di Claudio LISTANTI
Michele Novaro un musicista ingiustamente dimenticato
In questi giorni di ozio forzato in casa per osservare le disposizioni individuate dalle autorità per combattere gli effetti drammatici dell’epidemia che sta sferzando il nostro paese, abbiamo avuto modo di apprendere nelle varie trasmissioni televisive, ormai quasi tutte dedicate al Covid19, i vari modi con i quali i nostri connazionali cercano di trovare strumenti di socializzazione che rispettino il necessario distanziamento tra gli individui, deliberato dalle istituzioni per contenere con efficacia il diffondersi del contagio.
Tra questi, oltre le attività offerte dalla digitalizzazione ormai avanzata, c’è anche quella dell’utilizzo del canto e della musica, elemento spesso necessario all’esternazione dei sentimenti di noi italiani. Molte sono le canzoni, i brani e le musiche prescelte che vari cittadini eseguono affacciati alle proprie finestre con improvvisata ma convinta coralità per trasmettere la loro solidarietà alla nostra lotta di oggi ma, anche, per esorcizzarne i terribili effetti negativi.
Ovviamente un ruolo fondamentale è affidato al nostro Inno Nazionale, Il Canto degli italiani, la musica che più di ogni altra è testimone indiscussa della nostra unità. Queste iniziative, che approviamo e condividiamo pienamente, hanno stimolato in noi una riflessione che a molti può sembrare un po’ oziosa ma che ci porta a porgerci una domanda:
gli italiani sanno chi ha composto la musica del loro Inno Nazionale?
Molte volte nel corso della nostra vita, discutendo con altre persone intorno a questo argomento, abbiamo potuto constatare che la disinformazione è purtroppo molto diffusa. La risposta più comune è: Goffredo Mameli. Pochi sanno che la musica è opera di Michele Novaro; proprio questo stato di fatto ci ha spinto a ricordare la figura e le opere di questo musicista le cui note, dal dopoguerra, sono il simbolo della nostra nazione, l’elemento che ci contraddistingue e ci rappresenta in tutto il mondo non solo nelle occasioni istituzionali ma anche nelle manifestazioni sportive.
Della vita di Michele Novaro non si conosce moltissimo soprattutto perché siamo in possesso di notizie spesso incomplete e frammentarie. Innanzi tutto la data di nascita è tuttora ambigua: sicuramente avvenne a Genova; ma le diverse fonti che abbiamo utilizzato per approfondire la sua biografia, parlano del 23 dicembre 1818 (Enciclopedia Treccani), 23 dicembre 1822 (La Musica-Utet) ma anche 23 ottobre 1818 (Sezione Inno Nazionale su Quirinale.it). Fu il primo dei cinque figli di Gerolamo, che ricoprì l’incarico di macchinista presso il Teatro Carlo Felice di Genova, e di Giuseppina Canzio, sorella di Michele Canzio scenografo al teatro S. Agostino che poi passò al Carlo Felice dove, in vari periodi, operò come impresario; dal suo matrimonio con Carlotta Piaggio nacque Stefano Canzio, ufficiale garibaldino che sposò Teresa (Teresita) Garibaldi terzogenita di Giuseppe ed Anita.
Le prime esperienze musicali del Novaro iniziarono nel 1829 come allievo della nuova Scuola gratuita di canto, il germe dell’odierno Conservatorio Nicolò Paganini. La sua attività fu esclusivamente canora; ci sono notizie che lo vedono tra gli interpreti al Carlo Felice, nel 1838, della prima genovese di Gianni di Calais di Gaetano Donizetti e, nel 1840, della Marescialla d’Ancre di Alessandro Nini.
Passò poi nella compagnia del Regio di Torino come secondo tenore per partecipare a diverse recite: nel 1841 Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini e Il lago delle fate di Carlo Coccia; nel 1842. I Puritani di Bellini e Marin Faliero di Donizetti, nel 1843 Il reggente di Saverio Mercadante e nel 1845 Ernani di Giuseppe Verdi e Norma di Bellini.
Fu apprezzato specialista di ruoli di secondo tenore anche presso il Teatro di Porta Carinzia a Vienna: La Vestale di Mercadante, Lucia di Lammermoor e nella prima di Linda di Chamounix di Donizetti, nel 1842. L’anno successivo Don Pasquale e nella prima di Maria di Rohan di Donizetti e nel 1844 La Gazza ladra di Gioachino Rossini.
