Francesca Sacchi Tommasi: rispettare la tradizione ma guardare avanti; un’erede di artisti alla Galleria Etra Studio (FI).

P d L

About Art continua gli incontri con galleriste attive nell’ambito dell’arte contemporanea, già piuttosto note come curatrici di mostre e promotrici di eventi di notevole rilievo. Oggi pubblichiamo la conversazione avuta con Francesca Sacchi Tommasi, che dirige la Galleria Etra Studio, che si trova a Firenze in  Via della Pergola, 57, luogo peraltro di grande importanza storica, essendo stato a suo tempo di Benvenuto Cellini nonchè appartenuto alla famiglia di Giacomo Leopardi. Francesca è figlia d’arte, essendo i suoi avi -fino a suo padre- artisti molto attivi e di grande spessore, che peraltro le consigliavano di proseguire la loro strada, ma poi -dopo la laurea a Roma e le prime esperienze di lavoro a Milano e a Positano in alcuni studi d’arte-  a partire dal 2014 si è dedicata completamente alla cura della galleria fiorentina e all’altra aperta a Pietrasanta, anch’essa ricca di storia. Tra gli artisti ospitati o curati basti ricordare i nomi di Claudio Sacchi (padre di Francesca), Giuliano Pesce, Giuseppe Bergomi, Girolamo Ciulla, Ivan Theimer, ed altrI di altrettanto valore; attualmente è in corso l’esposizione curata da Vittorio Sgarbi, Noi anche Dannati, con opere della scultrice Elena Mutelli.

-La prima domanda che vorrei porti riguarda le origini della Galleria Etra Studio; come hai iniziato e perché?

R: Ti dico subito che ho interrotto una tradizione famigliare con la Galleria; infatti la mia famiglia da varie generazioni è fatta di artisti, scultori e pittori soprattutto; io inizialmente mi sono presa cura dell’archivio gigantesco che avevo ereditato, un patrimonio culturale enorme, si parla di oltre cinquemila opere, che ho messo in ordine anche grazie all’aiuto di una storica dell’arte davvero brava Elisa Gradi, la quale ha seguito soprattutto i testi e i lavori di Marcello Tommasi, mio nonno; in quegli stessi momenti ho potuto iniziare con l’attività di gallerista, fino quando mi sono messa in proprio, ed è così che ho rotto una tradizione, cambiando il ruolo; devo però dire che si è trattata di una scelta piuttosto istintiva, come se in qualche modo seguissi una vera e propria  vocazione.

Marcello Tommasi
Claudio Sacchi

-Ma tu forse avresti voluto fare l’artista, seguendo la tradizione famigliare?

R: No, anche se mio nonno mi spronava, dicendomi che avevo un grande talento, come pure faceva mio padre anche lui pittore Claudio Sacchi , e non lo dico per una sorta di autoconsolazione, perché in ogni caso la passione c’è ancora ma la tengo per me, dal momento che se scegli la professione di gallerista non puoi avere un’altra occupazione, ed io ormai ho scelto questa.

Certo però occorre dire che partivi da una condizione di favore, a cominciare dal fatto che potevi disporre di una galleria ricca di storia, importante e prestigiosa.

R: E’ vero, com’è vero però che la galleria l’ho fondata io, rimettendola in sesto con grande sacrificio, grazie anche all’aiuto di mia madre Ilaria Tommasi che è stato determinante, riadattando questi che sono sempre stati gli studi dei miei avi cosa che rende la galleria forse un po’ anomala come galleria d’arte contemporanea, ma ci tenevo tantissimo a mantenere il respiro dell’atmosfera originaria.

-Si tratta in effetti di uno studio che è quasi patrimonio storico, giusto?

