Giovanni dal Ponte, da Spinello Aretino a Beato Angelico; precisazioni e nuovi spunti sul percorso artistico di un ‘minore’ del ‘400.

di Carmen d’ANTONINO

I Maestri Toscani del Primo Quattrocento trovano la loro piena attuazione nelle botteghe, dove la grande tradizione fiorentina si coniuga appieno con le novità pittoriche del Rinascimento, riprendendo le influenze tardoantiche. Una delle personalità, di quei Maestri considerati, “Artisti Minori”, che operano nell’ambito della pittura nella prima metà del Quattrocento, è Giovanni dal Ponte.

Il contesto di appartenenza dell’artista e lo studio delle sue opere diventa importante per far cogliere l’esatta imprescindibilità critica dell’opera stessa e del suo creatore.

Quella di Giovanni di Marco, è una figura alquanto emblematica e particolare. Tale nome, presente in numerosi documenti, è in realtà identificato con Giovanni dal Ponte citato da Vasari, che però ne anticipa di quasi un secolo l’attività, a conferma del fatto che, quando l’aretino scriveva, si era ormai persa la giusta prospettiva storiografica di tutta quella pittura tra fine Trecento e inizio Quattrocento di cui ora, si cominciano invece, a delineare con precisione i contorni e a distinguere le singole personalità.

Secondo quanto sottolineato da Milanesi, nel 1878 nella sua edizione delle Vite di Vasari, quest’ultimo nella vita dedicata a Giovanni dal Ponte, aveva riunito sotto questo unico nome personalità artistiche differenti e attive a Firenze tra il XIV e il XV secolo. Tra questi pittori figurava anche l’autore degli affreschi della cappella Scali in Santa Trinita, riconosciuto da Milanesi come quel Giovanni di Marco che aveva bottega presso Santo Stefano a Ponte Vecchio. Nonostante tra il 1904 e il 1906, P. Toesca e C. Gamba fossero riusciti a delineare meglio la figura di Giovanni, descrivendone un primo catalogo di opere, spettò a Venturi nel 1911 chiarire come Giovanni dal Ponte, fosse l’appellativo di Giovanni di Marco, secondo quanto affermato in un documento del 1430[1].

Chiarito il problema relativo al nome, copiosa appare la quantità di documenti inerenti a Giovanni, conservati presso gli archivi fiorentini nei quali l’artista compare sia come Giovanni dal Ponte, sia come Giovanni di Marco. Ciò permette, insieme con le date apposte su alcune opere, di riconoscere la sua attività[2].

Analizzare le diverse ricerche di uno studio approfondito su Giovanni dal Ponte implica diverse giustificazioni. Anzitutto perché alcune delle sue opere migliori sono state dalla critica del secolo scorso confuse con quelle di un autentico pittore del territorio di Arezzo, Jacopo di Casentino; poi, perché egli ha lavorato se non ad Arezzo, come afferma il Vasari e come qualcuno ha in modo poco convincente tentato di confermare, certo nel Casentino, dove lasciò a Poppiena, una delle sue prime opere che ha per tema quello dell’Annunciazione.

Giovanni dal Ponte va annoverato tra i migliori discepoli di Spinello Aretino, del quale continua la tradizione di schietto carattere popolano[3].

Giovanni dal Ponte nasce a Firenze nel 1385 e muore nel 1457. Nel marzo 1410, chiese di entrare a far parte dell’Arte dei Medici e dei Speziali, pagando l’immatricolazione fino al 1413, anno in cui passò alla compagnia di S. Luca[4]. Secondo alcuni studiosi come Salmi e Salvini[5], dovette formarsi già nei primi anni del XV secolo, direttamente nella bottega di Spinello Aretino, ma, più probabilmente nell’ambito di quelle botteghe di tradizione ancora trecentesca che tuttavia, proprio aderendo al ruvido linguaggio di Spinello, cercavano di allontanarsi dall’accademismo ancora di matrice post-giottesca. Questo tipo di formazione è ben rilevante nelle sue prime opere che la critica pone intorno al 1407[6].

