di R0ggero ROGGERI
La redazione di About Art ringrazia sentitamente la Direzione della Rivista Canonica che ha concesso gentilmente la publbicazione di questo importante studio sulla nostra rivista.
Lo studio che segue, concepito, per facilitarne la lettura, come un catalogo con le relative schede, tratta dell’iconografia di Enea Silvio Piccolomini in pittura, miniatura, scultura e medaglistica, partendo dal XV secolo fino al secolo XIX. Sono state volutamente escluse le sezioni delle incisioni, antiche e moderne, e delle opere d’arte, eseguite nel XX e XXI secolo, che riproducono l’effigie di Pio II che potranno, auspicabilmente, essere trattate in successivi contributi. Trattandosi di uno studio iconografico, l’attenzione maggiore è stata posta prevalentemente sul modo in cui il soggetto è stato variamente rappresentato,l imitando, di conseguenza, l’approfondimento storico artistico a brevi cenni atti a meglio inquadrare e contestualizzare le opere prese in esame.
Il saggio in oggetto si pone quindi l’obbiettivo di precisare al meglio il vero aspetto del Piccolomini e anche di come la sua immagine sia gradualmente mutata, partendo dai crudi ritratti a lui contemporanei, passando per una fase di progressiva idealizzazione, fino a giungere ad una totale invenzione della sua fisionomia, funzionale, presumibilmente, agli scopi didattico – moraleggianti o celebrativi dei committenti.
Lo studio, per questi motivi, è suddiviso, in base al modo di raffigurare le fattezze di Enea Silvio, in tre sezioni: 1) Ritratti reali; 2) Ritratti idealizzati; 3) Ritratti di invenzione.
Si sono scoperte, in alcuni anni di ricerche, ed in controtendenza rispetto agli altri papi del suo tempo, relativamente poco rappresentati, molte opere che, nei secoli e non solo in ambito senese, hanno avuto Enea Silvio come protagonista, segnale inequivocabile dell’importanza che, nonostante la brevità del suo pontificato, egli ha avuto nelle vicende storiche italiane ed europee.
Quale era, dunque, il vero volto di Enea Silvio Piccolomini?
La descrizione che in letteratura ne fa, nella sua breve biografia, il Platina, confermata successivamente da quella, più completa, di Giovanni Antonio Campano, trova puntuale riscontro nelle opere d’arte eseguite, per la maggior parte, durante il suo pontificato. Poco si conosce, invece, del suo reale aspetto nel periodo giovanile, mentre importante testimonianza visiva di Enea Silvio cardinale, quindi già nella maturità degli anni, ci giunge dal bellissimo ritratto, eseguito da Filippo Lippi, contenuto nell’affresco del Duomo di Prato. Quello che si può affermare, in base alle fonti letterarie scritte dai suoi contemporanei, è che Il Piccolomini da giovane fosse fulvo di capelli, snello e di costituzione fine, ben proporzionato, sebbene di piccola statura ma, dopo i cinquant’anni, divenne sempre più corpulento (J. PIEPER, Pienza. Il progetto di una visione umanistica del mondo, London 2000, p. 66).
Da questo momento ci vengono in soccorso anche le arti figurative che corroborano e precisano ulteriormente il suo aspetto precocemente senile, dovuto ad una serie di malanni che colpirono pesantemente Enea Silvio nell’ultima parte della sua esistenza.
Il giovane, piccolo ma snello e dal fisico armonico, lasciò rapidamente il posto ad un uomo tozzo e basso, molto corpulento, ai limiti dell’obesità, quasi calvo, il collo corto, le guance cadenti con solchi naso – labiali molto profondi, mento piccolo e appuntito, bocca sottile e pronunciata, naso importante con una lieve curvatura e punta leggermente cadente sulla bocca, occhi grandi, rotondi e grigio – azzurri, fronte bassa e cranio grosso.
Questo è l’impietoso ritratto del Piccolomini che si ritrova nelle opere realizzate da coloro che sono vissuti nel suo tempo, un aspetto, quindi, decisamente rozzo e grossolano, che contrasta enormemente con l’estrema finezza del suo intelletto, la briosità del carattere, la sua straordinaria cultura umanistica ed il suo genio politico. Molto comprensibile, quindi, è l’operazione di idealizzazione del suo volto, allo scopo di adeguare l’aspetto fisico alle sue acute doti intellettuali, iniziata già pochi anni dopo la morte e giunta, successivamente, fino alla completa invenzione della fisionomia.
Il saggio, inoltre, attraverso le testimonianze offerte dalle opere d’arte, permette di riscoprire e ricordare episodi, molto importanti ma meno conosciuti, della vita di Pio II, come, ad esempio, la fondazione dell’ospedale maggiore (cà Granda) di Milano, la riforma della Costituzione dell’ordine dei Crociferi, la donazione di Radicofani alla repubblica di Siena, l’importante ruolo avuto dal pontefice nella successione al trono di Napoli, ecc., che permettono di fare ulteriore chiarezza sull’operato di una delle più significative figure del rinascimento italiano.
Questo studio che per la prima volta affronta in modo piuttosto ampio il tema dell’iconografia di Enea Silvio Piccolomini, non intende essere un punto di arrivo, piuttosto un punto di partenza per futuri approfondimenti e nuove scoperte.
R0ggero ROGGERI Pienza 6 febbraio 20221
*L’autore desidera ringraziare tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito alla stesura di questo studio, in particolare il comitato di redazione della rivista Canonica che ha acconsentito alla nuova pubblicazione su About Art. Un ringraziamento particolare a Sara Mammana che ha redatto le due importanti schede riguardanti gli affreschi di Filippo Lippi e Benozzo Gozzoli. Un grazie sentito anche a Società Esecutori Pie Disposizioni di Siena, Diocesi di Mantova, Diocesi di Chiusi, Pienza e Montepulciano, Fabbriceria della Cattedrale di Pienza, Opera della Metropolitana di Siena, Arcidiocesi di Siena – Colle di Val d’Elsa – Montalcino, Galleria Nazionale delle Marche, Paolo Bertelli, Umberto Bindi, Marco Ciampolini, Caterina Franchi, Laura Martini, Matteo Parrini, don Stefano Savoia per aver fornito fotografie, segnalazioni, precisazioni e autorizzazioni alla riproduzione di immagini.
1-Filippo Lippi (Firenze, 1406- Spoleto, 1469)
Uno dei ritratti più importanti per lo studio dell’iconografia di Enea Silvio Piccolomini, che descrive con buona verisimiglianza il volto di Pio II, si trova in un celebre ciclo di affreschi, capolavoro della storia dell’arte, realizzato dal fiorentino Filippo Lippi insieme ad alcuni collaboratori, tra cui Fra Diamante, nella cappella maggiore del Duomo di Prato.
Questa è, infatti, la più antica rappresentazione, databile al 1455 – 1456, del vero volto del Piccolomini fino ad oggi conosciuta e riveste una rilevanza estrema per gli studi iconografici riguardanti il futuro pontefice. L’ illustre commissione, fortemente voluta dal comune pratese per celebrare la vita di santo Stefano protomartire, patrono di Prato, e quella di San Giovanni Battista, protettore di Firenze, fu affidata in un primo momento, dal preposto della cattedrale, Geminiano Inghirami, al già famoso Beato Angelico che, nel 1452, declinò l’offerta, molto probabilmente per l’eccessivo impegno richiesto dall’opera e per la sua età ormai avanzata. L’attenzione ricadde allora sul frate carmelitano Filippo Lippi, artista prediletto di casa Medici e personaggio ormai affermato nello scenario artistico del Quattrocento fiorentino. Nell’ opera pratese, gli affreschi con le vicende salienti della vita del primo martire cristiano, Stefano, si snodano dall’alto verso il basso lungo la parete sinistra della cappella maggiore dell’abside.
L’impresa pittorica iniziò nel 1452, quando Filippo, da Firenze, si trasferisce a Prato. Qualche anno dopo, nel 1456, il pittore fu eletto cappellano del convento di Santa Margherita e, proprio in questo luogo, rimase colpito dalla bellezza della monaca Lucrezia Buti che divenne sua modella e amante, tanto che i due, con grande scalpore nella società dell’epoca, andarono a vivere insieme generando due figli. A causa del grande scandalo, seguito da altre peripezie, la realizzazione del ciclo pittorico subì varie interruzioni e si concluse solo nel 1465, grazie all’intervento di Cosimo de’ Medici e alla sua intercessione presso papa Pio II che, nel 1461, sciolse i voti dei due amanti, regolarizzando la loro posizione, anche se Lippi non convolò mai a nozze.
