di Massimo PULINI
Le Nature vive di Pier Francesco Cittadini e una nuova identità per Carlo
a Eleonora Frattarolo e a Eugenio Riccomini
Avete presente i ritratti di Pier Francesco Cittadini?
Quei dipinti a tre quarti di figura che ritraggono dame vestite di abiti barocchi, ornati con formicai di pizzi bianchi e vistosi fiocchi rossi? Sono immagini di giovani ragazze annoiate e di aristocratica famiglia che, messe in posa sotto tendaggi a baldacchino, tengono in mano un libricino d’ore e ci guardano pensando ad altro, forse al loro amato. Ecco, proviamo a dimenticarceli, perché il Cittadini simili tele non le ha mai dipinte.
Pier Francesco Cittadini detto il Milanese per nascita meneghina (1616 – 1681), ma bolognese a tutti gli effetti e di stretta formazione reniana, venne definito pittore universalissimo da Carlo Cesare Malvasia[i], nella sua Felsina, perché il grande biografo lo considerava l’artista più versatile di tutto il Seicento pittorico emiliano.
Riusciva a passare dal fare grande di pale d’altare[ii], costruite per complesse e articolate scene, a dipinti con mezze figure di santi, ma proporzionati al naturale; amava dipingere magnifiche imbandigioni di frutta all’aperto e raffinate composizioni di fiori poste su un tavolo da stanza, dipinti con oggetti di ferma come venivano definiti allora; era ricercato anche per vedute con piccole figure, utili a svolgere sia narrazioni sacre che a trattare favole arcadiche legate ai miti della Grecia antica, ma risultavano ‘spiritose’ pure le sue scene di paese, con mestieri per via o episodi di vita quotidiana: che passavano dal bisticcio tra due contadine alla semplice transumanza di animali.
Lo straordinario censimento delle collezioni secentesche di Bologna, compiuto da Raffaella Morselli ha visto Pier Francesco Cittadini primeggiare su tutti gli altri pittori, per numero di opere presenti nelle raccolte della città. Vi ricorrono i soggetti allegorici delle Stagioni, entro i quali la frutta e i fiori svolgevano un ruolo di riscontro temporale e poi i paesi, sia intesi come giardini interni a ville di campagna; scorci di borghi abitati o aperte scene naturali, utili a descrivere una Fuga in Egitto o una Predica del Battista, senza che negli inventari di quelle prestigiose raccolte mai venisse associato il suo nome al tema di un ritratto.
Lo stesso Malvasia, riporta l’appellativo di fruttarolo e fiorante che Francesco Albani esprimeva con tono spregevole nella sua inacidita vecchiaia, ma non menziona nemmeno per una volta i ritratti che invece hanno reso famoso Pier Francesco Cittadini nel corso Novecento.
Il grande equivoco
È stato infatti all’inizio del secolo scorso che si è generato un tenace equivoco basato sull’attribuzione al Cittadini di due bellissime opere, che sono tuttora ai vertici del genere ritrattistico barocco, ma che non vennero eseguite dal Milanese. Mi riferisco al Ritratto collettivo della Famiglia Campeggi (Dozza, Castello Malvezzi Campeggi) (Tavola A)
una grande tela che ora sappiamo documentata a Lorenzo Pasinelli e il Ritratto di gentildonna con bambino della Galleria Nazionale di Bologna (Tavola B), che è invece opera del cesenate Cristoforo Savolini[iii].
Allo stesso modo di una persona che oggi subisca un furto d’identità e cerchi invano di far cancellare da internet pubblicazioni indebite che distorcono la sua immagine, il nome di Pier Francesco Cittadini continua a venir applicato a opere che non lo rappresentano. Difficile uscire dall’impasse se al mondo antiquariale continua a tornare utile un punto di riferimento sul quale scaricare la paternità di tanti dipinti altrimenti destinati all’anonimato.
Questa ragione d’interesse, unita pure a una certa inerzia degli studi, che ha finora fatto mancare all’artista una sistematica indagine di taglio filologico, ha generato un meccanismo quasi perverso di misattribution.
