di Francesco MONTUORI
LA VIA CLODIA. PAESAGGI E STORIA
Il paesaggio dell’Etruria meridionale rappresenta un carattere fortemente identitario del Lazio settentrionale e di parte della Toscana meridionale.
Le eruzioni dei vulcani laziali, Sabatini, Volsini, Cimini, e, in Toscana, del Monte Amiata, hanno ricoperto il territorio di una spessa coltre di materiale tufaceo e di vene basaltiche, depositate su uno strato di terreno sabbioso-argilloso: un solenne e vastissimo altipiano, alla destra del fiume Tevere, caratterizzato da ampi ripiani tufacei, in parte boscosi, di altezza variabile fra 50 e 350 mt. che discendono verso valle fino al Tirreno.
Un paesaggio a grandi e semplici linee su cui si innalzano i coni degli apparati vulcanici i cui crateri spenti e caldere di sprofondamento ospitano laghi, (lago di Bolsena), laghi impostati su un ambiente misto di crateri e “cupole” (Vico); laghi minori monocraterici (Mezzano). Crateri ormai disseccati dall’erosione hanno formato la caldera di Latera (fig. 1), la valle di Montefiascone, o, prosciugati dalla bonifica, il lago di Burano.
Numerosi corsi d’acqua, torrenti, piccoli ruscelli scavano, sui ripiani, burroni e profonde gole, serpeggiando fra ripide pendici, invase dalla vegetazione a macchia e dalla boscaglia, fino a confluire nel fiume Fiora. L’erosione delle acque e la confluenza dei torrenti determina l’emergere di speroni tufacei rosso-giallastri, rotti da crepe, grotte, incisioni, luoghi mitici di fondazione delle città (fig.2).
Verso il mare il paesaggio degli apparati vulcanici, dei pianori e delle forre si stempera infine nel paesaggio del latifondo e della bonifica che caratterizza la pianura sabbiosa lungo la costa tirrenica, arricchita dalla rete dei canali storici, corsi d’acqua arginati, idrovore, ponti, mulini (fig.3).
Come effetto di questa morfologia, rassicurante ed orrida al tempo stesso, il paesaggio naturale ed antropico si organizza su due piani nettamente distinti, l’uno orizzontale, l’altro verticale: l’andamento orizzontale dei grandi pianori, paesaggio della pastorizia brada e transumante, della coltivazione estensiva del grano e delle culture arboree dell’olivo e della vite; e il paesaggio verticale delle incisioni, improvvisi e profondi burroni dai fianchi rocciosi di tufo e dal fondo pianeggiante, alluvionato, occupato da oasi di culture irrigue e bordati qua e là da macchie di lecci.
Gli insediamenti umani, le città dei vivi e le città dei morti, contribuiranno a rafforzare questi tratti identitari del territorio dell’Etruria meridionale, il paesaggio degli speroni rocciosi su cui si elevano le città etrusche minori e i castelli medioevali e il paesaggio delle ripide pendici dei burroni, replicate dalle “vie cave” tagliate nel tufo e luoghi deputati ad ospitare le necropoli etrusche.
L’antica città di Vulci si viene a formare nel grande pianoro alla bassa valle del Fiora di fronte al Tirreno (fig. 4). Tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro (X-IX sec a.C.) migliaia di abitanti si concentrano in pochi grandi pianori, limitrofi al Tirreno, ben difesi dai fiumi che incidono il terreno con impressionanti dirupi. I nuovi centri si sviluppano a partire dall’VIII sec., presentandosi ancora come villaggi di capanne distribuiti in modo discontinuo ed irregolare nella futura area urbana. Si forma un robusto potere locale in grado di imporre una nuova organizzazione del territorio; si viene a determinare una centralizzazione del potere nelle famiglie dominanti in grado di gestire e sfruttare la potenzialità di ambiti sempre più vasti, attraverso una forte gerarchizzazione degli spazi.
Nel corso del VII se. a.C. Vulci si struttura rapidamente come una metropoli con la cinta muraria e le porte, i quartieri residenziali, l’acropoli, le grandi aree sacre, gli impianti produttivi, le numerose imponenti necropoli, le vie di collegamento con l’interno. Il territorio governato fu assai vasto: si spingeva a nord fino al porto di Talamone, nell’interno fino alle pendici del Monte Amiata; e al lago di Bolsena, laddove sorse la città di Visentium; a sud era delimitato dal torrente Arrone.