La vicenda appena menzionata attesta con sicurezza la conoscenza tra Filippo Lippi ed Enea Silvio Piccolomini, raffigurato dal pittore in abiti ancora cardinalizi, nell’affresco delle esequie di santo Stefano. La scena, ambientata all’interno di una basilica paleocristiana magnificamente scorciata, accoglie, tra le altre figure, una galleria di ritratti di personaggi, contemporanei dell’artista, che circondano la salma del Santo, giacente al centro della composizione. Sulla destra campeggia, in primo piano, il futuro papa Pio II, alle cui spalle, tra gli altri, si riconoscono Cosimo dei Medici e Filippo Lippi che celebra se stesso in un veritiero autoritratto.
La conoscenza fra l’artista e il futuro pontefice potrebbe essere avvenuta per la prima volta a Siena, quando i due personaggi, quasi coetanei, si sarebbero potuti incontrare durante un viaggio intrapreso da Lippi nella città del Palio, nel luglio del 1424. All’epoca, Enea Silvio Piccolomini, diciannovenne, era uno studente dell’università senese e da umanista, frequentatore degli ambienti fiorentini, probabilmente già conosceva uno degli artisti più promettenti del periodo, menzionato per la prima volta come “dipintore” in un documento del 1430.
Nell’affresco di Prato, la posizione di primo piano, occupata dal cardinale Piccolomini, può essere giustificata, con buona probabilità, dal fondamentale ruolo rivestito dal pontefice nella risoluzione dello scandalo amoroso che aveva coinvolto il Lippi. Quasi a voler celebrare la forte personalità dalla quale scaturirono decisioni che tanta risonanza ebbero nella vita di Filippo Lippi, troviamo la figura del futuro pontefice campeggiare in primo piano nella parte destra dell’affresco. Il volto di Enea Silvio, raffigurato di tre quarti, ha un’espressione seria e attenta e lo sguardo rivolto verso la salma del santo protomartire. L’abito rosso, cardinalizio, dall’ampio panneggio, evidenzia una corporatura robusta che trova eco nella floridezza dei tratti somatici di straordinaria naturalezza: gli occhi rotondi di colore grigio – azzurro, il naso leggermente ricurvo con la punta cadente sopra ad una bocca minuta e pronunciata, il mento piccolo e puntuto con fossetta centrale, il collo corto ed un doppio mento che denota un notevole stato di pinguedine. Sulla guancia sinistra si intravedono, con un sorprendente effetto realistico, due piccoli nei, un particolare straordinario che testimonia il rapporto di estrema conoscenza somatica che il pittore aveva con l’effigiato.
Pio II doveva avere poco più di cinquanta anni quando Lippi lo prese a modello per l’affresco, più precisamente, il ritratto dovrebbe essere compreso tra il 17 dicembre 1456, data della sua nomina a cardinale e il 18 agosto 1458, quando fu elevato al soglio pontificio ed è interessante notare uno stato fisico di migliore salute, più florido, rispetto a quello che emerge dai ritratti eseguiti negli anni del pontificato, dove si avverte un rapido e impressionante declino, dovuto ai numerosi malanni che hanno afflitto Enea Silvio nell’ultimo periodo della sua esistenza.
Sara MAMMANA
Fonti e bibliografia:
Baldini, Filippo Lippi, “I Maestri del Colore”, n.61, Milano, 1964.; Ruda, Fra Filippo Lippi. Life and Work with a Complete Catalogue, Londra, 1993.; Paolucci, Filippo Lippi, Art Dossier n.234, Giunti, Milano, 2007.
2-Andrea Guazzalotti (Prato, 1435 – 1495)
La bella e rara medaglia presenta, al recto, il profilo del papa rivolto a sinistra e l’iscrizione, con un curioso errore ortografico (Enaeas invece di Aeneas): ENAEAS PIUS SENENSIS PAPA SECUNDUS, mentre, al verso, è presente l’immagine del Pellicano Mistico, mutuata dall’invenzione di Pisanello (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) e la scritta: DE SANGUINE NATOS ALES UT HEC CORDIS PAVI.
Il pellicano, in natura, curva il collo ed il becco verso il torace per facilitare la fuoriuscita del cibo contenuto nell’esofago e nutrire così i propri piccoli. Tale comportamento ha indotto, fin dall’antichità, l’errata credenza che esso si laceri il petto per nutrire i pulcini con il proprio sangue. Questo equivoco ha fatto diventare l’uccello uno dei simboli più alti della carità. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato, da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini.
La medaglia è di eccezionale importanza iconografica perché si tratta di una delle poche, originali testimonianze della reale fisionomia di Pio II negli anni del pontificato. Da questo modello deriva una nutrita serie di dipinti, sculture e incisioni che, con piccole varianti e idealizzazioni, hanno perpetuato, in vario modo, l’immagine di Enea Silvio Piccolomini dal XV secolo ai nostri giorni. Il pontefice presenta lineamenti tutt’altro che raffinati, con tratti fortemente marcati, collo corto, larghe mandibole, gote cadenti, profonde pieghe naso-labiali, bocca piccola e pronunciata, occhi grandi, naso leggermente arcuato con narici carnose, fronte bassa e cranio rotondo, probabilmente quasi calvo, il tutto in un contesto generale di notevole pinguedine. Il manufatto bronzeo è databile, con buona certezza, al 1458, anno dell’ascesa del Piccolomini al soglio pontificio come si evince dalla scoperta di A. Patrignani, nel 1948, di una medaglia originale riportante tale data, proveniente da una collezione berlinese.
Andrea Guazzolotti, originario di Prato, si trasferì a Roma durante il pontificato di Niccolò V. Per onorarne la scomparsa, nel 1455, realizzò la prima medaglia papale conosciuta. Forti in lui sono gli influssi stilistici di Pisanello e Matteo de’ Pasti e l’esiguità del numero degli esemplari realizzati, sia per Callisto III che per Pio II, fa presupporre un’attività, inizialmente, sporadica e priva di quella ufficialità che avrebbe caratterizzato la produzione medaglistica papale da Paolo II in poi.
Fonti e bibliografia
PATRIGNANI, La data di una rara medaglia di Pio II, in “Numismatica”, anno XIV, gennaio – giugno 1948, n. 1 – 3, p. 39; CARLI, Pienza, la città di Pio II, Roma, 1993, p. 134; MARTINI, Museo Diocesano di Pienza, Siena, 1998, pp. 72, 86 – 87; ARMAND, Lès Medaillers Italiens des quinzième e seizième siècles, I, Paris, 2018, p. 194
3-Benozzo Gozzoli (Scandicci, 1420 circa – Pistoia 1497)
Uno dei ritratti più curiosi e veritieri di Enea Silvio Piccolomini si può scorgere tra i volti dei tanti personaggi illustri che l’artista Benozzo Gozzoli ha magistralmente dipinto nel Corteo dei Magi, celeberrimo affresco collocato nell’ omonimo sacello di palazzo Medici – Riccardi a Firenze.
L’importante e prezioso ciclo pittorico fu commissionato, nel 1459, da Cosimo e Piero dei Medici, con l’intento di celebrare, all’interno della loro cappella di famiglia, luogo privato ma anche di rappresentanza politica, l’apertura della Dieta di Mantova (1459) e l’arrivo a Firenze dei supremi rappresentanti delle dinastie nobiliari dell’epoca che, con Pio II, erano diretti, passando per la città del giglio, verso la capitale dei domini gonzagheschi.
La Dieta fu indetta dal pontefice con lo scopo di coinvolgere le potenze italiane e degli stati europei nell’organizzazione di una crociata per la difesa della Morea, antica provincia dell’impero bizantino, corrispondente all’ attuale Peloponneso, minacciata dall’impero ottomano. Correva, inoltre, il ventennale dal concilio di Ferrara – Firenze del 1439, i cui princìpi dogmatici di unificazione del mondo cristiano d’oriente a quello di occidente, per ostacolare la minaccia turca, furono recuperati nella propaganda politica sostenuta da Pio II a Mantova, con il supporto dei Medici e dei Gonzaga che, insieme ad altri importanti casati italiani, imparentati con la corte orientale dei Paleologhi, come i Malatesta di Rimini, gli Sforza e i Montefeltro, miravano, come reazione alla caduta di Costantinopoli del 1453, antica capitale cristiana dell’impero bizantino, a portare avanti il progetto di rifondazione di una Nuova Bisanzio in occidente, con Tommaso Paleologo, ultimo basileus della Morea, futuro imperatore delle cristianità riunita.
