di Claudio LISTANTI
Successo a Santa Cecilia per Marc Minkowski ed i suoi Les Musiciens du Louvre
Il nome di Marc Minkowski è tra i più conosciuti nel campo delle esecuzioni musicali dei nostri giorni, soprattutto per le sue interpretazioni del repertorio francese del periodo barocco-illuminista, affrontato con la sua ‘geniale’ creatura, Les Musiciens du Louvre, il complesso strumentale da lui stesso fondato nel 1982 a fianco del quale ha percorso la lunga strada che arriva fino ad oggi e che lascia immaginare altre importanti tappe per il futuro. (fig 1)
Nel corso di questo lungo percorso più che trentennale il loro repertorio si è progressivamente ampliato; dopo Lully, Rameau, Charpentier e Marais (solo per fare qualche esempio) si sono dedicati anche a Purcell, Haendel, Gluck per poi allargare l’orizzonte anche all’800 musicale con Mozart, Rossini, Offenbach, Verdi per giungere anche all’impressionismo di Ravel e Debussy. Anche il loro pubblico è divenuto nel corso degli anni sempre più vasto superando ben presto i confini della Francia per giungere nelle piazze più pregiate di tutta Europa: Salisburgo, Londra, Mosca, Barcellona ottenendo sempre lusinghieri successi di pubblico e di critica, affermazioni ottenute anche in campo discografico con le loro numerose registrazioni.
Tutte queste premesse sono utili per dimostrare lo spessore qualitativo contenuto nel concerto inserito dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel programma della Stagione da Camera per mercoledì 20 febbraio alla Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica al quale gli appassionati di musica romani non hanno mancato di assistere mettendo in evidenza, al termine, un incondizionato gradimento. Inoltre c’è da segnalare, anche, la validità del programma musicale proposto che conteneva composizioni di Gluck e Rameau; due musicisti sulla carta distanti temporalmente tra loro ma accomunati da una caratteristica fondamentale, quella di essere ricordati come grandi della storia della musica per aver prodotto capolavori per le rappresentazioni teatrali, sia ballettistiche che operistiche. (fig 2)
E’ opportuno ricordare che Christoph Willibald Gluck fu autore di una riforma nel campo dell’opera lirica che introdusse, nella seconda metà del ‘700, una rivoluzione del modo di proporre l’opera che poi costituisce le solide basi per la grande stagione ottocentesca di questa forma di spettacolo consistente, in sintesi, nel superamento della complessità espressiva del barocco introducendo una semplificazione dell’azione drammatica per una ‘intelligibilità’ più efficace di quanto accade sul palcoscenico in particolar modo introducendo un diverso rapporto recitativo-aria sostituendo al recitativo secco quello accompagnato limitando quella cesura netta preesistente tra i due momenti donando così grande spessore alla drammaticità dell’azione. (fig 3)
Per Jean-Philippe Rameau il discorso può sembrare diverso proprio perché valido rappresentate di un’epoca antecedente a quella di Gluck e, quindi, dai contenuti contrastanti con la riforma gluckiana. Però, le sue partiture sono molto importanti dal punto di vista teorico musicale, molto curate nell’armonia e nell’orchestrazione, una tecnica messa al sevizio del dramma e della drammaturgia per una resa teatrale particolarmente incisiva. Nello specifico il programma proposto da Marc Minkowski era di carattere squisitamente ‘antologico’, certo un limite, ma ha messo l’ascoltatore/spettatore nella condizione di avere un quadro indubbiamente esauriente della poetica musicale di questi due grandi della musica. (fig 4)
