di Nica FIORI
A Villa Giulia è arrivata la primavera, in tutti i sensi!
È recentissima la notizia che il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia è risultato vincitore della prima edizione del premio GIST ACTA Archeological & Cultural Tourism Award, dedicato alle eccellenze del turismo culturale e archeologico. Il premio segue di pochissimo l’inaugurazione, lo scorso 22 marzo, della mostra dedicata al fondatore del museo Felice Barnabei (1842-1922) e la presentazione del restauro del Tempio di Alatri, un’interessante ricostruzione ottocentesca realizzata per fini didattici nel giardino della villa.
Giustamente orgoglioso per l’importante riconoscimento ottenuto, il Direttore del Museo Valentino Nizzo ha dichiarato:
“Nell’anno in cui celebriamo il centenario della morte del nostro fondatore, Felice Barnabei, per tutta la squadra di Villa Giulia, il premio GIST ha un valore immenso poiché costituisce un’ulteriore testimonianza di quanto il lavoro svolto e i risultati finora conseguiti dal Museo siano apprezzati. Abbiamo sempre fatto del dialogo con i territori e con i visitatori il valore aggiunto attorno a cui costruire le nostre strategie e questo riconoscimento conferma che la strada percorsa è lastricata di stima e fiducia. Riscontri come questi ci spronano ad andare avanti e a puntare a obiettivi e sfide sempre più ambiziose, non solo nel segno degli Etruschi, consapevoli dell’importanza e delle responsabilità che abbiamo come custodi di un patrimonio inestimabile per tutti gli Italiani”.
In effetti il museo, ricco di migliaia di reperti archeologici, inseriti in ambienti rinascimentali di grande fascino, è sempre più aperto alle iniziative culturali e attualmente propone, fino al 9 luglio 2023, una mostra documentaria su un personaggio di spessore come Barnabei, archeologo e uomo politico, il cui busto bronzeo, realizzato nel 1934 e collocato nell’ala destra del giardino, restituisce alla vista, dopo il recente restauro, un ritratto di grande naturalezza.
Il suo nome forse non è molto conosciuto, ma il suo operato nel campo dei beni culturali all’indomani dell’Unità d’Italia è stato fondamentale per preservare il nostro patrimonio, seguendo il principio che l’interesse della collettività supera quello personale.
Traendo spunto da un verso di Catullo, che il latinista Barnabei certamente avrebbe apprezzato, la mostra, a cura di Maria Paola Guidobaldi, Valentino Nizzo e Antonietta Simonelli, s’intitola “Felice Barnabei. Centum deinde centum” e ha come sottotitolo “Alle radici dell’archeologia nazionale”, perché è a lui che si deve la trasformazione della villa di papa Giulio III in museo, sulla base di un innovativo programma del 1889, finalizzato a dotare la città di Roma di un “Museo Nazionale”, articolato in una sezione di “antichità urbane” presso le Terme di Diocleziano, coincidente oggi con parte del Museo Nazionale Romano, e una dedicata alle “antichità extraurbane” con sede a Villa Giulia, recuperando così alla fruizione storico-culturale straordinari complessi architettonici, precedentemente utilizzati per funzioni paramilitari.
La mostra vuole essere un racconto dell’articolata vicenda privata e istituzionale di Felice Barnabei, ricca di successi ma anche di amarezze, nella quale la storia personale di un uomo si intreccia con quella della nostra Nazione. Come ha ricordato Nizzo nel corso della presentazione, il museo che oggi lo celebra era per lui molto più di un luogo di lavoro ed egli riuscì a renderlo la casa permanente dell’archeologia suburbana e di quella preromana, legata in particolare a Falisci, Etruschi, Umbri e Latini.
Tra l’altro è a lui, tenace assertore dei diritti dello Stato sul patrimonio storico-artistico, che si deve l’acquisizione dell’opera più iconica del museo, il Sarcofago degli Sposi, che era stato rinvenuto in innumerevoli pezzi nella tenuta della famiglia Ruspoli (attuale Necropoli della Banditaccia a Cerveteri), in un periodo in cui l’archeologia era spesso fonte di guadagno per i proprietari terrieri e i mercanti d’arte, pronti a vendere al miglior offerente.
