di Roggero ROGGERI
1-Giusto di Gand [Joos van Wassenhove] (notizie dal 1460 al 1475) – Pedro Berruguete? (1445 circa – fine del 1503)
Il dipinto si trova ancora nel luogo per il quale era stato originalmente concepito, lo studiolo di Federico da Montefeltro (Gubbio, 1422 – Ferrara, 1482) nel palazzo ducale di Urbino. Questo piccolo ambiente, a pianta irregolare, è incuneato nel vano creatosi dal convergere della facciata dei torricini e dell’ala nord del palazzo. Gli studioli erano piccoli ambienti, molto raccolti, deputati all’otium, al riposo virtuoso e meditativo del Signore, luoghi, inoltre, di raccolta di oggetti rari e preziose opere d’arte. La decorazione dello studiolo di Federico si sviluppa in fasce sovrapposte. La fascia inferiore è costituita da un rivestimento ligneo finemente intarsiato con straordinari effetti illusionistici, la fascia intermedia era decorata da ventotto ritratti (di cui, in sede, ne restano quattordici, tra cui il Pio II) di Uomini Illustri, cioè raffinati intellettuali, personalità laiche e religiose, antiche e contemporanee, mentre il livello superiore consiste in una fascia lignea, che reca la data 1476, completata da un bel soffitto a lacunari. La decorazione dello studiolo rimase pressochè intatta sino al 1632, quando, trascorso un solo anno dalla devoluzione del Ducato di Urbino alla Santa Sede, Urbano VIII Barberini, dona al nipote Antonio, cardinal legato ad Urbino, l’intera serie dei ritratti. Nel 1644, i quadri si trovavano a Palazzo Barberini “alle quattro fontane”, nel 1812, per motivi ereditari, avvenne la divisione della serie in due gruppi di quattordici dipinti. Un gruppo rimase ai Barberini, l’altro passò ai Colonna Sciarra, poi ad Augusto Campana che lo cedette a Napoleone III e quindi al Louvre, dove ancora è conservato. Il nucleo ancora in possesso dei Barberini venne, nel 1934, venduto allo Stato italiano che lo destinò alla Galleria Nazionale delle Marche.
Di questo secondo gruppo faceva parte anche il Pio II che fu ricollocato, assieme agli altri tredici ritratti, nello studiolo. Lo smembramento del complesso iconografico, concepito come un unicum, portò, oltre a gravi danni alle tavole durante le operazioni di divisione delle stesse, anche alla eliminazione dei motivi ornamentali di contorno e, soprattutto, alla perdita delle iscrizioni elogiative che stavano sotto a ciascuna immagine. Fortunatamente, le iscrizioni furono trascritte, nel 1592, da Laurent Schrader e furono così salvate dall’oblio, dimostrando la centralità di Federico nell’ideazione del ciclo pittorico.
La serie degli Uomini Illustri comprendeva, suddivisi in gruppi di quattro, su due piani, le effigi di Platone, Aristotele, Gregorio, Girolamo, Tolomeo, Boezio, Ambrogio, Agostino, Euclide, Vittorino da Feltre, Pio II, Bessarione, Solone, Bartolo, Alberto, Sisto IV, Ippocrate, Pietro d’Abano, Dante, Petrarca, Cicerone, Seneca, Mosè, Salomone, Omero, Virgilio, Tommaso d’Acquino, Duns Scoto. In una recente mostra (2015), sono stati riuniti, per la prima volta dopo lo smembramento, tutti i ventotto dipinti originali, i quattordici già a Urbino e quelli provenienti dal Louvre. In quell’occasione, si è proceduto ad effettuare approfondite indagini diagnostiche sulle opere che hanno rivelato, non solo la presenza di due mani principali (Giusto di Gand che lavorò al ciclo fino al 1474 e quel Pietro Spagnolo, da alcuni critici identificato in Pedro Berruguete, attivo ad Urbino dal 1477), ma anche la possibilità che altri artisti italiani, Giovanni Santi e Melozzo da Forlì, ad esempio, abbiano potuto partecipare all’esecuzione del progetto. La serie doveva essere stata completata, secondo la testimonianza di Vespasiano da Bisticci, che ne scrive, almeno entro il 1482.