Successivamente a queste opere, ciò che dovette maggiormente colpire Giovanni, la cui caratteristica fondamentale rimase quella di essere molto ricettivo ai numerosi e importanti influssi che segnarono l’arte fiorentina nei primi decenni del Quattrocento, fu sicuramente l’arte di Lorenzo Ghiberti[7].

A conferma della facilità di assorbimento di idee e stili diversi che caratterizza il lavoro dell’artista, nelle diverse opere compare un ulteriore apporto culturale, che si può individuare in quella cadenza internazionale iberica dovuta a Gherardo Starnina[8], e caratterizzata da una brillante vivacità e accuratezza descrittiva che proprio in questa chiave rimase una delle costanti della sua pittura.

Giovanni Dal ponte, Madonna col Bambino, Fitzwilliam Museum

Le ricerche del Toesca, del Gamba, hanno da tempo liberato la figura di Giovanni dal Ponte dall’oscurità cui l’aveva condannata la confusione delle Vite vasariana. Vengono raggruppate intorno al suo nome una serie di dipinti, delineandone in base a questi il linguaggio stilistico come quello di un Maestro che attua attraverso un velo conservatore lo sviluppo progressivo della maniera trecentesca di Spinello Aretino, per quella più progredita di Lorenzo Monaco, fino a quella dell’Angelico e di Masaccio stesso[9]. Questa facilità di modificare le proprie impressioni, a seconda delle influenze altrui, è qualità propria di un giovane quale era Giovanni dal Ponte all’inizio del XV secolo, in un periodo di rapidissimo sviluppo e perfezionamento tecnico dell’arte. Una cronologia rigorosa, dalla quale si possa leggere con chiarezza e precisione il corso dell’evoluzione seguita dal pittore non è stata però ancora stabilita, essa, risulta più che mai oscura e confusa dall’ultima trattazione d’insieme apparsa sul nostro artista[10].

Egli, pur rimanendo fedele alla maniera elegante di don Lorenzo, si sforza, accentuando ombre e lumeggiature e immaginando le più splendide armonie di colori degne di un miniatore, di dar maggior rilievo e vita alle sue figure, senza preoccuparsi di perfezionare le forme. Così dipinse, intorno al 1415, l’Annunciazione appartenente alla collezione privata di G. Parry a Londra.

Tartuferi osserva che Giovanni interpreta lo stile di tali Maestri secondo accenti introversi e impetuosi, com’è provato, in massimo grado, dal Trittico con l’Annunciazione e i Santi Eustachio e Antonio Abate della chiesa di Sant’Andrea a Brozzi dei primi decenni del XV secolo[11].

Il Trittico si avvale da cuspidi che presentano Cristo benedicente e due Angeli oranti. Realizzato con vivaci cromie, è stato lungamente assegnato ad uno dei più affascinanti pittori della corrente tardogotica internazionale, il portoghese Alvaro Pirez[12].

Successivamente, è stato attribuito al pittore fiorentino Giovanni dal Ponte, ma, poiché la critica non si è trovata concorde su tale assegnazione, venne coniato, appositamente per quest’opera, il nome del Maestro dell’Annunciazione di Brozzi. Certamente il dipinto, con la sua forza cromatica e il suo disegno fermo e calligrafico, costituisce l’opera d’arte più antica tra quelle giunte fino a noi della chiesa di Sant’Andrea[13].

In base ad alcuni documenti dell’arte della lana relativi al duomo di Firenze, si è potuto datare, al 1422, il cenotafio dipinto ad affresco dedicato, in questo edificio, al cardinale Pietro Corsini[14].

Un documento del 1424, ci informa della battuta d’arresto nella carriera del pittore che venne incarcerato per morosità, e restò in prigione per circa otto mesi[15]. Alla ripresa dell’attività, che da quel momento sembra in continuo crescendo, Giovanni parve assimilare uno stile pittorico totalmente nuovo e, sempre aggiornato sulle novità del momento senza rinunciare ad una cifra stilistica ormai ben collaudata. Una delle prime opere dipinte dopo il 1424, dovette essere il tabernacolo ligneo con Annunciazione nella chiesa di S. Miniato al Monte a Firenze, con la Vergine Annunciata.