R: Si esatto, questo è propriamente uno studio d’arte; innanzitutto devi pensare che siamo nel palazzo Leopardi, appartenuto alla famiglia del grande poeta, anche se lui qui non ha mai abitato, ma soprattutto in questo giardino, definito orto da Benvenuto Cellini, questi scolpì il Perseo, era infatti il luogo dove Cellini effettuava le fusioni che avvenivano sottoterra e allora non c’erano le fonderie, anche se poi nel corso del tempo è stato adattato a luogo di fonderie.

-E tu senti il peso della storia, cioè ti viene mai da pensare che stare in un posto così pone anche delle responsabilità?

R: Certo, io a dire il vero ho un compito curatoriale e cerco di mantenere un livello di proposte adeguate, se è questo che volevi dire; il libro su mio bisnonno Leone –che vinse il premio Brera nel 1918, un premio di levatura internazionale- racconta di incontri con artisti importantissimi, e tuttavia sentiva sempre la necessità di tornare a Pietrasanta per continuare a costruire quello che aveva iniziato suo padre.

-E tu ricordi di aver incontrato qualcuno di questi grandi nomi?

Leone Tommasi

R: Certo, ricordo molto bene il maestro  Pietro Annigoni ad esempio, che era spesso ospite da noi ed era un amico stretto di Leone tanto che, quasi a voler ricompensare quella grande amicizia, volle fare il ritratto –bellissimo!- della mia bisnonna. Era un uomo generosissimo Annigoni. Pensa che mio bisnonno avrebbe voluto regalargli la barchetta con cui andavano a pesca assieme ma non fu mai possibile.

-Ed hai potuto valerti agli inizi di qualche aiuto, di qualche amico che ti abbia indirizzato, aiutato ad inserirti nel mondo dei galleristi?

R: Si ho potuto contare molto sull’aiuto del professor Vittorio Sgarbi, è arrivato proprio in un momento particolare, proprio quando stavo aprendo lo studio (nel 2014); certo, avevo già organizzato un po’ tutto: ufficio stampa, contatti, relazioni e così via, ma grazie a lui ho imparato tanto ed ho potuto allargare le conoscenze, conoscere persone e artisti che sono stati fondamentali per andare avanti e con cui spesso poi ho intrecciato veri rapporti oltre che d’ interesse lavorativo, di amicizia. Seguire Vittorio mi ha aiutato moltissimo in questo senso; mi rendo conto senz’altro di essere stata molto fortunata, perché rimane il più grande critico d’arte a livello europeo.

-Prima hai fatto cenno a Pietrasanta; c’è una tua galleria-studio ereditaria, diciamo così, anche lì.

R: Si l’ho riaperta tre anni fa, nel 2017; lo studio era stato costruito proprio dal mio bisnonno Leone, risale alla metà dell’800 ed è proprio come un’isola, perché oltre lo studio, il mio trisnonno Luigi Tommasi costruì accanto la casa di famiglia, la fonderia che rimarrà attiva fino alla fine degli anni Ottanta, e i laboratori del marmo, tutt’oggi vissuti da artisti che li hanno trasformati nei loro studi d’arte.

Adesso vorrei passare ad un altro argomento, cioè quale è la politica culturale, chiamiamola così, della galleria; sai che come About Art stiamo conducendo un’inchiesta sulle gallerie d’arte per conoscerne le tendenze, le scelte operative, i rapporti con i collezionisti e così via; abbiamo interpellato fino ad ora due signore molto belle oltre che intelligenti che dirigono due galleria a Roma e che però muovono da presupposti differenti: la prima opera sul recupero e il rilancio della grande arte italiana tra ‘800 e ‘900 proponendo figure come Cambellotti, Morbiducci (di cui è in corso in questi giorni una esposizione di grafica) e così via, l’altra invece fa un lavoro prettamente di scouting, proponendo giovani artisti spesso davvero talentuosi; ecco, la tua ‘politica’ come si muove?