Il dipinto raffigurante Pio II è affiancato da quello che rappresenta il cardinale Bessarione. Le due figure sono rivolte l’una verso l’atra, quasi stessero affrontando una dotta disquisizione. Il pontefice è posto di profilo, rivolto alla destra di chi guarda, in posizione seduta, in un ambiente con il soffitto a piccole volte. Indossa il triregno ed un piviale di colore rosso chiuso da un grande fermaglio decorato con pietre preziose. Tra le mani tiene un libro aperto con una copertina verde e finiture in metallo sbalzato. Sotto la figura si legge la scritta: “PIO II PONT. MAX. Inferiormente a questa, prima dello smembramento, correva questa iscrizione:
“PIO II Pontif[ici] Max[imo], ob imperium auctum armis, ornatumq[ue] eloquientiae signis, Fed[ericus]po[uit], magnitudini animi laboribusq[ue] assiduis (A Pio II pontefice massimo, per aver ampliato il suo regno con le armi, ed averlo onorato con gli attributi dell’eloquenza, Federico pose a celebrarne la magnanimità e le assidue fatiche).
Il ritratto, eseguito a poco più di un decennio dalla morte, rivela una fisionomia abbastanza generica, anche se il profilo ricorda, in maniera molto ingentilita, le fattezze di Pio II. Singolare è il fatto che il committente, che conosceva personalmente e piuttosto bene Enea Silvio, approvasse l’esecuzione di un ritratto così generico. L’unica possibile spiegazione potrebbe essere che, in un consesso di personalità illustri di tutte le epoche, anche le fisionomie dei contemporanei dovessero subire una sorta di idealizzazione.
Fonti e bibliografia
DA BISTICCI, Vite degli uomini illustri del secolo XV, a cura di P. D’ANCONA – E. AESCHLIMANN, Milano, 1951, p. 209 ; SCHRADER, Monumentorum Italiae, quae hoc nostro saeculo et a Christianis posita sunt, libri quatuor, Helmaestadii, 1592 ; TUMIDEI; Melozzo da Forlì: fortuna, vicende, incontri di un artista prospettico, in M. FOSCHI – L. PRATI (a cura di), Melozzo da Forlì. La sua città e il suo tempo, catalogo della mostra, 1994, pp. 47, 76 – 77 ; PIEPER, Pienza. Il progetto di una visione umanistica del mondo, London, 2000, p. 67 ; LUCCO, Pedro Berruguete in Italia: leggenda, non storia, in Urbino 1470 – 80 circa. Omaggio a Pedro Berruguete e altro, in P. DAL POGGETTO (a cura di), “Quaderni della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici delle Marche”, nuova serie, 8, Urbino, 2003, pp. 11 – 22 ; R. VALAZZI, Gli Uomini Illustri dello studiolo di Federico da Montefeltro. Gli studi. La mostra, in A. MARCHI (a cura di), Lo studiolo del Duca. Il ritorno degli Uomini Illustri alla corte di Urbino, catalogo della mostra, Ginevra – Milano, 2015, pp. 13 – 17 ; MARCHI, Gli Uomini Illustri, in A. MARCHI (a cura di), Lo studiolo del Duca. Il ritorno degli Uomini Illustri alla corte di Urbino, catalogo della mostra, Ginevra – Milano, 2015, pp. 108 – 116.
2-Pittore dell’Italia centrale?
L’opera, nota solamente attraverso una fotografia, presenta caratteristiche stilistiche avvicinabili ad un pittore attivo nell’Italia centrale nella seconda metà del XVI secolo. Il dipinto faceva probabilmente parte di una serie raffigurante uomini illustri o personaggi importanti della famiglia Piccolomini. Una scritta in alto, probabilmente apposta in epoca successiva, recita: PIUS II PONT. MA e, in alto a sinistra, compare lo stemma Piccolomini e la data 1458, riferita chiaramente all’inizio del pontificato.