Tramite gli affreschi della cappella di palazzo Medici, disposti prevalentemente lungo le tre pareti principali del sacello, Benozzo Gozzoli attua una sintesi visiva, dal forte significato politico e teologico, volto ad evocare, tramite la celebrazione del viaggio dei magi da Gerusalemme verso Betlemme, il passaggio da oriente a occidente della cultura cristiana imperiale, rappresentata dalla corte dei Paleologhi, dinastia depositaria ed erede diretta dell’antico impero romano. Infatti, come sottolineato da Silvia Ronchey, la Cavalcata dei Magi di palazzo Medici rappresenta il primo esempio della mutazione iconografica e di significato in senso bizantino del tema dell’Epifania.
L’aspetto interessante è che, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta del Quattrocento, questo importante tema iconografico diviene emblema di Bisanzio o meglio del “passaggio a occidente della tradizione bizantina in tutto il suo splendore culturale e artistico che coincise con l’inizio del Rinascimento”.
In virtù di questi principi ideologici, Benozzo Gozzoli ha voluto sottolineare il profondo valore culturale e la continuità del programma politico esistente tra il concilio di Ferrara-Firenze del 1439 e quello di Mantova del 1459, seguendo un raffinato programma iconografico, voluto dai committenti, per attuare una sintesi cronologica tra i due eventi. Per questo motivo, l’artista ha inserito, nella scena dell’Epifania, i principali esponenti della corte imperiale Bizantina, in visita a Firenze nel 1439, e i rappresentanti dei principali casati italiani filo orientali presenti alla Dieta di Mantova, di vent’anni successiva.
La parte del ciclo pittorico che riveste un importante ruolo nella trattazione dello studio iconografico in oggetto riguarda la parete orientale della cappella, in cui è raffigurata la venuta del mago Gaspare.
Tra le figure a cavallo poste in primo piano troviamo, da destra verso sinistra: Piero de’ Medici detto il gottoso, Carlo de’ Medici, figlio illegittimo di Cosimo il Vecchio, lo stesso Cosimo il Vecchio, Galeazzo Maria Sforza e Sigismondo Pandolfo Malatesta, signori, rispettivamente, di Milano e di Rimini. I Malatesta, i Gonzaga e gli Sforza facevano parte di una fitta rete parentale che univa queste illustri casate italiane alla dinastia dei Paleologhi di Bisanzio. La loro presenza, sembrerebbe dare ulteriore enfasi all’alleanza del partito filo bizantino italiano sostenuto da Pio II Piccolomini.
Proseguendo nell’analisi del corteo che da Gerusalemme, seguendo Gaspare e gli altri magi, si dirige verso Betlemme, luogo della natività di Cristo, troviamo i membri del mondo platonico italiano: Marsilio Ficino, i fratelli Pulci e lo stesso pittore Benozzo Gozzoli, allievo di Beato Angelico, riconoscibile perché guarda verso lo spettatore e perché mostra sul proprio cappello la scritta: Opus Benotii. Nella stessa fila, secondo Silvia Ronchey, si troverebbe, girato di tre quarti, il vero ritratto di Lorenzo de’ Medici adolescente, da molti studiosi identificato, invece, con il mago Gaspare. Inoltre, nella medesima parete affrescata, si riconoscono alcuni dignitari bizantini, caratterizzati dalla lunga barba, che fecero parte della delegazione conciliare di Mantova: Giorgio Gemisto Pletone, Giovanni Argiropulo, Isidoro di Kiev, Teodoro Gaza.
Tra questi personaggi, in lontananza, quasi alla fine del corteo, in posizione subordinata rispetto a tutte le altre illustri personalità, si scorge il volto di Pio II, riconoscibile solo dal camauro color porpora ricamato in oro e dalla sua caratteristica fisionomia atteggiata in un’espressione tutt’altro che distesa. La spiegazione del motivo per cui il papa non figuri in primo piano, al centro della composizione dell’affresco, come gli altri sommi esponenti del periodo, ci è fornita dallo stesso pontefice nei Commentari:
“Nel tempo che Pio fu a Firenze Cosimo era malato, o, come molti credevano, si era dato malato per non recarsi dal Pontefice”.
Molto probabilmente, la politica unionista di Pio II non sempre collimava con gli interessi di casa Medici. Inoltre, sempre nei Commentari, Pio II pone l’accento sul fatto che, nell’accoglienza del papa a Firenze, le spese furono scarse e non fu investito molto per organizzare giochi in suo onore. La volontà da parte di Cosimo e Piero dei Medici, committenti dell’affresco, di porre Pio II in una posizione chiaramente secondaria nel ciclo pittorico di Benozzo, rappresenta un messaggio chiaro ed esplicito delle difficoltà di relazione che intercorrevano tra Cosimo ed Enea Silvio Piccolomini.
L’espressione del pontefice appare esplicitamente corrucciata e infastidita. Molto evidenti e assai riconoscibili sono i tratti somatici del volto di Pio II, dalla forma larga, quadrata, gli occhi rotondi e grigio – azzurri, guance cadenti con profondi solchi naso – labiali, naso importante con setto largo e punta carnosa leggermente cadente su una bocca dalle labbra sottili, mento piccolo e sporgente, caratterizzato, al centro, da una fossetta.
Il volto che Benozzo Gozzoli ha realizzato, e che sicuramente conosceva molto bene, è un ritratto crudo ma estremamente reale del pontefice durante il suo soggiorno fiorentino, nella primavera del 1459 ma, allo stesso tempo, ci fornisce anche una stupefacente rappresentazione dello stato d’animo di Pio II, infastidito e contrariato dal comportamento di Cosimo. Quest’ultimo viene descritto da Enea Silvio come uomo di vasta cultura ma, allo stesso tempo, tiranno e padrone illegittimo, responsabile di aver ridotto il suo popolo in schiavitù. L’aspetto sorprendente di questa opera pittorica, così enigmatica e aristocratica, riguarda la vis polemica implicita nella rappresentazione di Pio II e l’affascinate messaggio politico e spirituale che questi affreschi straordinari, a distanza di centinaia di anni, ancora comunicano all’uomo contemporaneo.
Sara MAMMANA
Fonti e bibliografia:
S. Piccolomini, I Commentari, a cura di Giuseppe Bernetti, Cantagalli, Siena, 1972.; Bussagli, Benozzo Gozzoli, Ed. illustrata, Giunti Editore, Collana: Dossier d’Art, 1999.; Ronchey: Il “salvataggio occidentale” di Bisanzio. Una lettera di Enea Silvio Piccolomini e L’allegoria pittorica di Bisanzio nel primo Rinascimento, in Bisanzio, Venezia e il mondo franco-greco (XIII-XV secolo), atti del colloquio internazionale organizzato nel centenario della nascita di Raymond-Joseph Loenerz o.p., Venezia, 1-2 dicembre 2000.; P. Rizzo, Benozzo Gozzoli, Silvana, 2003.; Riva, La Cavalcata dei Magi, Benozzo Gozzoli. Storia, ermetismo e antiche simbologie, Pontecorboli Editore, 2017.
4-Ignoto scultore del XV secolo
L’importante busto si trova in una nicchia del deambulatorio della bellissima chiesa di San Benedetto al Polirone, nel comune di San Benedetto Po, in provincia di Mantova. Il sacro edificio, con il grande convento adiacente, ricevette la visita di Pio II, per tre giorni, nell’ottobre 1459, mentre il pontefice si trovava a Mantova, sede della Dieta da lui indetta. In quell’occasione e per ricordare l’evento, l’abate Teofilo da Milano, fece eseguire, traendola dal vero, una scultura in marmo bianco raffigurante il pontefice.
A imperitura memoria della visita del papa, al di sotto della nicchia, vennero apposti questi versi :
“Has quondam sacras visendi venit ad aedes / Papa Pius ternos mansit et illa dies / Quod factum ut posset numquam delere vetustas / Ipsius effigies marmore sculpta fuit / MCCCCLIX – Die XXII octubris”
(Per visitare questo tempio venne papa Pio e rimase tre giorni e affinchè l’antichità non potesse mai cancellare l’avvenimento, la sua immagine fu scolpita nel marmo. Papa Pio II, 22 ottobre 1459).
