di Rosario DAIDONE
LE STUFE DI MAIOLICA DEL DUCA DI SPERLINGA PER IL VICERE’ DI SICILIA
Al visitatore che, mosso da interesse per la ceramica antica, per diletto o motivazioni culturali, si reca nella Casa-Museo “Le Stanze al Genio” di Palermo, non può sfuggire la presenza di un manufatto di eccezionale fattura; trattasi di Stufa di proprietà del Museo delle Maioliche “Stanze al Genio” sito in via Garibaldi 11 a Palermo, identificata e sottoposta a vincolo con Decreto dell’Assessorato BB. CC. e IS. di Palermo, con relazione storica-artistica dalla Dott.ssa Maria Reginella della Soprintendenza dei Beni Culturali di Palermo.
Il manufatto, come gli altri presenti in altri musei isolani sono opera di mastro Calogero Pecora, autore di diverse altre stufe, di pavimenti decorati, di vasi da giardino, di profumiere e di numerosi serviti dipinti a “terzo fuoco” di cui sono pervenuti alcuni esemplari con le iniziali del Duca di Sperlinga dipinte nel cavetto dei piatti e nelle zuppiere, custoditi nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis. (FOTO N° 1)
Una fabbrica della seconda metà del Settecento eccezionalmente dotata di numerosi documenti e dei disegni preparatori di alcune opere. (1) (FOTO N° 2 )
Per conoscere la personalità del vasaio occorre sapere che, consapevole del suo valore creativo, egli si era ribellato nel 1773 con risentita supplica al viceré contro il console degli “stazzonari” il quale pretendeva di arruolarlo nella maestranza dei semplici lavoratori dell’argilla. Era effettivamente un atto di prepotente sottovalutazione del lavoro creativo confondere con i figuli generici un maestro capace di creare con “arte d’ingegno e di penna” maioliche d’ogni sorta” (2); un’artista che dal 1767 era al servizio esclusivo del Duca di Sperlinga, Francesco Oneto e Morreale, suo generoso mecenate.
Erano gli anni in cui il Duca, lontano dalla mentalità passatista del padre, aveva frequentato la Corte di Napoli, era vissuto a Parigi, si faceva persino arrivare dalla Francia le tabacchiere d’oro smaltate di Limoges e si accingeva a trasformare in una villa con non poche pretese la vecchia casena di Malaspina circondata da un’enorme estensione di terreno che dalla sede dell’odierno Carcere Minorile arrivava sino alla Villa Sperlinga ormai inglobata nella città, verde residuato della sua proprietà. Tanto grande era la tenuta di famiglia da potere affittare le parti periferiche a un pastore con l’obbligo di non disturbare il rientro delle quaglie alle quali il Duca, appassionato venatore, aveva annualmente il vezzo di dare la caccia.
Francesco Oneto che, per controllare l’andamento dei lavori arrivava puntualmente a Malaspina dalla residenza palermitana del padre, Giuseppe, nel palazzo posto all’inizio della Via Bandiera, aveva in mente di arredare, con ricercata eleganza, buona parte del terreno vicino alla villa in allestimento con fontane, statue e centinaia di enormi vasi da giardino di maiolica rigorosamente di colore blu posti su piedistalli fabbricati col beneplacito dell’architetto Venanzio Marvuglia, direttore dei lavori della costruzione. Per le decorazioni murali degli ambienti di cui fa parte il grande stemma del suo casato che ancor oggi si vede dipinto sul soffitto degli uffici giudiziari del Carcere Minorile erano stati reclutati i frescanti in voga come Benedetto Cotardi, Andrea Furlotti e Aloisio Borremans, figlio del noto pittore Fiammingo Guglielmo. (FOTO N° 3)
Il vasaio, che era stato alloggiato con la famiglia in alcune casupole e in un laboratorio attiguo alla casena provvisto di una fornace che il Duca aveva appositamente fatta costruire, era impegnato nella fabbricazione dei pavimenti istoriati per la villa e di centinaia di vasi di enormi dimensioni di colore blu, arricchiti di ornamenti rocaille a rilievo lavorati a stecca, simili alla coppia che oggi si trova nelle nicchie dell’androne del Palazzo Francavilla, già di proprietà Oneto, in via Ruggiero Settimo. (FOTO N° 4) Nel novembre del 1776 il Duca aveva ordinato al suo vasaio diverse stufe di maiolica non soltanto di colore blu.
