Enea Silvio Piccolomini. Iconografia, Ritratti d’Invenzione. Parte III (dal XVII al XIX sec.)

di Roggero ROGGERI

11-Claudio Ridolfi (Verona, 1570 – Corinaldo, 1644) – Girolamo Cialdieri (Urbino, 1593 – 1680)

Il grande dipinto a monocromo, databile al 1621, fa parte dell’apparato mobile di decorazione, comprendente opere di architettura, archi di trionfo e rappresentazioni celebrative dipinte, allestito in occasione delle nozze, avvenute il 29 aprile 1621, di Federico Ubaldo della Rovere e Claudia de Medici.

Claudio Ridolfi e Girolamo Cialdieri, Pio II imbarazzato davanti alla facondia di Battista Sforza, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche.

Il complesso programma iconografico, ideato dal rettore del Seminario, Bernardino Maschi, rappresenta la celebrazione trionfale delle due casate Della Rovere e Medici e l’esaltazione delle virtù delle duchesse di Urbino. Le tele sono realizzate a monocromo, ad imitazione dei materiali dell’antichità; per la loro esecuzione il Ridolfi, autore principale, si avvalse della collaborazione di Girolamo Cialdieri, anche se non risulta sempre facile distinguere la mano dei due pittori.

Il dipinto in cui compare Pio II vuole esaltare le virtù di Battista Sforza, seconda moglie di Federico da Montefeltro. Federico, nel 1450, entrò al servizio di papa Pio II. Nel 1459 a Mantova stipulò il fidanzamento con Battista Sforza, figlia di Alessandro, signore di Pesaro, e nipote di Francesco, duca di Milano. Il patto matrimoniale era fortemente caldeggiato da papa Pio II, dal re di Napoli e dallo stesso Francesco Sforza. Il 10 febbraio 1460 furono celebrate le nozze a Pesaro fra grandi festeggiamenti.

Battista Sforza fu donna intelligente, colta, atta al governo. Alla grande cultura della contessa va ricollegata la formazione della grandiosa biblioteca del palazzo urbinate, che trova degna collocazione nel salone appositamente costruito per ospitare codici rari e preziosi.  Battista nacque a Pesaro nel 1446. In tenera età, fu condotta a Milano presso lo zio Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti dove entrò in contatto con un circolo di giovani letterati. Dopo il matrimonio con Federico da Montefeltro, seppe conciliare la cultura umanistica con la sua condizione di donna del tempo, apprezzata fortemente per le sue virtù e per la capacità di occuparsi con ottimi risultati, durante le assenze del marito, dell’amministrazione dei suoi possedimenti. Nel 1461 fu accolta a Roma dal pontefice Pio II, davanti al quale la contessa recitò un’elegante orazione, da cui emerse la sua cultura e in particolare l’insegnamento di Martino Filetico, che, nelle Locundissimae Disputationes, riporta la dissertazione di Battista con il fratello Costanzo sulla superiorità della lingua greca rispetto a quella latina.

Claudio Ridolfi e Girolamo Cialdieri, Pio II imbarazzato davanti alla facondia di Battista Sforza, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. Particolare

A questo specifico episodio si riferisce il dipinto di Urbino, ambientato sotto un elegante loggiato, in cui Pio II, assiso su un faldistorio con i braccioli a forma di cherubino, con alle spalle uno scudo riportante lo stemma Piccolomini, affiancato da un cardinale e da altri membri della corte pontificia, interloquisce e argomenta con Battista Sforza.

Particolarmente suggestiva è la descrizione dell’episodio che ne fa Nicola Ratti nel 1795:

“Pervenutane la notizia (delle doti non comuni di Battista Sforza [n.d.a]) al gran Pontefice Pio II, comechè dottissimo egli era, e delle persone letterate amantissimo, desiderò sentirla perorare alla sua presenza. Battista con piacere sodisfece alle Pontificie brame, e la di lei orazione riempì l’animo di Pio di tanto stupore”

Pio II è qui rappresentato con una fisionomia generica e idealizzata, senza alcun legame con le sue reali fattezze.