La scultura restò nella sala del Capitolo fino al 1796, quando, in seguito alle soppressioni napoleoniche, questa venne trasformata in magazzino. Il busto fu, dopo il 1924, posizionato nella collocazione attuale, all’interno della chiesa. Pochi anni dopo, nel 1930, ad opera di Arturo Valentini, furono tratte, da un calco in gesso, le due copie in terracotta, ora custodite nel Palazzo Piccolomini di Pienza e nel Palazzo Ducale di Mantova. Varie e sofferte sono le vicende attributive dell’opera, ascritta nel tempo a tre diversi autori o scuole. Il busto, infatti, è stato riferito a Luca Fancelli, Jacopino da Tradate e persino ad Antonio Federighi. L’attribuzione a Federighi, avanzata dalla Richter, è stata giustamente respinta da Alessandro Angelini, mentre per Stefano L’Occaso, data la sintassi ancora tardogotica dell’opera, è maggiormente verosimile l’ascrizione del busto a Jacopino da Tradate, attivo a Mantova dal 1425 o dal 1440 e morto, sembra, entro il 1459, o, più probabilmente, alla sua bottega.
Pio II è raffigurato a mezzo busto, sopra la veste indossa un mantello (o un piviale molto semplice) chiuso da un grosso fermaglio e sul capo porta il triregno. Il braccio destro è alzato, la mano, con il pollice, l’indice e l’anulare estesi a formare il numero tre (simbolo della Trinità), è in atteggiamento benedicente. La mano sinistra, è invece, semplicemente appoggiata ad una balaustra.
L’opera riveste una straordinaria importanza per gli studi iconografici su Enea Silvio Piccolomini in quanto si tratta di uno dei pochissimi ritratti dal vero e documentati di Pio II. Ricorrono e sono qui confermate tutte le caratteristiche fisiognomiche che sono riscontrabili in altre effigi del pontefice a lui contemporanee: il volto largo con le gote cadenti, i profondi solchi naso – labiali, il mento piccolo e puntuto, la bocca pronunciata con le labbra sottili, gli occhi grandi e rotondi. Interessante notare come il confronto con il busto di Paolo Romano, databile al gennaio 1463, in cui il volto, pur con le stesse caratteristiche, presenta guance più scavate ed uno stato di minor floridezza, metta in evidenza il rapido declino fisico che Enea Silvio subì durante i pochi anni di pontificato.
Fonti e Bibliografia
B. MANNUCCI, Le vicende di un busto quattrocentesco di Pio II, in “La Balzana”, a. II. 1928, 4, pp. 132 – 134; CARLI, Pienza. La città di Pio II, Roma, 1993, p. 133; M RICHTER, La scultura di Antonio Federighi, Torino, 2002, pp. 64 – 66 ; ANGELINI, Antonio Federighi e il mito di Ercole, in Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, a cura di A. ANGELINI, Cinisello Balsamo, 2005, p. 147 ; L’OCCASO, Artisti a Mantova prima dell’arrivo di Andrea Mantegna, in R. SIGNORINI (a cura di), A casa di Andrea Mantegna, Cultura artistica a Mantova nel Quattrocento, Catalogo della mostra, Milano, 2006, pp. 54, 57
* Le immagini di questa scheda sono state eseguite da Paolo Bertelli e autorizzate dalla Diocesi di Mantova con lettera del 07 settembre 2020, prot. N. 1210/20
5-Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta (Siena, 1410 – 1480)
La bella miniatura, che fa da frontespizio ad un codice con le Costituzioni e gli ordinamenti relativi al Capitolo dei Canonici della cattedrale di Siena, attribuita da Enzo Carli ad un artista senese della cerchia Francesco di Giorgio – Vecchietta, e da Patrizia la Porta, convincentemente, alla mano di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, databile al 1459, mostra, nella parte superiore, al centro, il pontefice, assiso in una cattedra rivestita di un drappo violetto, lo sguardo rivolto allo spettatore, che benedice due alti prelati inginocchiati. Il papa indossa il triregno ed è rivestito con un piviale rosso ricamato in oro, lo stolone è ricamato con figure degli apostoli (?), chiuso da un prezioso fermaglio. La somiglianza con le reali fattezze di Enea Silvio Piccolomini è molto forte, il viso largo, le gote rosse, la bocca piccola e pronunciata, gli occhi grandi e rotondi, sono caratteristici della fisionomia di Pio II. Un poco addolcito, è, qui, il particolare delle guance cadenti e dei solchi naso – labiali meno accentuati, ma, in generale, i lineamenti corrispondono piuttosto bene, se si esclude il colore degli occhi, a riprova di una buona conoscenza reale del modello.
I due personaggi che contornano la figura del papa sono, a sinistra di chi guarda, il primo arcivescovo di Siena, Antonio Piccolomini della Modanella (Siena 1425 circa – 1459), mentre, a destra, ancora in abiti da canonico di San Pietro, con una magnifica cappa magna viola, foderata di ermellino, il futuro vescovo di Ancona (1460) e poi di Camerino (1463), Agapito Cenci de’ Rustici (n. forse a Roma, 1415 circa – 1464), dottissima personalità, molto cara a Pio II. Egli fece parte del seguito papale nel primo dei soggiorni senesi della corte pontificia, dal 24 febbraio al 23 aprile 1459. In quella circostanza, Agapito ricevette l’incarico di redigere le costituzioni e gli ordinamenti del Capitolo dei Canonici della Cattedrale.
Nella parte inferiore della pergamena, in corrispondenza di ogni personaggio del registro superiore, si trovano tre stemmi. Quello centrale, sorretto da due angioletti in volo, sormontato dal triregno, è lo stemma papale di Pio II, quello posizionato sotto alla figura di Antonio Piccolomini, sormontato dalla mitria è il suo stemma arcivescovile, mentre il Rustici presenta uno stemma molto rovinato dall’uso del tempo che, mediante opportuni confronti, è stato comunque identificato come suo, rappresentando un leone alato visto di fronte.
Fonti e bibliografia
PICCOLOMINI, Il ritratto di Pio II, in “L’Arte”, 6, 1903, p. 194; CARLI, Pienza, la città di Pio II, Roma, 1993, p. 133; AVESANI, Epaeneticorum ad Pium II Pont. Max. libri V, in D. MAFFEI, Enea Silvio Piccolomini. Papa Pio II. Atti del convegno per il quinto centenario della morte e altri scritti, Siena, 1968, p. 47; LA PORTA, Iconografia di Pio II, in L. MARTINI (a cura di), Pio II, La Città, Le Arti. La rinascita della scultura: ricerca e restauri, Siena, 2006, pp. 35 – 37, scheda 1
6-Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta (Siena 1410 – 1480)
Questa e le altre tavolette che seguono fanno parte dell’importante serie, conservata presso l’Archivio di Stato di Siena che va sotto il nome di Biccherne. Il nome di Tavolette dipinte della Biccherna deriva dal fatto che proprio l’ufficio finanziario della Biccherna introdusse l’uso, successivamente seguito dall’ufficio della Gabella generale ed altri, di dipingere le tavole – copertina dei propri registri. Questa usanza, iniziata nel 1257 e continuata fino alla metà del quattrocento, venne parzialmente modificata per l’usura e i danni a cui le pitture erano sottoposte in seguito al frequente utilizzo dei registri. Si deliberò, quindi, di continuare la tradizione facendo dipingere piccole tavole da appendere poi alle pareti dell’ufficio. Anche le dimensioni delle stesse si modificarono, spesso ampliandosi, non essendo più vincolate alle misure dei registri.
Nonostante questi cambiamenti, la struttura compositiva rimase sostanzialmente identica. Nella parte superiore è raffigurato il soggetto protagonista, nella fascia intermedia trovano posto le armi gentilizie delle persone che fecero parte dell’ufficio, mentre nella zona inferiore si può leggere un’iscrizione di interesse storico, paleografico o archivistico.
Il piccolo dipinto, l’ultimo dell’intera serie ad essere realizzato a fondo oro, rappresenta l’episodio dell’incoronazione a pontefice, avvenuta il 3 settembre 1458, di Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Il papa è raffigurato al centro della composizione, seduto su un faldistorio con braccioli leonini, mentre viene incoronato con il triregno da due cardinali. Altri sei cardinali fanno da contorno seduti su di una panca semicircolare. Dietro al pontefice, in posizione più elevata, sovrasta la scena la figura della Vergine, protettrice di Siena. L’aquila imperiale, che compare a sinistra, potrebbe essere collegata ai tradizionali rapporti di vicinanza di Siena con l’Impero, rapporti resi ancora più saldi a partire dalla metà del secolo XIV, mentre a destra si nota lo stemma del Comune e del Popolo di Siena. Enea Silvio Piccolomini mostra qui una fisionomia molto fedele alla realtà. Nonostante le piccole dimensioni del dipinto, il Vecchietta che conosceva bene il papa, lo volle raffigurare con le sue vere sembianze, senza particolari benevolenze, il viso largo e paffuto con profonde rughe d’espressione, gote cadenti, mento piccolo e puntuto, naso con setto largo e con narici carnose, bocca piccola con labbra sottili e occhi rotondi.