Ma una “stufiglia” di straordinaria fattura doveva essere quella che desiderava possedere il viceré sia per le dimensioni che per il colore diverso dalle cinque piccole blu che al vasaio erano state pagate in tutto 37 once e 15 tarì.
In una delle sue visite al Palazzo dei Normanni, forse per impetrare la liberazione del suo vasaio dalla galera a Favignana, reo di aver picchiato in stato di ubriachezza la moglie, aveva visto nascere nel suo potente amico il desiderio di avere una grande stufa di colore amaranto, una particolare tonalità di rosso ottenuto con mescolanza di colori primari. La premurosa disponibilità di Francesco Oneto si sostanziava nell’ordine immediato di allestirla dato a Calogero Pecora, liberato dal carcere per ordine del Vicerè che altre “cortesie” al Duca aveva probabilmente fatto o si accingeva a fare.
La stufa doveva essere di singolare bellezza e imponenza adatta a riscaldare il quartiere destinato ai novelli sposi, il primogenito del Colonna e Cecilia Ruffo della Bagnara, attesi a Palermo con ansia dagli aristocratici che a gara intendevano onorarli di doni nuziali e feste da ballo che anche il padre del Duca avrebbe organizzato nel suo palazzo di via Bandiera. Una stufa da centro a quattro facce che prendesse a modello, nell’architettura, negli ornamenti e nell’originale colore dello smalto il camino del principe di Campofranco presente nel suo palazzo in Piazza Croce dei Vespri allora abitato da Emanuele Lucchesi Palli.
La stufiglia doveva essere di forma circolare dentro la quale ospitare una
“controstufiglia liscia pertusata” tutta di creta composta con gorgiolo, con suo coperchio trafurato e smaltato”
e, fatto di non poca rilevanza, doveva assolutamente piacere al Vicerè rimasto insoddisfatto delle piccole stufe che aveva prima ricevuto in dono non idonee a riscaldare i grandi ambienti del Palazzo.
Alla stipula del contratto, davanti al notaio Antonino Lo Cicero, per l’allestimento della stufa venne assegnata a Mastro Calogero Pecora l’enorme cifra di 45 onze e un congruo anticipo di 35 col patto che l’opera doveva essere completata entro il mese di gennaio del 1778. Come regalia e incoraggiamento il Duca consentiva inoltre al vasaio l’uso gratuito, fino al mese di agosto del 1778, delle tre camere delle “casuncule” di Malaspina per svolgere il suo lavoro e tutto il pianterreno dove egli abitava con la famiglia.
Un costo esorbitante se si tiene conto che il salario d’un muratore era in quel periodo di 5 tarì al giorno e che un’onza era formata da 30 tarì. Una cifra non paragonabile a quella pagata per le cinque piccole stufe di colore blu già consegnate; un’esagerata caparra e un trattamento di favore che dimostrano quanto Francesco Oneto tenesse all’opera per non deludere ancora una volta le aspettative del potente amico che per sospettabili motivi non poteva essere deluso. Pecora avrebbe dovuto realizzare l’opera secondo il disegno da lui fatto col patto che se non fosse piaciuta al principe di Sonnino che aveva già esaminato il progetto o fosse ad esso difforme, doveva tenersela restituendo l’anticipo ricevuto. (3)
Il vicerè Marcantonio Colonna, rispetto al suo predecessore, era effettivamente uomo di cultura e di gusti raffinati; nei suoi anni di permanenza in Sicilia, dal 1774 al 1780, aveva fatto trasferire in un ampio locale la biblioteca pubblica della città; aveva fatto costruire il giardino della Villa Giulia (il nome della moglie) e si era interessato all’ istituzione di collegi per l’educazione dei giovani di ambedue i sessi fruibili da ogni classe sociale. Ma essendo noto il costo della stufa a lui destinata ed evidenti le premure del Duca, il dono potrebbe essere legato ad oscure vicende di un sottinteso contraccambio sulle quali la storiografia potrebbe trovare fertile terreno d’indagine come testimonianza di un fenomeno clientelare che oggi puntualmente si ripete. (FOTO N° 5)
Mastro Calogero, a causa delle numerose difficoltà che offriva la realizzazione dell’opera, non fu puntuale nella consegna tanto che, passati i mesi di gennaio e febbraio, probabilmente impiegati in numerose prove per ottenere il ricercato colore amaranto desiderato, l’11 aprile del 1778 era costretto dal Duca a rinnovare, davanti allo stesso notaio, l’impegno preso e consegnare l’opera perentoriamente entro il mese di maggio. Non sappiamo se la data di scadenza fu questa volta rispettata, ma attraverso un computo finale, prima della chiusura dell’atelier di Malaspina si sa che nell’ottobre del 1779 la meravigliosa stufa riscaldava l’appartamento del vicerè.
