di Nica FIORI
Immaginate un balcone naturale che si affaccia sul Mar Morto, sulla valle del Giordano, sulle montagne di Giudea, di Samaria e di Amman.
Il paesaggio è quello desertico tipico del Medio Oriente, con quella particolare luminosità per noi occidentali così inconsueta. Ci riferiamo al monte Nebo, in Giordania, dal quale, come si legge nel Deuteronomio, Mosè poté contemplare la Terra Promessa prima di morire. Qui i ricordi del passato sono tangibili grazie agli scavi archeologici eseguiti dai Francescani, che hanno riportato alla luce gli scenari di vicende bibliche e del primo cristianesimo nel sito di Madaba. Ricordiamo che sono proprio questi frati ad avere il mandato di custodire in Terrasanta i luoghi consacrati al cristianesimo. È una particolare missione che è stata loro affidata dalla Santa Sede, fin dal 1342, come lascito della visita profetica fatta da san Francesco d’Assisi al sultano d’Egitto nel 1219.
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La Giordania, celebre dal punto di vista archeologico per la città di Petra, la capitale dei Nabatei, e per la romana Gerasa, dal caratteristico Foro di forma ovale, è molto importante anche dal punto di vista del turismo religioso, tanto che cinque siti sono riconosciuti dal Vaticano come mete di pellegrinaggio cristiano: oltre al Monte Nebo, Tell Mar Elias, ritenuto il luogo di nascita del profeta Elia, Nostra Signora della Montagna, un santuario dedicato alla Vergine Maria, Macheronte, la fortezza di Erode Antipa dove è avvenuta la decapitazione di san Giovanni Battista e Maghtas, dove è stato battezzato Gesù Cristo nelle acque del fiume Giordano.
La mostra “Giordania: alba del Cristianesimo / Jordan: Dawn of Christianity”, ospitata nel rinascimentale Palazzo della Cancelleria di proprietà del Vaticano (visita gratuita con prenotazione da effettuarsi sul sito: www.mostragiordania.com.) fino al 28 febbraio, ci fa conoscere questi luoghi attraverso 90 straordinari reperti provenienti da 34 siti giordani e un percorso immersivo audiovisivo. L’allestimento è molto suggestivo e le opere sono accompagnate da QR code che permettono di approfondirne la storia e la provenienza.
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Come dichiarano i curatori:
“La mostra si propone come un invito a percorrere i Siti Sacri della Giordania, presentando un’esposizione inedita di reperti archeologici, molti dei quali fanno il loro primo viaggio al di fuori del Paese. Essa mette in luce il patrimonio cristiano del Regno Hashemita, un patrimonio che abbraccia secoli di fede, prosperità e armonia. L’esibizione celebra anche l’impegno costante del popolo giordano nel preservare il proprio patrimonio arabo e cristiano e nel promuovere l’unità delle diverse comunità religiose. L’eredità della Giordania come modello di armonia religiosa testimonia i valori di amore, pace e convivenza, sostenuti da Sua Maestà il Re Abdullah II”.
L’evento, che si tiene in concomitanza con l’Anno Santo 2025, coincide anche con il 30° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Giordania e la Santa Sede, nonché con il 60° anniversario della storica visita di Paolo VI in Giordania nel 1964. Dopo di lui vi si sono recati anche Giovanni Paolo II nel 2000, Benedetto XVI nel 2009 e Francesco nel 2014.
Tra i reperti più ammirati in mostra vi sono degli splendidi mosaici e proprio a un mosaico fa pensare la convivenza pacifica di cittadini di diverse razze e religioni che caratterizzano questo Paese. Queste opere d’arte, formate da innumerevoli tessere colorate, ci trasportano in un mondo fantastico popolato di uomini, animali vari (tra cui un agnello legato a un albero e due animali con piccole corna affrontati ai lati di una palma da datteri) e simbolici pesci, oltre a fiori, frutti e motivi geometrici. Un pannello circolare mosaicato reca il nome e l’immagine di Maria, un altro un’iscrizione in aramaico relativa a San Cyriacus.
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Si può ammirare in mostra anche una replica della famosa mappa mosaicata della Terra Santa del V secolo che originariamente decorava il pavimento della chiesa greco-ortodossa di San Giorgio a Madaba: raffigura il Mediterraneo orientale con al centro Gerusalemme e include siti di Palestina, Giordania, Egitto e Siria meridionale, oltre a diversi punti di riferimento storici e a fiumi.