Fonti e bibliografia

RATTI, Della Famiglia Sforza, I, Roma 1795, p.128 ; FILETICO, Locundissimae Disputationes, Introduzione, traduzione e testo critico di Guido Arbizzoni, Modena,1992, pp.13 -14 ; DEL POGGETTO, Galleria Nazionale delle Marche e le altre collezioni nel Palazzo Ducale di Urbino, Roma, 2003; BONVINI MAZZANTI, Battista Sforza Montefeltro una “principessa” nel Rinascimento italiano, Urbino, 2009, p.76

*Ringrazio Paolo Bertelli per la segnalazione e l’immagine  dell’opera

12-Raffaello Vanni (Siena 1590 circa – 1673)

La volta a botte della sala che accoglieva gli uffici della Cancelleria di Biccherna nel Palazzo Pubblico di Siena, è decorata da un ciclo pittorico eseguito entro la metà del XVII secolo, il cui svolgimento si sviluppa in tre registri paralleli, ciascuno di questi ulteriormente suddiviso in tre riquadri di varie forme geometriche inquadrate da cornici in stucco. Due di questi riguardano episodi della vita di Pio II: l’Incoronazione papale e Pio II Piccolomini dona Radicofani a Siena.

Attribuiti nel passato ad Astolfo Petrazzi, sono stati riferiti da Gabriele Borghini a Bernardino Mei, dubitativamente a Raffaello Vanni da Piero Torriti, attribuzione, quest’ultima, confermata da Marco Ciampolini. Lo stemma dei Piccolomini d’Aragona e la fascia con la scritta: FRANCISCUS HIERONIMI PICCOLOMINEI QAESTOR, che compare in entrambi i dipinti, nome del questore di Biccherna che li commissionò e che assunse l’incarico tra il 1631 e il 1633, ci dà anche i termini temporali in cui i dipinti furono eseguiti.

Nell’Incoronazione papale di Enea Silvio Piccolomini, avvenuta il 3 settembre 1458, il pontefice occupa il centro della scena, seduto su un ricco trono, con le mani giunte, colto nel momento in cui gli viene apposto il triregno.

Raffaello Vanni, Raffaello Vanni, Incoronazione di Pio I, Olio su muro, cm. 150 x 286. Siena, Palazzo Pubblico, Cancelleria di Biccherna
Raffaello Vanni, Incoronazione di Pio I, Olio su muro, cm. 150 x 286. Siena, Palazzo Pubblico, Cancelleria di Biccherna. Particolare

L’ambiente è occupato, a destra e a sinistra, da un folto numero di alti prelati che, ritratti   nei più vari atteggiamenti, assistono all’importante evento. In primo piano, alla destra di chi guarda, una figura dai forti tratti naturalistici, rivolto verso lo spettatore, regge uno scudo recante lo stemma Piccolomini d’Aragona ed il nome del questore committente, Francesco Girolamo Piccolomini d’Aragona, mentre a sinistra, un putto nudo, girato di spalle, è affiancato da una scritta, in lettere capitali, che recita:

ENEAS SILVIUS/PICCOLOMINEUS/UNIVERSALI PA/TRUUM ACCLAMATIONE IN PON/TIFICEM ELIGITUR/DE NOMINE INTE/RROGATUS SUM/PIUS ENEAS RES/PONDENS PII/NOMEN RETINET.

La fisionomia del papa è completamente inventata, non essendovi alcuna rassomiglianza con il reale aspetto del pontefice.

Le stesse considerazioni iconografiche devono essere fatte per il secondo riquadro con Pio II che dona Radicofani a Siena, episodio avvenuto nel 1458, poco dopo l’elezione di Enea Silvio Piccolomini a papa.

Raffaello Vanni, Pio II dona Radicofani a Siena, Olio su muro, cm. 150 x 286. Siena, Palazzo Pubblico, Cancelleria di Biccherna
Raffaello Vanni, Pio II dona Radicofani a Siena, Olio su muro, cm. 150 x 286. Siena, Palazzo Pubblico, Cancelleria di Biccherna

La figura del pontefice, seduto sopra ad un faldistorio, posto in posizione sopraelevata e circondato dai prelati della sua corte, si trova all’estrema destra del riquadro, proteso verso un austero personaggio laico che sta ricevendo dalle mani di un dignitario la pergamena con l’atto di donazione, recante, al centro, in alto, lo stemma papale. La parte inferiore sinistra del riquadro è occupata da vari personaggi, alcuni in abiti militari, altri con cappe rosse e colletto bianco, che discettano tra loro. In alto a sinistra, un angioletto porta lo stemma dei Piccolomini d’Aragona ed il cartiglio con il nome del questore Francesco Girolamo PIccolomini. A destra, in basso, sul primo gradino, corre la scritta:

PIUS SECUNDUS PONT. MAX. RADICO/FANI DOMINATUM APOSTOLICA/LIBERALITATESENENSI PATRIAE/CONCEDIT.