Sottostante alla scena principale si nota, al centro, una veduta tradizionale della città di Siena, ai cui lati si trovano due chimere affiancate dalle insegne delle famiglie Finetti e Umidi, mentre le due fasce sottostanti sono occupate, rispettivamente, dagli stemmi degli ufficiali responsabili dell’ufficio di biccherna e, più sotto, da un’iscrizione, forse non originale, che riporta, però, fedelmente i nomi degli ufficiali in carica nel 1460, che recita: QUESTA E’ L’ENTRATA E USCITA DEL VENERABILE AGNIOLO DI PIETRO DI BALDO CHAMERLENGO DI BICHERNA AL TENPO DE’ SAVI HUOMINI FILIPO DI PIERO UMIDI, SER ANTONIO DA BAGNIAIA E PETRO DI BARTALOMEO DI CHARLO E TOMASSO D’ORBANO GIOVANNELLI E TOMASSO DI MISERE, GIORGIO TOMASSI E ANTONIO DI GIOVANNI PINI E LOCIO DI CHECO DE RONDINA E GIORGIO DI FRANCIO D’ACHARIGI TALOMEI E DOMENICO DI VENTURINO VENTURINI – MCCCC60
Fonti e Bibliografia
BORGIA, E. CARLI, M.A. CEPPARI, U. MORANDI, P. SINIBALDI, C. ZARRILLI (a cura di), Le Biccherne, tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), Roma, 1984, pp. 1, 166-167. ; BARTALINI, Il tempo di Pio II, in L. BELLOSI (a cura di), Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena, 1450 – 1500, Milano, 1993, pp. 114 – 115; LA PORTA, Iconografia di Pio II, in L. MARTINI, a cura di, Pio II, La Città, Le Arti. La rinascita della scultura: ricerca e restauri, Siena, 2006, pp. 38 – 39, scheda 2
7-Francesco di Giorgio? (Siena 1439 – 1501)
Il dipinto rappresenta, nella scena principale, l’imposizione del cappello cardinalizio, avvenuta nel febbraio del 1460, durante il viaggio di ritorno da Mantova, da parte di Pio II al nipote Francesco Todeschini (o più correttamente, Tedeschini) Piccolomini (Sarteano, 1439 – Roma, 1503), quarto figlio di Giovanni Tedeschini e Laudomia Piccolomini, sorella di Enea Silvio e futuro papa Pio III. L’episodio è ambientato in un interno decorato con bassorilievi all’antica, le cui pareti sono rivestite da drappi a motivi fitomorfi. Il papa, seduto al centro, sopra ad uno scranno contenuto in una nicchia semicircolare, impone, con solennità, la berretta cardinalizia al nipote che, inginocchiato e col capo reclinato, volge le spalle allo spettatore per cui, di lui, non si nota altro che il manto rosso che lo avvolge completamente. Assistono alla scena, oltre a quattro cardinali, seduti ai lati del pontefice, ad altri quattro prelati che, assieme al Todeschini, stanno per ricevere il cappello cardinalizio, anche quattro raffinati gentiluomini vestiti elegantemente alla moda del tempo. Pio II mostra la sua reale fisionomia e, nonostante il non perfetto stato di conservazione della tavola, sono evidenti i tratti somatici tipici del pontefice.
La fascia intermedia del dipinto riporta gli stemmi gentilizi degli ufficiali di gabella in carica nel 1460 mentre, nello spazio inferiore, accanto allo stemma del notaio Gaspare di Antonio, corre la scritta:
Questa è l’entrata e uscita della genera[le] Kabella del comuno di Siena al tempo dei savi huomini Giovanni di Missere Pietro Pecci Kamarlengo di Kabella. Matheo di Ghuido, Giovanni di Ciecho Thomasi, Missere Bindo di ser Giovanni Bindi, Gabrioccio di Nicholò Tholomei Esseghuitori di Kabella. Mariano di Meio di Nardo iscriptore di Kabella, ser Ghuasparre d’Antonio notaio di Kabella per sei mesi cominciati a dì primo di gennaio 1459 e finiti a dì ultimo di giugno 1460.
Fonti e Bibliografia
BORGIA, E. CARLI, M.A. CEPPARI, U. MORANDI, P. SINIBALDI, C. ZARRILLI (a cura di), Le Biccherne, tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), Roma, 1984, pp. 168-169. ; BARTALINI, Il tempo di Pio II, in L. BELLOSI (a cura di), Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena, 1450 – 1500, Milano, 1993, pp. 116 – 117
8-Anonimo miniatore del XV secolo
La miniatura è tratta dal foglio 1 r del codice vaticano lateranense n. 6941 e rappresenta, in tondo, il profilo di Pio II, volto a sinistra di chi guarda. Evidenti sono i rimandi alla medaglia del Guazzalotti da cui deriva in modo palmare. L’unica differenza riguarda l’abbigliamento del pontefice che qui indossa piviale e triregno. Il profilo mette in evidenza le stesse caratteristiche fisiognomiche già presenti nella medaglia: il collo corto, il mento appuntito, la bocca piccola e prominente, le guance cadenti, il naso con la punta cadente sulla bocca e gli occhi grandi. A conferma ulteriore della derivazione dalla medaglia, intorno alla figura corre la medesima scritta con lo stesso errore: ENAEAS PIUS SENENSIS PAPA SECUNDUS. Questa miniatura è un’ulteriore testimonianza e conferma della reale fisionomia di Enea Silvio Piccolomini.
Fonti e bibliografia
CARLI, Pienza, la città di Pio II, Roma, 1993, p.133 ; MAFFEI, Enea Silvio Piccolomini. Papa Pio II. Atti del convegno per il quinto centenario della morte e altri scritti, Siena, 1968, p. III
9-Anonimo pittore umbro dell’ambito di Benozzo Gozzoli
L’affresco, già pubblicato da Aldo lo Presti, venne eseguito per commemorare la visita di Pio II, avvenuta nel luglio 1462, al convento francescano dell’isola Bisentina. L’opera, oggi quasi completamente perduta, è testimoniata da una immagine della fototeca Zeri (studioso che ne ha anche avanzato l’attribuzione) che evidenzia ancora bene il volto di Pio II. Posizionato sulla facciata esterna della cappellina del Tabor, dedicata alla Trasfigurazione, mostra il pontefice, seduto in posizione sopraelevata, che parla con tre frati francescani inginocchiati davanti a lui.
Enea Silvio Piccolomini è ritratto di profilo, rivolto a destra di chi guarda, vestito con una lunga veste ed una mantellina o mozzetta dotata di un cappuccio tirato sul capo, sotto al quale si nota la presenza di una cuffietta bianca. Accanto al volto corre la scritta: PIUS P.P. II FUIT HIC MCCCC…. I lineamenti corrispondono in modo puntuale alla reale fisionomia del pontefice. Questa decisa somiglianza è, probabilmente, dovuta al fatto che l’affresco fu perlomeno iniziato da maestranze umbre, seguaci di Benozzo Gozzoli, nello stesso periodo del soggiorno papale all’isola Bisentina o poco dopo. L’impressione è che gli anonimi esecutori dell’opera avessero ben presenti i tratti fisiognomici del papa tanto che il volto di Pio II sembrerebbe avere le caratteristiche di un ritratto dal vero. Questa preziosa testimonianza conferma che i lineamenti evidenziati nella medaglia del Guazzalotti, sono i reali tratti del volto del Piccolomini, almeno a partire dal 1458.
Fonti e bibliografia
A- LO PRESTI, Il ritratto di Pio II sull’isola Bisentina, in “Canonica, Rivista di Studi Pientini”, 9, 2019, pp. 5 – 12, con bibliografia precedente.