 Infatti, nella portata al Catasto del 1427 e nelle successive del 1430 e del 1433, compare come debitore di Giovanni, un certo Lodovico di S. Miniato per il quale era stata fatta un’opera che, però, non viene descritta[16].

L’ultimo documento relativo all’artista è il testamento, datato 19 Novembre 1437[17], anno in cui egli dipinge la Vergine Annunciata nella chiesa di S. Miniato a Monte, e il murale con l’Annunciazione, in palazzo Vecchio a Firenze[18].

Dal 1429, l’artista, tenne bottega in società con Giovanni di Smeraldo, con cui lavorò in seguito anche a S. Trinita, specializzandosi nella produzione di cassoni per la cui esecuzione ricevette dei pagamenti, nel 1433, da Paolo e Giovannozzo Bilotti e da Zanobi Cortigiani[19]. Sempre nel 1433, fu pagato per la decorazione di una cappella, non identificabile, dipinta per un certo Quaratesi detto il Serpe[20].

Arriviamo così ai primi anni trenta, quando la sua formazione raggiunge l’apice e la nuova ricerca plastica si risolve e si semplifica nello studio di linee eleganti che avvolgono le figure.

A questo periodo, il più ricco di colore della sua carriera pittorica, si collocano tre grandi trittici che hanno per tema l’Annunciazione.

Procediamo, dunque, all’esame stilistico di queste tre opere per ricavarne punti fissi nell’evoluzione dell’artista e, cercare poi, di inserire fra questi le altre opere principali, nell’ordine che ci sembrerà più logico. Il primo, in ordine cronologico, sembrerebbe quello della badia di Poppiena presso Pratovecchio in Casentino che, raffigura, un’Annunciazione fra il Battista e la Maddalena, nel quale il pittore sperimenta soluzioni, per lui del tutto nuove, di architettura dipinta (fig. 1).

Fig. 1 Giovanni dal Ponte, Annunciazione tra i santi Giovanni Battista e Maria Maddalena, chiesa di S. Maria a Poppiena, Arezzo, 1430.

Quest’opera costituisce una variazione brillante della tipologia utilizzata da Lorenzo Monaco intorno al 1410. Nell’Annunciazione della Galleria dell’Accademia, alcuni dettagli (lo scorcio di Dio Padre, in particolare, con la relativa unificazione del Trittico tradizionale per mezzo della cornice dipinta e non scolpita, delle due figure laterali) indicano che, anche Giovanni dal Ponte, non è insensibile alle nuove tendenze.

Qualche decennio più tardi, l’antipatia per lo stile gotico, suggerì a qualche progressista di racchiudere il trittico di Poppiena in una cornice del Rinascimento, riempiendo gli angoli con due graziose teste di serafini[21].

Il tempo e l’incuria ci hanno forse privato di una qualche graziosa predella, e cancellato quasi del tutto l’interessante iscrizione, continuando a tenere questo capolavoro nello stato in cui si trova ora. In breve non resterà più nulla, poiché il colore sollevato si è staccato e in parte è già caduto. Nonostante questo stato deplorevole, il colorito finissimo e l’oro del fondo, hanno conservato tutta la loro lucentezza di smalto, e ne fanno un vero gioiello, di linee graziose e di colori armoniosi[22].