Il papa compie con la mano destra, un gesto condiscendente nei confronti del suo interlocutore, indubbiamente un alto rappresentante della Repubblica di Siena, quasi a sottolineare il proprio convinto favore nei confronti di questo importante atto.  Enea Silvio indossa, sopra ad una veste bianca, la mozzetta, ornata da una stola dorata e il camauro. Anche in quest’opera non si riscontra alcuna somiglianza con il vero Pio II.

Fonti e bibliografia

BORGHINI, La decorazione. Le decorazioni pittoriche del piano terreno, in C. BRANDI, a cura di, Palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, Cinisello Balsamo, 1983, pp. 150, 155; TORRITI, Tutta Siena contrada per contrada. Nuova guida illustrata della città e dintorni, Firenze. 2000, p. 52 ; CIAMPOLINI, Pittori senesi del Seicento, III, Siena, 2010, p. 1059

13-Pittore anonimo del XVII secolo

Anonimo del XVII sec. Ritratto di Pio II Piccolomini

Il ritratto, sconosciuto agli studi e noto solo attraverso una pessima riproduzione fotografica, inquadra a più di mezza figura il papa che, probabilmente seduto, con la mano destra impartisce la benedizione, mentre con la sinistra tiene un libro con una copertina in cuoio rosso e borchie metalliche (forse un messale) appoggiato sulla gamba sinistra. Il pontefice è sontuosamente vestito con gli abiti confacenti alla sua carica e indossa il triregno. Sullo sfondo rosso, campeggia lo stemma piccolomineo.

Data la scarsa leggibilità dell’immagine non è possibile notare altri particolari ma è comunque evidente che la fisionomia del ritrattato non si accosta per nulla a quella reale di Pio II.

L’opera, di qualità non eccelsa, è dotata di una cornice di tipo Salvator Rosa a tre ordini di intaglio, che, se fosse originale (le mezzelune agli angoli potrebbero essere un indizio di autenticità), porterebbero l’autore del dipinto ad essere collocabile in ambiente romano del XVII secolo.

Fonti e Bibliografia

Inedito

14-Anonimo Artista del XVII secolo

Anonimo Artista del XVII secolo. Ritratto di Pio II. Olio su tela ovale. Siena, Palazzo Pubblico

Ringrazio Marco Ciampolini per la segnalazione dell’opera. Il ritratto in ovale, fa parte di una serie dedicata ai sei papi senesi, eseguiti sotto il pontificato di Alessandro VII Chigi, custoditi nel Palazzo Pubblico di Siena. L’opera, di scarsa qualità e generica rassomiglianza con il ritrattato, è chiaramente una copia, eseguita da un pittore centro italiano dopo il 1655, anno dell’incoronazione di Flavio Chigi, tratta da un originale al momento non conosciuto. Nel cartiglio barocco, posto nella parte superiore della cornice, si legge: “PIUS II PICCOLOMINI/SENEN. PONT. MAX. AN. D./MCCCCLVIII”. Il pontefice è raffigurato in piedi, a più di mezza figura, rivolto a destra dello spettatore, in atteggiamento orante. Pio II indossa il triregno ed un ricco piviale ricamato su cui si nota, nella parte superiore destra, la figura di San Pietro. I lineamenti sono estremamente generici, senza alcun riferimento alla fisionomia reale del papa.

Fonti e bibliografia

CIAMPOLINI, Un disegno di Pietro da Cortona e alcuni ritratti senesi del suo tempo, in “Antichità Viva”, XXXVI, 2 – 3, 1997, pp. 31 – 35

15-Girolamo Paladino (attivo a Roma nella seconda metà del XVII secolo)

La medaglia riporta, al recto, il busto di Pio II, con camauro e mozzetta, rivolto a sinistra e la scritta PIUS II PONT. MAX. mentre, al verso, è raffigurato lo stemma Piccolomini a forma di scudo, con, nella parte superiore, la testa di un amorino sormontata dal triregno e dalle chiavi di Pietro decussate. Tutt’attorno corre la scritta: GLORIA SENENSI D C PICCOLOMINI.

