di Nica FIORI
“Nelle più rare incisioni di Piranesi / gl’interni sconfinatamente strani, / dove il sospettoso pensiero / può spaziare con cupi, continui presentimenti, / a che cosa fanno accenno? Scale / su scale foscamente salgono / in successione dalle infossate cupe Bastiglie. / Pozzo sopra pozzo; ordini su ordini / di gallerie ombrose, sospese / su loggiati, loggiati senza fine: / altezza e profondità – il prossimo, il remoto; / cerchi di ferro ai pilastri in camminamenti / coperti, e, infisse in essi, catene / di Radamanto … .
La cosa cui qui si allude è l’uomo stesso, / i penetrali in cui si ritrae, / il suo cuore fitto di labirinti … ”.
Con questi allusivi versi, tratti dal poema Clarel, il grande Herman Melville riesce a evocare le immagini visionarie, dense di temi esoterici, delle Carceri d’invenzione (1749/50 -1761) di Giovanni Battista Piranesi,
quelle “Bastiglie” che, forse più di altre opere, hanno sollecitato varie interpretazioni psicologiche e influenzato artisti e letterati, da Hugo a Baudelaire, da Escher a Eisenstein.
Queste sue architetture impossibili e misteriose, insieme alle incisioni dei Capricci, alle Antichità di Roma e del Campo Marzio, alle Vedute di Roma e dintorni, alle Vedute di Paestum e alle creazioni di Piranesi designer (camini, vasi, candelabri) sono esposte a Roma, insieme alle rispettive matrici in rame, nella mostra “Giambattista Piranesi. Sognare il sogno impossibile”, che si tiene a Palazzo Poli alla Fontana di Trevi, sede dell’Istituto Centrale per la Grafica, fino al 31 gennaio 2021.
Quest’anno ricorre il terzo centenario della nascita di Piranesi (Venezia, 4 ottobre 1720 – Roma 1778) e, pertanto, più o meno in contemporanea con altre celebrazioni che si tengono a Milano, a Bassano del Grappa e alla Casa di Goethe a Roma, l’Istituto Centrale per la Grafica gli dedica questa importante esposizione, a cura della direttrice Maria Cristina Misiti e di Giovanna Scaloni, nell’intento di dare un’immagine a 360 gradi del ruolo dell’artista nella costruzione di un immaginario visivo della Roma settecentesca.
La mostra è frutto di un progetto decennale di studio, portato avanti dall’Istituto romano, che considera Piranesi il suo artista più iconico, perché di lui possiede tutte le matrici calcografiche incise in oltre trent’anni di attività. Acquistato per volere di Papa Gregorio XVI dall’editore parigino Firmin Didot nel dicembre del 1838, il “Fondo di matrici Piranesi” si compone di 1191 soggetti (964 autografi, altri incisi dal figlio Francesco o comunque entrati a far parte negli anni della Calcografia Piranesi). L’Istituto possiede, inoltre, l’intera raccolta delle stampe dell’artista, la cui poliedricità si offre a molteplici piani di lettura, in rapporto con l’antichità, l’architettura, la tecnica costruttiva degli antichi, la sua formazione nella cultura figurativa veneta, che matura a contatto con la romanità.
I visitatori sono accolti nel Salone del primo piano di Palazzo Poli da una proiezione multimediale sul soffitto, curata da Civita Mostre e Musei, che restituisce un’iperbolica visione della Roma del Settecento, tratta dalle Vedute di Roma disegnate e incise da Giambattista Piranesi Architetto Veneziano (1747).
Un dipinto a olio di Pietro Labruzzi (dal Museo di Roma, Palazzo Braschi) e un’erma realizzata da Antonio D’Este (dalla Protomoteca Capitolina) ci mostrano le fattezze del grande artista, mentre la Nuova pianta di Roma di Giovan Battista Nolli (1748, acquaforte e bulino), alla quale collaborò lo stesso Piranesi, illustra la topografia della città. Alle pareti troviamo una selezione delle opere piranesiane, così da avere un quadro generale di matrici e acqueforti. Una matrice, in particolare, ci colpisce per la sua doppia incisione: sul verso La caduta di Fetonte e sul recto la Veduta della Piazza di Monte Cavallo (1747-1749).
Nella seconda sala è approfondito il tema delle Antichità romane, con al centro la ricostruzione dell’impianto dell’antico Campo Marzio, con sei matrici dell’Ichonographia Campi Martii Antiquae Urbis.
Grande importanza viene data ai ponti, agli acquedotti, alle strade, ai sepolcri e ad altre espressioni romane di ingegneria civile e rigore stilistico “tra archeologia epica e archeologia scientifica”, come si legge nella sala, in corrispondenza delle illustrazioni del “Modo, col quale furono alzate le grandi pietre” (da Le antichità Romane) nel caso del Ponte Fabricio oggi detto Quattro Capi (nell’Isola Tiberina)
e ancora il “Modo, col quale furono alzati i grossi travertini, e gli altri marmi” nello stesso ponte.
Sulla grandezza di Piranesi come artista non vi sono dubbi: questa mostra rivela al grande pubblico una capacità tecnica notevolissima e soprattutto una visione personale e poetica del mondo. La sua è una figura complessa e versatile, che esprime una formazione illuminista, ma anche un atteggiamento romantico e un linguaggio compositivo che si rifà al barocco e, andando più a ritroso, al manierismo.
Piranesi, trasferitosi da Venezia a Roma nel 1740, divenne uno dei pionieri dell’archeologia romana, e forse il massimo illustratore del fenomeno antiquario esploso nel Settecento. Grandissimo, in effetti, fu il suo contributo a una rinnovata visione dell’antichità in Europa. Egli era l’artista delle rovine per eccellenza, ardente ricreatore della grandiosità del passato, che offriva nelle sue tavole incise una magnifica, ma spesso irreale, immagine di Roma.