Gaetano Pesce

R: Devo confessarti che mi piacerebbe proprio arrivare in una condizione dove ci sia un po’ dell’una un po’ dell’altra. Io sono molto legata alla tradizione, come hai capito, ma certo mi piace anche rompere gli schemi a volte, come ad esempio è stato con la mostra di Gaetano Pesce a Pietrasanta quando riaprii la Galleria nel 2017. Tuttavia dare possibilità ai giovani è una cosa cui tengo molto, anche perché viaggio spesso ed ho modo di osservare laddove capito se ci sono situazioni interessanti ed infatti questo sto facendo con artisti giovani legati alla tradizione cioè a dire all’arte figurativa; d’altra parte è questa che io prediligo e quindi non vado a cercarmi qualcosa magari perché ora è di moda o perché è commerciale. Per me il vero problema di oggi nel campo dell’arte contemporanea riguarda l’identità e me ne rendo conto anche parlando con i miei colleghi, perché si nota un appiattimento generalizzato anche nelle scelte dei galleristi nel senso che se un giovane vende allora tutti dietro a lui fin quando però non lo si brucia. Senza fare nomi conosco proprio un paio di casi del genere …

-A te personalmente quale periodo storico artistico interessa di più e perché ?

R: Beh, prima hai nominato Cambellotti per il quale ho un’autentica passione; peraltro il mio primo amore è per la scultura e precisamente per il periodo che va dalla fine dell’ Ottocento fino alla seconda guerra, e questo spiega anche in parte la mia predilezione per il figurativo.

Devo dire che anche le altre due curatrici che ho incontrato prima di te hanno espresso preferenze per questo tipo di espressione artistica e allora mi viene da chiederti se –dal tuo punto di vista di gallerista- non stiamo assistendo al ritorno di questo dato, dopo le varie tendenze all’astratto e al concettuale, se cioè siamo di fronte a un vero recupero della tradizione, e perché ?

Riccardo Tommasi Ferroni

R: Posso rispondere per me e credo di poter dire che per me stiamo assistendo ad un cambiamento di fase, al superamento di quelle condizioni che fino a qualche tempo fa determinavano l’appeal di certe tendenze che personalmente ho trovato davvero molto discutibili; vuoi un esempio? il coniglietto di Jeff Koons! Ma ti pare che possa valere 90 milioni di dollari? Tu mi chiedi se queste mode, perché per me di questo si tratta, non stiano perdendo appeal, mi pare di si per questo parlo di superamento, perché poi in realtà la moda è esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere l’arte. Per quanto mi riguarda il figurativo fondamentalmente è tradizione, del resto io, come ti ho detto, ho respirato quest’aria e vi sono cresciuta dentro, anche se a dire la verità anche tra i mei parenti c’è stato chi ha conosciuto un periodo di arte “astratta” di sperimentazione, e mi riferisco proprio a mio zio Riccardo Tommasi Ferroni, forse il più famoso tra tutti i miei predecessori, che tutti conoscono come grande e importante pittore figurativo, eppure ha avuto questa fase sperimentale negli anni Settanta; pochi ci credono, però è così; questo per dire che tradizione non vuol dire arroccamento al passato, perché se c’è un artista che sperimenta che ricerca io lo accetto e lo seguo.

-Tu dici che si tratta di mode e probabilmente hai ragione, tuttavia da un punto di vista storico artistico bisogna riconoscere che certe cesure piuttosto determinanti e con notevoli personalità ci siano state; pensa allo spazialismo, alla scuola di Piazza del Popolo e così via, per citare quelle probabilmente in Italia tra le più note; però sono esperienze che non mi pare abbiano toccato Firenze in modo significativo; perché secondo te?