Girolamo Paladino. Medaglia di Pio II (1664). Bronzo, diametro mm. 45. Mercato antiquario

Esistono, oltre a questo, altri esemplari di medaglie di Pio II dello stesso autore, in cui, ad un recto sostanzialmente identico, si alterna un verso che presenta altre varianti.

La fisionomia del papa è completamente di invenzione. Non sussiste, infatti nessuna somiglianza con il vero volto di Pio II. Il bel manufatto fa parte della serie di medaglie di restituzione realizzate a Roma da Girolamo Paladino, nel 1664, su iniziativa del cardinale Francesco Barberini. La serie, composta da circa 40 medaglie, va da papa Martino V a Pio V e fu incisa durante il pontificato di Alessandro VII, continuando così quella, coniata nel XVI secolo, che arrivava sino a Gregorio XII, predecessore di Martino V.

Le medaglie di restituzione sono realizzate in un periodo successivo a quello del personaggio raffigurato. Il termine prende origine dalle serie monetarie romane delle “restituzioni”, iniziate con Tito e terminate con gli Antonini. Non è noto il motivo che determinò Tito per primo e poi Domiziano, Nerva, Traiano e Marco Aurelio con il co-reggente Lucio Vero, a riemettere per la circolazione monete dei loro predecessori, cercando di imitarle in ogni loro più piccolo particolare ed aggiungendovi al rovescio il loro nome seguito da “REST” e, raramente, da “RESTITVIT“. La ragione più probabile è che le monete di restituzione trovino origine in un tributo di ammirazione dell’Imperatore regnante verso chi aveva maggiormente contribuito all’edificazione dell’Impero ed alla grandezza di Roma. Le medaglie papali “di restituzione”, quindi, potrebbero evocare le stesse finalità perseguite dalle omologhe serie monetali romane.

Sull’incisore Girolamo Paladino non vi sono notizie precise. Una sua attività a Roma, nella seconda metà del secolo XVII, è stata accertata. Un documento ne parla come “sigillaro” presso la Corte Pontificia. I conii del Paladino, dopo la sua morte in età ancora giovane (si parla del 1689), furono acquistati dagli Hamerani, famosa famiglia di orefici e medaglisti italiani di origine bavarese e da essi utilizzati per la loro attività di commercio di medaglie; nel 1823 furono trasferiti alla Santa Sede (acquisto del Cardinal Mazio) con relativi riconi ottocenteschi.

Fonti e Bibliografia

NASCIA, Le monete romane di restituzione, in “Il Baiocco”, 18, dicembre 1957; MODESTI, Corpus Numismaticum Omnium Romanorum Pontificum, Le medaglie papali di restituzione, V, Roma, 2016, p. 207

16-Mattia Preti (Taverna 1613 – La Valletta 1699)

Mattia Preti, Canonizzazione di Santa Caterina da Siena (1672 – 1673). Olio su tela,. cm. 485×271. Siena, Chiesa di San Domenico

Commissionata da Francesco Piccolomini e Giovanni Battista Piccolomini, fu realizzata tra il 1672 ed il 1673 per la Cappella Piccolomini nella chiesa di San Francesco a Siena.

Dopo la soppressione del convento, essa fu trasferita, nel 1863, nei depositi dell’Istituto di Belle Arti e, dal 1890, è custodita nella chiesa di San Domenico e, più precisamente, sulla parete destra della cappella delle Volte, antico oratorio delle Mantellate, terziarie dell’Ordine Domenicano, luogo protagonista delle frequenti estasi di Santa Caterina, che si apre, con due grandi arcate, entro la vasta navata del sacro edificio. Il dipinto raffigura un episodio della cerimonia avvenuta il 29 giugno 1461 e, più precisamente, il momento in cui Pio II impartisce la benedizione al nipote Francesco Todeschini (o Tedeschini) Piccolomini, arcivescovo di Siena e futuro papa Pio III, inginocchiato ai suoi piedi, che ha appena ricevuto dal pontefice la bolla di canonizzazione di Santa Caterina. Intorno all’imponente figura di Pio II e del nipote, si muove un vortice di personaggi terreni e celesti, mentre sullo sfondo, a sinistra di chi guarda, si nota lo stendardo con l’effigie della Santa che viene presentato al papa. Davanti allo stendardo spicca la figura massiccia di un frate domenicano i cui tratti del volto denotano le caratteristiche di un ritratto dal vero (forse uno dei committenti del dipinto), che sostiene un grosso cero con impressi l’immagine della Santa e lo stemma Piccolomini. L’imponenza e la preminenza, nella composizione, delle figure di Pio II e di Francesco Todeschini Piccolomini, al di là della rievocazione del sacro episodio, fanno pensare, con buona certezza, anche ad un intento celebrativo della casata da parte dei committenti.

