di Francesco MONTUORI
Frank Lloyd Wrigth: Fallingwater – La Casa sulla cascata.
Frammenti organizzati di natura
Nel 1936 Frank Lloyd Wright aveva 69 anni (fig.1);
stava scrivendo il suo testo-manifesto “Architettura organica” ed era nel cuore della sua stagione creativa. Tuttavia la depressione economica negli Stati Uniti non accennava a finire, e gli impegni finanziari cominciarono ad apparire insormontabili. In suo aiuto venne da Filadelfia Edgar Kaufmann il cui figlio, Edgar Kaufmann jr., aveva collaborato con Wright alla Fondazione Taliesin e nella costruzione del grande plastico di Broadacre City. Kaufmann gli chiese di costruirgli una casa a Bear Run, in Pensilvania.
Ricorda Edgar Kaufmann jr.
“Mio padre aveva acquistato a Pittsburgh circa 1600 acri di terreno, pari a 640 ettari, sui quali sorgevano un certo numero di edifici in legno più o meno grandi….La distanza dalla città, su disagevoli strade montane era di quattro o cinque ore. I miei genitori vi avevano costruito un cottage prefabbricato in legno; si innamorarono di quei luoghi selvaggi , animati da un torrente la cui sorgente si trovava nella proprietà stessa chiamato Bear Run. Eravamo particolarmente affascinati dalle cascate dove facevamo il bagno, prendevamo il sole sui bordi della pozza, ci distendevamo psicologicamente.”
Wright si informò di come si presentasse la località:
“E’ collinosa, piatta, esposta al sole, in ombra? Che genere di rocce, di alberi, di uccelli vi si trovano?”.
Quando Kaufmann gli parlò della cascata, Wright si recò subito sul luogo; raccontò più tardi che i cespi massicci di rododendri selvatici erano in fiore; il torrente era in piena e le cascate scrosciavono rumorosamente; fece un rilievo accurato, in particolare delle rocce intorno alle cascate, appuntando esattamente i principali macigni e gli alberi più grossi. In una lettera ad Edgar Kaufmann scrisse.
“Quella visita alla cascata nei boschi è sempre con me e nella mia mente si è creata una vaga forma per dare domicilio alla musica del torrente”.
Accanto alla cascata, le rocce formavano una solida piattaforma. Pensò subito ad una casa la cui parte anteriore fosse proiettata sulla cascata e quella posteriore saldamente fondata sulla piattaforma rocciose (fig.2)
Dopo poche settimane presentò il suo progetto: Wright pensò di inserire la casa parallelamente al torrente nel punto più stretto fra le due rive proprio nel luogo in cui il ruscello scende in esso dal declivio sovrastante la cascata.
Così la casa non si sarebbe solo affacciata sulle cascate, ma sarebbe stata costruita proprio sopra di esse. In risposta alle loro perplessità sostenne “non basta semplicemente guardare le cascate, bisogno viverci assieme.” Ed infatti, egli inglobò nella costruzione un grande masso tondeggiante che un tempo i Kaufmann usavano per prendere il sole, e lo usò come pietra di base della nuova costruzione (fig.3).
I Kaufmann non si fidarono e richiesero un parere ad uno studio di ingegneria: questi avvisarono i proprietari che secondo i loro calcoli la casa non avrebbe retto all’urto della corrente del torrente. I pareri furono inviati a Wright che sprezzantemente decise di avvolgerli in bende, quasi fossero mummie, per poi seppellirli solennemente sotto la pietra angolare della casa, murati entro una parete del soggiorno.
Wright concepirà la costruzione come una serie di vassoi orizzontali, terrazze con pareti strutturali che si affacciavano a sbalzo sulla cascata; proiettò gli ambienti nello spazio: verso sud il soggiorno; verso est l’ingresso; verso ovest la cucina; verso nord una stretta striscia per le scale e il pranzo, il tutto sorretto da quattro pilastri bassi e massicci, che definiscono la campata centrale del soggiorno. Al piano superiore le stanze da letto con i servizi, ogni stanza con il suo balcone a sbalzo; il soggiorno con due grandi profonde terrazze, una ad est e l’altra ad ovest (fig.4).
Nel corso dell’esecuzione Wright si convinse ad arrotondare i profili dei piani orizzontali delle terrazze in cemento armato, in modo da esaltare la qualità del getto del calcestruzzo. Usò i parapetti ai bordi del solaio di cemento come travi portanti, e terrazze parevano sospese nel vuoto. La pietra dei partiti murari verticali, interni ed esterni fu cavata a poche centinaia di metri dal luogo prescelto per la costruzione. Fissò la gran massa del camino, fulcro dell’intera composizione, direttamente su un grosso e piatto macigno la cui faccia superiore divenne la pietra del focolare del grande soggiorno, aperto verso la cascata.
L’interno dell’edificio è movimentato da un gioco di aggetti e rientranze che riprendono il motivo delle cornici rocciose.