Forse davvero solo una buona monografia potrebbe far cambiare rotta al continuo malinteso storico e pur non escludendo che Cittadini, tra i tanti suoi talenti, annoverasse anche la ritrattistica, fino ad ora nulla di quel che gli è stato assegnato corrisponde ai suoi caratteri stilistici. Dunque, almeno in questa fase, conviene decisamente azzerare tale capitolo e concentrare le attenzioni sulle altre e numerose applicazioni di genere che il Milanese dispiegò.
Dopo aver dedicato uno dei “Quaderni del Barocco” ospitati dal Museo di Palazzo Chigi di Ariccia al fare grande dell’artista, in occasione del ritrovamento di una bellissima Sant’Orsola di collezione privata londinese[iv] (20 dicembre 2008), intendo ora presentare la sequenza di Nature (“vive” mi verrebbe da dire) che ho ricomposto sotto il nome di Pier Francesco Cittadini.
Sono convinto che anche solo accostare diverse nuove attribuzioni alle opere che già si conoscono sia un atto che di per sé faccia fiorire un racconto, tanti sono gli elementi suggestivi e narrativi dei quali le opere sono dotate.
Senza nemmeno cercare, per ora, scansioni cronologiche di impervio reperimento, preferisco aggregare le immagini attraverso parentele compositive che creano tematiche specifiche entro il vasto genere della Natura morta, concepito da Pier Francesco come una inesauribile cornucopia del mondo.
Teatri in giardino
Riallacciandomi alle mezze figure “grandi come il reale” che sono state oggetto principale di quella pubblicazione, inizio il libro delle Nature vive con un capitolo di opere che documenta l’estensione più eclettica dell’artista. Sono dipinti che non è azzardato definire sinfonici, scrigni di simultanee narrazioni scalate in piani scenici differenti, ognuno dei quali, proprio come il singolo strumento di un’orchestra, contribuisce con la propria voce all’accordata musica d’insieme.
Almeno tre sono gli argomenti ogni volta sviluppati da queste sontuose tele. Entro il palcoscenico pittorico la presenza umana, seppur attiva e pertinente, sembra svolgere un ruolo di servizio, come di chi sta ultimando gli ultimi ritocchi all’imbandigione di una prossima festa e si trova a transitare dietro le prime quinte, ritagliandosi una posizione che, di regola, è laterale. Sono i doni della natura ad avere la ribalta del primo piano, siano essi fiori, frutti, selvaggina o dolci. È lì che il racconto si sofferma in descrizioni dettagliate cercando contrasti scultorei nelle forme e contrappesi nei colori perché il ‘donarsi’ generoso della Natura trovi la sua piena celebrazione. Infine lo sguardo si inoltra sullo sfondo verso altre amenità dell’esistenza e il paesaggio ospita passeggiate romantiche o concertini in riva al fiume.
Tre piani prospettici e insieme semantici che in qualche eccezione ne aggiungono un quarto sul proscenio, come fosse in affaccio dalla buca di un’orchestra. È la presenza di un cane che annusa alzando il suo muso e dimostrandosi incuriosito da tutto quel dispiegamento di cose preziose e gustose.
Alcune opere di Pier Francesco Cittadini con questa convergenza tematica sono già ampiamente note come la splendida tela del Museo di Capodimonte (Foto 1),
altre hanno avuto ribalta in esposizioni pubbliche, è il caso delle due tele della Pinacoteca di Cento (Foto 2 e 3)
o della Preparazione di un festino all’aperto di collezione privata milanese (Foto 4), che io stesso resi noto nella medesima mostra centese del 2001[v] della quale fui curatore.
Forse il risultato più alto di questo virtuosismo eclettico raggiunto dal Cittadini è ancora inedito ed è transitato di recente nel mercato antiquario (vedi Art Gallery My Studios) come opera di Michelangelo Cerquozzi[vi]. Credo appartengano invece a Pier Francesco tutte le parti di questa bellissima presentazione di Frutta e fiori all’aperto con un paggio dal cappello piumato che raccoglie un grappolo d’uva (Foto 5).
Ma esistono anche casi in cui l’intervento della cornucopia naturale di Cittadini si unisce al pennello di un altro pittore di figura, e in una occasione fu di certo quello di Nicolas Regnier in un dipinto già in collezione Sestieri poi transitato ad un’asta italiana il 4 dicembre 2002, che raffigura una Giovane che alza un cesto di frutta da un tavolo imbandito (Foto 6).
