolta Massimi e poi ‘spedito in Ispagna’ come ci testimonia il Bellori.
2) Caravaggesco fiammingo operante in Sicilia, Ecce Homo, Genova, Museo di Palazzo Bianco
Innanzi tutto quelle carte ci dicono che avvenne almeno una doppia acquisizione, da parte di Massimo Massimi.
Anzi una terna cristologica transitò nel palazzo romano se, come abbiamo visto nel 1628 Giovan Battista Cardi, scrivendo la biografia di suo zio il pittore fiorentino Ludovico Cigoli, riferisce di una gara indetta dal Massimi sul tema dell’Ecce Homo, alla quale avrebbero partecipato, “senza che l’uno sapesse dell’altro”, il Caravaggio, il Passignano[8] e appunto Ludovico Cardi detto il Cigoli. Secondo il nipote biografo riuscì vincente il quadro dello zio mentre gli altri due vennero in seguito venduti.
3) Ludovico Cardi detto il Cigoli, Ecce Homo, Firenze, Galleria Palatina
Il ritrovamento dei documenti ancora conservati e provenienti dall’archivio della famiglia Massimi smentisce nelle date questa vanteria familiare del Cardi circa la gara, essendo evidente una differenza di due anni tra l’esecuzione del dipinto del Merisi (1605) e la nota di caparra firmata dal Cigoli (1607), per un dipinto peraltro non ancora ultimato.
Nel commentare l’avvincente storia non si è finora esplicitato il fatto che nel mezzo di quei due anni avvenne l’episodio più scandaloso dell’epoca, che sbaragliò le carte della partita, il ben noto delitto di Ranuccio Tomassoni che da un momento all’altro trasformò il pittore di maggior grido in un assassino.
Difficile allora immaginare se il Massimi avesse inteso liberarsi del dipinto di Caravaggio per altri e sconosciuti motivi oppure per non tenere in casa l’opera di un omicida. Tanto più che quel quadro era stato voluto per rappresentare la condanna più ingiusta dell’umanità e se la mano che l’aveva dipinto era la stessa che si era macchiata di un delitto, tutto il racconto rischiava di perdere credito, di smarrire la sincerità che voleva dimostrare.
Va inoltre tenuto conto che uno stretto congiunto del nostro committente, il monsignor Innocenzo Massimi, nel 1623 venne incaricato al ruolo di Nunzio Apostolico in Madrid e potrebbe aver fatto da tramite alla migrazione spagnola dell’opera, ma in questo caso non certo all’indomani della sua esecuzione[9].
La mostra “Caravaggio. Come nascono i capolavori” (Firenze-Roma, 1991-1992, a cura di Mina Gregori)[10], ricostruiva le parti complesse di questa storia, indirizzandole a favore del dipinto di Genova che veniva riproposto come l’Ecce Homo Massimi di Caravaggio e sosteneva che l’indicazione del Bellori andasse interpretata in modo estensivo, come se il teorico del Classicismo avesse scritto che il dipinto era stato ‘spedito in Ispagna’, ma intendesse in Sicilia, una regione che allora era territorio amministrato dalla Spagna, dato che proprio nell’isola, come ho accennato, si ritrovano tuttora copie[11] di quel dipinto che sarebbe stato poi ritrovato in terra ligure.
Dà invece ragione alla chiarezza del Bellori e non va accolto come una casualità il fatto che oggi riemerga, nel cuore della penisola iberica, un dipinto perfetto per stile, per concetto e sentimento a quel che il genio compiva nell’ultimo suo periodo romano.
Oltre alla struggente bellezza, che avvicina la novità spagnola alle più alte vette del maestro, anche la radicalità spirituale dell’opera è molto più pertinente e di gran lunga superiore a quella del dipinto di Genova. Il quadro di Palazzo Bianco è costruito senza tensioni compositive o torsioni formali, sempre presenti in Caravaggio, mentre per contro vi risultano caricati i caratteri espressivi.
Nel dipinto di Madrid invece si rende fisico un momento universale scavato nell’ombra per estrarne la massima intimità possibile, non diversamente da come avviene nella Conversione di San Paolo in Santa Maria del Popolo.
La poca luce che scende diagonale dall’impluvio, nel palazzo del Consiglio d’Israele, colpisce il petto di Gesù, il suo volto reclinato verso la spalla sinistra, rilevando gli occhi socchiusi in una sofferenza più delusa di quanto non sia offesa. Nel mezzo di due sguardi pungenti rivolti all’osservatore quel mesto distogliersi del Cristo diviene ancora più silente e sincero.
Anche la fisicità compatta e brevilinea dei corpi, dei volti e delle mani, coincide con le opere romane di Caravaggio e ognuno degli attori rilascia un senso di istintiva familiarità.
Nell’Ecce Homo spagnolo echeggiano presenze conosciute, il sacerdote in primo piano ha i medesimi caratteri del Giuda nella Cattura di Cristo di Dublino e il modello vivente dovrebbe essere lo stesso usato anche per la prima redazione del San Matteo e l’angelo, andata distrutta a Berlino durante l’ultima Guerra Mondiale.
