di Francesco MONTUORI
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- Martini e F. Montuori
Giotto di Bondone nacque a Colle di Vespignano nel Mugello, con ogni probabilità nel 1267, in una famiglia di piccoli possidenti. Considerate le sue capacità Giotto fu affidato dai genitori alla bottega di Cimabue.
Si narra che Cimabue scoprì la bravura di Giotto mentre disegnava le pecore col carbone su un sasso; dipinse una mosca così bene che Cimabue non sapeva come scacciare. Nel 1287 Giotto si sposò con Cinta di Lapo del Pela; la coppia ebbe quattro figli maschi e quattro figlie. Giotto si adoperò perché uno dei suoi figli diventasse priore della chiesa di San Martino a Vespignano e suo procuratore in Mugello, dove allargò le proprietà terriere della famiglia. Studi recenti indicano come una delle sue prime opere fosse un frammento della Madonna, custodito proprio nel Mugello, nella pieve di Borgo san Lorenzo nel 1290.
All’età di dieci anni mostrò vivacità e prontezza d’ingegno straordinaria. Gli furono date alcune pecore da guardare; spinto dall’inclinazione dell’arte del disegno, disegnò alcune cose di naturale, ovvero che gli venisse in fantasia. Cimabue trovò Giotto che, sopra una lastra piana, ritraeva una pecora al naturale. Cimabue gli chiese se voleva andare nella sua bottega; rispose il fanciullo che, se il padre era favorevole, ne seguirebbe volentieri il consiglio.
Il fanciullo non solo pareggiò la maniera del suo maestro; divenne un buon imitatore della natura e resuscitò la moderna e buona arte della pittura. Giotto ritrasse, come ancor oggi si può vedere, nella cappella del palazzo del Podestà a Firenze, Dante Alighieri, amico suo grandissimo e non meno famoso poeta. Le prime pitture di Giotto furono nella cappella dell’altare maggiore della Badia fiorentina dove ritrasse una Madonna Annunziata e lavorò in Santa Croce dove si trovano quattro cappelle da lui affrescate.
Nella cappella dè Baroncelli si può vedere una tavola di Giotto sul tema della Incoronazione della Madonna e un gran numero di piccole figure in un coro di Angeli e Santi. La sua data è quella in cui Giotto “diede principio al buon modo di disegnare e colorire”.
Si trasferì in Assisi, città dell’Umbria: nella chiesa di sopra dipinse a fresco trentadue storie della vita e delle gesta di San Francesco, tanto perfette che ne derivò grande fama. Dipinse nella chiesa di sotto, in tutti e quattro gli angoli della volta, dove è il corpo di San Francesco, una Crocifissione con cinque francescani nella Basilica inferiore di Assisi.
Finito che ebbe di dipingere in Assisi tornò a Firenze dove fece con gran diligenza una tavola con San Francesco nell’orribile sasso della Vernia. San Francesco riceve in ginocchio le stimate; sul grande arco si vede Gesù Cristo, che in aria, circondato da serafini concede le stimate che meglio non è possibile immaginare.
Giotto si trasferì a Pisa dove, essendo terminato il Camposanto, secondo i disegni di Giovanni e Nicola Pisano, dipinse parte delle pareti delle facciate di dentro. Il cortigiano, venendo per veder Giotto e avuti i disegni, andò nella sua bottega e gli chiese un disegno per regalarlo a Sua Santità. Così Giotto prese un foglio e vi disegnò un tondo che, a vederlo, parve a tutti una meraviglia; raccontò dopo che aveva tenuto ben saldo il braccio e senza tremare. Nacque il proverbio: Tu sei più tondo che l’o di Giotto.
Il papa allora lo chiamò a Roma e gli fece dipingere cinque storie della vita di Cristo. Giotto seguì la corte ad Avignone e molti altri luoghi in Francia e le sue decisioni piacquero al pontefice e a tutta la corte.
Era l’anno 1316; condotto a Padova dipinse a fresco una bellissima cappella. Nel tornare in Toscana si fermò a Ferrara a lavorare per i signori Estensi e in Sant’Agostino vi sono affreschi che ancora possono essere goduti. Venendolo a sapere Dante, Giotto operò in maniera di passare per Ravenna, dove Dante penava in esilio. Fece allora, nel san Francesco di Ravenna, alcuni splendidi affreschi.
Nel 1322, morto il suo grande amico Dante, andò a Lucca. A richiesta di Castruccio, signore di quella città, fece una tavola in San Martino, con Gesù Cristo in aria e quattro santi protettori di quella città.
Ritornò a Firenze dove ricevette da Ruberto re di Napoli l’invito per andare a Napoli. Santa Chiara si adornò a festa; Giotto dipinse alcune cappelle del monastero che saranno fra le più affascinanti fra le tante che affrescò. Si recò quindi a Rimini e nella chiesa di San Francesco fece molte pitture che, tuttavia, furono gettate a terra e rovinate. Nel chiostro dipinse in affresco la storia della Beata Michelina; fu una delle più belle ed eccellenti pitture che Giotto facesse.
Terminati i lavori e tornato in Firenze affrescò, pregato da un priore fiorentino che allora era in San Cataldo da Rimini, fuori dalla porta della chiesa, un San Tommaso d’Aquino che legge ai suoi Frati. Tornò a Ravenna ed in San Giovanni Evangelista dipinse una cappella a fresco molto lodata.
Assolti gli incarichi se ne tornò a Firenze dove fece a tempera, in San Marco, un crocifisso in legno; fu sistemato a man destro in una chiesa, ed un altro simile fu realizzato per Santa Maria Novella.
Il 9 luglio del 1334 cominciarono i lavori per il campanile di Santa Maria del Fiore; il vescovo, presente il clero e tutti i magistrati, apposero solennemente la prima pietra. Giotto disegnò tutte le storie che arricchivano l’ornamento e divise i colori bianchi, neri e rossi con molta diligenza. Lo stesso Lorenzo Ghiberti realizzò per Giotto il modello del campanile.
Il campanile di Giotto fu iniziato nel 1334. E’ alto metri 84,70 ed è largo circa 15 metri e venne completato nel 1359, dopo la peste nera; è la più eloquente testimonianza dell’architettura gotico – rinascimentale fiorentina. Giotto venne ricompensato con 100 fiorini d’oro l’anno dal comune di Firenze.
Le statue furono concepite come elementi integrativi dell’edificio; gli originali di tutte le sculture, per motivi conservativi, si trovano oggi al Museo dell’Opera del Duomo. Una grande terrazza, posta a più di 400 scalini da terra è l’ultimo tassello dell’opera. Lorenzo Ghiberti sostenne, a ragione, di aver veduti differenti modelli di rilievo di mano di Giotto.
Egli ritrovò il vero modo di dipingere e costruire per molti anni perduto. Per pubblico decreto e per affetto di Lorenzo il Vecchio de’ Medici, ammirate le virtù di tanto uomo, fu posta in Santa Maria del Fiore la sua effige scolpita in marmo da Benedetto da Maiano, scrittore eccellente
con gli infrascritti versi fatti dal divino uomo messer Angelo Poliziano, acciocchè quelli che venissero eccellenti potessero sperare d’avere a conseguire da altri di queste memorie che consegui Giotto dalla sua bontà.
Denique sum Jottus, quid opus fuit illa referre?
Giotto rese l’anima a Dio l’anno 1336. Fu sotterrato in Santa Maria del Fiore dalla banda sinistra, entrando nella chiesa, dove è un mattone di marmo bianco per memoria di un artista cosi importante.
Francesco Montuori 25 Settembre 2022