Ed è sempre grazie a Barnabei che venne realizzato tra il 1889 e il 1891 il tempio etrusco-italico, che riprende le stesse dimensioni e gli schemi decorativi delle terrecotte di un tempio di Alatri (databile al III-II secolo a.C.), i cui resti erano stati appena rinvenuti nello scavo condotto da Adolfo Cozza in un sito inizialmente esplorato dall’Istituto Germanico. Questa proposta ricostruttiva fu tra i primi e avveniristici esempi al mondo di ciò che oggi in campo museografico viene definito Open Air Museum.
Il suo restauro, compiuto dopo oltre quarantacinque anni dal precedente intervento, ha ridato leggibilità alle decorazioni e alle partiture architettoniche, e consentirà di avviare un progetto di innovazione tecnologica, già finanziato dalla Regione Lazio, che trasformerà il tempio nella “Macchina del Tempio”, uno spazio immersivo digitale in cui vivere l’esperienza multisensoriale del racconto della storia.
Barnabei si dimise dalla Direzione generale Antichità e Belle Arti nel 1900, per dedicarsi alla vita politica, essendo stato eletto deputato per il collegio di Teramo nel 1899. Il suo allontanamento dal lavoro ministeriale era dovuto probabilmente alle amarezze legate alle lotte e alle invidie di colleghi, e in particolare al cosiddetto “Scandalo di Villa Giulia”, che esplose nel 1899 in seguito alle accuse mosse dal celebre archeologo tedesco Wolfgang Helbig su falsificazioni e mancanza di rigore scientifico nel Museo, accuse che vennero sconfessate da una Commissione d’inchiesta.
Nel corso dell’attività parlamentare di Barnabei, deputato alla Camera del Regno d’Italia dal 1899 al 1917, fu importante il suo contributo per far approvare la prima legge di tutela e conservazione delle antichità nazionali, nel 1902, a firma del ministro Nunzio Nasi. Merita di essere ricordata anche l’istituzione a Castelli (Teramo) nel 1906 della “Scuola d’Arte applicata alla ceramica”. D’altra parte Felice Barnabei era nato proprio a Castelli nel 1842 da una famiglia dedita alla produzione delle tradizionali maioliche artistiche. Ed è proprio la Veduta di Castelli che ci accoglie nella mostra in un grande pannello (m 3×2), realizzato da Giancarlo Bucci con grande efficacia e sapienza coloristica basandosi su un’immagine d’epoca del pittoresco borgo, situato ai piedi del Gran Sasso d’Italia.
La celebrazione del centenario della morte di Barnabei è stata preceduta nel 2021 da una prima conoscenza del personaggio nella mostra “Felice Barnabei. Gocce di memorie private”, a cura di Maria Paola Guidobaldi, che esponeva le donazioni fatte da alcuni discendenti, comprendenti in particolare disegni giovanili e una piccola collezione archeologica.
Come ha ricordato Maria Paola Guidobaldi, a quegli oggetti si sono aggiunti altri materiali forniti da una pronipote diretta di Barnabei, che le si è presentata l’ultimo giorno del precedente evento davanti all’albero genealogico della famiglia, esposto in mostra, dicendole “Io sarei qui”. Grazie a quell’inatteso incontro, si è materializzato un vero patrimonio di documenti emozionanti, racconti appuntati da Barnabei, che prendono vita attraverso biglietti, citazioni, lettere.
In effetti, Felice Barnabei era estremamente pignolo nel voler registrare tutti gli eventi della sua vita e lo sono stati altrettanto i parenti nel conservare amorevolmente i carteggi che costituiscono il “fondo Barnabei”, un patrimonio monumentale per la conoscenza di ciò che è avvenuto nell’archeologia italiana tra Ottocento e Novecento e allo stesso tempo per farci conoscere l’uomo “Felicetto”, dal carattere amabile e arguto, che ebbe tra i suoi estimatori il poeta Giovanni Pascoli e la regina Margherita, alla quale insegnava il latino e il greco. Il legame che instaurò con la regina fu di stima, rispetto e grande confidenza, tanto che lei si offrì di fare da madrina all’unica figlia che Barnabei ebbe in età già molto avanzata e che venne chiamata Margherita.
La mostra attuale si sviluppa a partire dalla Sala 21 o Sala di mezzo (nel piano intermedio del museo), dove viene raccontata la vita del protagonista dalla nascita fino alla laurea in Lettere alla Scuola Normale di Pisa nel 1865. Sono esposte alcune ceramiche realizzate dal padre Tito Barnabei, dal fratello Giovanni e dallo stesso Felice e alcuni dei suoi disegni giovanili donati al Museo di Villa Giulia.
