di Mario URSINO
Il mito di Elvis fra Pop Art, Film e Rock and Roll
L’esplosione della notorietà di Elvis Presley (Tupelo-Missisipi, 8 gennaio 1935 -Menphis-Tennesse, 16 agosto 1977), avvenne, come è noto, il 9 settembre 1956, quando per la prima volta si esibì negli studi della CBS, all’ Ed Sullivan Show a Los Angeles, considerato allora il programma più seguito in America. Elvis in quella occasione fu presentato non da Ed Sullivan, che aveva subito un incidente, ma dal noto attore Charles Laughton (1899-1962) e il cantante propose quattro brani, tra cui la celebre canzone Love me tender, che sarà anche il titolo di un film western che il giovane Elvis aveva appena iniziato a girare da protagonista per la 20th Century Fox il 21 novembre di quello stesso anno [fig. 1]; il film verrà divulgato in Italia con il titolo di Fratelli rivali, nel 1957 [fig. 2].
Si comprende quindi come la partecipazione allo show e il film costituirono la diffusione planetaria delle novità canore introdotte da questo giovane inquieto e seducente che, nella esibizione in quel noto show, suscitò anche molto scandalo per le movenze inusitate e provocanti che assumeva durante l’esibizione di brani rock come Ready Teddy [figg.3-4], per cui gli si attribuì subito il soprannome Elvis the Pelvis.
Il Rock and Roll, sappiamo, non è invenzione di Presley: un noto critico musicale del genere, Greil Marcus, il maggiore biografo di Elvis, ha pubblicato nel 1991 Dead Elvis per Doubleday, ristampato poi nel 1999 dalla Harvard Univeristy Press; più recentemente è stata data alle stampe la traduzione italiana della sua Storia del rock in dieci canzoni, il Saggiatore, Milano 2014; Marcus sostiene che i precedenti musicali del rock sono il country e i blues, che però non hanno avuto le conseguenze del rock and roll, divenuto uno spettacolare fenomeno canoro mondiale, e come ha affermato il cantautore Neil Young: “Il Rock and Roll è un abbandono senza freni.” Senza freni fu infatti quella prima apparizione di Elvis Presley il 9 settembre 1956 all’ Ed Sullivan Show che gli fruttò subito un enorme guadagno di cinquantamila dollari per lo share dell’ 82,6% per i 54 milioni di spettatori (secondo le statistiche diffuse dalla stampa su questo singolare evento), scioccati per la inusitata esibizione di Elvis. Superfluo dire la diffusione che ebbe la musica rock in Europa, e per rimanere in Italia, possiamo dire quanto questo nuovo modo di cantare con movenze assai articolate abbia trovato i suoi maggiori e simultanei interpreti in Adriano Celentano, Bobby Solo, Little Tony (quest’ultimo persino nel folkoristico look). Fin qui Elvis e il rock and roll.
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In La filosofia di Andy Warhol: da A a B, 1975, nel brano “Come Andy si mette in contatto con Warhol” si legge questa frase testuale: “Guardo la TV dal primo istante in cui mi alzo”. Non è da escludere quindi che Warhol abbia visto la puntata del 9 settembre 1956 dell’ Ed Sullivan Show con l’esibizione di Elvis. Cinema e TV sono per Andy i maggiori diffusori della cultura di massa, inclusi naturalmente i manifesti pubblicitari e la pubblicità: “Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca Cola, sai che anche il Presidente beve Coca Cola, Liz beve Coca Cola, e anche tu puoi berla”, egli ha scritto con il ritmo della ripetizione che può proseguire all’infinito. È questo il senso della replica, della serialità nell’opera dell’artista pop. Pasolini vi vedeva addirittura una sorta di iconicità ieratica, bizantina, sottolineando la prevalente “frontalità” dei ritratti delle celebrità, immagini da lui definite “isocefale” e “iterate” (cfr: cat, Ladies and Gentlmen, Ferrara, 1975).
È vero, fissità e frontalità sono davvero prevalenti, sia nei ritratti, sia nelle serialità dei suoi soggetti di ordinaria quotidianità di massa: dai famosi Campbell Soup, 1962, ai Dollar Bills, 1962, alla ultranota icona della diva più nota al mondo in quel momento: Marilyn Monroe-Twenty Times, 1962. Nello stesso modo Warhol rappresenta Elvis, a partire dall’anno successivo, con Double Elvis, 1963, ma qui, come vedremo, c’è qualche elemento diverso, direi forse unico, nella concezione dell’immagine del cantante anch’egli già all’apice del successo da quel fatidico 1956. Warhol non riprende Elvis dalle foto o dalle immagini televisive dell’ Ed Sullivan Show, né quindi dalle acrobatiche, inusitate nuove esibizioni del Presley cantante [fig. 5], ma ne sceglie una tra le varie foto di Elvis usate per la pubblicità del film western Flaming Star [fig. 6] del 1960, tratto dal romanzo Flaming Lance, 1958, di Clair Huffaker, per la regia di Don Siegel, poi diffuso in Italia con il titolo Stella di fuoco [fig. 7].