Francesco Oneto moriva nel 1780, lo stesso anno in cui Il Colonna era richiamato a Napoli. In seguito alla scomparsa del mecenate e alla conseguente chiusura di Malaspina, Calogero Pecora si industriava per aprire una sua officina a Sant’Erasmo e andava ad abitare con la famiglia in una casa d’affitto vicino al convento di Sant’Antonino fuori le mura della città.
Dal 1782 al 1784 (4) i documenti lo trovano impegnato a fabbricare alcune centinaia di “grastoni di creta” con l’aggiunta di “fiori coloriti” per Tommaso Celestri e Grimaldi, cognato del Duca di Sperlinga di cui evidentemente egli non condivideva del tutto i gusti. Tra gli impegni del periodo un pavimento realizzato nel 1786 si trova ancora intatto nella sede della Compagnia della Pace costruita sulle mura della città. (5) (FOTO N° 6 )
La carriera artistica di Calogero Pecora si concludeva nella “Fabbrica Nuova” del Barone Malvica prima dell’apertura dell’Opificio della Rocca che, secondo Luigi Maiorca Mortillaro, autore delle prime notizie scritte sulla fabbrica dell’avo, si servì dei disegni e delle maestranze provenienti da Malaspina dove alcuni lavoranti napoletani erano stati reclutati per aiutare allora mastro Calogero. (6)
Tra le opere di grande impegno realizzate dal vasaio, una grande profumiera, acquistata dalla Galleria Regionale della Sicilia, fu esposta con molte altre opere di Sperlinga e Malvica e pubblicata nel Catalogo della Mostra “Terzo Fuoco a Palermo” organizzata a Palazzo Abatellis dal 12 aprile al 29 giugno del 1997. (7)
La profumiera, alta 72 centimetri, che faceva parte di una coppia già in possesso dei principi di Valdina, testimonia del talento del Pecora. Essa poggia su una base quadrata con perline a rilievo e termina con un motivo a traforo da cui si protendono due teste d’ariete modellate e rifinite a stecca. Il coperchio a cupola termina con un pinnacolo modellato a tutto tondo. La decorazione principale, anticipazione di gusto neoclassico, è costituita da una scena allegorica del continente europeo eseguita a bassorilievo. Il vecchio continente è iconograficamente rappresentato attraverso il mito di Europa commisto ad altri elementi di natura mitologica riferiti alle sue coordinate geografiche.
Alla destra della scena la figura maschile in abiti da cosacco e turbante che trattiene una scimmia indica simbolicamente l’Oriente europeo. A sinistra, unica presenza dinamica dell’intera rappresentazione, un cane, simbolo della costellazione omonima congiunta in primavera a quella del toro, rappresenta, in senso siderale, ancora l’Occidente. Il gruppo allegorico del pinnacolo sul coperchio, formato da due sirene dorate a freddo che reggono un’enorme buccìna, simbolo della seduzione del loro canto, hanno un chiaro riferimento alla Sicilia dove queste mitiche creature del mare risiedevano. il tema fu probabilmente suggerito a mastro Calogero dall’architetto Venanzio Marvuglia, appassionato studioso del mondo classico, (FOTO N° 7 e 7 bis)
Fatte le debite distinzioni tra le profumiere da porre su mobili di ricercata ebanisteria e una stufa da poggiare sul pavimento come quella bianca completa del piedistallo di legno e metallo, alta 54 centimetri allestita negli stessi anni da Calogero Pecora e oggi custodita nel Museo Duca di Martina di Napoli, (FOTO N° 8).