La figura, di profilo netto, rivolto a sinistra (a ricordo della medaglia del Guazzalotti, importante prototipo che ha ispirato vari artisti successivi, si staglia su un fondo scuro omogeneo che mette in risalto il velluto rosso scarlatto, bordato di bianca pelliccia di ermellino, di mozzetta e camauro indossati dal papa.
La fisionomia del pontefice ha qui già subito l’enfatizzazione della forma del naso, che appare quasi a becco, mentre gli altri lineamenti sono meno idealizzati e più realistici rispetto a quelli che appaiono nel ritratto della serie Gioviana.
Fonti e bibliografia
Inedito
3-Cristofano di Papi detto dell’Altissimo (notizie 1552 – 1605)
Il dipinto fa parte della serie Gioviana, anche detta collezione dei ritratti degli uomini illustri, conservata a Firenze, nel museo degli Uffizi e copiata, in vari periodi, dagli originali sistemati nella villa di Paolo Giovio sul lago di Como, da Cristofano dell’Altissimo, a partire dal 1552, anno della morte del Giovio, su commissione di Cosimo I de Medici. Nella seconda edizione delle Vite (1568), il Vasari cita, come già presenti a Firenze, 280 ritratti e, ancora tra il 1587 e il 1589, Cristofano, la cui vita artistica consistette quasi esclusivamente in questa infaticabile attività di copista, inviò a Firenze ancora un altro gruppo di opere. Già in quel periodo, l’uso di costituire una raccolta di immagini degli uomini illustri, godeva di una lunga tradizione, a partire da quella, raccolta tra il 1367 ed il 1379, da Francesco il Vecchio da Carrara, a Padova, o il ciclo di Palazzo Trinci a Foligno (1420 – 1430), e ancora, verso la seconda metà del XV secolo, quello dello studiolo di Federigo da Montefeltro a Urbino.
Il ritratto di Pio II di Firenze reca, in alto a sinistra, la scritta: PIUS II P. M. ed è databile tra il 1566 ed il 1568. Il papa è raffigurato di profilo netto, rivolto a sinistra, in abiti pontificali e mitria.
Certamente tratto da un dipinto gioviano oggi perduto, non sappiamo se originale o copia anch’esso, deriva, nell’impostazione, dall’effigie rappresentata al recto nella medaglia del Guazzalotti, ma qui si inizia ad osservare un graduale cambiamento nella fisionomia di Enea Silvio Piccolomini, i tratti del viso, pur mantenendo determinate caratteristiche originali (bocca piccola e pronunciata, mento piccolo, collo corto), a parte il naso che, da leggermente curvo, diventa quasi adunco, subiscono una sorta di ingentilimento, i forti, quasi rozzi, lineamenti del papa si addolciscono e perdono quel crudo realismo presente invece in quasi tutte le rappresentazioni eseguite negli anni prossimi alla sua esistenza terrena.
Il ritratto della serie Gioviana originale, da cui è derivato quello degli Uffizi, fa risalire il cambiamento fisiognomico nella raffigurazione del volto del pontefice, almeno alla prima metà del XVI secolo, epoca in cui Paolo Giovio ha costituito la sua collezione. L’importante mutazione della rappresentazione della fisionomia del Piccolomini verso una forma più “idealizzata”, con il naso più ricurvo e con tratti somatici per il resto corrispondenti all’originale, ma abbelliti e ingentiliti, forse dovuta alla circolazione a stampa, già a partire dagli inizi del XVI secolo, di ritratti non particolarmente realistici, ha dato origine ad una serie di dipinti che riportano, più o meno fedelmente questo nuovo modo di raffigurare il pontefice.