La Madonna bionda, come tutte le figure femminili di Giovanni dal Ponte, ha un espressione estatica infantile e un molle abbandono della lunga figura flessuosa che, sembra riunire l’eleganza di Don Lorenzo col sentimento di Beato Angelico. Il suo manto è di un colore caratteristico della tavolozza di Giovanni in questo periodo, un azzurro cupo, quasi oleoso, con riflessi violacei, che qui è bene conservato mentre, nell’Incoronazione degli Uffizi e in altre pitture è rientrato e diventato incolore. L’Angelo, avvolto in un manto cremisi guazzoso, foderato di rosso lacca cangiante in giallo, con ali variopinte di finissime sfumature, la guarda con affetto e gravità pure al quanto infantile. Mentre la colomba, inviata dal Padre Eterno Benedicente, si avvicina alla Vergine portandole il divino fanciullo. Il S. Giovanni, ha un manto color tortora d’una sfumatura delicatissima, e la Maddalena è vestita interamente di rosso lacca, nello stesso tempo queste due figure sono già meno lunghe e drappeggiate, tanto da ricordare il Beato Angelico.

Questa tavola meriterebbe di essere collocata in una galleria, dove rappresenterebbe degnamente il gentile Maestro che la dipinse[23].

Il secondo Trittico è quello della Badia di Rosano, commissionato dalla badessa Caterina da Castiglionchio e recante la data del 1434[24].

La critica si è del resto limitata, finora, a classificare le opere del maestro in gruppi giovanili e gruppi tardi sulla base, soprattutto, della posizione che esse reclamano nella storia generale dello sviluppo della pittura fiorentina nei primi decenni del Quattrocento, senza troppo curarsi di stabilire dei punti fermi nella cronologia del pittore sulla base delle, sia pure scarse, opere datate. È sintomatico, a tale riguardo, che la data 1430, assegnata a quest’opera del periodo maturo, notata da chi per primo la pubblicò, è poi sfuggita a tutti gli studiosi seguenti, e per questo mai sfruttata per l’orientamento cronologico delle altre opere.

L’Annunciazione di S. Eugenio a Rosano, è una delle opere più fini del Maestro ed è stata motivo di studio da parte di molti critici[25].

Giovanni Dal Monte Scomparto di Trittico, Annunciazione e Santi

Quanto alla datazione, il Van Marle [26] colloca quest’opera attorno al 1435, vicino all’Annunciazione della Vaticana. L’Offner, non specificando la datazione, ne parla come di un’opera appartenente ad un periodo rinnovato di goticismo, con un riferimento a Lorenzo Monaco. Ma nel 1430, quando è sorto questo Trittico, Lorenzo Monaco, o era già morto nel 1425 come afferma il Vasari, o comunque non era più la personalità principale della pittura fiorentina.

L’esame stilistico dell’opera rivela  che, dello stile calligrafico di Lorenzo, non è qui più che un’eco lontano. L’esuberante linearismo, si è placato in un melodioso ma sobrio fluire ondulare della linea di contorno, mentre, la calligrafia, è quasi del tutto scomparsa dal disegno interno, per dar luogo ad una più compiuta modellazione plastica delle figure.

Sono soprattutto le figure dei Santi che mostrano, al di là dei tipi ancora trecenteschi, un peso corporeo, una costruzione plastica di carattere nettamente quattrocentesco che sarebbe incomprensibile, se il Maestro non avesse conosciuto la rivoluzione masaccesca. Nel pannello centrale, spirante tanta serenità e un po’ in tutto l’andamento pacato della composizione, riprende un ricordo dell’arte serenamente classica di Beato Angelico.

A questi due Trittici, vanno aggiunti gli affreschi in Santa Trinita della cappella Davanzanti, con Due Angeli a monocromo riferibili al nostro artista, e quelli della cappella Scali, datati da documenti d’archivio nel 1434, nella quale, sopravvivono, all’interno, affreschi frammentari di cui non possediamo immagini di Giovanni dal Ponte e Smeraldo di Giovanni[27].

In merito agli affreschi della cappella Scali, ci furono varie attribuzioni, fatte ai diversi artisti. Toesca, riconobbe in questi affreschi, la mano dello stesso artista, in parte recentemente ritrovati nelle cappelle Scali e Dell’Abbaco, descrivendone con chiarezza e finezza d’osservazione i caratteri personali dell’artista.