La piccola stufa della Casa-Museo è accomunata alla profumiera dalla profonda tonalità dello smalto blu e dalle dorature a freddo. Ma essendo assai diverso l’impegno artistico riversato dal vasaio nelle due opere, la sua fortunata scoperta può essere considerata in funzione di battistrada al ritrovamento della grande stufa di colore amaranto notevole testimonianza archivistica per un’opera di maiolica del Settecento di cui non si conoscono esemplari simili in tutta Europa.
Rosario DAIDONE Palermo 10 Dicembre 2023
NOTE
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I documenti, frutto delle ricerche nell’Archivio di Stato di Palermo di Rosario Daidone, sono stati trascritti e pubblicati nel Catalogo della Mostra “Terzo Fuoco a Palermo” allestita nella Galleria Regionale della Sicilia nel 1997 a cura di Luciana Arbace e Rosario Daidone; i disegni preparatori sono stati rinvenuti da Gabriele Arezzo di Trifiletti e si trovano oggi nella Biblioteca Nazionale di Palermo.
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Provviste Vol. 806°. 1773-74, f. 212
3) ASP, Notaio A. Lo Cicero, Vol. 11006, f. 837, 2 novembre 1776
4) ASP. Not. Lorenzo Generale, volumi 6512-6514)
5) (cfr. C. G. Li Chiavi (a cura di) Pax Vobis La Compagnia della Pace e la Chiesa di Santa Venera a Palermo, pdf
6) L. Majorca Mortillaro, Terrecotte stagnate e maioliche della fabbrica Sperlinga esistita a Malaspina (Palermo) dal 1761 al 1780; Palermo
7) L. Arbace e R. Daidone (a cura di) Terzo Fuoco a Palermo 1760-825. Ceramiche di Sperlinga e Malvica; Palermo 1997 A. Lombardi ed.
DIDASCALIE DELLE IMMAGINI
N° 1 Calogero Pecora, Fabbrica del Duca di Sperlinga, Stufa di maiolica di colore blu cobalto con dorature a freddo; 1776 ca. Casa-Museo “Stanze al Genio” Palermo
N° 2 Calogero Pecora, fruttiera con iniziali del duca di Sperlinga
N° 3 Calogero Pecora, disegno preparatorio di una profumiera, Biblioteca Nazionale di Palermo e la sua realizzazione.
N° 4 Andrea Furlotta e Benedetto Cotardi, Stemma dipinto nel soffitto dello scalone nel Carcere Minorile, ex Villa del Duca di Sperlinga, quartiere di Malaspina, Palermo
N° 5 Calogero Pecora, uno dei due “vasoni” che si trovano nelle nicchie dell’androne del Palazzo Francavilla sulla via Ruggiero Settimo e si affaccia su Piazza Verdi di fronte al Teatro Massimo. Ex residenza fuori le mura della famiglia Sperlinga.
N° 6 Giuseppe Pascaletti (Fiumefreddo Bruzio, 24 febbraio 1699 – Napoli, 30 agosto 1757) Ritratto di Marcantonio Colonna, III Principe di Sonnino, Vicerè di Sicilia dal 1774 al 1780. Museo Correale di Terranova, Sorrento
N° 7 decorazione centrale del pavimento della Compagnia della Pace
N° 8 Calogero Pecora, Profumiera di maiolica blu di cobalto con dorature a freddo; (una di una coppia) h. cm. 72 ex Coll. Valdina; Galleria Regionale della Sicilia, acquisita dal mercato antiquario per segnalazione dello scrivente.
N° 9 Calogero Pecora, Stufa di maiolica a smalto bianco completa di piedistallo in legno e metallo, h. cm. 54; Napoli, Museo Duca di Martina, inv. 1484
DOCUMENTI
ASP. Not. A. Lo Cicero, Vol. 11008, f. 1074, Agosto 1777