di Nica FIORI
La mostra che riporta a casa dopo più di 130 anni un importante gruppo marmoreo ritrovato a Lanuvio
Lanuvio, già Civita Lavinia, corrisponde all’antica Lanuvium, che ha dato i natali agli imperatori Antonino Pio e Commodo. Pur essendo uno dei Castelli Romani che conserva resti di epoca romana e una turrita parte medievale, non raggiunge la fama degli altri borghi arroccati sui Colli Albani, mentre è in realtà di grande interesse storico-archeologico, come dimostra l’esposizione di straordinari reperti in marmo, prestati temporaneamente dal Leeds City Museum.
Il 10 settembre 2023 è stata inaugurata la mostra “1884/1892 Gli scavi di Lord Savile Lumley al Santuario di Giunone Sospita a Lanuvio”, presso le Segrete del quattrocentesco Palazzo Colonna, note come “il Cantinone” (in piazza Santa Maria Maggiore). Scendendo in questo luogo suggestivo, rimaniamo fortemente sorpresi da alcune sculture del I secolo a.C. in marmo pario, raffiguranti cavalli e guerrieri, che lord John Savile Lumley, ambasciatore di Sua Maestà Britannica a Roma, recuperò tra il 1884 e il 1892 in un terreno da lui comprato, nell’ambito di scavi che portarono alla luce importanti resti del santuario dedicato al culto di Giunone Sospita.
Le sculture frammentarie, che il celebre archeologo Rodolfo Lanciani giudicò assai notevoli, furono portate dal suo scopritore in Inghilterra e alla sua morte andarono in eredità al museo di Leeds.
Da qui si sono spostate qualche mese fa al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) in occasione della mostra su Alessandro Magno, suscitando notevole interesse tra gli archeologi della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio (SABAP) per l’area metropolitana di Roma e la provincia di Rieti, unitamente al direttore del Museo Civico di Lanuvio Luca Attenni, che sono riusciti ad accordarsi con gli archeologi del Museo della Città di Leeds e con il Comune di Lanuvio per organizzare il loro ritorno nel luogo del ritrovamento.
È proprio grazie a questa virtuosa collaborazione (comprendente anche il MANN che ha fornito le casse per il trasporto direttamente da Napoli a Lanuvio e alcune strutture per esporle) che è stato possibile evitare un lungo iter e realizzare in tempi brevi la mostra di questi reperti, appartenenti al cosiddetto “Donario di Licinio Murena”, esposti insieme ad altri resti dello stesso gruppo equestre, rinvenuti successivamente e custoditi nel Museo Civico di Lanuvio. Il prestito durerà un anno, ma ci si augura che il gruppo possa essere nel futuro acquisito dal nostro Stato.
I cavalli, o meglio le loro parti anteriori che si sono conservate, ci colpiscono per l’aspetto imponente, come pure i sei torsi di guerrieri (purtroppo acefali) di poco inferiori al vero. Pur essendo romani, essi sono sorprendentemente raffigurati con corazze macedoni. Proprio questa particolarità ha fatto pensare che il donario si sia ispirato a un gruppo scultoreo in bronzo di Lisippo, commissionato da Alessandro Magno per onorare i generali del re macedone caduti nella battaglia del Granico del 334 a.C., che vide la prima grande vittoria di Alessandro contro i Persiani.
Il ricco Lucio Licinio Murena, console nel 62 a.C., donò queste sculture al tempio lanuvino di Giunone Sospita, in seguito a una vittoria su Mitridate VI re del Ponto durante la terza guerra mitridatica (73-63 a.C.), nel corso della quale Murena ricoprì per qualche anno il ruolo di legatus di Lucio Licinio Lucullo.
In effetti la sua famiglia (il cui cognome era collegato secondo l’erudito Macrobio all’allevamento di murene) era originaria di Lanuvio, celebre nell’antichità proprio per il santuario di Iuno Sospita (Giunone “Propizia” o “Salvatrice”), del quale sono visibili cospicui resti sul colle di San Lorenzo.
In particolare si conserva un porticato in opera reticolata (databile alla prima metà del I secolo a.C., quindi all’età di Licinio Murena) con semicolonne doriche in opera mista, venuto alla luce proprio durante i primi scavi di lord Savile Lumley.
Come viene raccontato in un pannello, il porticato presentava al momento del ritrovamento intonaci e stucchi, che poi si sono staccati, e porzioni di mosaici che hanno fatto supporre la presenza di un secondo piano. Nella zona a sud-ovest sono stati rinvenuti i frammenti dei marmi del donario sotto uno strato di crollo delle volte. In un luogo imprecisato vennero rinvenute, invece, due antefisse fittili a testa femminile con nimbo traforato, appartenenti a una fase più antica del tempio (VI a.C.), delle quali sono presenti in mostra le copie realizzate alla fine del XIX secolo.
Conclusi gli scavi di lord Savile Lumley (eseguiti, data l’epoca, con criteri non scientifici), il terreno venne acquistato dagli Sforza Cesarini, che vi edificarono un villino, e i resti del portico furono lasciati in stato di abbandono. Solo in seguito al ritrovamento da parte del conte Francesco Sforza Cesarini di un ulteriore torso del gruppo scultoreo di Licinio Murena (conservato nel Museo di Lanuvio), l’Ufficio Scavi della Provincia di Roma decise nel 1914 di esplorare la parte orientale del colle San Lorenzo (trascurata dal lord inglese, che aveva scavato solo la parte occidentale) e da queste indagini emersero i muri perimetrali in opera quadrata del tempio di Giunone Sospita, un lastricato esterno in basalto e peperino, alcuni frammenti fittili di varie epoche appartenenti alla trabeazione esterna del tempio, e soprattutto parti di una testa marmorea che fece pensare a quella di una statua di grandezza poco minore del vero, riproducente un tipo di Ercole, oppure di atleta. La testa, conservata nel Museo Civico di Lanuvio fino al 1944, scomparve in seguito alla distruzione del museo avvenuta nel 1944 a causa dei bombardamenti anglo-americani.