Ancora non è stato a sufficienza sottolineato il ruolo svolto dagli etruschi nella nascita e formazione del concetto di città e del forte influsso che la fondazione di Vulci avrà sulla la storia europea; con gli Etruschi giunge infatti a compimento nell’Italia centrale un processo storico di concezione della città intesa in senso fisico ed in senso politico che avrà grandi riflessi nella storia della città.
Vulci, per prima nella storia europea, non solo ha dominato ma ha politicamente unificato il comprensorio su cui governava. Nelle vaste aree boschive ed agricole, si costituiscono, in modo organizzato dalla città dominante, nuovi centri minori cui spetta il controllo del vasto territorio. A giudicare dalle vaste necropoli che oggi ne ricordano la localizzazione alcuni di questi villaggi, in particolare quelli dislocati a guardia degli itinerari di comunicazione commerciale, Sovana, Castro, Saturnia, Poggio Buco, Pitigliano, Visentium, avamposto sul Lago di Bolsena (fig.5), assurgeranno al rango di vere e propri fiorenti centri minori. Fra questi centri periferici si interpongono siti più modesti cui spettano mansioni di controllo e di sfruttamento di un agro ormai troppo distante dal centro egemone. Analogamente Vulci esercita uno stretto controllo della costa; al porto di Regisville alle foci del fiume Flora, si affianca l’insediamento di Pescia Romana che permette a Vulci di consolidare il controllo della via litoranea fino ad Orbetello e Talamone.
Fra i grandi centri costieri, i villaggi importanti e i siti periferici si stabiliranno regole di organizzazione gerarchica. La convivenza fra comunità all’interno dello stesso contesto, la città ed i villaggi da essa dipendenti, determinerà lo sviluppo di strutture di mediazione politica ed amministrativa, di compartecipazione al potere e all’organizzazione della città e del suo territorio.
Parallelamente nel corso del VII sec. si registra una decisa crescita dei commerci marittimi ed un integrazione dei gruppi dirigenti della città con le grandi civiltà marinare del Mediterraneo.
La via Clodia sarà l’infrastruttura principale di organizzazione di questo territorio e di collegamento di Vulci con le altre città etrusche del Lazio meridionale.
Dalle grandi città etrusche verso Roma
L’originaria strada etrusca percorreva da nord a sud il territorio tosco-laziale collegandolo con Roma; il tracciato si snodava nelle alture e nelle valli fluviali, non sempre praticabili a causa di frane ed alluvioni. In seguito alla diffusione dei veicoli a due ruote la strada, originariamente adatta solo a far passare dei muli, viene nel VII sec. completamente rifatta, attenuando le pendenze e smussando le tortuosità per rendere il percorso più facile al passaggio dei carri. In presenza di ostacoli naturali si procedeva a imponenti opere di sbancamento, ben visibili in quelle tagliate o cavoni (fig.6) che rappresentano per noi le tracce più evidenti del percorso etrusco, spesso confuse con i profondi tagli che i torrenti hanno aperto nel terreno tufaceo.
La via Clodia fu una struttura strategica per gli interessi e lo sviluppo dell’Etruria interna; essa serviva a rifornire di grano le città etrusche di Cerveteri, Veio e Roma. Gli Etruschi mantennero in tal modo l’egemonia su Roma e la governarono con i loro re.
Dopo la conquista romana dell’Etruria
Nel IV sec. a.C. la politica estera di Roma, divenuta una potenza regionale, si capovolge per puntare alla conquista delle città etrusche del settentrione fino alla capitolazione di Volsinii, nei pressi di Orvieto, e Vulci nel 280 a.C.
La via Clodia etrusca venne quindi profondamente ristrutturata dai romani fra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. con finalità di controllo del territorio conquistato. Di incerta identificazione è il nome del magistrato che ricostruì la via e da cui questa prese il nome (C.Claudius Canina, console nel 273, Claudius Russus console del 268 e C.Claudius Centho, censore nel 225). Non si trattò in realtà di una vera e propria costruzione, ma di un adattamento e sistemazione di vari tracciati già esistenti e della costruzione di tratti di collegamento per rendere il tracciato più fluido (7): una preesistenza che la via Clodia denuncia chiaramente col suo percorso tortuoso, che collega le città etrusche passando per pagi e aggregati minori.