Toesca si trattiene dall’imporre un nome a questo pittore, sebbene ci indichi quanto ne dica il Milanesi nelle annotazioni della vita di Giovanni dal Ponte, cui Vasari ascrive gli affreschi di Santa Trinita. Il Milanesi, sulla base di diversi documenti, ci informa che due furono gli artisti incaricati alla decorazione della suddetta cappella, ossia Giovanni di Marco e Smeraldo di Giovanni. Parallelamente con la tradizione vasariana, Gamba, nel suo articolo, intende confermare che realmente l’artista, cui spetta il merito principale di quegli affreschi, fu Giovanni dal Ponte, cosi come lo studioso propone di mettere alla luce tale artista, riunendo, sotto il suo nome, oltre le opere attribuitigli dal Toesca, anche le altre[28].

L’unica cosa certa su questi affreschi frammentari è che nelle figure scompare ogni residuo di linearismo gotico, e che sono costruite sulla base di un aspetto più squadrato che ne accentua la durezza nei volti. Più fortemente che altrove è chiaro l’accostamento di Masaccio, dove Giovanni non fa altro che ricercare quella intensa espressione drammatica[29].

E giungiamo cosi alla sua attività finale dove, Giovanni, ritorna alle proporzioni più giuste, alle movenze più calme, ai panneggi più sobri, sotto la probabile influenza di Beato Angelico, perdendo, tuttavia, quel vigore e lo splendore nel colorito che, diventa più torbido. Uno spirito del tutto diverso, rispetto ai due Trittici che abbiamo analizzato, presenta l’ultimo Trittico con l’Annunciazione della Pinacoteca Vaticana, datato 1435, con San Ludovico di Tolosa e Sant’Andrea di Padova. Piuttosto convenzionale nei due Santi laterali, l’Annunciazione del pannello centrale, spira un senso di riposo e di calma.

La tenue calligrafia tardo antica degli orli delle vesti introduce, nel gruppo, un sottile senso di commozione. Diversamente da quello che avviene negli affreschi della cappella Scali di argomento drammatico, in quest’opera di soggetto contemplativo, Giovanni dal Ponte mentre da una parte si ricollega alla tradizione tardogotica, dall’altra si accosta, alle tendenze più liriche del Rinascimento; come nell’Annunciazione di Rosano. L’Annunciazione della Vaticana mostra forme più calme e più molli indici dell’azione esercitata sul pittore dalle correnti più avanzate del Rinascimento e che nei diversi Trittici analizzati, l’artista si mostra più sensibile nel sentimento del colore e nella forza espressiva, rispetto agli altri discepoli del primo Quattrocento[30].

Un affresco al quanto suggestivo, e che oggi si presenta abbastanza frammentario in seguito all’imbiancatura eseguita nel 1770 e tolta nel 1864, è la scena della SS. Annunziata, (protettrice dell’Arte dei Legnagnioli) che si trova sul pilastro, nella chiesa di Orsanmichele a Firenze.

L’affresco con l’Annunciazione è stato attribuito, a Giovanni dal Ponte o Jacopo Landini detto del Casentino da diversi studiosi, ma, attraverso diverse supposizioni, gli studiosi sono arrivati ad attribuirlo a Giovanni dal Ponte, dall’esame accurato del suo stile, con le splendide armonie di colore, accentuando sempre più le ombre e le lumeggiature, senza preoccuparsi di perfezionare le forme, mentre, nella scena sottostante è rappresentata la Natività di Gesù[31].

 Giovanni dal Ponte parte da un’educazione spinelliana per volgersi subito allo stile più di moda del gotico fiorito, come si stava affermando a Firenze con Lorenzo Monaco.

Sotto l’influsso di Masaccio egli lavora nell’ultimo decennio della sua vita, ma da tale influsso egli assorbe in modo diverso, a seconda dei vari momenti del suo estremo sviluppo, prima l’eredità lineare del gotico internazionale, arrivando ad un vivace barocchismo, poi si trova una felice fusione di grazia gotica e di robusta dignità rinascimentale, quindi, abbandona, ogni goticismo per darsi ad una traduzione popolaresca dell’arte drammatica di Masaccio.

