di Claudio LISTANTI
Il 2020 della prestigiosa istituzione musicale romana è partito con il notevole successo di due concerti. Il virtuoso di mandolino Avi Avital con gli Archi di Santa Cecilia diretti da Luigi Piovano ed un’ottima esecuzione di Die Schöpfung di Haydn diretta da Manfred Honeck con una valida compagnia di canto. Da segnalare l’ottima prova del coro.
E’ quindi partito sotto i migliori auspici il 2020 ‘musicale’ dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con due applauditissimi concerti molto apprezzati dal pubblico romano che è convenuto numeroso presso l’Auditorium Parco della Musica confermando così quel ‘feeling’ che lo lega a doppio filo con una delle più importanti istituzioni musicali della capitale.
Il primo dei due concerti, inserito nella Stagione da Camera ed eseguito presso la Sala Sinopoli mercoledì 8 gennaio, ha confermato tutte le aspettative che conteneva stimolando gli appassionati all’ascolto di quanto previsto dal programma. Gli elementi di attrazione erano due: la presenza dell’israeliano Avi Avital, solista di mandolino tra i più apprezzati al mondo ed il contributo all’esecuzione degli Archi di Santa Cecilia il complesso ‘specialistico’ formato da strumentisti dell’Orchestra Sinfonica dell’Istituzione romana guidati da Luigi Piovano, eccellente primo violoncello della già citata orchestra.
Il programma presentato si è rivelato del tutto funzionale ad esaltare le caratteristiche e la specializzazione degli interpreti chiamati ad eseguirlo. Il concerto era diviso in due parti ideali. La prima espressamente dedicata al mandolino ed immaginata come un piccolo ‘percorso’ esecutivo utile a comprendere le peculiarità di questo strumento, troppo spesso associato a composizioni di carattere popolare mentre, in realtà, è stato utilizzato dai grandi della Musica soprattutto nel campo dell’Opera. A dimostrazione di ciò basti pensare agli illustri esempi del Barbiere di Siviglia di Paisiello e di Mozart con la splendida ‘serenata’ di Don Giovanni a Donna Elvira. Tra i grandi musicisti di tutti i tempi c’è anche Antonio Vivaldi che utilizzò le sonorità del mandolino per alcune delle sue composizioni con parte solistica.
Come è noto le opere del musicista veneziano iniziarono a diffondersi e a divenire popolari solo dalla prima metà dello scorso secolo ma oggi, con il suo repertorio praticamente recuperato in toto, questo tipo di composizioni sono eseguite ed apprezzate. Per questa occasione ‘ceciliana’ abbiamo potuto ammirarne alcune. Innanzi tutto quella più famosa, il Concerto in do maggiore RV 425 per mandolino, orchestra d’archi e basso continuo che pone in evidenza uno strepitoso dialogo tra le sonorità ‘asciutte’ del mandolino e l’onomatopeico pizzicato degli archi per una fusione sonora di incontrastato fascino. Poi il Concerto in re maggiore RV 93 per mandolino, orchestra d’archi e basso continuo, originariamente concepito per liuto le cui sonorità ‘acute’ ne limitano un tantino la cantabilità ma ne lasciano intatto il fascino d’ascolto.
Accanto a queste composizioni una trascrizione da un capolavoro di Johann Sebastian Bach, il Concerto Italiano BWV 971 rielaborato per mandolino e archi da Antonio Piovano ed espressamente dedicato sia allo stesso Avi Avital che agli Archi di Santa Cecilia ed al suo direttore Luigi Piovano. Tante volte si discute sull’utilità, o meno, di operazioni come queste e quindi non ci schieriamo ma possiamo senz’altro dire che quanto ascoltato ha lasciato inalterata la percezione delle volute e dei virtuosismi dell’originale per clavicembalo.
Altra peculiarità di questa parte del concerto è stata il modello di mandolino utilizzato per l’esecuzione. Come sapientemente illustrato dal musicista e musicologo Lorenzo Tozzi nel saggio contenuto nel programma di sala, del mandolino se ne conoscono molti modelli. Tra questi quelli principali sono di due tipi: quello ‘napoletano’ (Fig. 3) riconoscibile per la cassa armonica bombata e quello di tipo ‘lombardo’ dalla cassa armonica piatta, sul tipo di quella della chitarra. E’ questa una evoluzione del mandolino, una sorta di stato intermedio tra il classico ed il contemporaneo. (Fig. 4) ll timbro rimane pressoché intatto rispetto a quello del mandolino napoletano favorendo però una sonorità più asciutta.
Tali caratteristiche sono state ideali per la valorizzazione dell’esecuzione ascoltata che ha esaltato i virtuosismi e la musicalità di Avi Avital applaudito al lungo dal pubblico al termine della prima parte al quale è stato offerto un bis speciale, sempre di origine vivaldiana, il Largo dal Concerto per flautino dolce.