R: Perché Firenze ahime! è una città chiusa, chiusissima, e mi duole dirlo perché della mia città io sono innamorata; posso dire di aver visto ultimamente un po’ di attenzione da parte delle istituzioni, perché ad esempio l’assessore alla cultura, Tommaso Sacchi, è stato presente ultimamente alla mia conferenza stampa e la cosa mi ha fatto tanto piacere, è stato un bellissimo segnale. Il Comune comunque fin dalla mia prima esposizione ha sempre appoggiato e patrocinato le mie iniziative, nonostante le tante iniziative che pullulano in città.  Ora che ho aperto uno studio all’interno di una bellissima cascina a Milano (tra Navigli e Barona), mi accorgo della differenza, perché lì anche se mi presento come una sconosciuta nessuno ti ‘pesa’ per capire chi sei e chi ti sostiene; se vali vai avanti, mentre a Firenze purtroppo non sempre è così.

-Ma la ritrosia verso le tendenze del contemporaneo non può dipendere anche dalla tradizione di città d’arte legata alla storia soprattutto dell’età del Rinascimento che caratterizza la città nel mondo ?

R: Non hai tutti i torti, ma più che Rinascimento parlerei di medioevo (per certi versi), perché se fosse come tu dici saremmo tutti interni ad una logica di rinascita, ossia all’idea di progettare, di creare qualcosa; da una parte c’è molta voglia e soprattutto bisogno, ma dall’altra siamo sempre ostacolati dalla burocrazia del sistema in generale. Da cittadina di Firenze riconosco la grande volontà di questa “nuova” amministrazione comunale di essersi dedicata moltissimo alla valorizzazione e alla pulizia della città. Pedonalizzare il centro, far aprire nuovamente luoghi storici e preziosi rimasti chiusi per anni, l’arrivo dopo tanto tempo della Tramvia, che ha ottimizzato i tempi per chi vive fuori dal centro, e iniziare a valorizzare le periferie, iniziative che da anni si realizzano ad sempio a Milano.

-Ma forse esageri; non è arrivato solo Koons, c’è stato Fabre, Fischer, Tony Cragg a Boboli …

R: Ti dico che io Fabre lo stimo molto molto più di Koons però non mi pare di poter dire che siamo di fronte ad operazioni di autentica apertura intellettuale, se me lo consenti, non si può dire che il mondo più che dell’arte contemporanea, ma di avanguardia culturale, sia sbarcato a Firenze.

-Eppure, scusa se insisto, ma il Direttore del Museo Novecento, Sergio Risaliti, che abbiamo intervistato qualche settimana fa ci ha confermato di essere del tutto favorevole a queste operazioni di apertura al contemporaneo.

R: Io Sergio lo stimo moltissimo, è un grande studioso, un ottimo storico dell’arte, sempre attento alle novità ed anche disponibile, mi ha molto aiutato ad esempio con Vittorio Sgarbi e Stefano Morelli nell’organizzazione dell’evento con Gaetano Pesce,  dopo di che confesso che alcune operazioni non mi coinvolgono, nè mi emozionano.

-E con le altre importanti istituzioni museali fiorentine che rapporti hai, ammesso che sia possibile?

R: Ad esempio mi piace molto il lavoro che sta facendo il Direttore di Palazzo Strozzi Arturo Galansino che ha dimostrato capacità e coerenza, da un lato recuperando e rilanciando la storia con operazioni di grande intelligenza, dall’altro con nuove proposte espositive molto importanti, penso a Marina Abramovich, di cui certamente noi conosciamo pressoché tutto ma è stato lui che l’ha portata qui, così ora con la mostra dedicata alla Goncharova che sta battendo tutti i record d’incassi; insomma è bravissimo, le azzecca veramente tutte a quanto pare.

-Torniamo alla Etra studio; chi ti aiuta nel tuo lavoro ? ti avvali di collaborazioni, di uno staff?

R: Ci sono delle collaborazioni si ma non fisse, di persone che gravitano ovviamente nel settore dei beni culturali e nel campo umanistico; funzioniamo benissimo con un lavoro di gruppo non sempre continuativo, la chiave di tutto è mettere sullo stesso piano chi si interessa di un settore chi di un altro, ma lavorare insieme.