In altri dipinti la tematica del banchetto e dell’allestimento fastoso in giardino esclude dalla scena la figura a mezzo busto e lascia maggiore respiro al racconto a campo lungo. I quattro dipinti ritrovati dalla galleria di Matteo Giusti a Formigine e studiati da chi scrive come una serie da ricondurre alla piena autografia di Pier Francesco Cittadini, creano una sorta di cerniera d’argomento alle due varianti di genere.
Trofei di caccia e di pesca
Nello spazio aperto di vedute collinari e sotto le fronde di alti alberi sono disposte due scene analoghe e in qualche misura tra loro complementari.
Nella prima di queste, oltre un rialzo inclinato del terreno che mostra un Giovane con uccellagione (Foto 7) in una fortunata giornata di caccia, si erge il busto di un ragazzo in giacca e cappello di pelliccia, intento a legare la selvaggina al ramo di un albero. Il suo sguardo, quasi trasognato, è rivolto ai due cani che gli stanno a fianco e che si direbbero orgogliosi della battuta a cui hanno contribuito: una dozzina di uccelli di varia specie e dimensione, tra pernici, fagiani e monachelle, oltre alle due grosse lepri che il ragazzo sta sollevando per le zampe, sul lato destro del quadro.
Dalla parte opposta stanno gli strumenti usati durante la caccia: un prezioso archibugio appoggiato a una forcella d’arbusto, attentamente descritto nelle sue parti meccaniche, e il borsello di cuoio con la polvere da sparo.
Più che in qualità di vero e proprio cacciatore il giovane forse sta svolgendo una funzione d’aiuto, forse è addetto a gestire i cani e a recuperare le prede e magari il nobile che ha realmente cacciato va cercato in quelle figurine che ancora stanno sparando in mezzo alla valle.
Speculare per composizione, la seconda scena presenta un Pescatore con pescagione (Foto 8).
Scorgiamo sul primo piano un simile terrapieno, sul quale questa volta sono esposti vari pesci, sia fluviali che marini: carpe, lucci, tinche, cavedani, anguille e un grande gambero, ma anche triglie, orate e una razza che il pescatore in secondo piano, sta togliendo dalla falda del grembiule.
In analogia al ragazzo cacciatore, il pescatore dispone in bella vista il risultato del lavoro, quasi i due si trovassero dietro i banchi di un mercato, anziché sul campo dell’azione. Vestito di rosso e con un basco ancora oggi in uso nel mestiere, il pescatore mostra baffi e una barba bruna che gli scende dalle basette e gli restituisce un aspetto più maturo e vissuto rispetto al corrispettivo attore del quadro fratello.
Pure in questo caso, inoltrandosi nella visione, si incontrano altre figure ancora intente nei gesti della pesca, mentre il paesaggio lascia intravvedere quel che si direbbe una insenatura, ai piedi di uno scosceso costone dal quale svetta una torre circolare. Un golfo forse posto alla foce di un fiume, a giudicare dalla varietà del pescato.
Questi due dipinti sembrano formare una coppia tematica che non solo pone a confronto le due attività di predazione naturale, la caccia e la pesca, ma nel senso compositivo di cui si è detto, unisce anche tre diversi generi della pittura. Natura morta, figura e paesaggio si integrano infatti in queste opere, attraverso un’armonia esemplare.
Nel corso del XVII secolo, epoca nella quale si consolidarono le specializzazioni artistiche, pochi pittori si cimentarono in fusioni di generi così diversi e più spesso si ritrovano quadri eseguiti da due o tre autori distinti, che di solito erano virtuosi di un solo aspetto del variegato mestiere artistico richiesto all’opera.
Anche se analizzassimo separatamente lo stile di ognuno dei tre generi, che curiosamente si posizionano in entrambi i dipinti in sequenza prospettica (nel primo piano la natura morta, nel secondo la figura a grandezza naturale e nello sfondo il paesaggio con presenze di piccole dimensioni), otterremmo una convergenza attributiva indirizzata verso la mano di Pier Francesco Cittadini.