Il papa è qui rappresentato, all’aperto, davanti ad un lungo porticato, in atto benedicente, seduto in posizione sopraelevata. I suoi tratti somatici sono di invenzione ma atti ad esprimere la fermezza e l’autorevolezza del personaggio.

Bibliografia

TROTTMAN, La canonizzazione di Santa Caterina da Siena di Mattia Preti; rappresentazione liturgica e glorificazione della famiglia Piccolomini, in “Prospettiva”, XIII (1988), pp. 79-84; J.T. SPIKE, Mattia Preti: Catalogo ragionato dei dipinti, Firenze – Taverna, 1999, n. 216 ; SCIBERRAS, Mattia Preti: the triunphant manner, La Valletta 2012, p. 456 ; SGARBI, Mattia Preti, Soveria Mannelli, 2013, p. 290.

17-Antonio Nasini (Siena, 1641 – 1715)

La stanza adiacente alla Cancelleria, detta dal Romagnoli Bilanceria di Biccherna (oggi adibita a ufficio del Sindaco di Siena), è, come la precedente, decorata con numerose scene che rappresentano storie di argomento senese. Il ciclo decorativo è opera di un nutrito gruppo di pittori (Annibale Mazzuoli, Deifebo Burbarini, Giuseppe Nicola Nasini, Domenico Manetti, ecc.) che si sono adoperati ad illustrare episodi e personaggi significativi della storia della Città.

Antonio Nasini, Pio II tiene udienza sotto un castagno (1674) Olio su muro Siena, Palazzo Pubblico, Bilanceria di Biccherna

La scena con Pio II che tiene udienza sotto a un castagno, venne realizzata al tempo del camerario Girolamo Ghini, che fu in carica dal 1669 al 1675. L’opera, datata 1674, è firmata da Antonio Nasini nel margine superiore della targa in cui si legge la seguente scritta: SUB CASTANEO/ROMA DUM PIUS/II SEDEBAT A. D./MCCCCLXIIII. Sul margine sinistro della cornice si legge: Camerarius Hieronymus Ghinus.

L’episodio che riguarda Pio II si riferisce certamente all’abitudine del Piccolomini, dettata dal suo grande amore per la natura ed i boschi, messa in atto, soprattutto durante i suoi soggiorni a Pienza, di tenere udienza nei boschi di castagni del monte Amiata.

Il papa, seduto in una verde radura, in cui scorre un ruscello, con le fronde di un grande castagno che gli fanno da baldacchino naturale, riceve in udienza un gentiluomo riccamente abbigliato che, con le mani al petto, sta esponendo la sua supplica mentre un giovane paggio sta portando un vassoio pieno di frutta da offrire al pontefice. Dietro al gentiluomo, sulla destra, un gruppo di personaggi laici, di nobile lignaggio, assiste piacevolmente interessato alla scena. Dietro a Pio II, alcuni prelati si confrontano tra loro e commentano l’episodio, mentre, sullo sfondo, si nota la figura del pontefice in atto di benedire un gruppo di fedeli, lì giunti attratti dalla presenza del papa.

Enea Silvio indossa, sopra ad una veste bianca, una mozzetta rossa bordata di ermellino, completata da una stola dorata. In capo porta il camauro. Anche in questo caso, il volto del papa non rivela nessuna somiglianza con le reali fattezze del Piccolomini.