-E ti puoi avvalere di consiglieri, diciamo così, cioè di chi da Roma o da Milano piuttosto che da Vienna o da altre città ti chiama per segnalarti qualcosa, per una ‘dritta’ diciamo così, o comunque per un evento che ti potrebbe essere utile? Insomma hai una rete di amicizie su cui poter contare?

R: Ma se è per questo a me arrivano segnalazioni anche da Beirut, per dire, o da Parigi, da Londra, da amici che però ovviamente hanno il loro lavoro e magari possono entrare in gioco per segnalarmi qualcosa, tutto qui, dopo di che sono io che mi muovo tanto che molto spesso sono in viaggio; credo però che Milano da questo punto di vista mi potrà consentire di velocizzare queste situazioni.

-Ecco, scegli Milano perché hai già potuto verificare delle possibilità hai trovato già delle strade aperte, oppure perché certamente Milano rispetto a Firenze può contare su un’audience –chiamiamola così- assai più importante?

R: Milano è una scelta obbligata, mettiamola così; tra l’altro io ci ho abitato nel lontano 2006 poi l’ho rivissuta nel periodo dell’Expo ed inoltre i mei artisti gravitano un po’ tutti in quelle zone, specialmente gli scultori, visto che le fonderie stanno dislocate tutte in Brianza, oltre a quella a Pietrasanta; Milano poi è una città che offre molte possibilità e non ti nascondo che io ho bisogno di questo tipo di impulsi. Qui a Firenze credo certamente di aver lavorato molto e intensamente, ma mi sento ferma, non mi vedo attiva.

-Tu hai lavorato con molti artisti, alcuni giovani talenti altri già affermati, quindi hai maturato una buona esperienza per potermi dire cosa differenza, dal tuo punto di vista, un artista bravo da uno eccezionale, da uno geniale.

R: Un bravo artista è uno che sa fare bene quello che fa e lo fa sempre bene perché è preparato, è competente ma comunque certamente resta collegato alla professionalità del suo lavoro; un artista geniale è uno collegato ad una serie di qualità interdipendenti, ad un talento maiuscolo che si racchiude in una idea e che riconosciamo per il fatto che la traduce in opera d’arte, fosse pittura, scultura, letteratura, musica; è banale fare dei nomi, Michelangelo ? Mozart ? Raffaello? ecco, siamo a queste altezze, artisti di varia natura che ti schoccano, che ti fanno tremare con le loro opere.

-Comunque sempre sulla base delle tue esperienze di gallerista al di là dei mostri sacri del passato, magari qualche nome di artista geniale dei nostri giorni e magari passato nella tua galleria puoi azzardare a farmelo?

R: Ma ce ne sono diversi secondo me; se devo fare dei nomi ovviamente rischiando di essere incompleta così su due piedi, penso a Giovanni Gasparro, Nicola Samorì, mio padre Claudio Sacchi, Enrico Robusti ed Agostino Arrivabene, pura cultura pittorica rispetto ad altri pure bravissimi ma che personalmente non mi danno le stesse sensazioni;  tra gli scultori penso a Girolamo Ciulla, Mikayel Ohanjanyan, Ivan Theimer, Livio Scarpella e la Elena Mutinelli che ho adesso in mostra a Firenze, ma adoro anche Giuliano Vangi che non ho avuto in galleria ma con cui mi piacerebbe fare qualcosa.

-Sono autori davvero maiuscoli ma si può dire però che sono dei geni?

R: Forse per questo bisognerebbe fare un salto indietro, rivedere magari bene il Novecento che è stato veramente un secolo meraviglioso da questo punto di vista.

-Allora usciamo fuori della tua galleria; chi puoi pensare come genio dei giorni nostri.

