P d L
La Mostra che si sta svolgendo al Museo del Barocco romano in Palazzo Chigi ad Ariccia “Bernini e la pittura del ‘600. Dipinti dalla collezione Koelliker“, con un grande successo di critica e di pubblico, va certamente annoverata tra i maggiori eventi realizzati dal curatore, nonchè conservatore e direttore del Museo, Francesco Petrucci, in collaborazione in questo caso della Fondazione Koelliker e con il convinto sostegno, come sempre, delle istituzioni cittadine. E’ l’ennesima dimostrazione di come la grande passione per la ricerca artistica unita all’amore per la città e per l’arte barocca abbiano consentito all’infaticabile studioso in oltre trent’anni di attività di proiettare l’immagine di Palazzo Chigi tra i primi posti delle istituzioni museali non solamente italiane. Per questo, oltre che per l’amicizia che ci lega da tempo, Francesco Petrucci ha cortesemente acconsentito di rispondere ad alcune nostre domande.
– La prima domanda che vorrei porti riguarda un po’ un bilancio delle tue attività da quando hai assunto un ruolo di rilievo, quale Conservatore, di questo istituto museale. Sono passati per Ariccia in oltre trent’anni, contatti con alcuni tra gli studiosi d’arte più prestigiosi, italiani e stranieri; quale o quali ricordi con particolare piacere e simpatia?
R: Caro Pietro, in primo luogo ti ringrazio sempre dell’affetto e della considerazione che hai nei miei confronti e degli eventi che organizziamo ad Ariccia. Hai creato una rivista, About Art, internazionalmente molto apprezzata, mosso solo dal tuo entusiasmo e dalla tua disinteressata passione per l’arte. Bravo!
Come ho ripetuto più volte, il sottoscritto deve molto alla frequentazione, agli stimoli culturali e agli insegnamenti ricevuti prima dal compianto Marc Worsdale, prematuramente scomparso molto giovane nel 1995, poi soprattutto dall’amicizia con Maurizio Fagiolo dell’Arco. Uno degli obiettivi da perseguire – e il palazzo di Ariccia era secondo Maurizio la sede più adatta per farlo -, doveva essere la valorizzazione del Barocco romano, ancora poco conosciuto e apprezzato internazionalmente alla fine degli anni ’80 del secolo scorso rispetto ad altre scuole pittoriche.
Questo ho cercato di fare, prima su suo impulso, poi, dopo la sua improvvisa scomparsa nel 2000, con l’aiuto di collezionisti come Fabrizio Lemme, Luigi Koelliker, Ferdinando Peretti, la collaborazione e gli insegnamenti di studiosi come Oreste Ferrari, Valentino Martinelli, Dieter Graf, Erich Schleier, Alvar González-Palacios e molti altri.
-Hai portato all’attenzione di un pubblico sempre molto partecipe artisti di grande caratura con esposizioni a tema seguite dai “ Quaderni del Barocco”; quale è quella che ti ha dato maggior soddisfazione non tanto come partecipazione di gente quanto piuttosto per il rilievo scientifico che ha assunto. E quale invece la mostra che col senno di poi avresti evitato, ovvero che ripensandoci avresti organizzato in altro modo?
R: In effetti posso dire di non pentirmi sostanzialmente delle scelte fatte nella programmazione degli eventi espositivi tenuti a Palazzo Chigi in quasi trent’anni, sebbene credo comunque ce ne siano stati alcuni particolarmente significativi per la sua reale valorizzazione.
Gran parte delle mostre sono state indirizzate a promuovere Ariccia e i Castelli Romani, il palazzo, le collezioni chigiane, il Barocco romano.
Ho cercato di evitare eventi avulsi dal contesto, tra quelli che mi sono stati proposti negli anni. Avrei glissato su qualche mostra di arte contemporanea – ne abbiamo fatte pochissime – non perfettamente in linea con gli obiettivi da perseguire. Ma qualche compromesso ho dovuto farlo!
Tra le mostre a mio avviso più importanti L’Ariccia del Bernini, il cui obiettivo era quello di far conoscere al pubblico, ma anche agli addetti ai lavori, l’impegno profuso dal grande artista su commissione dei Chigi nella valorizzazione del loro principale feudo, con una progettazione estesa dalla scala urbanistica a quella minuta di arredi e manufatti di arte decorativa.