Nel 1998 ne venne rinvenuta una parte da Luca Attenni, che la collocò in uno dei locali al pianoterra del Municipio di Lanuvio, sede del vecchio Museo Civico (ora trasformato in “Museo Diffuso”, ovvero dislocato in più sedi). Attualmente esposta nella mostra lanuvina, come scrive Attenni,
“in essa si notano le caratteristiche proprie dei ritratti greci della fine del IV secolo a.C.: occhi infossati, una capigliatura a ciocche, forte chiaroscuro, il tutto ci riporta a modelli lisippei”.
Dopo i bombardamenti del 1944, l’area del santuario di Giunone Sospita venne occupata dai molti sfollati e continuò il degrado; soltanto nel 1980 un intervento della Provincia di Roma portò al consolidamento e al restauro del secondo terrazzamento del santuario. Il complesso sacro, in effetti, era concepito su più terrazzamenti, sul modello dei santuari ellenistici del Lazio (ricordiamo quello della Fortuna Primigenia a Palestrina, di Ercole Vincitore a Tivoli, di Giove Anxur a Terracina).
Nel 2012 è ripresa una serie di indagini archeologiche, sotto la direzione di Luca Attenni e la supervisione scientifica della SABAP, sul versante occidentale del santuario, indagini che hanno portato al ritrovamento di alcuni ambienti con pavimento musivo di età augustea e di una serie di strutture di età medio-repubblicana, solo in parte scavate da lord Savile Lumley, mentre con un successivo finanziamento da parte della Regione Lazio si è proceduto a un consolidamento del portico e dei nuovi ritrovamenti. Questo ha permesso nel 2014 l’istituzione del Parco archeologico del santuario di Giunone Sospita.
Sappiamo che la dea nella statuaria e nelle coniazioni monetarie era raffigurata con una lancia nella mano destra, uno scudo bilobato nella sinistra e una pelle caprina sulla testa, ed è forse da questa “lana” caprina che potrebbe derivare il nome della città.
Ma, oltre ad essere venerata nel suo aspetto matronale e guerriero, la dea “salvatrice” era legata anche al culto di un serpente (animale ctonio e oracolare associato a diverse dee madri), allevato nel suo santuario in una grotta, dove annualmente si svolgeva un rito consistente nell’offerta di focacce dalle mani di fanciulle vergini. Se il serpente rifiutava l’offerta, il fatto era di cattivo auspicio e la fanciulla, ritenuta impura, veniva punita secondo la legge.
Ecco, in particolare, ciò che racconta Properzio:
Lanuvium annosi vetus est tutela draconis, / hic, ubi tam rarae non perit hora morae, / qua sacer abripitur caeco descensus hiatu, / qua penetrat virgo (tale iter omne cave) / ieiuni serpentis honos, cum pabula poscit / annua et ex ima sibila torquet humo, / talia demissae pallent ad sacra puellae, / cum temere anguino creditur ore manus / ille sibi admotas a virgine corripit escas: / virginis in palmis ipsa canistra tremunt / si fuerint castae, redeunt in colla parentum, / clamantque agricolae ”fertilis annus erit”.
(L’antica Lanuvio è custode di un annoso serpente, qui, dove non va perduta l’ora per una tale rara sosta, dove il sacro sentiero discende in un baratro cieco, dove penetra la vergine (guardati da tutto questo percorso) per onorare il serpente a digiuno, quando richiede il pasto annuale e dalla profonda terra si ritorce sibilante. Impallidiscono le fanciulle mandate a tali sacri riti, quando temerariamente la mano è affidata alla bocca del serpente. Quello afferra i cibi offerti a lui dalla vergine: gli stessi canestri tremano nelle mani della vergine. Se sono state caste, ritornano agli abbracci dei genitori, e i contadini gridano: “l’anno sarà fertile”).
(Properzio, Elegie IV, 8, 3-11)
Nel 2012 un intervento del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e Archeologico della Guardia di Finanza, atto a contrastare l’azione di tombaroli, ha portato alla scoperta straordinaria di una stipe votiva in località Pantanacci, entro un antro naturale da identificare probabilmente con la Grotta del Serpente, di cui parlano le fonti antiche. Il costone roccioso di questa località accoglie diverse cavità naturali, attraverso le cui pareti filtrano delle acque che erano ritenute un tempo terapeutiche, ragion per cui si sarebbe sviluppato un antichissimo culto che si sarebbe poi trasmesso al santuario di Giunone Sospita. I numerosi oggetti donati vanno dal IV al III secolo a.C. e comprendono ceramiche a impasto (olle) e altre a vernice nera, alcuni esemplari miniaturistici, monete e numerosi votivi anatomici, tra cui mani, piedi, gambe, braccia, uteri, falli, mammelle, mascherine con occhi, orecchie, e soprattutto un’inedita tipologia di cavi orali, oltre a figurine intere e teste maschili e femminili.
Sono attualmente visibili in una sezione apposita del Museo Civico di Lanuvio, in parte collocati entro vetrine e in parte all’interno di una ricostruzione della grotta, che espone anche un serpente in cartapesta di grande effetto evocativo. Del resto all’interno della grotta sono stati ritrovati tre blocchi cilindrici in peperino con squame incise relativi alla scultura del grande serpente sacro.
Nica FIORI Roma 17 Settembre 2023