La seconda parte era composta da due brani per piccola orchestra d’archi, entrambi ideali per comprendere le qualità della formazione creata all’interno dell’Accademia di Santa Cecilia per esplorare questo specifico repertorio. Le Antiche arie e danze per liuto: Terza Suite di Ottorino Respighi un brano dal quale traspare con indiscussa evidenza l’abilità di straordinario orchestratore del compositore bolognese. Poi il Concerto per archi di Nino Rota caratterizzato da una raffinata invenzione musicale che si traduce in una trascinante ricchezza e brillantezza dei suoni.
Luigi Piavano ha diretto tutto il concerto con la necessaria ‘autorità’ per regalarci una interpretazione piuttosto densa ed affascinante agevolata certamente dalla sua lunga esperienza di strumentista che la sua bacchetta riesce a trasmettere a tutti i componenti degli Archi di Santa Cecilia e renderli formazione di indiscusso valore. Anche al termine del concerto numerosi applausi e chiamate al proscenio; Piovano ha ringraziato con un altro bramo elegante e ben augurale per questo 2020 che si è da poco aperto: il Pizzicato-Polka di Johann Strauss figlio e Josef Strauss.
Il giorno successivo, giovedì 9 gennaio, il secondo concerto dell’anno, questa volta inserito nel programma della Stagione di Musica Sinfonica. Sul podio il direttore austriaco Manfred Honeck ha guidato l’Orchestra ed il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nell’esecuzione di una delle composizioni corali più importanti ed ascoltate di tutta la storia della Musica: Die Schöpfung (La Creazione) di Franz Joseph Haydn.
Molto evidentemente ispirato ai grandi affreschi corali di Georg Friedrich Händel, La Creazione è un indubbio capolavoro musicale non solo per l’impegnativa parte corale ma anche per l’altrettanto impegnativa parte orchestrale, due elementi che assieme alla cospicua parte vocale solistica costituiscono una partitura di contenuto didattico-religioso di particolare immediatezza d’ascolto vista l’efficace componente descrittiva della composizione che utilizza un testo tratto da Paradise lost di John Milton, liberamente tradotto in lingua tedesca da Gottfried van Swieten.
Nonostante le innegabili doti, questo capolavoro di Haydn risente di una certa sottovalutazione che affligge un po’ tutto il catalogo della sua opera musicale. Certo la cosa non dipende dalla critica e dalla storiografia, che colloca il musicista austriaco nel giusto, e importante, tassello nella Storia della Musica ma da un ‘vizio’ della prassi esecutiva, non solo italiana ma anche internazionale, che vede l’opera di Haydn in maniera, a nostro giudizio, superficiale riservandole un ruolo che, a volte, appare di secondo piano.
A dimostrazione di ciò, se scorriamo l’elenco delle esecuzioni di Die Schöpfung a Santa Cecilia, possiamo notare che nel corso della sua più che centenaria storia, seppur affidate a grandi direttori, non sono frequentissime. Dopo la prima del 1897 si passa al 1952 con più di mezzo secolo di ritardo mentre, negli anni a noi più vicini, grazie ad una diversa sensibilità verso simili capolavori musicali, le esecuzioni sono divenute un po’ più frequenti.
Ma finalmente è arrivata questa esecuzione del 9 gennaio che, oltre ad aver allungato la presenza del capolavoro nei concerti ceciliani, è anche risultata senza dubbio pregevole in ogni sua componente. In primis vogliamo segnalare la prestazione del Coro, da qualche mese affidato a Piero Monti, una scelta di rinnovo che sta già dando i frutti rivelandoci un ascolto dal quale risulta ben evidente una certa intesa tra esecutori e direttore che oltre ad evidenziare una continuità con la precedente guida di Ciro Visco, ci lascia immaginare un roseo futuro per questa importante compagine, utile alla piena riuscita delle diverse proposte musicali che, con passione e professionalità, l’Accademia di Santa Cecilia riesce a mettere in campo.
Buono anche il terzetto di cantanti solisti ascoltato tra i quali emergeva con decisione la bella voce del basso tedesco Tareq Nazmi interprete delle parti di Raphael e Adam assieme al soprano americano Robin Johannsen, Eva e Gabriel di buon peso vocale assieme al tenore Maximilian Schmitt convincente Uriel; a questi va aggiunto il contributo del mezzosoprano Maria Grazia Casini solista proveniente dal coro ed utilizzata per il finale.
Il direttore Manfred Honeck del quale ricordiamo il suo debutto a Santa Cecilia nel 2013, fin da allora molto stimato dal pubblico ceciliano, ha fornito una ulteriore prova di compattezza e lucidità interpretativa necessaria a mettere in risalto tutte le preziosità di questa partitura, risultando convincente nella parte descrittiva come in quella più riflessiva ed intimista.
Il pubblico convenuto numeroso presso la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica per ascoltare il concerto che, ricordiamo, gli organizzatori hanno dedicato alla figura del musicista e musicologo Roman Vlad nel centenario della nascita, ha applaudito calorosamente alla fine tutti gli interpreti testimonianza di incondizionato gradimento di quanto ascoltato.
Un successo per i due concerti dei quali abbiamo riferito che risulta ben augurale per tutta l’attività concertistica dell’Accademia che arricchirà la vita musicale romana per tutto il resto dell’anno.ì
Claudio LISTANTI Roma 12 gennaio 2020