Fonti e Bibliografia
PRINZ, La serie Gioviana o la collezione degli uomini illustri, in L. BERTI (a cura di), Gli Uffizi, Catalogo generale, Firenze, 1980, pp. 603, 650
4-Cristofano di Papi, detto dell’Altissimo (notizie 1552 – 1605), copia da
Il dipinto, citato dalla fonte fotografica come appartenente alla Galleria degli Uffizi ma non rintracciabile nel catalogo generale del museo, è chiaramente una copia, di dimensioni maggiori, del ritratto di Pio II, eseguito da Cristofano dell’Altissimo, precedentemente descritta.
Il papa è raffigurato nella stessa posa, anche se l’inquadratura è a più di mezzo busto, di profilo netto, rivolto a sinistra, il naso è molto ricurvo e le fattezze idealizzate rispetto alla fisionomia reale del Piccolomini. Il pontefice indossa un pesante piviale bianco damascato, con stolone ricamato in oro a motivi fitomorfi, chiuso da un fermaglio in oro, decorato con quattro grandi perle ed un puntale centrale d’argento. Il capo è adornato da una mitria, anch’essa bianca, profilata in oro e ricamata anch’essa con motivi vegetali, sempre a filo d’oro.
Sotto ad essa compare una cuffietta bianca filettata d’oro. In alto a sinistra si legge la scritta: PIUS II PONT. MAX. Anche per questo dipinto valgono le medesime considerazioni iconografiche già esposte nella trattazione del dipinto originale di Cristofano dell’Altissimo.
Fonti e bibliografia
Inedito
5-Francesco Vanni (Siena, 1564 – 1610)
Il notevole ritratto si trova nella sala di ingresso del Palazzo Piccolomini di Pienza. Il dipinto, databile, per confronto con altre opere stilisticamente vicine, alla metà degli anni ’80 del Cinquecento, raffigura Enea Silvio Piccolomini nello splendore delle vesti pontificali.
Pio II indossa un ricchissimo piviale ricamato, sulla cui parte anteriore sinistra si nota la figura di S. Pietro cui dall’altro lato corrispondeva, come da tradizione, l’immagine di San Paolo, qui non visibile. Il papa indossa il triregno, sotto cui si nota il camauro. La figura è volta alla destra dello spettatore, di profilo netto, la mano destra benedicente, seduto su un’importante poltrona di velluto rosso sopra la quale compare la scritta: ENEA SIL. / PAPA PIO II. La fonte iconografica, che certamente deriva, ab origine, dalla medaglia del Guazzalotti, sembra vedere, in questo caso, un passaggio intermedio, probabilmente da una stampa di traduzione, spiegando così la visione in controparte (il profilo volto a destra e non a sinistra). I tratti somatici del pontefice sono piuttosto fedeli. Si nota, comunque, un particolare processo di addolcimento e ingentilimento idealizzante dei lineamenti che è difficile affermare se dovuto alla volontà di Francesco Vanni o alle caratteristiche del modello iconografico di cui si è servito per la realizzazione dell’opera.
Fonti e bibliografia
LAURA MARTINI, Visita al palazzo, in L. MARTINI – B. SANTI (a cura di), Il palazzo Piccolomini di Pienza. Guida al palazzo e alle sue collezioni, Siena, 2006, pp. 21 – 23 ; CIAMPOLINI, Pittori senesi del seicento, III, Siena, 2010, p. 930.
6-Bottega di Francesco Vanni (Siena 1564-1610)
Il dipinto, proveniente dal mercato antiquario, era in coppia con un altro quadro raffigurante Antonio Piccolomini della Modanella, primo arcivescovo di Siena e faceva probabilmente parte, come afferma Marco Ciampolini in una comunicazione scritta al proprietario, di una serie genealogica della famiglia. L’anonimo artista, proveniente sicuramente dalla bottega di Francesco Vanni, riprende in maniera precisa lo stile ed i modelli del Maestro. Quest’ultimo dovette detenere, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, una sorta di esclusiva per la ritrattistica piccolominea, come dimostrato per i numerosi ritratti della famiglia presenti a Pienza e divisi tra il Palazzo Piccolomini ed il Museo Diocesano di Palazzo Borgia.