10-Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta (Siena 1410 – 1480)
Si tratta di una delle cinque pale eseguite appositamente per il Duomo di Pienza, presumibilmente tra il 1462 ed il 1463, su commissione di Pio II per adornare gli altari del sacro edificio. Considerata da molti critici come il capolavoro pittorico del Vecchietta, firmata in basso al centro : OPUS LAURENTII PETRI SCULTORIS DE SENIS, si presenta, pur nella sua struttura generale “ad templum”, diversamente dalle altre quattro pale, ripartita in tre scomparti, di cui il centrale, centinato, raffigura l’Assunzione della Vergine ed i laterali, a destra rappresentano san Calisto e santa Caterina da Siena, mentre a sinistra i santi Agata e Pio I. Quest’ultimo scomparto è interessante dal punto di vista iconografico in quanto si è voluto riconoscere, nel volto di san Pio I, la fisionomia di Pio II.
L’ipotesi, formulata da G. Vigni e J. Pope Hennessy e riproposta dubitativamente da Enzo Carli, trova invece, a parere dello scrivente, una sua validità. I lineamenti del san Pio I, pur presentando alcune difformità rispetto a quelli di Enea Silvio Piccolomini (la forma del viso che qui appare meno corto e quadrato, la bocca leggermente più carnosa), in molti altri particolari, come gli occhi rotondi e grigio – azzurri, la forma del naso, le profonde pieghe naso – labiali e, soprattutto, l’espressione vigorosa e fiera, simile a quella che compare, ad esempio nel busto di Paolo Romano, ricordano in modo singolare le fattezze di Pio II. Il “gioco” dell’identificazione fisiognomica tra Pio I e Pio II si era, del resto, come sappiamo, già verificato almeno un’altra volta, nello smalto, attribuito a Pietro di Bartolomeo Sali, attualmente conservato nel Museo Diocesano di Palazzo Borgia. In quel caso la somiglianza è evidente, in questo caso, più sfumata ma molto suggestiva e, a mio parere, non casuale. L’ipotesi potrebbe essere quella di un “omaggio”, da parte di Lorenzo di Pietro, al pontefice – committente, forse su suggerimento dello stesso Pio II, con l’intento di realizzare una memoria idealizzata delle fattezze del Piccolomini.
Fonti e bibliografia
VIGNI, Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, Firenze, 1937, p. 44, POPE HENNESSY, Sienese Quattrocento Painting, London 1947, p. 29 ; CARLI, Pienza. La città di Pio II, Roma, 1993, pp. 107 – 108, 131, 133 ; MARTINI, Tabule pictae e altri ornamenti per la Cattedrale di Pienza, in A. ANGELINI (a cura di), Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, Cinisello Balsamo, 2005, pp. 259 – 262
11-Pietro di Bartolomeo Sali (attivo a Firenze nel XV secolo)
La placchetta polilobata, in smalto traslucido, faceva parte di una serie di sedici formelle ordinate da Pio II per ornare la mitria (purtroppo perduta) di colore rosso che avrebbe indossato il primo vescovo di Pienza, Giovanni Cinughi, in occasione dell’inaugurazione della nuova cattedrale di Pienza. In prossimità dell’agosto 1462, va, quindi, collocato temporalmente il gruppo di smalti che, attualmente, ornano due mitrie diverse, risalenti al XIX secolo. Dalla decorazione dei due sacri copricapi ottocenteschi, sono escluse due formelle, una, raffigurante S. Caterina, è priva di montatura, mentre l’altra, quella con S. Pio I papa, è contenuta in un fermaglio per piviale. L’abile orafo, autore dei preziosi manufatti, sembrerebbe, secondo Marco Collareta e Laura Martini, essere identificabile con Pietro di Bartolomeo Sali, fiorentino, formatosi nei modi di Filippo Lippi, dal 1457 associato con Maso Finiguerra (1426 – 1464) e, almeno dal 1460, con Antonio Pollaiolo (1431 – 1498) del cui stile, gli smalti qui descritti, risentono evidentemente, anche se in maniera semplificata.
La figura di S. Pio I (morto a Roma nel 154) che fu papa, presumibilmente, tra il 140 ed il 154, è orientata di fronte, con la mano destra in atto benedicente e la sinistra posata su un libro appoggiato al ginocchio, assisa su un trono dorato. Il santo indossa, sopra ad una veste bianca, un piviale verde bordato in oro ed in capo porta il triregno.
Il volto ricorda, in modo evidente, i lineamenti di Enea Silvio Piccolomini come li conosciamo nei manufatti eseguiti attorno al 1462, tanto da persuadere Enzo Carli (e anche lo scrivente) di trovarsi davanti ad uno dei rari ritratti dal vero di Pio II, rimarcandone l’importanza per gli studi di iconografia.
Il vezzo, inoltre, di sovrapporre la propria fisionomia a quella, sconosciuta, del suo omologo predecessore, qui realizzata in modo incontrovertibile, porta a pensare, come già ipotizzato da alcuni studiosi, che il medesimo artificio sia stato utilizzato nella pala dell’Assunta, eseguita da Vecchietta per la cattedrale di Pienza, in cui la figura di S. Pio I ha forti analogie fisiognomiche con i lineamenti del Piccolomini.
Fonti e Bibliografia
CARLI, Pienza, la città di Pio II, Roma, 1993, p. 134; MARTINI, Museo Diocesano di Pienza, Siena, 1998, pp. 75 -76, 88 – 89; COLLARETA, Un gruppo di smalti fiorentini a Pienza, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia”, s. III, XXI, 1991, pp. 447 – 456; MARTINI, Tabule pictae e altri ornamenti per la Cattedrale di Pienza, in A. ANGELINI (a cura di), Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, Cinisello Balsamo, 2005, p. 274
12-Paolo Taccone, detto Paolo Romano (notizie dal 1451 – Roma dopo il 1470)
Paolo Taccone, detto Paolo Romano fu uno degli artisti prediletti da Pio II. A lui, infatti, il pontefice affidò numerose commissioni, tra cui, le statue di S. Pietro e S. Paolo per la basilica di S. Pietro (ora nell’Aula del Sinodo in Vaticano), un S. Paolo di grandi dimensioni per ponte S. Angelo, il tabernacolo di S. Andrea, realizzato, con Isaia da Pisa, in occasione dell’arrivo della reliquia del Santo da Patrasso, fino ai lavori a lui parzialmente affidati, della tomba di Pio II, attualmente collocata nella chiesa di S. Andrea della Valle.
Tra le sue opere di livello più alto, che denotano, cioè, un intervento preminente del Maestro, rispetto ad altri manufatti in cui, il coinvolgimento della numerosa bottega, rende alquanto discontinua la resa qualitativa, possiamo annoverare lo splendido busto in marmo di Pio II, conservato nel salone sistino della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Eseguito tra il 1462 e il 1463, raffigura Pio II in tutta la sua autorità pontificale, vestito di un ricco piviale con lo stolone chiuso da un’imponente, prezioso fermaglio. In capo, sopra ad una cuffietta, il papa porta il triregno. L’adesione ai reali tratti somatici del pontefice è assoluta, ma traspare anche una sbalorditiva comprensione psicologica e ideologica del ritrattato. Questa abilità, valse a Paolo Romano, il ruolo di ritrattista ufficiale di Pio II. Enea Silvio ha lo sguardo rivolto altrove, l’espressione è concentrata ed energica, quasi a voler impersonare l’autorità ed il potere, anche temporale, del papato.
Riconosciamo in questo magnifico busto, primo ritratto del papa in tre dimensioni, tutte le caratteristiche fisiognomiche che, in vario modo, sono rintracciabili nelle opere, precedenti e successive, che riproducono le sembianze del Piccolomini: occhi grandi e rotondi, guance cadenti con solchi naso – labiali molto evidenti, bocca piccola e pronunciata con labbra sottili, mento piccolo e puntuto, doppio mento e collo corto. Rispetto ad altre raffigurazioni leggermente precedenti, si nota qui una minor floridezza del volto, le guance cadenti sono più scavate, il volto meno tondo, la pinguedine più flaccida, segno di quel rapido decadimento fisico del pontefice, soprattutto negli ultimi anni di vita, che lo porterà rapidamente a morte, nell’agosto del 1464.
Fonti e bibliografia
ANGELINI, Templi di marmo e tavole quadre. Pio II e le arti nei Commentarii, in A. ANGELINI (a cura di), Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, Cinisello Balsamo, 2005, pp. 35, 38
13 – Paolo Taccone, detto Paolo Romano (notizie dal 1451 – Roma dopo il 1470) e Maestro di Pio II (attivo nella seconda metà del XV secolo)
Il monumento funerario di Pio II è attualmente conservato, insieme a quello di Pio III, che gli sta di fronte, nella basilica romana di Sant’Andrea della Valle. Un tempo, entrambi erano collocati in Vaticano ma, nel 1614 – 1615, sotto il pontificato di Paolo V, furono posizionati nell’attuale ubicazione. La tomba di Pio II, posta sulla parete sinistra rispetto all’entrata, tra due lesene, presenta una complessa struttura architettonica all’antica, suddivisa orizzontalmente in cinque parti.