R: Allora, Marina Abramovich, secondo me merita questo appellativo, poi Bansky, soprattutto, capace di coniugare l’arte, la street art e la denuncia sociale, un artista spettacolare; ecco se dovessi fare un confronto relativo ai suoi prezzi ti dico i milioni di dollari che hanno battuto ultimamente sono meritatissimi rispetto a quelli che abbiamo visto prima; pensa tra l’altro a questo fatto che non si sa chi sia, anche qui è qualcosa che va fuori delle regole, uno che fa arte ma che potrebbe essere chiunque. Aggiungerei anche Gaetano Pesce per il design e Luigi Serafini per il codex Sraphinianus

-Tra tutte le varie esposizioni che hai curato ed ospitato quale è stata la più soddisfacente e, al contrario, quale ti ha dato più problemi e meno soddisfazioni?

Giusepp Bergomi
Roberto Ferri

R: Forse quella da cui ho avuto la maggiore soddisfazione è stata quella di cui ho seguito la direzione artistica, di Ugo Riva non in galleria ma alla Fortezza Medicea ad Arezzo nel 2017; in galleria invece è stato il connubio, chiamiamolo così, tra Giuseppe Bergomi con la sua musa Alma Tancredi, che poi è sua moglie, lei pittrice, lui grande scultore che la rappresentava nelle sculture esposte; poi la prima esposizione con cui inauguravo con Roberto Ferri, un artista pugliese che opera a Roma e che conosci bene anche tu; un artista veramente stupendo, subito dopo il grande scultore Federico Severino figlio del filosofo Emanuele, scomparso da poche settimane, ed ospitato anche con il professore Sergio Givone. Mio padre Claudio Sacchi lo scorso Natale con circa una trentina di pastelli legati agli ambienti e alla sua vita vissuta dentro gli studi di Firenze e Pietrasanta. La volutissima mostra di famiglia AB IMIS nella Chiesa di Sant’ Agostino a Pietrasanta, con circa 160 opere esposte, a partire dal mio bisnonno Leone Tommasi, ai figli Riccardo Tommasi Ferroni e Marcello, e infine i miei due bravissimi cugini Elena e Giovanni Tommasi Ferroni, tutt’oggi pittori molti seguiti e apprezzati. La mostra al Museo Arcos sul mio amatissimo Massimo Rao, realizzata con l’amico Ferdinando Creta, Gaetano Pesce nel mio studio di Pietrasanta, al Vittoriale degli Italiani insieme al professor Sgarbi e al presidente Giordano Bruno Guerri, la mostra sugli scultori amici e frequentatori del poeta Gabriele d’ Annunzio  durante Expo 2015, poi Antonio Finelli con Ecce Homo… Mi fermo ma potrei andare oltre, che non potendole citare tutte non vorrei si pensasse che faccio torto a qualcuno.

-D’accordo, ma l’esperienza negativa? Ce ne sarà pure stata una, tra tante piene di soddisfazione.

R: Si effettivamente, mi fa male solo a ricordarlo, perché si è trattato di una vera e propria disavventura peraltro accaduta proprio all’inizio dopo la splendida esperienza con Roberto Ferri, a causa di un soggetto che mi ha letteralmente fregata lasciandomi debiti e problemi, un disastro (si tratta di S.C., uno sconosciuto che ora va pure parlando male di me ma mi fa un piacere perché la gente sa chi è lui e chi sono io)

-Come sono i tuoi rapporti con gli altri galleristi?

R: Molto buoni con quelli che conosco personalmente, qui a Firenze ad esempio con Edoardo Secci, che è davvero bravissimo, e fa un lavoro molto diverso dal mio; poi soprattutto a Pietrasanta i rapporti li vivo molto di più con i Poggiali, Giovanni Bonelli, Antonia Jannone che ha recentemente aperto a Pietrasanta, la bravissima Barbara Paci, Susanna Orlando … Altri più istituzionali, diciamo così, come il Ponte, la Tornabuoni e la bravissima Galleria Continua, sono mondi un po’ diversi, un po’ lontani dal mio anche se ne ho una stima profondissima.