Il nostro pittore si dimostra, in questa articolata miscela narrativa, uno degli interpreti più colti e internazionali del Seicento italiano e non di rado seppe investire i suoi numerosi talenti pittorici nella fusione dei generi e nella creazione di una ‘sovra-tematica’ che è divenuta espressione ideale del cosiddetto fasto barocco. In particolare nell’eclettico ambiente artistico romano, che anch’egli frequentò con successo verso la metà del XVII secolo, si diffuse il gusto per quadri complessi, ricchi per annotazioni di vita reale e dedicati a un trionfo della Natura sapientemente trasformato in racconto.
In opere come queste i tre regni: vegetale, animale e minerale sono presentati nel loro massimo splendore, fiori, frutti, animali e oggetti metallici, vitrei e ceramici, sono elencati con una attenzione che risulta puntuale senza alcuna pedanteria scientifica.
Imbandigioni all’aperto
I due dipinti ‘predatori’ si trovano tuttora affiancati a un’altra coppia di opere riconducibili con certezza al Cittadini e raffiguranti altrettanti Festini all’aperto, nei quali si offrono alla vista frutti e dolci, anch’essi realizzati con frutta candita.
Compulsando il repertorio delle collezioni secentesche bolognesi, si ritrova un passo che potrebbe risultare determinante per comprendere la collocazione originaria delle quattro opere. Nell’inventario del Palazzo Davia[vii], datato 1675, vengono ricordati, come opere del Cittadini (altre volte citato come ‘Milanese’), quattro dipinti raggruppati sotto la definizione di “Frutta, Uccellatore e Pescatore”[viii].
Non si conoscono attualmente altre serie del Milanese che possano corrispondere a questa descrizione e siamo legittimati a ritenere affidabile questa particolare dicitura assieme all’antica attribuzione al Cittadini, in una collezione che possedeva altre sue opere e in un anno in cui l’artista era ancora in vita e si trovava a lavorare nella medesima città.
Nella prima delle due tele raffiguranti un Festino all’aperto (Foto 9), sempre appartenenti a Matteo Giusti di Formigine, sul proscenio di sinistra si scalano le vasche di una fontana che appare ricolma di ogni varietà di frutta, messa in fresco a bordo dell’acqua o sotto il gocciolio delle cascatelle.
Si riconoscono pesche, susine, ciliegie, uva e fichi, mentre un melone bianco, tagliato a spicchi, è già sopra un piatto, nel ripiano che sta sulla destra del quadro, assieme a un servizio di eleganti bicchieri e di vini in riserva.
Al centro e nell’approfondirsi della visione si scorgono figure di uomini e donne anche loro indaffarate alla preparazione di un appuntamento festivo. Vari tavoli, disposti sotto gli alberi dell’ampio parco, hanno già la loro tovaglia e sopra si vedono stoviglie e grandi brocche. Alle spalle dei piani si innalza l’arco di entrata del giardino e la cinta muraria, sovrastata da grandi e panciuti vasi. Quel che ci viene mostrato è dunque il giardino di una aristocratica villa di campagna, in un’imprecisata estate di metà Seicento, nei momenti che precedono un ricevimento. Il primo piano, con la sua imbandigione di frutta, ci racconta della parte finale di questo pranzo, mentre l’istantanea a fondo lungo informa del clima operoso, necessario al piacevole svolgimento della giornata. Completa il quadro uno scorcio di cielo con nuvole spazzate dal vento e due cardellini che sembrano interrogarsi sul furto di qualche frutto.
Il dipinto compagno (Foto 10) ci appare quasi in forma di sequenza temporale, anche se la parte di giardino che fa da teatro alla seconda scena è diversa e posta più a ridosso della villa.
Anche qui il fulcro è costituito da un arco, questa volta però non è contornato da una cinta muraria, ma da una architettura serliana che lascia immaginare una passerella sopraelevata, con bordo a balcone. La prospettiva del palazzo, sottolineata dagli archi del loggiato, trova il fianco dall’altro lato, in un’altissima veranda ricoperta di rampicanti, che il pittore ci descrive nelle sue linee strutturali, restituendoci annotazioni preziose sulla cultura del giardino in epoca barocca. Ma se tutto questo si mostra nel terzo piano del dipinto, nel secondo la festa è già in atto, diversi suonatori sono infatti all’opera, mentre il cortile è già luogo di un ballo cortese. Al tavolo stanno sedute le signore della famiglia con qualche pargolo accanto. Anche qui è presente una fontana da giardino, ma il proscenio è dedicato a due tavoli che mostrano preziose brocche d’argento, vasi dorati con svettanti garofani e grandi piatti ricolmi di dolci, cotognate e frutta candita.