Alla sommità del monumento, sorretto da due angioletti in volo, campeggia lo stemma papale Piccolomini sovrastato dalle chiavi di Pietro e dal triregno, appena al di sotto di una fascia decorativa con teste di cherubino e festoni di frutta, il primo riquadro dall’alto mostra, al centro, la Vergine col Bambino affiancata, a sinistra da Pio II inginocchiato, in atteggiamento orante, accompagnato da San Pietro in atto di raccomandare Enea Silvio Piccolomini a Maria, mentre a destra, raffigurati in modo speculare e col medesimo atteggiamento, San Paolo ed un cardinale, probabilmente Francesco Todeschini Piccolomini, committente dell’opera.
Il secondo riquadro è completamente occupato dalla figura di Pio II disteso sopra un sarcofago che, sul fianco, porta la scritta: PIUS PP. II.
Al di sotto di questo, la terza porzione del monumento, mostra la scena che raffigura la traslazione, nella basilica di San Pietro, della reliquia della testa di Sant’Andrea apostolo.
L’importante episodio, uno degli eventi cruciali del pontificato di Pio II, simbolo del “salvataggio occidentale di Bisanzio”, avvenuto il 12 febbraio 1462, dopo un viaggio avventuroso, da Patrasso a Roma, compiuto da Tommaso Paleologo, ultimo despota di Morea e ultimo figlio del basileus Manuele II, è qui rappresentato in un riquadro ricco di figure, collocate in un ambiente architettonico classicheggiante, tra cui spiccano, al centro, a destra di chi guarda, Pio II che sostiene il reliquiario contenente la testa del santo e, a sinistra, il cardinale Bessarione. All’estrema destra della scena si nota la figura elegante, vestita all’orientale, di Tommaso Paleologo.
La parte più bassa della tomba è occupata da una lunga iscrizione commemorativa seicentesca, apposta dal cardinale Peretti di Montalto al tempo dello spostamento del monumento. Il testo attuale riprende il tema dominante dell’originale iscrizione quattrocentesca fatta apporre dal cardinal nipote Francesco Todeschini Piccolomini sulla tomba quando si trovava nella sua collocazione originale.
Al fianco dei tre riquadri superiori, in nicchie chiuse da una volta a conchiglia, sono collocate sei piccole sculture, raffiguranti rispettivamente, dall’alto e da sinistra a destra: Scienza, Fortezza, Prudenza, Giustizia, Fede, Carità.
Il grande monumento, iniziato, con molta probabilità già a partire dal 1464 e terminato poco dopo, su commissione di Francesco Todeschini Piccolomini, fu affidato per l’esecuzione al fidato scultore Paolo Tacconi, detto Paolo Romano, a cui Pio II ordinò, in precedenza, molte importanti opere. In questa occasione, però, la gran parte dell’esecuzione scultorea si deve ad un anonimo, importante collaboratore di Paolo, il cosiddetto Maestro di Pio II, di formazione toscana, giunto a Roma intorno al 1460, che in più occasioni, anche prima della morte del pontefice, lavorò insieme al capo bottega. In tutte le scene in cui compare, Pio II è rappresentato in maniera conforme alla sua fisionomia reale. La somiglianza con le vere fattezze del pontefice è molto puntuale anche perché, sia Paolo Romano, che aveva eseguito il bellissimo busto marmoreo di Enea Silvio, che il cardinal nipote, Francesco Todeschini PIccolomini, avevano ben presenti le caratteristiche fisiognomiche del pontefice.
Fonti e bibliografia
FORCELLA, Iscrizioni delle chiese ed altri edificii di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, vol. 8, Roma, 1876, p. 262; ANTONIUTTI, Pio II e sant’Andrea apostolo. Le ragioni della devozione, Roma, 2004, pp. 50 – 52 ; CAGLIOTI, La cappella Piccolomini nel Duomo di Siena, da Andrea Bregno a Michelangelo, in A. ANGELINI (a cura di), Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, Cinisello Balsamo, 2005, pp. 396 – 401 ; RONCHEY, Andrea, il rifondatore di Bisanzio. Implicazioni ideologiche del ricevimento a Roma della testa del patrono della chiesa ortodossa nella settimana santa del 1462, in M. KOUMANOUDI – C. MALTEZOU (a cura di), Dopo le due cadute di Costantinopoli (1204, 1453): Eredi ideologici di Bisanzio, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Venezia, 2006, pp. 259 – 262; MARTINI, Rilievi per la devozione privata, in L. MARTINI (a cura di), Pio II, La Città, Le Arti. La rinascita della scultura: ricerca e restauri, Siena, 2006, pp. 81 – 84, scheda 10
14-Francesco da Vico [o di Vico] (Milano, post 1472)
La grande tela, databile al 1472, è custodita nella raccolta d’arte dell’Ospedale Maggiore di Milano in coppia con un’altra di dimensioni simili che rappresenta: I duchi di Milano fanno l’offerta per la fondazione dell’Ospedale Maggiore. Entrambe, un tempo nella cappella dell’antico complesso ospedaliero, sono attribuite a Francesco da Vico, pittore lombardo poco noto, di cui si hanno scarse notizie solo a partire dal 1472. Il nostro dipinto descrive un episodio cruciale per la storia dell’Ospedale Maggiore di Milano (successivamente chiamato popolarmente Ca’ Granda), la consegna, avvenuta il 9 dicembre 1458, da parte di Pio II al duca Francesco Sforza e alla moglie, Bianca Maria Visconti, della bolla di approvazione per la costruzione dell’ospedale.
Il papa, posto alla sinistra dell’osservatore, seduto in cattedra, indossa gli abiti pontificali ed il triregno. Con la mano destra consegna la Bolla di approvazione a Francesco Sforza, inginocchiato davanti a lui, parimenti inginocchiata ma in posizione leggermente più defilata ed in secondo piano, si nota Bianca Maria Visconti. La mano sinistra del pontefice sta indicando un grande ed armonioso edificio dalle forme classiche che sovrasta la scena, il nuovo Ospedale Maggiore. Subito dietro a Pio II, tre cardinali osservano interessati. Il volto di Enea Silvio, è posto di profilo, come quello degli altri protagonisti del dipinto, quasi ad omaggiare la medaglistica antica e presenta la caratteristica fisionomia del Piccolomini, essendo ancora, all’epoca della realizzazione dell’opera, molto vicino il ricordo delle reali fattezze del pontefice.
Il 12 aprile1456, il duca di Milano, Francesco Sforza, pose la prima pietra dell’”hospitale grando” che accorpava l’amministrazione di sedici dei principali ospedali cittadini preesistenti, dedicandolo a S. Maria Annunziata. Il progetto iniziale, che subì nel tempo numerose modifiche, fu affidato al grande architetto toscano Antonio Averlino, detto il Filarete (Firenze, 1400 – Roma? post 1465). L’architetto ideò un edificio la cui forma era ispirata alla croce. La planimetria era caratterizzata da due crociere (una destinata agli uomini e l’altra alle donne), inscritte in un quadrato, che definivano ciascuna quattro cortili interni.
L’ospedale, che ben presto prese il nome di Ca’ Granda dei milanesi, si distinse da subito per la qualità delle prestazioni erogate a pazienti di qualsiasi condizione sociale ed economica e per la capacità di attrarre volontari e donazioni, coadiuvato in modo sostanziale, dalla Bolla Virgini gloriosae, emanata da Pio II nel dicembre del 1459, che concedeva l’indulgenza plenaria a tutti i benefattori dell’ospedale e, contemporaneamente, istituiva, per ogni anno dispari, la “Festa del Perdono”, una tradizione ancora oggi praticata, allo scopo di incentivare le donazioni.
Fonti e Bibliografia
G.C. BASCAPE’ – E. SPINELLI, La raccolta d’Arte dell’Ospedale Maggiore di Milano dal XV al XX secolo, Cinisello Balsamo, 1956 ; COSMACINI, La Ca’ Granda dei milanesi. Storia dell’Ospedale Maggiore. Roma-Bari, 1999.