La strada fu portata all’ampiezza di mt. 4,10, misura che si riscontra in quasi tutte le strade romane di grande comunicazione e lastricata con basoli in selce o di pietra calcarea e con crepidini spesso pure costituite da basoli. Dopo Saturnia, colonia romana, dove la via Clodia perviene attraverso uno scenografico arco (8), è ipotizzabile la prosecuzione di un diverticolo per Roselle, una strada basolata di minori dimensioni larga mt. 3 e delimitata da due muri di m. 0,50 di spessore.
In questa fase della romanizzazione dell’Etruria assistiamo alla decadenza delle città costiere di Cerveteri, Tarquinia, Vulci cui corrisponde uno sviluppo dei centri agricoli dell’entroterra; la via Clodia venne così a costituire l’asse mediano dell’Etruria meridionale, al fine di collegare fra loro i centri dell’entroterra.
Il ruolo della via Clodia nell’Alto medioevo
La via Clodia continuerà a svolgere un ruolo importante anche dopo la guerra fra Goti e Bizantini in Italia (535-553): “ Il trattato di pace tra Bizantini e Longobardi del 605, segnando la linea di confine fra le due potenze, sancì la definitiva spartizione della regione in Tuscia Longobardorum a est e Tuscia Romanorum (cioè bizantina) ad ovest; la via Clodia rappresenterà di fatto la linea di demarcazione fra i due territori, assumendo il ruolo di asse portante della dominazione longobarda di via diretta di collegamento fra Tuscania e il nord della penisola.
Il lungo conflitto fra il papato e l’Impero si protrarrà fino alle soglie dell’VIII sec. quando si formerà l’entità del Patrimonio Beati Petri con la conseguente definizione amministrativa e fisica delle diocesi, la principale fra le quali fu la diocesi di Tuscania, la più antica e potente; essa vantava il suo primo vescovo già nell’anno 595, Viburno Episcopus Civitatis Tuscanensis. Ne emergerà, dopo un lungo intervallo di inerzia edilizia, una rinascita dei nuclei urbani ricostruiti sopra le rovine di centri etrusco romani allineati lungo la via Clodia.
Testimonia dell’importanza di questo collegamento fra l’Etruria e il nord dell’Europa il fatto che nell’anno 800 p.C. Carlo Magno percorse la Clodia per giungere a Roma in San Pietro dove venne incoronato Imperatore dal papaLeone III.
Sottolinea Cesare Brandi come le due grandi cattedrali di Tuscania innovano il linguaggio architettonico italiano proprio grazie alla penetrazione, anche culturale, che la via Clodia favorì nell’alto medioevo. Nelle grandi cattedrali di Tuscania sono evidenti le assonanze sia con le civiltà settentrionali, sia con quella islamica; artigiani, scalpellini, muratori arrivarono a Tuscania percorrendo la via Clodia provenienti dalla Francia, dalla valle del Reno, dalla Sicilia. Un linguaggio impostato sul repertorio costruttivo delle basiliche romane si contamina con la maniera lombarda e comacina, con la cultura di Cluny e con quella islamica.
Le Cattedrali di Tuscania diverranno il fulcro tipologico-figurativo dell’architettura religiosa del Patrimonio di San Pietro (fig.9).In questo quadro si spiegano le assonanze architettoniche delle basiliche di Tuscania con il Duomo di San Savino di Castro, San Pietro di Orcla (Norchia), San Salvatore e San Pancrazio di Corneto (Tarquinia); S. Martino al Cimino, ove si innestano forme tipiche della cultura borgognone; la Cattedrale di Sovana dove compaiono i grandi pilastri a conci bianchi e neri che anticipano la maniera gotica del Duomo di Siena.
In epoca alto medioevale, il tracciato della via Clodia, un vero e proprio corridoio medioevale, mantiene un ruolo di primaria importanza; seguendo il tortuoso andamento orografico, la strada offriva la possibilità di una difesa naturale dagli attacchi esterni ed era una alternativa all’impaludamento dell’Aurelia e alla pericolosità della Cassia.
Dal racconto del viaggiatore inglese George Dennis, Città e necropoli d’Etruria, sappiamo che egli percorse queste strade, fra il 1844 e il 1848, in un ambiente ancora non alterato dall’avvento della modernità. Il suo testo rimarrà a lungo fondamentale per la conoscenza sulla civiltà etrusca; le strade sono in parte ancora quelle che i romani avevano ereditato dagli etruschi, rettificando e lastricando antichi tracciati che i primi padroni di quelle terre avevano realizzato in terra battuta e avevano permesso la sopravvivenza di un economia minima legata ai tempi del latifondo e della transumanza.
di Francesco MONTUORI luglio 2018