Il viso di Cristo ha inclinazione e tipologie che ritroviamo nella Madonna dei Palafrenieri (Roma, Galleria Borghese) che è ugualmente del 1605, stessa la virgola di luce che, scavalcata la cupola dell’occhio socchiuso, per rilevare la radice del naso, all’altezza del seno sfenoidale.
Ancora più evidente la somiglianza nel volto del David con la testa di Golia, sempre della Borghese ed è qui, sulla struttura fisica dei due visi, del Gesù e del David, che bisognerebbe soffermarsi più a lungo, comparando il taglio della narice, per guardare come in entrambi i casi una netta parentesi chiuda l’ala del naso o come la punta toccata dalla luce scenda alla sottostante columella. Anche la carnosità delle labbra è la medesima, il taglio dell’orecchio e lo sfumarsi nell’ombra del sopracciglio corrugato.
Infine, il giovane che sullo sfondo resta in ombra, è vicino d’aspetto al Bacchino malato e va allora pensata la messa in posa di un musico della prima stagione romana.
4) Caravaggio, Cattura di Cristo (particolare), Dublino, National Gallery
Pensare che il dipinto Massimi sia stato venduto per damnatio memoriae non deve stupire più di tanto, se nel 1647 quando lo Spadarino venne condannato per una truffa ai danni della fabbrica di San Pietro, furono scortecciati anche gli affreschi che aveva eseguito nel palazzo Pamphilj perché la cognata del Papa, Camilla Pamphilj, non li avesse più sotto gli occhi[12].
Che Caravaggio abbia ucciso il fratello di un capitano delle guardie romane per futili motivi o per legittima difesa forse non lo sapremo mai, ma resta indiscutibile la sua capacità di entrare dentro alle più profonde tematiche del sacro. Vista dalla nostra prospettiva nessuno più di lui riuscì a colpire così precisamente il fulcro religioso di ogni iconografia trattata, nessun altro artista interpretò in modo tanto radicale il racconto evangelico.
Se il Vero e il Sincero erano gli obiettivi eletti dal Cardinal Paleotti[13] perché l’arte di fine Cinquecento potesse riformarsi e tornare ad aderire al senso del sacro, di certo tutta l’opera del Merisi si erge a campione di quella metamorfosi che dal Manierismo giunse al Naturale senza fermarsi alla sola componente ottica, perché quella rivoluzione artistica fu soprattutto sentimentale, sinceramente spirituale.
Infine, ma nella consapevolezza che si tratti di un aspetto cruciale che il futuro restauro metterà di certo in evidenza, è possibile rilevare anche a occhio nudo una serie di incisioni, di sottili solchi che interessano l’imprimitura della tela di Madrid e che sono ricorrenti in molte opere del Merisi. Le principali si percepiscono precisamente sopra la mano destra e sopra la spalla sinistra del Cristo. Malgrado sia radicata la leggenda che Caravaggio non disegnasse ho sempre pensato che la presenza di quelle incisioni in tante sue tele servisse da coordinata per il posizionamento di carte o cartoni preparatori.
Proprio la ricordata mostra del 1991-1992 di Firenze-Roma, dispiegava gli studi sul processo creativo di Caravaggio e ammetteva che nell’Ecce Homo genovese quei segni non risultano. Presento allora alcune foto del nuovo Ecce Homo che mostrano i sottili solchi di marcatura presenti in alcuni brani nodali.
L’eccezionalità del ritrovamento e la segreta permanenza del dipinto in Spagna, durante questi secoli, apre domande alle quali si cercherà di rispondere dopo la battuta d’asta.
15) Caravaggio (qui attribuito), Ecce Homo, (particolare) Madrid, aste Ansorena 8 aprile 2021
16) Caravaggio (qui attribuito), Ecce Homo, (particolare) Madrid, aste Ansorena 8 aprile 2021
Resta ancora molto da dire, soprattutto in relazione al lascito esercitato sugli artisti dell’epoca e delle generazioni successive. Questo ci potrebbe far comprendere meglio il tempo di permanenza a Roma dell’opera del Merisi. Da una rapida cernita si può ipotizzare una conoscenza della ‘nuova’ composizione di Caravaggio da parte di Domenico Fetti, pensando al suo Ecce Homo ora agli Uffizi che è del 1618, ma trova qualche riscontro anche l’Ecce Homo di Brera, eseguito dal genovese Orazio De Ferrari intorno alla metà del secolo, che tuttavia potrebbe aver visto l’opera quando già si trovava in territorio spagnolo. L’espressione nel volto del giovane che sta, pure in quel caso, alle spalle del Cristo è una evidente citazione dal dipinto ora presentato, anche se trasforma il moto di sorpresa in un’intonazione quasi dolorosa.
Massimo PULINI Montiano, 31 marzo 2021
17) Domenico Fetti, Ecce Homo, (1618), Firenze, Uffizi
18) Orazio De Ferrari, Ecce Homo, (1645c.), Milano, Brera
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