Fonti e bibliografia

ROMAGNOLI, Nuova Guida della Città di Siena per gli Amatori della Belle Arti, Siena, 1822, p. 82; BORGHINI, La decorazione. Le decorazioni pittoriche del piano terreno, in C. BRANDI, a cura di, Palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, Cinisello Balsamo, 1983, pp. 179 – 180; TORRITI, Tutta Siena contrada per contrada. Nuova guida illustrata della città e dintorni, Firenze. 2000, p. 52; CIAMPOLINI, Pittori senesi del Seicento, II, Siena, 2010, pp. 422 – 423

18-Giovanni Antonio Burrini (Bologna, 1656-1727)

Giovanni Antonio Burrini, Ritratto di Pio II (ultimo decennio del XVII secolo). Olio su tela ovale, cm 250×180-Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna

Il grande ovato era, fino a pochi anni addietro, ancora conservato nella splendida Villa Albergati a Zola Predosa, nei pressi di Bologna. L’edificio, uno dei più importanti esempi dello stile barocco in Emilia Romagna, fu fatto edificare dalla famiglia bolognese degli Albergati che vanta, tra i suoi componenti anche quel cardinale Niccolò Albergati di cui Enea Silvio Piccolomini fu, per alcuni anni, il fidatissimo segretario. A lui, infatti, il futuro Beato, affidò importanti missioni diplomatiche in tutta Europa, inviandolo persino in Scozia e lo volle accanto a sé durante il Concilio di Basilea.

Il ritratto fa parte di una serie di quattro, eseguiti dal Burrini durante l’ultimo decennio del XVII secolo, in cui sono raffigurati due rappresentanti di spicco della famiglia, Cavazzocco e Silvio Albergati, e due papi che sono stati fortemente legati a Niccolò Albergati, Niccolò V e, appunto Pio II.

Niccolò V, al secolo Tommaso Parentucelli da Sarzana, grande amico di Enea Silvio Piccolomini, fu vescovo di Bologna e dovette molto della sua brillante carriera al cardinal Albergati. Eletto papa nel 1447, si dice che scegliesse il proprio nome da pontefice in omaggio al suo grande protettore.

Pio II è qui rappresentato seduto con atteggiamento benedicente, lo sguardo rivolto allo spettatore. La sua espressione è serena mentre la fisionomia è di invenzione, non corrispondendo in nulla alle reali fattezze del Piccolomini. Egli indossa mozzetta e camauro, tiene una lettera nella mano sinistra e, sul tavolo accanto, sono posati, in bell’ordine, alcuni libri, di cui uno aperto, il triregno e, in primo piano, una campanella. Se i primi due sono simboli di facile lettura che si riferiscono alla faconda attività letteraria ed alla sua suprema carica ecclesiastica, la presenza della campanella è di più criptica interpretazione. Lo sfondo del dipinto è occupato in parte da un drappo rosso che lascia però scoperta una porzione del muro di fondo in cui campeggia una lapide che riporta, in lettere capitali, la scritta:

PIUS II SUMMUS PONTIFEX 1458 PRIDEM B. NICOLAI ALBERGATI CANCELLARIUS A SECRETIS AD CONCILIUM BASILEE EXTITERAT 1434.

Fonti e bibliografia

ALBERGATI CAPACELLI, Descrizione del Palazzo Albergati Capacelli e delle Pitture, Bologna, 1837, p.19; RICCOMINI, Giovanni Antonio Burrini, Bologna 1999, pp. 211 – 213; LO PRESTI, Tra i Quadri, in Canonica Rivista di Studi Pientini, 9, p.58, Pienza 2019

19-Giuseppe Mazzuoli (Siena, 1644 – Roma, 1725)