Oltre al Canto degli italiani sono ricordate altre sue opere come È risorta!, canto su testo di Anton Giulio Barrili, per coro e pianoforte del 1859; Grido siculo, ossia La Rivoluzione siciliana, canto popolare per coro, campane, cannone, tamburo e pianoforte, su testo di Francesco Dall’Ongaro; Viva l’Italia: album di canti popolari italiani, testi di Francesco Dall’Ongaro; Umberto e Margherita, Marcia reale d’ordinanza; Satana, valzer diabolico per pianoforte; Una battaglia, pezzo descrittivo di fantasia a grand’orchestra e banda, riduzione per pianoforte a 4 mani di Luigi Truzzi del 1868. Fu autore, nel 1874 di un’opera buffa in dialetto genovese, Ö mego pe forsa su un testo di Niccolò Bacigalupo. Tra queste di rilievo, nel 1860, l’inno di guerra Suona la tromba su testo di Mameli, famoso perché musicato anche da Giuseppe Verdi.
Negli ultimi anni della sua vita si alternarono difficoltà finanziarie e problemi di salute. Morì a Genova il 21 ottobre 1885. Oggi riposa presso il cimitero monumentale di Staglieno a Genova dove è sepolto anche Giuseppe Mazzini. In quel luogo il suo ricordo è testimoniato da un monumento funebre eretto su iniziativa dei suoi ex allievi.
Il testo del Canto degli italiani fu scritto nell’autunno del 1847 da Goffredo Mameli e poco dopo musicato da Michele Novaro. Ebbe all’epoca una straordinaria popolarità perché le sue note si adattano al carattere del testo di Mameli per una miscela che esalta lo spirito rivoluzionario di ispirazione repubblicana che proprio in quegli anni scaldava gli animi del popolo italico i cui moti portarono, nel 1849, alla breve ma significativa esperienza della Seconda Repubblica Romana. Per tutto l’800 fu uno dei canti patriottici più diffusi sul territorio nazionale. Una fama che, però, non fu sufficiente per essere adottato come inno nazionale quando l’unità d’Italia fu finalmente compiuta.
Ovviamente non risultò gradita quell’indiscutibile anima repubblicana che la pervade e, quindi, venne preferita la Marcia Reale d’ordinanza che il compositore torinese Giuseppe Gabetti scrisse nei primi anni 30 dell’800 che restò in auge fino alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Ma Il Canto degli italiani ebbe un ‘imprimatur’ determinante per il suo utilizzo futuro grazie a Giuseppe Verdi. Nel 1862 il nostro grande musicista fu incaricato di comporre un inno per l’Esposizione Universale di Londra. Nacque l’Inno delle Nazioni su testo di Arrigo Boito, un brano che esalta sentimenti di pace e fratellanza. Nel finale Verdi volle evidenziare questi sentimenti con una citazione di tre nazioni, Inghilterra, Francia e Italia materializzata con l’utilizzo delle note dei tre inni nazionali. Accanto alla Marsigliese e a ‘God Save the Queen’, il nostro musicista, fedele alle sue idee repubblicane, scelse il Canto degli Italiani in luogo della Marcia Reale.
La maestria di Verdi permette alle linee melodiche dei tre inni di intrecciarsi mirabilmente tra loro per concretizzare quegli elementi di amicizia e concordia insiti nel testo boitiano.
Il Canto degli italiani non ottenne ‘spazio’ nazionale nemmeno nell’epoca fascista nella quale i fremiti di natura ‘repubblicana’ potevano emergere con una certa forza ma per motivi di opportunismo politico fu lasciata la Marcia Reale lasciando alle sensazioni dell’ideologia allora in auge i canti di tipo squadrista e fascista.
Dopo la triste esperienza della Seconda Guerra Mondiale con la nascita della Repubblica che chiuse definitivamente sia il periodo monarchico sia quello fascista, il Canto degli Italiani divenne l’inno ufficiale italiano a partire, seppur in via provvisoria, dal 12 ottobre 1946 assumendo i connotati ideali di elemento fondante della democrazia, nata non solo dalle ceneri della guerra ma anche dalla Resistenza nella quale il Canto degli italiani fu adottato ed eseguito assieme ai canti partigiani. Con la data storica del 17 novembre 2005 l’inno ebbe la proclamazione definitiva chiudendo quasi 60 anni di italiche polemiche abbinate a vari tentativi, fortunatamente infruttuosi, di sostituzione con altre composizioni.
