Elisabetta Sirani, la Santa Cecilia nella Basilica di Santa Maria Assunta a Bagno di Romagna: una proposta di aggiunta al catalogo dell’artista

di Alessio CERCHI

Il visitatore che ad oggi si appresta a varcare la soglia della Basilica di Santa Maria Assunta a Bagno di Romagna, viene assalito dalla sensazione vertiginosa e quasi spiazzante di essere alla presenza di un miraggio, o di un miracolo;

è a dire di aver oltrepassato veramente, senza spiegarsi come, un qualche tipo di confine che immette in un mondo altro, diverso da quello appena lasciatosi alle spalle. Dalla prima cappella destra, dominata dal maestoso Crocifisso del Maestro di Bagno di Romagna[1], la navata conduce verso il “palcoscenico” teatralmente spettacolare del coro, che ospita tre dipinti raffiguranti i Misteri del Rosario di Jacopo Vignali (Pratovecchio, 1592 – Firenze 1664), ai quali un recente restauro ha ridonato lo splendore e la vividezza cromatica di cui erano implicitamente, ma sommessamente, portatori[2]. E questo assaggio di ultraterreno è stato possibile grazie allo sforzo, alla lungimiranza e al gusto atipico, di un livello fuori dal comune, che ha caratterizzato l’operato del parroco della Basilica, Don Alfio Rossi. Energie quest’ultime ben incanalate dalla consulenza e dal vivo interessamento, più che prezioso e concreto, di Roberto Ciabattini, che tra le altre cose è il fautore dell’acquisto del capolavoro di Alessandro Gherardini (Firenze, 1655 – Livorno, 1723)[3], l’Adorazione dei Magi ora visibile sul primo altare di sinistra[4].

È presente però un altro capo d’opera, conservato nella terza cappella a man destra, che ha attirato magneticamente la mia attenzione per l’indubbia qualità estetica che lo caratterizza.

Sull’altare una Santa Cecilia (fig.1)[5]

Elisabetta Sirani (qui attr.) Santa Cecilia, Basilica di Santa Maria Assunta, Bagno di Romagna

immediatamente riconoscibile poiché impegnata nell’atto a lei più consono, suonare uno strumento musicale – è lapalissianamente riconducibile ad un pittore che venne preso a battesimo da uno dei protagonisti di quella breve stagione nota come “tiepida estate di San Martino[6]. È riscontrabile infatti nel dipinto una diretta dipendenza dalle opere devozionali, e a carattere privato, di Guido Reni, come la Maddalena alla National Gallery di Londra, di cui riprende il caratteristico fervore mistico. Per alcuni valori cromatici tuttavia, come per il forte chiaroscuro con cui viene sfumato il candore niveo della pelle virando nelle zone in ombra verso tinte bruno-rossastre, nonché per il panneggio dal tratto sciolto, sprezzante e meno lezioso, l’opera va accostata al novero dei guercineschi della seconda generazione, come Benedetto Gennari, Giuseppe Maria Canuti, Lorenzo Pasinelli.

Osservando il quadro attentamente, in un momento di astrazione mentale, sono stato assalito dalla sensazione, che poi si è tramutata progressivamente in certezza, inspiegabile per certi versi, che l’autore del quadro fosse una donna. Probabilmente a far germogliare in me questa intuizione è stata la sensibilità con cui è rappresentato il momento in cui Santa Cecilia viene còlta d’improvviso da una visione celestiale, e rivolge estasiata gli occhi al cielo. A questo punto giungere al nome di Elisabetta Sirani (Bologna, 1638 – 1665)[7] è stata la conclusione più logica, e il dipinto di Bagno di Romagna rappresenta un’aggiunta importante al catalogo della pittrice.

È noto difatti come quest’ultima avesse frequentato spesso il tema di Santa Cecilia[8], unitamente a quello di Sibille e figure allegoriche, effigiando se stessa all’interno dei propri quadri, con l’orgoglio che denota un femminismo ante litteram. Per chi scrive, anche in questo caso, la Sirani dona le proprie fattezze alla santa; e non è superfluo sottolineare come questo tema fosse a lei piuttosto caro, in quanto era solita prendere lezioni di musica e regalò al suo maestro alcuni suoi lavori[9]. A conferma di tale ipotesi attributiva, si confronti il quadro bagnese con la Cleopatra (fig.2) presso la Galleria Ossimoro di Spilamberto (Modena), con cui condivide le stesse labbra carnose dal rosso sanguigno, le mani affusolate ma carnose, gli occhi grandi e la ricercatezza non superflua nel rendere la tattilità dei tessuti.

NOTE  

[1] Si veda in merito all’opera il piccolo volume curato da F. Faranda, Il restauro del Crocifisso della Abbazia di Santa Maria Assunta in Bagno di Romagna, Quaderni della Comunità Montana dell’Appennino Cesenate, Forlì 1989.
[2] Jacopo Vignali a Bagno di Romagna. Restauri nella Basilica di Santa Maria Assunta, a cura di A. Grassi – M. Scipioni, Mazzafirra Editrice, Firenze 2017.
[3] Per il pittore valgano S. Meloni Trkulja, L’attività tarda di Alessandro Gherardini sulla costa tirrenica e un nuovo acquisto delle Gallerie Fiorentine, in “Antichità Viva”, 1/3, 1985, pp.75-81.
[4] Il quadro è stato acquistato all’asta Wannenes (Genova, Palazzo del Melograno) del 21 marzo 2018, lotto n.736.
[5] Il quadro è stato acquistato all’asta Dorotheum (Vienna, 10 dicembre 2014, lotto n.87) come scuola bolognese del XVII secolo.
[6] Con questa felice espressione Giuliano Briganti volle intendere la pittura bolognese del terzo decennio del Seicento. Si veda G. Briganti, Pietro da Cortona o della pittura barocca, Sansoni Editore, Firenze 1982, p.29.
[7] Per un ragguaglio sulla pittrice valgano C. C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, Ed. G. P. Zanotti, Bologna 1678, edizione consultata Tipografia Guidi all’Ancora, Bologna 1841,  Elisabetta Sirani: “pittrice eroina” (1638-1665), catalogo della mostra a cura di J. Bentini e V. Fortunati (Bologna, Museo Civico Archeologico, dicembre 2004-febbraio 2005), Compositori, Bologna 2004;
[8] Come il quadro in collezione privata, pubblicato in Elisabetta Sirani…, op. cit., n.83, p.229.
[9] Come ricordato dallo stesso Malvasia, op. cit., II, pp.394-395.