Giuseppe Mazzuoli, Monumento a Pio II (1695). Marmo statuario. Siena, Duomo

La delibera per l’esecuzione dei monumenti dedicati a Pio II e Pio III fu approvata dalla Congregazione di San Pietro il 22 marzo 1691. Il progetto, che risaliva a circa trent’anni prima, nasceva dalla volontà di omaggiare le figure dei quattro papi senesi, facendo in modo, così, di aggiungere le sculture raffiguranti i due papi Piccolomini alle due statue già esistenti nel transetto sud, quelle di Alessandro III, eseguita da Melchiorre Cafà ed Ercole Ferrata e di Alessandro VII, scolpita da Antonio Raggi su modello di Gian Lorenzo Bernini. La Congregazione di San Pietro fu istituita nel 1512 su iniziativa dell’arcivescovo Giovanni Piccolomini e quindi ritenuta, dal rettore dell’Opera Metropolitana, la più adatta ad assumersi l’incarico di rendere il dovuto riconoscimento a Pio II e Pio III. Le due grandi nicchie, del tutto simili a quelle berniniane, che erano giunte da Roma nel 1664 per essere collocate nel transetto sud, erano in loco, nel transetto nord, fin dai primi anni ottanta, ma la Congregazione, solo nel 1691, impartì l’incarico a Giuseppe Mazzuoli per l’esecuzione del Pio II e a Pietro Balestra per quella del Pio III. La statua di Enea Silvio Piccolomini risulta terminata e pronta per la consegna, per il prezzo pattuito di 400 scudi, già nell’agosto 1695.

L’opera, di superba qualità, è firmata sulla parte sinistra del plinto: IOSEPH MAZZUOLI SEN: s[culpsit], ed è chiaramente ispirata a quella dell’Alessandro III di Melchiorre Caffà, ubicata nel transetto sud. Non si tratta, però, di una semplice replica ma di una intelligente rivisitazione tendente a imprimere autorevolezza e vigoria alla scultura.

Giuseppe Mazzuoli, Monumento a Pio II (1695). Marmo statuario. Siena, Duomo. Particolare

La figura del pontefice domina da un alto basamento lo spazio circostante, seduto su un piccolo trono, la testa girata alla destra di chi guarda, lo sguardo fiero e intenso. Il braccio destro è sollevato e la mano è aperta in atteggiamento non tanto benedicente ma, quasi come un novello Marco Aurelio, in atto di imperio e di protezione del popolo dei fedeli. La mano sinistra, appoggiata al bracciolo, dà a tutto il corpo una spinta dinamica verso l’alto, corroborata dall’andamento verticaleggiante delle pieghe della veste e del piviale.  La fisionomia di Pio II è solo un vago ricordo, idealizzato, delle reali fattezze di Enea Silvio Piccolomini.

Sul basamento compaiono le seguenti scritte in lettere capitali, nella parte superiore:

PIUS II / PONTIFEX MAXIMUS / ANNO D. MCCCCLVIII mentre in quella inferiore: CONGREGATIO / PRINCIPIS APOSTOLORUM / P. A. D. MDCVIIIC

Fonti e Bibliografia

BUTZEK, Die Papsmonumente in Dom von Siena, “Mitteilungen des KunstHistorischen Instituten in Florenz, 24, 1980, pp. 42 – 52; BUTZEK, I monumenti ai papi Pio II di Giuseppe Mazzuoli e Pio III di Pietro Balestra, in M. LORENZONI (a cura di), Le sculture del Duomo di Siena, Cinisello Balsamo, 2009, pp. 140 – 142

20-Ignoto artista del XIX secolo

Ignoto artista del XIX sec. Ritratto di Pio II (1846) Olio su muro? Fabriano, Chiesa di San Nicolò

Il dipinto, posto su una lesena del presbiterio della chiesa di S. Nicolò a Fabriano, sovrasta una lapide commemorativa in marmo che così recita: “AUCTORITATE PII. II PONT. MAX./DISSOLUTO PRIORATU REGULARI AD S. NICOLAI/EXORTUM EST CANONICALE CONLEGIUM/PRIORIS ET SEX CANONICORUM/AUCTUM. DEIN. ET INSIGNE/SUIS APOSTOLICIS LITTERIS/SIGNAT BONONIAE V. ID MAJ./MCCCCLIX/MALATESTE CATANIO EPISC. CAMERT. DATIS/CAPITULUM/H. M. P. ANNO MDCCCXLVI.

Pio II, nel 1459, eresse la chiesa di S. Nicolò a Fabriano, che dipendeva dall’abbazia di S. Croce, presso Sassoferrato, in collegiata autonoma, dotata di un priore e sei canonici. Il decreto di Pio II fu eseguito da Battista Malatesta, vescovo di Camerino, il 5 novembre 1459.

Il ritratto, databile al 1846, di modesta qualità, presenta il papa di profilo netto, rivolto alla destra dello spettatore, con l’indice e l’anulare della mano destra unite in atto benedicente. Il pontefice indossa, sopra ad una cotta bianca con polsi ricamati, la mozzetta rossa bordata di ermellino e, al di sopra di questa, una stola rossa ricamata in oro. Sul capo porta il camauro e, sullo sfondo, in alto, si nota lo stemma Piccolomini.