Di Gluck è stata eseguita una sorta di campionatura del balletto Don Juan ou Le Festin de Pierre, musicato su libretto di Ranieri de ‘Calzabigi ispirato all’omonima opera teatrale di Molière e coreografato dal fiorentino Gasparo Angiolini. La prima esecuzione del balletto fu presso il Theater am Kärntnertor di Vienna, il 17 ottobre del 1761 e, quindi, precede di un anno la citata ‘riforma’. Nel concerto di cui riferiamo sono stati eseguiti una decina di numeri rispetto ai 15 complessivi ma l’ascolto di quanto proposto è riuscito a mettere ben in evidenza quanto di innovativo Gluck inserì in per questo genere di spettacolo proponendo un ‘teatrale’ filo narrativo che descrive la discesa all’inferno di Don Juan che si conclude, in maniera trascendentale’ con la strepitosa ‘Danza delle furie’ che poi, secondo una ‘prassi’ del tempo, Gluck inserirà, ottenendo simili risultati espressivi in Orphée et Euridice. (fig 5)
Nella seconda parte del concerto ‘Une symphonie imaginaire’ creata dallo stesso Minkowski, operazione cha ha dato anche il titolo a tutta la serata, avente come scopo quello di realizzare un brano che metta in risalto l’abilità ‘strumentale di Rameau, il cui catalogo delle opere è praticamente composto da composizioni per il teatro, ed avere così, a posteriori, un’opera strumentale basata su brani tratti da opere come Zais, Castor et Pollux, Les Fetes d’Hebe, Dardanus, Le Temple de la Gloire, Les Boreades, La Naissance d’Osiris, Platée, Hippolyte & Aricie, Les Indes galantes per avere così una dimostrazione dell’eccellenza di questo grande musicista e strumentatore.
Ci è sembrato piuttosto avventuroso definire quanto ascoltato ‘sinfonia’
in quanto il brano non metteva in evidenza quella struttura formale caratteristica del genere sinfonia e quindi non possedeva quegli elementi di continuità necessari; si potrebbe definire una sorta di ‘miscellanea’ di brani strumentali di Rameau tratti dall’immenso catalogo ‘operistico’ dell’autore che, però, aveva certamente una validità nell’insieme soprattutto per dimostrare l’intento di Marc Minkowski, come egli stesso ha sottolineato introducendo la seconda parte del concerto, che era quello di mettere in evidenza lo spessore estetico di Rameau, ponendolo come musicista ‘cardine’ dell’intera musica francese, un personaggio che raccoglie l’eredità di Jean-Baptiste Lully per divenire il pilastro principale di quella che sarà la musica francese dell’800-900, fino a Debussy e Ravel. Una teoria che l’ascolto ha ampiamente dimostrato.
Per quanto riguarda l’esecuzione è risultata di grande spessore esecutivo con Les Musiciens du Louvre che hanno confermato tutto il loro valore grazie alla professionalità di ogni singolo componente che consente alla formazione la massima omogeneità messa a disposizione di Marc Minkowski che ne riesce a plasmare il suono amalgamandolo al meglio per ottenere tutti quei timbri e quei colori orchestrali che, assieme all’alto senso del ritmo, ne offre una prova del tutto convincente.
Citiamo la strepitosa ‘serenata’ contenuta nell’Andante Grazioso e la ‘terrificante’ e travolgente Danza delle Furie da Don Juan, brani interpretati con grande ‘teatralità’ e poi la ‘Symphonie imaginaire’ con l’Air gracieux tratta da La Naissance d’Osiris, una pastorale dallo straordinario senso meditativo espresso con la grande prova dei legni oppure il trascinante ritmo ‘onomatopeico’ de La Poule tratto dal Concert n.6 dei Six Concerts en sextour senza dimenticare il ‘terribile’ Orage da Platée con le violente sferzate dei fulmini ed il fragore dei tuoni per giungere all’apoteosi finale con la Danse de Sauvages e la Chaccone tratte da Les Indes galantes. Sono, ovviamente, esempi che vogliono dimostrare la valenza di quanto da noi ascoltato, valenza che deve essere estesa a tutti i brani della serata.
Applausi nutriti e convinti hanno salutato la fine del concerto, applausi ai quali ci associamo in pieno.
Claudio LISTANTI Roma febbraio 2019