Negli ultimi anni, sotto l’influsso di altri artisti rinascimentali di vena lirica, la sua maniera acquista qualcosa di morbido di carattere decadente.

E’ dal confronto di queste opere, qui analizzate, che ci accorgiamo del dualismo che la sua personalità nasconde, dualismo che è anche la ragione più profonda dell’incertezza che caratterizza la sua posizione storica, del suo oscillare fra vecchio e il nuovo, fra la preziosità  esuberante del Gotico Fiorito e le severe concezioni del Rinascimento. Egli arriva, infatti, all’arte tanto per la via lirica-contemplativa quanto per la via drammatico-narrativa.

Carmen d’ANTONINO  Roma 15 Settembre 2024

NOTE

[1] C. Gamba, Giovanni dal Ponte, in “Rassegna d’Arte”, IV, Milano 1904, p. 177: Nel fascicolo 1° e 2° de L’Arte del 1904 compare un pregevole articolo del signor Pietro Toesca, intitolato: Umili pittori Fiorentini, col quale egli illustra alcune opere di un’artista del principio del XV secolo, Giovanni dal Ponte, confuso da taluni critici con Jacopo Cosentino, che lavorò invece intorno alla metà del secolo precedente.
[2]M. Becchis, Giovanni dal Ponte, Dizionario Bibliografico degli Italiani, vol. 56, Roma 2001, p. 182
[3] C. Gamba, Giovanni dal Ponte, in “Rassegna d’arte”, IV, Milano 1904, p. 178: Giovanni dal Ponte si forma negli ultimi anni della carriera di Spinello Aretino (morto nel 1414), la cui scuola fu certo vastissima, dato l’ingente numero di cicli d’affreschi che gli furono allogati e parecchi dei quali fortunatamente ci sono giunti, dove si distinguono maniere e abilità assai disparate. Spinello Aretino, il cui ingegno versatile lo conduceva a lavorare per ogni parte della Toscana, si creò uno stile proprio, fondendo la romana maestà dell’arte giottesca, con la gotica eleganza e la sensibilità d’arte d’espressione dell’arte senese e diede vita a composizioni piene di drammaticità e di temerità nell’affrontare difficoltà tecniche. Senza preoccuparsi troppo dell’esattezza del disegno, egli cercava effetti nelle larghe linee della composizione, nonché nei contrasti dei colori.
[4]Ibidem
[5] F. Guidi, per una nuova cronologia di Giovanni di Marco, in “Paragone”, XIX, s.l. 1968, p. 27
[6] M. Becchis, Giovanni dal Ponte, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 56, Roma 2001
[7]Ibidem: Il legame con lo scultore fiorentino sembra confermato dal fatto piuttosto singolare che Giovanni, prima ancora della pittura di Lorenzo Monaco, con cui pure è in aperto debito, sembra addirittura citare alcune opere di Ghiberti: nei due sportelli del museo civico di Arezzo con S. Giuliano e S. Giovanni, quest’ultimo appare strettamente imparentato con lo stesso santo eseguito dallo scultore intorno al 1414 per le nicchie esterne di Orsanmichele,  e più ancora nei due sportelli, uno con i S.S Giovanni Battista e Antonio Abate. (Cambridge, Fitzwilliam Museum), l’altro con l’Annunciazione (Firenze, coll. Bartolini Salimbeni) la cui scioltezza, in particolare, non può non ricordare lo stesso modo di narrare certe formelle della porta nord del battistero di Firenze.
[8]F. Antal, La pittura e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Torino 1960, p. 455: La pittura di Gherardo Starnina dolce e luminosa, risulta essere uno degli elementi stilistici più chiaramente rivelatori dell’origine fiorentina del pittore, insieme naturalmente al saldo impatto neogiottesco delle composizioni e delle figure plasticamente definite. E’ sopra tale struttura che Starnina si dedica ad introdurre gli elementi di gusto più internazionale e fiammeggiante.