-Consentimi ora una domanda un po’ più prosaica: dal punto di vista economico come te la cavi? Ad esempio hai avuto esperienze di vendita con istituzioni museali, ad esempio, o altre istituzioni pubbliche?

R: Intanto fammi dire che sono una innamorata persa per l’arte ma è chiaro che non posso trascurare l’aspetto commerciale, sarebbe un suicidio. Se mi chiedi di vendite a livello istituzionale ovviamente ci aspiro ma ancora non ho avuto il piacere di farlo, mentre ho avuto molte soddisfazioni all’estero con clienti libanesi, ad esempio, con cui poi si è stabilito anche un bel rapporto che mi ha aperto ad un mondo del tutto nuovo, verso oriente; certo, ora anche lì la situazione non è delle migliori perché ci sono ogni tanto scontri e guerre ma ci sono rimasta davvero affezionata; poi posso dire di avere buoni riscontri anche in Francia e negli Stati Uniti.

-E per quanto riguarda la Cina; oggi la situazione è molto problematica ma fino a pochi mesi fa non era raro vedere cinesi nelle fiere e nelle gallerie d’arte italiane.

R: Hai ragione; tra l’altro io ho la fortuna di avere un fratello Riccardo che parla la lingua cinese ed è anche lui proiettato nel mondo dell’arte, tanto è vero che abbiamo contatti con una galleria gestita da cinesi a Londra che si erano mostrati interessati ad una iniziativa comune con un mio artista fotografo Francesco Bertola, non so però visto quello che sta succedendo cosa potrà maturare.

-Allora al di là di questo possibile evento, ti chiedo cosa stai preparando nell’immediato, cosa c’è in vista?

Marianna Costi

R: A maggio inaugurerò una personale di Marianna Costi una scultrice emiliana molto interessante che ha già lavorato con me. Me l’ha presentata a suo tempo Marco Moretti, uno storico dell’arte fiorentino che conosce molto bene il territorio; questa ragazza ha realizzato un San Michele meraviglioso che si trova attualmente esposto nella chiesa di San Michele Visdomini ed ha già vinto il Fiorino d’oro; vive a Firenze da tempo ed ora occorre formalizzare il suo operato e siccome mi dice che si trova molto bene a lavorare con me faremo qui la sua prossima esposizione; inoltre sto preparando per la prossima estate a Pietrasanta una mostra dedicata alla figura di Filippo Dobrilla, un grande scultore purtroppo scomparso prematuramente la scorsa estate, a cui ho voluto molto bene e da cui ho imparato molto. E a settembre la personale del giovane e folgorante siciliano Giuliano Macca.

-Infine una domanda un po’ provocatoria; tu sei una innamorata d’arte ma pensi davvero che la tua galleria, come del resto le altre, possa rimanere estranea alle mode imposte dal mercato, o non è vero invece che poi si finisce per adattarsi alle convenienze come in realtà fanno in molti?

R: Ti rispondo subito che se un domani mi capitasse di lavorare dentro questa logica, magari esponendo la signora che fa multipli in ceramica da vendere a 100 euro al pezzo, allora tranquillo che chiuderei, sarebbe la fine della esperienza di gallerista, ma mica per chissà cosa, solamente non mi ci ritroverei, non sarebbe nelle mie corde, non potrei farlo. Questo mestiere non è facile ma certamente è molto bello e se pensi a quello che sto cercando di fare da qualche tempo, cioè esposizioni che coinvolgano anche artisti del campo musicale o letterario, capirai che penso ad una galleria come ad un porto d’arte; è un motivo di grande soddisfazione credimi questa interazione e spero proprio di poter continuare a sviluppare questo tipo di atmosfera, che è anche molto sentimentale, lo riconosco.

P d L    Firenze 22 febbraio 2020