Ritengo siano state rilevanti le mostre su Giovan Battista Gaulli, su Luchino Visconti e il Gattopardo – pochi sapevano che il film era stato girato in gran parte qui -, Le Stanze del Cardinale, Mola e il suo tempo, La Schola del Caravaggio, La Luce del Barocco – aperta purtroppo un solo mese per lo scatenarsi della Pandemia – le mostre-donazioni sulle collezioni Lemme, Ferrari e Laschena, le opere esposte in collaborazione con Ferdinando Peretti confluite nella collana “Quaderni del Barocco”, che riprenderemo a breve con il figlio Matteo. Anche la recente mostra La riscoperta della Domus Aurea in collaborazione con il prof. Jerzy Miziołek dell’Università di Varsavia ha suscitato molto interesse, data l’importanza della presenza neoclassica ad Ariccia.
–Tutti riconoscono – anche i critici (che non mancano mai)- che hai promosso sempre con attenzione e accuratezza esposizioni di prim’ordine che certamente hanno accresciuto e favorito la fama di una cittadina nota per caratteristiche più che altro turistiche ed enogastronomiche. Dopo tutto ciò cos’altro puoi immaginare di fare per ampliare ancor più la conoscenza di Ariccia e soprattutto dopo tutto quello che sei riuscito a fare qui non pensi ad un incarico come dire? più ‘elevato’ magari in un museo più grande e famoso?
R: Le nostre mostre sono state indirizzate più a valorizzare il sito, che è il nostro vero obiettivo, che a fare cassetta attirando masse di pubblico in fila con nomi altisonanti o eventi di giro privi di alcuna valenza scientifica, come se ne vedono tanti.
Ariccia era ed è nota, come tutti sanno, per il suo prodotto gastronomico più celebre: la Porchetta, ma l’apertura al pubblico del palazzo si è trascinata dietro l’apertura di numerose “fraschette”, divenute molto famose per i romani, che sono importanti per l’economia locale. Credo che l’offerta enogastronomica e quella culturale non siano in contrasto, ma complementari.
Uno degli eventi espositivi finalizzati alla valorizzazione territoriale che abbiamo solo toccato marginalmente in questi anni, ma che bisognerebbe promuovere, sarebbe quello sull’importanza dei Castelli Romani nel “Viaggio in Italia” e per il fenomeno del cosiddetto Grand Tour – termine molto usato, spesso in eccesso e a sproposito –, attorno alla celebre “Locanda Martorelli” sulla piazza di Ariccia.
Tutti i massimi artisti, intellettuali e uomini di cultura, europei e non solo, sono passati qui ed esistono migliaia di dipinti, disegni, incisioni che illustrano i Colli Albani. Ci vorrebbe una grande mostra con opere provenienti dai grandi musei di tutto il mondo che lo illustri, ma per motivi economici sino ad oggi non ci sono riuscito.
Un altro settore da indagare sarebbe quello del patrimonio archeologico, dato che Aricia era un’importantissima città latina e un insigne municipio romano legato alla gens Julia. Il recente riconoscimento dell’Appia Antica nel tratto di Ariccia come patrimonio Unesco ne è uno stimolo.
Per quanto riguarda il museo famoso di cui parli, a me interessa la conoscenza, mi troverei male in un grande museo ove tutto è conosciuto, studiato e apprezzato. Sarei più attratto da un museo nuovo, anche privato, da valorizzare e promuovere.
– Tra le molte lodi che ti vengono riservate quella probabilmente può farti più piacere è quella che ti annovera tra i maggiori protagonisti, pur partendo da una realtà ancorché prestigiosa ma certo di provincia, del rilancio del Barocco quale movimento artistico; pensi che sia giusto?
R: Come ti dicevo, questo ho cercato di fare, su impulso di Maurizio Fagiolo, partendo proprio dagli artisti attivi per i Chigi e le cui opere sono conservate nel palazzo. Da tutto ciò – valorizzare il palazzo e le sue collezioni – nascono le monografie su Jacob Ferdinand Voet, Giovan Battista Gaulli, Pier Francesco Mola, Giovan Battista Beinaschi, Girolamo Troppa e gli studi che ho cercato di portare avanti pubblicandoli in riviste scientifiche. Ma molto c’è ancora da fare e ci sono tanti giovani studiosi che lo stanno facendo.
– So che sei stato sempre supportato dalle istituzioni politiche cittadine, anche quando cambiava lo schieramento dopo le elezioni amministrative; una mia curiosità: dopo la carriera di studioso magari hai in serbo una carriera politica? e, se posso chiedertelo, qualcuno ha provato a farti qualche proposta in questo senso ?