L’interpretazione e trasposizione dell’antichità classica per mezzo di esercizi di fantasia è, in effetti, sempre ricorrente nell’opera piranesiana. Proprio quelle tavole, diffuse un po’ in tutta Europa, attiravano nella città eterna, ma anche a Napoli e nella Magna Grecia, molte persone colte ed estremamente interessate agli scavi. Le sue esplorazioni archeologiche riguardarono anche territori intorno a Roma, come Villa Adriana, Albano e Cori, fino a spingersi in Campania, a Paestum, al cui sito dedicò affascinanti incisioni.
Le sue preferenze andavano sicuramente all’arte romana, e per la supremazia di questa su quella greca si battè contro altri studiosi quali Winckelmann, ma a un certo punto si lasciò ammaliare dall’arte egizia. Come mai, ci si potrebbe chiedere ?
Una plausibile risposta l’ha data il grande storico dell’arte Maurizio Calvesi. Spetta a lui, in effetti, il merito di aver individuato la probabile appartenenza alla Massoneria del grande incisore e architetto, evidenziando dei simboli mimetizzati nelle sue estrose creazioni, in particolare in alcuni Capricci e nei Camini.
Ancora nel Settecento la tradizione ermetica era legata al platonismo rinascimentale di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, che aveva interessato da giovane anche il Vico, le cui idee sulla storia hanno influenzato notevolmente Piranesi. Questa tradizione si basava sostanzialmente sulla credenza nell’avvento di una religione universale. Si riteneva che Ermete Trismegisto, dal quale proviene il termine ermetismo, avesse avuto in Egitto la rivelazione di una religione monoteista che poi, ripresa da Mosè, si era diffusa in altre parti del mondo, per sfociare anche nel cristianesimo. L’amore per l’Egitto da parte di Piranesi può essere in questo senso abbastanza indicativo. La sua decorazione del Caffè degli Inglesi, purtroppo perduta, ma riprodotta in due incisioni delle “Diverse maniere di adornare i cammini” (1769), conteneva indicazioni ermetico-massoniche. Scrive a questo proposito Calvesi:
“Tali sono certo i due soli che compaiono in alto ai lati della tav. 46; esotericamente allusive sembrano anche le piramidi, le sfingi, il Nilo, i geroglifici”.
Gli stessi “Camini” piranesiani, poi, possono essere interpretati come luoghi sacri, perché circoscrivono il focolare, centro della casa e del culto della memoria.
Il fatto stesso che Piranesi lavorasse per gli inglesi, sempre secondo Calvesi, è un indizio da non trascurare. La Massoneria si diffonde in Italia ai primi del Settecento, derivando proprio da quella inglese. È solo sul finire del secolo che se ne distacca per avvicinarsi al modello francese, in seguito all’ascesa di Napoleone.
L’arredamento di interni, in particolare i camini, i vasi e i candelabri, cui si dedicò nell’ultimo decennio della sua attività, sono il tema della terza sala, introdotto dalla Veduta del prospetto principale della Colonna Traiana, capolavoro della scultura romana nel periodo di massima espansione dell’Impero. L’artista progettò anche mobili, pendole e carrozze, sempre con una sovrabbondanza di decorazioni desunte dall’antico, ma ripensate e assemblate in un eclettismo senza precedenti, che ancora oggi prende il nome di “stile Piranesi”. L’intento era quello di “orientare il gusto dei moderni artefici” e, da quell’architetto qual era, Piranesi diceva di sé che aveva una fondamentale necessità di produrre grandi idee ed era convinto che – se mai gli avessero commissionato di progettare un mondo nuovo – sarebbe stato “tanto pazzo da accettare la sfida”, come riferisce il suo biografo Jacques-Guillaume Legrand. E a questo “sogno impossibile” sembra proprio alludere il titolo dell’esposizione.
Una parte della mostra, intitolata “Nel segno di Piranesi”, è ospitata nelle sale a piano terra del Palazzo ed è dedicata alla tecnica incisoria piranesiana, analizzata con metodologie e strumenti messi a punto dal Laboratorio diagnostico in occasione del restauro delle matrici dell’Istituto ospitante: ricordiamo in particolare il metodo fotografico RTI (Reflectance Transformation Imaging), applicato alle matrici delle Carceri grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’architettura, della Sapienza Università di Roma.
Il restauro si era reso necessario a causa della presenza sul rame di protettori ormai desueti e alterazioni superficiali del metallo di supporto. Sono stati eliminati i residui di uno strato di ferro (acciaiatura), che era stato applicato galvanicamente tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 allo scopo di rinforzare il rame e rendere possibile la ristampa delle matrici più richieste.
Sempre al piano terra nella sezione “Visioni contemporanee” sono esposte alcune opere degli artisti Gianluca Campigotto, Mario Cresci, Daniele Pignatelli, Michelangelo Pistoletto, Ninì Santoro, che, partendo dalle collezioni dell’Istituto, riflettono sull’eredità di Piranesi.
Un disegno di Filippo Sassoli reinventa la bottega di Piranesi a Strada Felice, e una graphic novel del fumettista Ratigher, ambientata nel Colosseo, vede Piranesi protagonista della storia.
Nica FIORI Roma 1 novembre 2020
“Giambattista Piranesi. Sognare il sogno impossibile”
Istituto Centrale per la Grafica, Palazzo Poli alla Fontana di Trevi, Roma via Poli 54
Orario: da martedì a domenica 10.00 – 19.00, fino al 31 gennaio 2021 www.grafica.beniculturali.it