Malgrado si fosse persa memoria dell’autore di queste quattro bellissime tele[ix], emerge tuttavia nitida l’elevata qualità e lo stile, ampiamente conosciuto, di Pier Francesco Cittadini, maestro indiscusso di questo genere di racconti pittorici, che sono insieme cortesi ed agresti.
Sincerità della visione e grazia dei modi si sposano nelle sue opere con un criterio che non è puramente indotto dal mestiere, ma va considerato frutto dell’intelligente fusione di stilemi espressivi che in precedenza si trovavano separati e lontani e che, anche grazie al nostro artista, danno luogo a un nuovo gusto che si affermerà nell’arredo di palazzi e di collezioni importanti, sia a Bologna che a Roma.
Replicano questa formula con felici varianti anche le due opere già nella Galleria d’Orlane di Gianluca Bocchi, a Casalmaggiore (CR)[x] (Foto 11 e 12),
ma anche il Tavolo all’aperto con pesci e figure in un cortile di Collezione privata (Foto 13) o l’altro Tavolo all’aperto con frutta, verdura e un pappagallo ora conservato in una collezione della Costa d’Avorio[xi] (Foto 14).
Ma una medesima struttura compositiva la ritroviamo nelle splendide quattro tele con imbandigioni della Galleria Estense di Modena (Foto 15, 16, 17 e 18)
o nelle due redazioni dei Tavoli imbanditi con frutta e canditi nel cortile di una villa, una delle quali si trova a Trieste, presso la Galleria Nazionale (Foto 19)
mentre l’altra, inedita, è transitata a Londra presso Sotheby l’8 dicembre del 1993 (Foto 20).
Formule simili, anche se di minore ampiezza si vedono nel Cestino di cibi e bevande con figure in un paesaggio (Foto 21) (già Roma, Sandro Poggi) e nella Tavola all’aperto con dolci, bevande e figure nel paesaggio (Foto 22) (Spoleto, Paolo Sapori),
il cui pendant dalle medesime misure, raffigurante un Tavolo imbandito di frutta e fiori con tappeto[xii] (Foto 23), ci permette di accedere a un altro schema fortunato della vasta produzione di Pier Francesco Cittadini: quello delle Cucine e delle Merende, ambientate in interni che concentrano la loro luminosità e lo scintillio delle materie sul piano del tavolo, lasciando in ombra il resto dello spazio.
Rinfreschi in interno
Pur avendo trovato nell’aria aperta la condizione ideale, per esprimere in un sol colpo d’occhio tutta l’ampiezza del proprio ventaglio pittorico, Pier Francesco si cimentò a lungo anche in composizioni più raccolte e intime, ambientate entro le mura di una casa.
Resta cruciale il tema del cibo e di tutti i piaceri sensoriali, ma si declina più sobriamente sopra di un piano, sia esso da cucina o più nobilmente bardato con tappeti disposti a tovaglia. Fiori, bevande e dolci sono quasi costanti di queste tele, ma il virtuosismo si sofferma sulla fattura dei tessuti, le umidità che imperlano i vetri e le lucentezze dei metalli. Esemplare è l’opera acquisita dalla galleria milanese lo Studiolo di Stefano e Guido Cribiori[xiii] (Foto 24)
o la Natura morta con dolci, bevande e libro su un tavolo, del Museo Szépmuvészeti di Budapest (Foto 25). Anche in questa branca tematica esiste un vertice fino ad ora ineguagliato ed è quello conservato all’Istituto San Pellegrino di Bologna. Mi riferisco alla Tavola imbandita con pesce, frutta, pane e bevande in ghiaccio, (Foto 26), esposto con una mia scheda alla mostra Il Cibo in posa curata da Eleonora Frattarolo[xiv].