L’iconografia deriva chiaramente dai modelli eseguiti da Francesco Vanni e dalla sua bottega ma la fisionomia del papa appare alterata e lontana da ogni verosimiglianza.

Fonti e bibliografia

PAOLI, La Chiesa tra Medio Evo ed Età Moderna. Gli ordini religiosi nel territorio di Fabriano e Matelica a metà Quattrocento, in A. ANTONELLI – I. COLONNELLI (a cura di), Atti delle giornate di studio del 550 Anniversario di Papa Pio II Piccolomini nella Marca 1464 – 2014, Matelica, 2016, pp. 34, 168.

21-Giovanni Duprè (Siena, 1817 – Firenze, 1882)

Giovanni Dupré. Pio II (1849) Marmo statuario. Siena, chiesa di Sant’Agostino

La complessa vicenda della statua di Pio II inizia il 16 agosto del 1843, con l’apertura di una sottoscrizione che vedeva, tra i principali promotori, Alessandro Chigi Saracini, Alessandro Bichi Ruspoli, Scipione Borghese e Augusto de’ Gori, storici amici e protettori di Giovanni Duprè. Il contratto venne stipulato il 9 settembre dello stesso anno, con consegna stabilita entro due anni. La collocazione del monumento a Pio II era stata, in un primo tempo, individuata nella Libreria Piccolomini del Duomo di Siena, ma la strenua opposizione a tale soluzione da parte del Rettore dell’Opera del Duomo, costrinse a trovare per la statua, terminata nel 1849 e consegnata a Siena nell’agosto 1850, una nuova sede, decisamente meno visibile e prestigiosa, la cappella del Santissimo Sacramento nella chiesa di Sant’Agostino, dove l’opera fu collocata nel settembre – ottobre 1852, ben nove anni dopo, quindi, rispetto all’ordine di esecuzione.

Il processo creativo da parte dell’artista fu particolarmente intenso, accompagnato da un approfondito studio iconografico basato però, quasi esclusivamente, sulle fisionomie del papa, decisamente idealizzate e non attendibili, presenti negli affreschi della Libreria Piccolomini, dei cui ritratti chiese e ottenne di poter fare eseguire dei lucidi. Il risultato è un Pio II dai lineamenti molto ingentiliti e idealizzati a tal punto da non avere praticamente alcun punto di tangenza con i tratti reali del pontefice.

Giovanni Dupré. Pio II (1849) Marmo statuario Siena, chiesa di Sant’Agostino. Particolare

La statua di Enea Silvio, si erge sopra ad un piedestallo ottagonale che porta sul fronte una alata figura allegorica. Il papa è raffigurato in piedi, in atto benedicente, sopra la veste, arricchita da una stola che scende da entrambi i lati, indossa un piviale che presenta un collo finemente ricamato chiuso da un prezioso fermaglio. In capo porta il triregno e l’espressione del volto è dolce e solenne.

La scultura, pur presentando brani di grande maestria esecutiva, non può essere annoverata tra le migliori opere di Duprè. L’artista stesso, nella sua autobiografia, così commenta: “Dopo il Giotto, misi mano a Pio II, e colla testa invasata dalle critiche degli Accademici, dagli elogi dei Naturalisti, dallo sdegno di alcuno, a cui dispiacque il soggetto, e più di tutto dalla singolarità rispettivamente ai miei studi di questo lavoro, cominciai di malanimo e tentai (cosa strana) conciliarmi l’approvazione degli Accademici, copiando il vero con timidità, laddove bisognava arditezza e fedeltà, arditezza nell’accettare francamente l’incartocciato partito del manto pontificale, fedeltà nel ritrarlo. Sicchè io feci una cosa slavata e non contentai né gli uni né gli altri, e molto meno me stesso”.

Fonti e bibliografia

DUPRE’, Pensieri sull’Arte e Ricordi autobiografici, Firenze, 1879 (ed. cons., Firenze, 1882), pp. 135 – 138, 147; SPALLETTI, Duprè, Milano, 2002, pp. 36 – 37, 66 – 73