[9]C. Gamba, Giovanni dal Ponte, in “Rivista d’Arte”, IV, Milano 1904
[10] R. Salvini, Lo sviluppo artistico di Giovanni dal Ponte, in “Atti e memorie della Regia Accademia Petrarca di lettere, scienze, arti”, vol. XVI, Arezzo 1934, p. 4
[11] S. Rossi, I pittori fiorentini del Quattrocento e le loro botteghe, Todi 2012
[12]R. Salvini, Lo sviluppo artistico di Giovanni dal Ponte, in“Atti e memorie della Regia Accademia Petrarca    di lettere, scienze, arti”, vol. XVI,Arezzo 1934
[13]C. Gamba, Ancora su Giovanni dal Ponte, in“Rivista d’Arte”, Firenze 1906, p.163
[14]M. Becchis, Giovanni dal Ponte, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 56, Roma 2001, p. 184: Si tratta della più recente attribuzione a Giovanni, un’opera, questa, che forse in virtù del luogo dove fu dipinta, riapre il dialogo con l’arte di Ghiberti e con la sua particolare lettura dell’arte classica. Sembrerebbe anche stante la data, che questa fu la prima di una serie di committenze ricevute da Giovanni nell’ambito dei lavori per il duomo.
[15]C. Gamba, Ancora su Giovanni dal Ponte, in “Rivista d’Arte”, Firenze 1906, p.163
[16] M. Becchis, Giovanni dal Ponte, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 56, Roma 2001
[17]H. P. Horne, Appendice di documenti su G. d. P., in “Rivista d’Arte” IV, p. 169: Nel documento emerge di come l’artista godesse di una notevole agiatezza economica e che Giovanni molto probabilmente morì poco dopo questa data.
[18] C. Danti, M. Marchetti, Annunciazione di Giovanni di Marco detto “dal Ponte”, Firenze 2003, p. 212.
[19] C. Gamba, Giovanni dal Ponte, in “Rassegna d’arte”, IV, Milano 1904, p.177
[20]G. Milanesi, Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal XII al XV secolo, Firenze 1901
[21]C. Gamba, Ancora su Giovanni dal Ponte, in“Rivista d’Arte”, Firenze 1906
[22] C. Gamba, Giovanni dal Ponte, in “Rassegna d’arte”, IV, Milano 1904, pp. 181-182
[23] Ibidem
[24] M. Becchis, Giovanni dal Ponte, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 56, Roma 2001
[25] R. Salvini, Lo sviluppo artistico di Giovanni dal Ponte, in“Atti e memorie della Regia Accademia Petrarca di lettere, scienze, arti”, vol. XVI,Arezzo 1934. L’Offener ha trovato in quest’opera una frase suggestiva perfettamente aderente all’opera d’arte:” l’angiolo cala leggerissimo portando con sé il respiro del mattino” ma è troppo severo quando continua dicendo che “la Vergine, incapace di innalzarsi alle esigenze poetiche della situazione, tradisce anche troppo chiaramente i tipici limiti di Giovanni”. Vero è che il lirismo di che emana dalla sua figura è meno intenso di quello che vibra nella figura dell’Angelo ma è pur vero, che tutto il Trittico par predisposto per rendere quella aerea figura dell’Angelo, il punto centrale dell’interesse artistico.
[26]Ibidem
[27]M. Salmi, Spigolature d’arte toscana, in“L’Arte”, XVI, Roma 1913
[28]C. Gamba, Giovanni dal Ponte,in “Rivista d’Arte”, IV, Milano 1904, p.178.
[29] R. Salvini, Lo sviluppo artistico di Giovanni dal Ponte, in“Atti e memorie della Regia Accademia Petrarca di lettere, scienze, arti”, vol. XVI, Arezzo 1934, p. 12
[30]C. Gamba, Giovanni dal Ponte, “Rivista d’Arte”, IV, Milano 1904
[31] L. Artusi, S. Gabrielli, Orsanmichele in Firenze, Firenze 2006