15-Anonimo artista della fine del XV secolo
Si tratta della prima tavoletta delle serie delle cosiddette biccherne dedicata a Santa Caterina da Siena (Siena, 1347 – Roma, 1380). Il periodo in cui l’opera fu dipinta è contraddistinto da un nuovo interesse per il culto della Santa in aperto dissenso con la polemica aperta dai francescani che negavano il miracolo delle stimmate. L’episodio della stimmatizzazione di Caterina, secondo alcune fonti sarebbe avvenuto a Pisa, davanti al Crocifisso della chiesa di Santa Cristina.
La scena principale mostra, appunto, il momento in cui la Santa riceve le stimmate. L’episodio si svolge all’interno di un edificio sacro, Caterina, inginocchiata davanti al Crocifisso posto sopra ad un altare, riceve, a braccia aperte con i palmi delle mani in evidenza, i segni della Passione di Cristo. Alle sue spalle, due consorelle si guardano reciprocamente con stupore. Sulla destra del dipinto, in una nicchia, seduto, in atteggiamento ieratico e con lo sguardo rivolto allo spettatore, Pio II, a cui si deve la canonizzazione della Benincasa nel 1461, assiste, o meglio, sembra presentare l’evento miracoloso che si sta svolgendo alla sua destra. Il pontefice indossa un piviale rosso ed una veste verde ed in testa porta il triregno. La sua fisionomia mostra dei lineamenti più dolci e leggermente idealizzati rispetto ai tratti fortemente realistici raffigurati nelle tavolette dipinte dal Vecchietta, ma l’ignoto autore riesce comunque ad essere piuttosto vicino alle fattezze originali del Piccolomini.
Al di sotto della fascia intermedia in cui sono raffigurati gli stemmi degli Ufficiali di Gabella, corre la scritta:
QUESTA E’ L’ENTRATA E L’USCITA DELLA GENARALE CHABELLA DELL’HOMUNO DI SIENA PER TENPO D’UNO ANNO INCHOMINCIATOA DI’ PRIMO DI GENAIO MCCCC.98 E FINITO A DI’ ULTIMO DI DICENBRE MCCCC.99 AL TENPO DE LI SPETTABILI UOMINI ANTONIO DI HUIDO HAMERLENGO, MISERE IACHOMO PICHOLOMINI, MISERE GIORGIO DI SENSO, MISERE LONARDO BELANTI E BIAGIO DI MISERE GHUIDANTONIO PIHOLOMINI, ASEHUITORI PER LI PRIMI SEI MESI. PIETRO DI TORO, GIROLAMO DI NICHOLO’ DONATI, PIETRO DI BIAGIO DI DINO, TOMASO D’ANTONIO DI NERI MARTINI, ESEHUITORI PER LI SECHONDI SEI MESI. ANTONIO MANUCCI SCRITORE, SERE ANTONIO CHANPANA NOTAIO. PER UNNO ANNO, SERE ALISANDRO DI SERE FRANCESHO NOTAIO DEL FORESTIERO.
L’iscrizione, pur portando la data del 1499, elenca i nomi degli ufficiali di Gabella in carica nel 1498, data a cui, quindi, viene riferita la tavola.
Fonti e Bibliografia
BORGIA, E. CARLI, M.A. CEPPARI, U. MORANDI, P. SINIBALDI, C. ZARRILLI (a cura di), Le Biccherne, tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), Roma, 1984, pp. 200 – 201.
16-Luca Signorelli (Cortona, 1450 circa – Cortona, 1523), bottega di
Tra le molte biblioteche sorte nel periodo medioevale e umanistico, spiccano, per le loro caratteristiche singolari e comuni, costruite in forma di cappella annessa alla cattedrale, i due casi di Siena e Orvieto. I committenti di questi due edifici, l’arcidiacono Antonio degli Albèri per Orvieto e il cardinale Francesco Tedeschini Piccolomini per Siena, erano strettamente legati da forti rapporti di stima e amicizia. L’Albèri, lettore presso lo Studio di Perugia, era stato il maestro di Francesco che, divenuto arcivescovo di Siena, il 19 febbraio 1460, cercherà sempre la sua collaborazione. Questi stretti rapporti durarono sino all’elezione a pontefice del Tedeschini il quale, nel suo brevissimo pontificato (22 settembre – 18 ottobre 1503), riuscì a nominare vescovo il suo antico maestro. Il completamento della biblioteca orvietana, iniziata nel 1499 per accogliere i trecento preziosi volumi della raccolta dell’arcidiacono, da lui donata al Duomo di Orvieto, dovette senz’altro avvenire prima della nomina a vescovo dell’Albèri, in quanto, sulla volta, al centro, compare il suo stemma sormontato da un galero di colore nero che sottintende al titolo di arcidiacono.
L’ambiente è decorato, ad opera di artisti della bottega di Luca Signorelli, nelle lunette, da figure a monocromo costituite da coppie di personaggi famosi nelle varie discipline del sapere raffigurati a mezzo busto e, negli oculi, da singole teste, secondo lo schema iconografico degli Uomini Illustri che richiama gli studioli rinascimentali. Compaiono, quindi, per la poesia, Omero e Virgilio; Tolomeo e Albumasar per l’astrologia; Galeno e Ippocrate per la medicina; per il diritto canonico è raffigurato Pio II e tra gli storici, oltre a Sallustio e Curzio Rufo, è stato inserito il ritratto di Giovanni Antonio Campano. Quest’ultimo, oltre ad essere stato il segretario di Pio II, fu uno dei più ascoltati collaboratori del Tedeschini e l’ispiratore, oltre ai Commentarii del Piccolomini, del ciclo pittorico della Libreria Piccolomini. L’inserimento di Enea Silvio tra gli Uomini illustri, ha un altro solo precedente conosciuto: quello dello studiolo di Federico da Montefeltro ad Urbino.
L’affresco a monocromo orvietano, raffigurante Pio II, mostra solamente la sua testa e una piccola porzione delle spalle. Il pontefice indossa il triregno e ha il viso posto in posizione frontale rispetto allo spettatore. I lineamenti, marcati e grossolani, con guance cadenti e profonde pieghe naso – labiali, sono molto vicini alla sua reale fisionomia, tanto da far pensare che l’autore dell’opera fosse a conoscenza di modelli o testimonianze piuttosto precise riguardo al vero aspetto di Pio II.
Fonti e bibliografia
CARLI, Il Duomo di Orvieto, Roma 1965, p. 121; GILBERT, La libreria dell’arcidiacono Albèri, in G. TESTA (a cura di), La Cappella Nova o di san Brizio nel Duomo di Orvieto, Milano 1996, pp.307 – 308 ; CACIORGNA – R. GUERRINI, Biografia, autobiografia e tradizione classica nella Libreria Piccolomini, in M. LORENZONI (a cura di), Le pitture del Duomo di Siena, Cinisello Balsamo, 2008, pp. 148 – 150 ; LO PRESTI, Un fragile sogno d’amore e d’arte: il duomo di Pienza fra “ripristino” e ricostruzione, in “Canonica”, 7, 2017, p. 29
17-Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma (Vercelli, 1477 – Siena, 1549)
L’opera orna e circonda la porta di passaggio tra la cosiddetta camera da letto di Pio II e l’attuale sala d’armi, da cui si accede al bellissimo loggiato del palazzo. L’affresco fu, con molta probabilità, ordinato dai nipoti del papa, Antonio, Giacomo e Andrea, per onorarne la memoria, ad un artista, individuato, in un primo tempo e dubitativamente, in Vincenzo Tamagni, collaboratore del Sodoma nel grande ciclo di affreschi dell’abbazia di Monteoliveto Maggiore. Studi più recenti, condotti da Laura Martini, ascrivono l’affresco all’attività giovanile del Sodoma stesso, al tempo in cui l’artista vercellese era impegnato nella decorazione del refettorio del monastero di S. Anna in Camprena (1503 – 04). La parte di parete dipinta a forma di edicola cuspidata, presenta, su fondo nero, nella porzione che corre lungo gli stipiti della porta, una decorazione a panoplie, mentre, intorno all’architrave e nella parte cuspidata, motivi a grottesche con amorini in vari atteggiamenti giocosi.
Esattamente sopra l’architrave dipinta, in una finta nicchia a valva di conchiglia, è raffigurato il busto del pontefice, rivolto a sinistra, chiaramente derivato da quello presente sul recto della medaglia di Andrea Guazzalotti. Sotto al busto, infatti, sull’architrave dipinta, è riportata la stessa scritta con il medesimo errore (Enaeas invece di Aeneas), presente sulla medaglia: ENAEAS PIUS SENENSIS P.P. II.
La somiglianza con le reali sembianze di Enea Silvio Piccolomini è, quindi, presso che assoluta.
Fonti e Bibliografia