L’opera, databile all’ultimo decennio del Cinquecento, raffigura Pio II, di profilo netto su fondo scuro, rivolto alla destra dello spettatore, vestito con mozzetta e camauro, con indice e anulare della mano destra uniti in atto benedicente. In alto a sinistra è presente lo stemma Piccolomini sovrastato dal triregno e dalle chiavi di Pietro. In basso, corre una fascia di colore omogeneo che riporta la scritta: “PIUS II PONT. MAX. PATRIA SE/ NENSIS FAMILIA PICCOLOMINEA
Evidenti sono le affinità stilistiche, a parte il diverso abbigliamento e la posizione della mano destra, con il ritratto del pontefice, opera del Vanni, custodita in palazzo Piccolomini. Il profilo e la fisionomia corrispondono in modo puntuale al ritratto pientino con, in aggiunta, una ulteriore accentuazione della curvatura del naso. Gli occhi grigio – azzurri di Enea Silvio, presenti nelle prime opere che lo raffigurano, sono stati sostituiti da generici occhi marroni e questo rafforza ancora di più l’ipotesi che il modello a cui questi ritratti si ispirano, non sia un’opera dipinta ma un’incisione che ha costretto il pittore a immaginare i colori del papa.
Fonti e bibliografia
Inedito
7-Anonimo Artista della fine del XVI, inizi XVII secolo
Il dipinto è conservato nella sala adibita a biblioteca nel Palazzo Piccolomini di Pienza, dove trova collocazione anche il suo pendant, di proporzioni simili e apparentemente della stessa mano, raffigurante papa Pio III. L’opera, eseguita in ovale, è arricchita da un passepartout decorato a finto marmo, sul quale, alla base, è posta la scritta: PIO II e raffigura il pontefice, di profilo netto, volto a destra dello spettatore, vestito con mozzetta e camauro. La fisionomia ricorda in parte le reali fattezze di Enea Silvio, anche se addolcite e idealizzate, probabilmente tratte da un’incisione. La posizione in cui il dipinto è collocato non consente un’agevole lettura dell’opera che sembrerebbe appartenere ad un anonimo artista operante tra il XVI e il XVII secolo.
Fonti e bibliografia
MARTINI, Visita al palazzo, in L. MARTINI – B. SANTI (a cura di), Il palazzo Piccolomini di Pienza. Guida al palazzo e alle sue collezioni, Siena, 2006, p. 50
8-Anonimo Artista del XVII secolo
Il ritratto è collocato nella camera da letto del papa e, più precisamente, sopra alla testiera del sontuoso letto “a padiglione” tardo cinquecentesco. Il dipinto, databile ai primi anni del XVII secolo, è impreziosito da una importante cornice nera rabescata in oro, di forme protobarocche ma di datazione incerta, riportante le mezzelune Piccolomini. Nella parte superiore del prezioso manufatto, applicate ad un timpano a volute, si stagliano sul fondo scuro le chiavi decussate e il triregno, mentre nella parte inferiore, al centro di un cartiglio, compare lo stemma piccolomineo. Il ritratto raffigura il pontefice di profilo netto, abbigliato con mozzetta e camauro, rivolto alla sinistra dello spettatore e ricorda, se si esclude il diverso abbigliamento, quello riprodotto nella medaglia del Guazzalotti e nel contiguo affresco attribuito al Sodoma che orna la medesima stanza. La fisionomia, pur leggermente idealizzata è vicina al reale aspetto di Enea Silvio Piccolomini.
Fonti e bibliografia
MARTINI, Visita al palazzo, in L. MARTINI – B. SANTI (a cura di), Il palazzo Piccolomini di Pienza. Guida al palazzo e alle sue collezioni, Siena, 2006, p. 56.