R: Ho sempre avuto l’appoggio di tutte le amministrazioni comunali, sin dall’acquisto del palazzo nel 1998. Tutti i Sindaci che si sono susseguiti negli anni hanno mostrato rara sensibilità e rispettato il palazzo, evitando usi impropri, cercando finanziamenti per i suoi restauri e collaborando con me nella sua valorizzazione. Da Carlo Staccoli, a Michele Serafini, Emilio Cianfanelli, Vittorioso Frappelli, Roberto Di Felice, fino all’attuale Sindaco Gianluca Staccoli, un vero appassionato del palazzo e delle sue collezioni che conosce molto bene. A tutti loro sono particolarmente grato e riconoscente.
No, non penso alla politica, anche se credo sia necessaria, per risolvere le complesse problematiche legate alla gestione dei beni culturali, snellendo la soffocante burocratizzazione, la presenza di un Ministro competente, che conosca bene la materia. In tanti anni sono stati a mio avviso all’altezza del ruolo solo pochissimi, in particolare Giovanni Spadolini e Antonio Paolucci, purtroppo rimasto in carica meno di un anno.
– Per quanto riguarda questa mostra -che a mio avviso va annoverata tra le più importanti tra quante proposte qui a Palazzo Chigi- quando e perché è nata? In effetti sulla collezione Koelliker avevi già promosso due esposizioni alcuni anni fa; perché dunque riproporla?
R: In realtà abbiamo appena inaugurato due mostre, tra loro distinte ma complementari, entrambe a tema berniniano. La prima nasce dalla recente acquisizione da parte del Ministero della Cultura della splendida cornice facente un tempo parte della carrozza di velluto nero del cardinale Flavio Chigi, trasferita in deposito ad Ariccia; la seconda Bernini e la pittura del 600, espone invece dipinti provenienti da una prestigiosa collezione privata, quella creata da Luigi Koelliker, uno dei massimi mecenati e collezionisti d’arte italiana al mondo.
Pur essendo accomunati da stima e affetto, non ci sentivamo da molti anni, dopo che, assillato dalla opprimente burocrazia ministeriale, dai mille ostacoli al possesso privato e alla reale valorizzazione delle opere d’arte, Luigi era passato ad occuparsi di arte contemporanea, passando dalla padella alla brace! Mi ha chiamato nel dicembre dello scorso anno, dicendo di voler recuperare il tempo perduto e invitandomi a Milano per programmare progetti assieme. Così è nata l’idea di questa mostra, che è andata a saldarsi casualmente con quella sulla perduta carrozza berniniana.
– Riguardo caratteristiche di questa esposizione, cosa ti senti di rimarcare, e quali novità vanno sottolineate, sia dal punto di vista espositivo che da quello scientifico? Ne consegue una riflessione: Bernini è soprattutto noto come lo scultore ineguagliabile dell’arte seicentesca, si può dire vedendo quello che hai messo in mostra che gli va riconosciuta anche una fama di grande pittore?
R: L’idea guida dell’evento è dimostrare l’importanza di Bernini non solo per l’architettura, la scultura, le arti decorative e gli apparati effimeri del 600, ma anche nel campo della pittura, in un magistero diffuso attraverso dipinti di sua mano, proprie opere di scultura e il suo insegnamento diretto. Infatti le fonti storiche, i documenti, gli inventari antichi, ma anche le sue stesse dichiarazioni, dimostrano che Bernini fu eccellente pittore ed eseguì molti dipinti, sebbene in gran parte perduti.
La pittura del Barocco romano si distingue per il “venetismo”, l’adozione di uno “stile concitato” e soprattutto il rapporto con la statuaria classica, tutte componenti del linguaggio berniniano. Si tratta di un “pittura scultorea”, ove il disegno è costruttivo in senso materico e la pennellata, pur veloce e scorrevole, fissa la forma in senso plastico.
Tutto questo si deve prevalentemente all’influsso di Bernini, come mostra la produzione di suoi collaboratori diretti attivi nella seconda metà del secolo, quali Guglielmo Cortese “Il Borgognone”, Giovan Battista Gaulli “il Baciccio”, Carlo Maratti “il Maratta” e molti altri.
Sono presenti quindi in mostra dipinti di suoi seguaci e di artisti contemporanei che ebbero a che fare con Bernini, subendone l’influsso, ma anche in un rapporto di reciproco scambio.
Il sommo artista, come noto, fu una personalità invasiva e poliedrica, che riuscì a dominare, come non era mai avvenuto in precedenza e come non accadrà mai più, un intero secolo, non per imposizione politica, come nella Francia di Colbert e Luigi XIV, ma solo attraverso la sua immensa creatività, una superiore statura intellettuale e artistica.
P d L Roma 15 Dicembre 2024