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E quindi Warhol allestì una mostra di addiritura 22 opere seriali, Elvis for show at the Ferus Gallery di Los Angeles [fig. 8], della serie Silver Elvis: per Warhol la tinta “argento” era divenuta quasi ossessiva, tanto è vero che egli aveva rivestito gli ambienti della sua prima “Factory”, detta anche “Silver Factory” con questo colore [fig. 9]; Billy Name (1940-2016), il famoso fotografo ufficiale della Factory degli anni Sessanta a East 47th Street a Midtown, Manhattan, autore del volume The Silver Age (fotografie in bianco e nero della fabbrica di Andy Warhol), 2014 [fig. 10] ricorda: “Ricoprì i muri che si sgretolavano e le tubature con diverse qualità di carta d’argento. Comprò bidoni di vernice d’argento e la spruzzò dappertutto fin nella tazza del water.
Ecco quindi molto ingrandita la fotografia “silver” di Elvis, col procedimento serigrafico su tela con vernice di alluminio, creando sfumature grigio-argento attraverso sovrapposizioni dell’immagine, con la evidente intenzione di insinuare nello spettatore l’idea del movimento ondulatorio della figura di Elvis; un effetto singolare ed inconsueto in tutta l’opera di Warhol che, come ebbe a scrivere Pasolini, proponeva la “nettezza” dello sguardo (sempre frontale). I Silver Elvis sono sì frontali e netti, ma creano al tempo stesso l’illusione di un fotogramma in rapida successione. Donde proviene dunque quest’idea di dinamismo che Warhol concepisce solo per Elvis? È stato detto che forse allude, o si richiama al dinamismo futurista di Balla e Boccioni. Può anche darsi. Ma questi artisti futuristi, come è noto, si dissociarono dal fotodinamismo dei fratelli Bragaglia (come si legge nell’ Avviso del 27 settembre 1913, firmato da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini, Soffici) [fig. 11]. Non sappiamo se Warhol avesse in mente l’opera dei Bragaglia, ma sicuramente doveva conoscere la foto stroboscopica di Duschamp che scende le scale [fig. 12], del fotoreporter americano Eliot Elifoson (1911-1973) del 1952 per un articolo su “Life”: Dada’s Daddy di Wintrop Sargeant;
va detto inoltre che negli Stati Uniti erano sicuramente note le prime sperimentazioni della “cronofotografia”, ovvero la possibilità di registrare in un’unica immagine, e in un’unica lastra, varie posizioni di un soggetto, come fecero Etienne-Jules Marey (1830-1904), medico e fisiologo francese, fotografo dei fluidi e dei movimenti dell’aria [fig. 13], e soprattutto dell’inglese Eadweard Muybridge (1830-1904), che fu attivo negli Stati Uniti e usò la tecnica della cronofotografia per studiare il movimento degli animali e delle persone [fig. 14], precorrendo in tal modo la biomeccanica e la meccanica degli atleti.
Fatto sta che oggi alcune di quelle opere dall’effetto cinetico delle 22 Silver Elvis Series del 1963 si trovano al MoMA di New York Double Elvis [fig. 15], e al San Francisco Museum of Modern Art Triple Elvis [fig. 16], (Eight Elvis, invece, appartiene ad una collezione privata) [fig. 17],
mentre la lunga tela Elvis 11 Times [fig. 18] è esposta a Pittsburg all’Andy Warhol Museum, tutte eseguite con la stessa tecnica meccanica descritta più sopra, e che costituiscono, a mio avviso, un unicum nella produzione warholiana, per quel senso di dinamismo con cui l’artista pop ha voluto immortalare il mito di Elvis (peraltro già consacrato come celebrità dai media), secondo un principio che aveva già enunciato Eadweard Muybridge: “Solo la fotografia ha saputo dividere la vita umana in una serie di attimi, ognuno dei quali ha il valore di un’intera esistenza”.
di Mario URSINO Roma 7 agosto 2017