Per quanto riguarda i valori musicali de Il Canto degli Italiani possiamo affermare che sono del tutto validi perché riescono a comunicare all’ascoltatore quei trascinanti sentimenti patriottici ed eroici che si uniscono alla perfezione con il testo letterario di Goffredo Mameli. Non è una ‘marcetta’, termine invero dispregiativo adottato da coloro che alimentarono le prima citate polemiche proprio perché non è una banale marcia militare ma un ‘Inno’, componimento dalle finalità sicuramente più nobili che possiede le qualità di ‘canto eroico’ destinato a scuotere gli animi rivoluzionari che si muove attraverso lo stesso percorso emotivo di un altro celebre inno: la Marsigliese.
Inoltre c’è da dire che possiede la ‘struttura’ caratteristica di opere musicali italiane di metà ‘800 di stampo melodrammatico. Se pensiamo la prima strofa “Fratelli d’Italia, / l’Italia s’è desta…..” si può immaginare il canto di un personaggio eroico molto frequente per i teatri lirici che si rivolge al popolo con la frase sopracitata al quale poi risponde il popolo, in coro e con decisione, tramite il ritornello e in modo più serrato “Fratelli d’Italia…. Stringiamoci a coorte ….”. Il Canto poi prosegue con la stessa struttura per altre cinque strofe ognuna delle quali evoca una peculiarità della nascente Italia: superare le divisioni, ispirarsi a Dio, ricordare gli atti di eroismo verificatisi dall’Alpi alla Sicilia come quello del giovane patriota genovese Balilla o dei Vespri Siciliani fino a mettere in evidenza la fine del nemico “Già l’Aquila d’Austria/Le penne ha perdute”.
Il Canto degli italiani fu scritto originariamente per voce a pianoforte e poi ha avuto trascrizioni per orchestra e per banda, formazione con la quale viene spesso eseguita. In tutti i casi possiede una vitalità non comune che riesce a scuote gli animi per rivolgersi alle moltitudini e ai cittadini come vero elemento catalizzatore. A volte però lo si ascolta in esecuzioni di scarso pregio che ne compromettono l’incisività e l’ardore. A tale scopo accludiamo una testimonianza audio con una esecuzione di buon livello che ne valorizza l’ascolto, per di più nella versione completamente integrale.
(Audio 1) Michele Novaro. Il Canto degli Italiani. Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Direttore Armando Trovajoli. Maestro del Coro Filippo Maria Bressan.
Vogliamo concludere questo nostro ricordo di Michele Novaro con un altro suo brano tratto dalle sue composizioni da camera, ulteriore testimonianza della sua arte e dello stile sociale dell’epoca. Si tratta del brano Roma e Venezia Gran polka nazionale scritto originariamente per canto e pianoforte (Fig. 8).
E’ un brano da salotto chiaramente scritto per la borghesia dell’epoca il cui titolo potrebbe evocare un collegamento alle due città che, a dispetto degli avvenimenti legati alla “Repubblica di Venezia” e alla “Repubblica romana”, al momento dell’unità d’Italia nel 1861 ancora non erano pienamente appartenenti alla nuova nazione nella quale entrarono, rispettivamente, nel 1870 e nel 1866. Ci fa capire, quindi, come in quei salotti fosse all’ordine del giorno la questione italiana e il desiderio di una unità politica; il tutto filtrato da una musica piena di delicatezza e di una non trascurabile eleganza, piacevole e frizzante dove tra i coinvolgenti e festosi ritmi di danza si introducono accenni al Canto degli Italiani ed alla Marcia Reale a sottolineare, forse, i contrasti di quel particolare momento storico.
(Audio 2) Michele Novaro. Roma e Venezia Gran polka nazionale. Trascrizione per banda di Antonella Bona. Banda dell’Esercito Italiano. Direttore David Gregory. Roma, Auditorium “A. Lacerenza” 10 ottobre 2003.
Michele Novaro, in definitiva, può essere considerato un rispettabile compositore pienamente inserito nel mondo musicale del suo tempo, autore di una produzione di un certo interesse. Un ricordo, questo, che vuole essere uno stimolo rivolto a tutti gli italiani per abbinare il suo nome ad un inno che ascoltiamo pressoché quotidianamente il cui valore emozionale è prevalentemente affidato alla sua musica senza nulla togliere ai valori del testo. Goffredo Mameli e Michele Novaro sono due artisti importanti per la nostra storia patria che debbono essere ricordati con pari dignità e importanza.
Claudio LISTANTI Roma 22 marzo 2020