Realizzati a matita e a carboncino su carta, sono esercitazioni sul disegno anatomico che denotano spiccate qualità disegnative e sembrano preannunciare il futuro interesse per i reperti archeologici. Risalgono agli anni 1854-1858, quando il giovanissimo Felice, grazie a un sussidio del governo borbonico, poté studiare a Teramo presso i Padri Barnabiti e frequentare la scuola di disegno di Pasquale Della Monica.
La mostra prosegue al piano nobile nella Sala dei Sette Colli e nell’adiacente Sala di Venere.
Questa parte espositiva è introdotta da una curiosa statuetta di terracotta che riproduce Felice Barnabei a forma di salvadanaio, probabilmente da lui stesso abbozzata (forse alludendo ai soldi che gli venivano chiesti dai parenti), visto che egli era un abile caricaturista, come risulta da numerosi spiritosi disegni presenti sui suoi taccuini.
Nei pannelli della prima sala si può seguire il denso racconto della sua carriera pubblica, dal 1865 fino alla morte, che coincide in massima parte con la storia della nascente amministrazione.
Dopo aver insegnato per dieci anni latino e greco a Napoli, portando avanti in contemporanea i suoi interessi per l’archeologia, egli venne chiamato a Roma nel 1875, dove collaborò con il famoso archeologo Giuseppe Fiorelli, all’epoca Direttore Generale dei Musei e degli Scavi, e dopo venti anni gli subentrò nella carica. Alcuni vasi di Civita Castellana, esposti in una vetrina, appartengono al primo allestimento del Museo di Villa Giulia da lui curato.
Tra i documenti esposti nella Sala Venere, oltre a una serie di lettere, biglietti, inviti, messaggi di auguri, articoli di giornale e fotografie varie, ci sono anche i “ricordi” della Casa Reale, esposti in una vetrina a parte, insieme a due splendide spille con le iniziali di Umberto e Margherita e al tagliacarte con il bustino della regina, appartenente alla collezione degli Ori Castellani di Villa Giulia.
In altre vetrine è esposta una selezione della collezione archeologica donata al museo di Villa Giulia nel 2018 da una pronipote, già esposta nella precedente mostra e integrata con alcuni frammenti prestati per questa occasione. Costituita da originali e riproduzioni moderne di reperti antichi, la raccolta non presenta reperti di valore artistico, ma è di grande interesse documentario in quanto riflette gli interessi scientifici e professionali di Barnabei. In particolare ci colpiscono in una vetrina alcuni frammenti di ceramica sigillata, detta anche “arretina” dalla città di Arezzo (in latino Arretium), con raffigurazioni a rilievo . Questo tipo di ceramica dal colore rosso brillante suscitò dalla metà dell’Ottocento la curiosità degli studiosi, sia per la tecnica esecutiva, sia per la presenza di marchi di fabbrica, dei quali sono esposti alcuni calchi con i nomi dei proprietari delle officine aretine.
Tra gli altri oggetti vi sono delle lucerne, una piccola ara (arula) per il culto domestico con una figura femminile su un toro, una brocchetta attica a vernice nera, una coppa attica, pure a vernice nera, e il calco in gesso del Vaso dei mietitori, cosiddetto perché raffigura dei mietitori guidati da un suonatore di sistro. L’opera era stata rinvenuta a Creta nel 1902 e pubblicata l’anno successivo insieme a foto tratte sia dall’originale, sia da calchi appositamente eseguiti, in un altro periodico curato da Barnabei, i “Monumenti Antichi”.
Sono oggetti che denotano il suo interesse per la cultura materiale e per gli aspetti tecnologici delle produzioni antiche di un’attività artigianale, come quella della ceramica, che era stata il vanto e la ricchezza del suo paese, ma che a metà dell’Ottocento era in piena crisi.
Fra gli oggetti di bronzo della sua collezione spiccano quelli di provenienza medio-adriatica, molto vicini ai materiali caratteristici della necropoli di Alfedena in Abruzzo, la cui esplorazione era stata condotta dalla Direzione generale Antichità e Belle Arti e seguita dallo stesso Barnabei.
Tra gli ornamenti femminili tipici si nota la châtelaine, costituita da maglie di filo di bronzo terminanti alle estremità con due spirali e con un grande pendaglio circolare a disegni geometrici.
Nica FIORI Roma 2 Aprile 2023
“Felice Barnabei. Centum deinde centum. Alle radici dell’archeologia nazionale”
22 marzo – 9 luglio 2023
Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Piazzale di Villa Giulia, 9 Roma