Aggiungo tuttavia tre novità che danno corpo a questa fase creativa che si giova dell’ombra per avvolgere le cose e per restituire loro un sentimento diverso e più profondo. Sotto il nome di Giuseppe Recco è riemersa una Tavola imbandita con pane, frutta, bacile e bevande in fresco (Foto 27), a Milano nelle aste Porro del 9 novembre 2005, con opere dalla collezione Queirazza[xv],
mentre una Tavola imbandita con ostriche, limoni, bevande e fiori (Foto 28) è passata a Londra, presso la Sotheby il 29 ottobre del 1998 con un riferimento a Franz Werner Dapper[xvi];
entrambe vanno invece restituite al Cittadini, come una bella tela conservata a Firenze, nei depositi delle Gallerie fiorentine raffigurante una Cucina con paiolo, fiasca, pane e bicchieri (Foto 29), che nella vasta pubblicazione dedicata alla Natura Morta in Italia, Milano 1989 curata da Francesco Porzio sotto la direzione scientifica di Federico Zeri (vol. II p. 567) veniva circoscritta all’anonimato[xvii].
Il contesto da stanza riconduce questa serie di opere alla condizione primaria e classica della Natura Morta, con tutto il suo carico metafisico e metalinguistico, che induce a letture non ‘solamente’ sensoriali.
I Vasi di fiori
Di squisita e limpida estetica sono le tele di Pier Francesco che descrivono, sopra tavolini rivestiti da tappeti, ricchi vasi di metallo contenenti una chioma di fiori variopinti. Malgrado il fasto di bellezza sono opere che si distinguono per misura ed accordo cromatico, per contrappunti di distanze tra una corolla e l’altra, raggiungendo un equilibrio formale di raffinatissimo livello.
In uno dei due ovali della chiesa di Santa Maria di Galliera a Bologna (Foto 30 e 31), nel tappeto si scorge intessuta una croce[xviii] che legittima interpretazioni simboliche anche dei fiori mariani che vi vengono mostrati: le rose bianche al centro, i tulipani rossi e tutte le sfumature intermedie degli anemoni che si declinano, dalla purezza della grazia fino al sangue della passione.
Non appaiono da meno per chiarezza di composizione e impeccabile qualità le due tele che fanno coppia nella Galleria Pallavicini di Roma (Foto 32 e 33) e che, assieme a Alberto Crispo, ritengo ugualmente uscite dal miglior periodo creativo di Cittadini.
Un cimento di equiparato calibro, per attenzione esecutiva e per grazia raggiunta, lo ritroviamo nel dipinto transitato da Moretti a Firenze, Vaso di fiori con tavola imbandita[xix] (Foto 34),
dove il protagonismo cromatico e quasi algido del bouquet viene controbilanciato da una merenda di salumi, formaggi, marmellate di cotogno e taralli. Il superbo taglio diagonale della luce sul muro, dietro l’esplosione floreale, spinge a una collocazione romana dell’opera, come potrebbe esserlo un’analoga composizione delle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna (Foto 35) e un’altra transitata dalla Galleria Fondantico e resa nota da Daniele Benati[xx] (Foto 36).
Risparmiando la sequenza descrittiva di altre opere che si raggruppano in questa sezione[xxi] (Foto 37, 38, 39, 40, 41 e 42),
valga per tutte un’eleganza compositiva che le accomuna e per alcune di queste è possibile individuare la collaborazione del fratello Carlo, come nella Tavola con strumenti musicali, vasi di fiori, dolci, bacile e uccelli (passata alla Sotheby di Monaco il 29 novembre 1986) (Foto 43) che ha tutti gli elementi compositivi di Pier Francesco, ma più fragili e dimessi.
Forse c’è un lavoro congiunto anche nei due bei Vasi di fiori appartenenti al Museo Civico di Modena (Foto 44 e 45)
e in quelli del Palazzo Comunale di Sassuolo (Foto 46 e 47)
mentre del solo Carlo sono un Vaso di fiori con strumenti musicali e tavola imbandita, passato come Pier Francesco a New York[xxii] (Foto 48)
e quattro tele dell’Opera Pia dei Vergognosi di Bologna: la Tavola con vaso di fiori, frutta, dolci, pane e bevande (Foto 49)
e la Tavola con cibi, paiolo e vaso di fiori della medesima collezione (Foto 50)
e i due Vasi di fiori (Foto 51 e 52) che già Nicosetta Roio gli riferiva[xxiii],
ma della medesima raccolta aggiungerei anche le tre Nature morte all’aperto che invece venivano ritenute prima di Candido Vitali e poi della distinta personalità anonima denominata lo “Pseudo Vitali” (Foto 53, 54 e 55).