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Il mosaico della Chiesa di Santo Stefano a Umm er-Rasas è invece datato all’VIII secolo: nella parte meridionale appaiono sette città a est del fiume Giordano con i nomi iscritti in greco: Kastron Mefa’a (Umm er-Rasas); Filadelfia (Amman), Madaba, Esbounta (Hesban), Belemounta (Ma’in), Areopolis (Rabbah), e Charach Mouba (Kerak).
I mosaici, in effetti, si diffusero in varie chiese in tutta la Giordania, decorandone le pareti e i pavimenti con raffigurazioni di scene, simboli e santi cristiani a testimonianza della crescente importanza del cristianesimo.
Altri reperti legati all’architettura del primo Cristianesimo sono frammenti di marmo con croci incise o con il chrismon, il monogramma formato dalle lettere greche chi e rho per indicare il Cristo, e un capitello detto “a cesto”, decorato a bassorilievo con una croce inscritta in un cerchio (scoperto a Umm al- Walid e prestato dal Museo archeologico di Madaba).
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Uno straordinario rilievo in arenaria con caratteristiche artistiche regionali raffigura un agnello, circondato da volute d’acanto: risale al III-IV secolo e proviene dal complesso della chiesa di Santo Stefano a Umm al-Rasas.
Un’incisione su basalto del VI-VII secolo, scoperta a Umm al-Jimal, è relativa all’arcangelo Raffaele.
Troviamo colonne in marmo e balaustre scolpite come quelle realizzate in pietra di Mosè (bitume), scoperte a Rujm Al Kursi e risalenti alla fine del VI secolo d.C. (dal Museo archeologico dell’Università della Giordania). Le colonne sono in realtà pilastri con una sommità conica che ricorda una pigna; lungo due lati del corpo è presente una lunga scanalatura, cui poteva essere fissato un pannello di protezione. Le lastre sono decorate con croci scolpite all’interno di cerchi intrecciati.
Come si legge nella lunga didascalia, la pietra di Mosè veniva comunemente utilizzata per realizzare le barriere delle chiese grazie alla sua facilità di modellazione. Secondo la mitologia popolare, si ritiene che questa, conosciuta localmente come Hajar Musa, abbia acquisito la capacità di infiammarsi grazie al passaggio del profeta Mosè nella regione di Madaba. Tale mito è immortalato nel detto: “L’acqua di Madaba viene dai suoi pozzi e il fuoco dalle sue pietre”.
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Un settore della mostra è dedicato alla vita quotidiana: sono esposti oggetti significativi per comprendere le pratiche dei primi cristiani, soprattutto per quanto riguarda il pellegrinaggio e la venerazione dei luoghi sacri. Troviamo fiasche da pellegrino e un meraviglioso contenitore in vetro a forma di pesce del VI secolo scoperto a Khirbat Yajuz.
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Tra gli oggetti più curiosi vi sono anche dei timbri per il pane in argilla del VI secolo con motivi a croce. Un tavolo da gioco in pietra calcarea del V-VI secolo d.C. (in prestito dal museo del punto più basso del Mondo) evoca i passatempi, mentre reliquari e bruciatori d’incenso ci parlano di pratiche religiose.
Numerose sono le lampade, che hanno sia una funzione pratica sia un significato simbolico nella liturgia cristiana e nell’arte sacra, in quanto simboleggiano la luce e rappresentano la presenza divina, la verità e la guida.
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Anche le tombe paleocristiane erano talvolta adornate con elementi artistici, offrendo preziose indicazioni sulle credenze cristiane, incluse le interpretazioni delle Scritture e speranze escatologiche.
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Un focus è dedicato alle monete (romane, bizantine e islamiche), che sono fondamentali testimonianze storiche per comprendere la diffusione del Cristianesimo, il rapporto tra la Chiesa e lo Stato e la successiva presenza cristiana durante l’era islamica.
Avendo come immagine guida l’Ichthys (il pesce che simboleggia Cristo), il percorso si snoda tra gli oggetti antichi che tracciano l’evoluzione del Cristianesimo, dal battesimo di Gesù Cristo all’epoca bizantina, al sorgere dell’era islamica, fino all’attuale era hashemita, per concludersi con grandi immagini fotografiche della Giordania archeologica e una sala immersiva molto suggestiva che indubbiamente stimola i credenti a compiere un pellegrinaggio in questa Terra Santa.
Nica FIORI Roma 9 Febbraio 2025