9-Anonimo pittore della fine del XVI – inizi XVII secolo
Il ritratto, di modesta qualità, è conservato, assieme ad altre opere d’arte che non sono state inserite nel percorso espositivo del museo diocesano di palazzo Borgia, nella cripta della cattedrale di Pienza, detta anche chiesa di San Giovanni Battista, in quanto destinata a battistero. Il dipinto si trova in coppia con un’altra tela, composta in modo speculare, di medesimo autore e di dimensioni corrispondenti, rappresentante l’altro papa Piccolomini, Pio III.
Enea Silvio Piccolomini è raffigurato seduto, posto di profilo, volto alla destra dello spettatore, lo sguardo indirizzato a guardare, oltre il vano di una finestra, il paesaggio verdeggiante della val d’Orcia, caratterizzato, sullo sfondo, dal profilo inconfondibile del monte Amiata, avvolto in una luce azzurra. Si tratta dell’unico dipinto conosciuto in cui la figura di Pio II viene collegata visivamente al suo amato territorio natale. Il pontefice è abbigliato con una veste bianca sopra la quale indossa la mozzetta di velluto rosso bordato di ermellino, in testa porta il camauro. La mano destra tiene un piccolo libro d’ore dalla copertina rossa, l’indice, infilato tra le pagine, a fare da segnalibro nel momento in cui la lettura è stata temporaneamente sospesa per lasciare il posto ad un momento di improvvisa contemplazione e riflessione.
A sinistra, in alto, sullo sfondo, si nota lo stemma pontificale piccolomineo. L’opera potrebbe essere ascritta ad un pittore, probabilmente senese, della fine del XVI, inizi XVII secolo. Porterebbe a confermare questa ipotesi anche l’analisi della cornice, apparentemente originale: si tratta, infatti di una cornice senese a cassetta, nera, rabescata in oro con mezzelune, in uso tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo. La fisionomia del papa appare, qui, piuttosto generica e priva di particolari peculiarità, anche se, ancora, si percepisce una fonte iconografica di ispirazione collegata alle reali fattezze di Enea Silvio Piccolomini.
Fonti e bibliografia
Inedito
10-Anonimo scultore del XIX secolo
Il busto in bronzo, di buona fattura, è esposto sulla facciata della Basilica di S. Giusto a Trieste. La scultura, posta accanto ad una lapide quattrocentesca raffigurante lo stemma Piccolomini, è affiancata da altri tre busti bronzei con i ritratti di altrettanti vescovi benemeriti di Trieste. I primi due, posti contemporaneamente all’effigie di Pio II, rappresentano Rinaldo Scarlicchio e Andrea Rapicio, mentre il terzo, la cui collocazione è recentissima, del giugno 2020, raffigura monsignor Antonio Santin.
Pio II fu nominato vescovo di Trieste il 19 aprile del 1447, solamente un anno dopo la sua ordinazione sacerdotale, e rimase in carica fino al 24 ottobre 1449. Durante questo breve lasso di tempo e nonostante la distanza dal suo episcopato, egli riuscì a seguire con diligenza ed attenzione gli affari della diocesi, ottenendo anche il risultato di appianare le annose, violente discordie tra la diocesi triestina e il Capitolo cittadino e anche con l’imperatore Federico III.
Il busto del pontefice, di cui esiste un’ottima e fedele replica, sempre in bronzo, nella chiesa di Dutovlje (Duttigliano), nel Carso, ed un’altra, in marmo, nel duomo di Cividale del Friuli, è rappresentato con un leggero sorriso, in abiti pontificali, con piviale e stolone ricamato chiuso da un prezioso fermaglio. In capo porta il triregno sotto al quale si nota una cuffietta. I lineamenti sono piuttosto fedeli alla fisionomia di Enea Silvio, anche se decisamente ingentiliti, segno che l’anonimo scultore era a conoscenza di qualche modello più antico.
Fonti e bibliografia