Carlo Cittadini: il cosiddetto Pseudo Candido Vitali
Pur non volendo in questa occasione sviscerare tutta la vicenda attributiva che ha fatto nascere e proliferare la figura temporanea dello “Pseudo Vitali” (Foto 56, 57, 58 e 59)
e intendendola trattare in un separato saggio, ritengo tuttavia giusto accennare a questa mia proposta di identità, perché si possano comprendere meglio alcune opere di collaborazione col fratello maggiore.
In un bellissimo Caravanserraglio di animali in un paesaggio di recente assegnato allo “Pseudo Vitali” da Danieli[xxiv] (Foto 60)
si può evincere la medesima qualità di stesura presente in alcune opere dei Cittadini che oltre alla profusione di frutta, animali e oggetti, tornano a ospitare presenze umane, mi riferisco a due Allegorie delle stagioni eseguite su piccole lastre di rame, una raffigura l’Estate (Foto 61) e l’altra l’Inverno[xxv] (Foto 62).
Sono raffinati dipinti che uniscono scene di paese riconducibili a Pier Francesco, con minuziose nature morte di frutta, fiori e ortaggi che evidenziano la mano di Carlo Cittadini, la stessa tipologia di trattamento delle cose la ritroviamo nelle opere già assegnate allo “Pseudo Vitali”.
La bottega dei Cittadini doveva essere particolarmente attiva e collaborativa anche con altri colleghi, se si ritrovano opere che uniscono ghirlande di fiori di Pier Francesco a scene di Giambattita Bolognini come è il caso transitato a Monaco di Baviera, presso la Hampel[xxvi] (Foto 63)
e il già documentato tandem tenuto con Jean Boulanger nelle decorazioni di Sassuolo (Foto 64).
Quando questa sontuosa formula si trova realizzata dal solo Pier Francesco vengono raggiunte vette insuperabili per raffinatezza, grazia e misura[xxvii] (Foto 65 e 65a),
prova ne siano le Allegorie delle quattro stagioni della Galleria Estense di Modena (Foto 66, 67, 68 e 69) che a mio avviso surclassano ogni coevo corrispettivo romano.
La già estesa forma di questo saggio mi impedisce di aprire un ulteriore tavolo legato al tema delle ghirlande di Pier Francesco Cittadini, mi basti dire che molte di quelle a lui attribuite vanno ricondotte agli Stanchi o a Mario dei Fiori, mentre l’Allegoria dell’Autunno di Modena (Foto 69) permette di confermare al nostro pittore la Girlanda di frutti della Pinacoteca Nazionale di Bologna (Foto 70) che da qualche tempo era stata trasferita nel catalogo di Michelangelo Cerquozzi[xxviii].
Questa centrale sezione di una ideale monografia su Pier Francesco Cittadini, che prevede almeno altri due ampi capitoli[xxix], credo dimostri da sola la genialità dell’artista, che si attesta tra i massimi protagonisti della Natura morta italiana e di questa riuscì a estenderne i confini e anche lo spirito sentimentale. D’altro canto la quantità di opere citate dalle fonti bolognesi, promette ulteriori aspettative in ogni campo della sua applicazione artistica.
Mi auguro infine che anche per suo fratello Carlo possa iniziare una più congrua stagione identitaria e il carattere non banale di questi possa sostituirsi a quel nome di comodo –Pseudo Vitali– sorto dagli scarti del catalogo di un artista, Candido Vitali (Bologna 1680 – 1753), che tuttavia nacque due decenni dopo la morte di Carlo Cittadini, avvenuta a Bologna nel 1661.
Se la mia proposta si dimostrerà credibile dovrà essere restituita a Carlo una precedenza temporale almeno sull’invenzione di alcune formule compositive che saranno poi riprese da Candido, alle quali di certo quest’ultimo aggiunse una inedita e vaporosa morbidezza.
Massimo PULINI Montiano 17 maggio 2020
NOTE