Dal soggiorno con una grande scala si scende al basamento dell’edificio dove dall’acqua del torrente emergono gli elementi portanti formati da blocchi di pietra locale, appena sbozzati e disposti a ricorsi orizzontali. Immediatamente sopra le cascate le terrazze aggettanti a sbalzo appaiono spettacolarmente aperte verso la natura. La continuità fra interno ed esterno è sottolineata dall’impiego degli stessi materiali: i pavimenti sono rivestiti nella pietra delle rocce levigate dal torrente; le murature verticali interne sono il prolungamento di quelle esterne e la pietra, estratta dalla cava limitrofa, si presenta nella sua forma originaria (figg.5 e 6).
Lunghe vetrate racchiudono lo spazio interno, annullando il concetto tradizionale di finestra e permettendo la visuale della natura circostante (fig.7). Gli arredi, disegnati da Wright stesso sono in legno.
Realizzò quanto, in architettura, non era stato ancora tentato.
Fino ad allora il rapporto fra lo spazio interno dell’edificio e lo spazio esterno, quello naturale, rimaneva spesso incerto tra l’astrazione dal contesto paesistico, il tentativo di mimetizzarsi e la velleità di contrastarlo. Nella Casa sulla cascata l’interno della costruzione si identifica con la composizione esterna delle masse murarie (fig.8 e 8b).
Venne il momento di rimuovere le impalcature del cantiere; l’impresario era terrorizzato e si rifiutò di smontare i pali di legno che sostenevano il grande sbalzo della terrazza. Tranquillamente Wright si mise accanto all’operaio che tolse il palo: la grande casa non si mosse (fig.9). La costruzione sembrava levarsi in volo in ogni direzione, sfidando le leggi della gravità. Il silenzio era rotto soltanto dal suono dell’acqua scrosciante delle cascate. La casa emergeva nella continuità paesistica, nella sua libera articolazione degli spazi, come parte organica della natura stessa dei luoghi.
Wright concepì negli anni ‘20 le Prarie houses prevalentemente su un impianto geometrico cruciforme che gli permise di proiettare l’abitazione nelle quattro direzioni dello spazio naturale; le Usonian houses degli anni ’30 proponevano un impianto ad L che permettesse di accostare i volumi ai confini del lotto del terreno e di includere la natura circostante in un vasto patio-giardino aperto su due lati. Nella Casa sulla cascata condurrà a sintesi le innovazioni già introdotte nella struttura dell’abitazione unifamiliare a cui con tanta passione si dedicò.
Il criterio compositiva della Casa sulla cascata procede dall’interno verso l’esterno, qui reso più evidente dalla libera posizione di ciascun ambiente, non condizionato da obbligati accostamenti orizzontali o da rigide sovrapposizioni verticali. Si avverte una profonda tensione fra la libertà compositiva dei volumi e dei piani architettonici delle terrazze e l’intangibile preesistenza degli elementi naturali, gli alberi, le rocce, l’acqua del torrente.
I piani orizzontali delle terrazze ed il volume verticale della scala vetrata esaltano il disordine proprio della natura del luogo: l’edificio costruito traduce in artificio la forza selvaggia delle rocce, del corso del torrente, delle cascate. E tuttavia la traduce senza alcuna concessione mimetica; la composizione si risolve nel gioco fra l’equilibrio dei solidi massi rocciosi e dei taglienti volumi stereometrici che mentre sembrano ancorarsi alle rocce, si librano nello spazio esaltando le loro forme. Non si può che condividere quanto scrisse Bruno Zevi:
“Gli invasi non hanno chiusure; non ci sono facciate principali o secondarie, non vi è distinzione tra strutture e pesi portanti…tutte le sue membra entrano nell’orchestrazione statica che si identifica in quella spaziale.”
Nel giardino, fra le rocce, vennero sistemate alcune sculture della collezione dei Kaufmann: il “Cavaliere” di Marino Marini, e l’ “Iris” di Rodin. Sembrerebbe, dalle foto dell’epoca, che siano state rinvenute per caso in quello stesso luogo.
La Casa sulla cascata, nell’evolversi come un grande albero sulla verticale del grande camino con i suoi piani e volumi in tutte le direzioni dello spazio, ci appare essa stessa come un frammento organizzato della natura circostante (fig.10).
E’ un risultato che non aveva eguali per l’architettura dell’epoca; nel dopoguerra lo stesso Le Corbusier, pur nella libertà barocca della cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp, sceglierà ancora il volume chiuso in larga misura contrapposto al contesto naturalistico, intuibile dall’interno della cappella solo attraverso liberi tagli lineari nella struttura muraria. Siamo ormai negli anni 1950-55 (fig.11).
Ricorda riconoscente Edgar Kaufmann che la Casa sulla cascata era costata la metà della casa di famiglia di Pittsburgh:
“chiunque saprebbe costruire una casa grande per un ricco, invece la tempra dell’architetto sarà rivelata dal progetto di una dimora bella per l’uomo di modeste possibilità.”
Francesco MONTUORI Roma 10 maggio 2020