di Claudio LISTANTI
Il Teatro Comunale di Bologna ha presentato lo scorso 26 Giugno un nuovo allestimento di Otello di Giuseppe Verdi che ha richiamato nella storica ed elegante sala del Bibbiena un foltissimo numero di spettatori e di appassionati attratti non solo dall’ascolto di uno dei massimi capolavori della Storia dell’Opera ma, anche, dalla presenza di un’ottima compagnia di canto nella quale spiccava la presenza del tenore Gregory Kunde, oltre all’allestimento scenico affidato all’attore e uomo di teatro, Gabriele Lavia, rivelatosi tradizionale e coinvolgente per tutto il pubblico.
L’Otello di Giuseppe Verdi è una delle opere più conosciute al mondo ed ogni sua rappresentazione riesce a catalizzare l’interesse e la curiosità del pubblico che aderisce sempre in larga presenza alle recite in programma come è avvenuto sempre nei teatri che ne hanno ospitato l’esecuzione e come avvenuto qui a Bologna, nonostante la caldissima domenica che, magari, poteva suggerire altri luoghi.
Questa fama è dovuta innanzitutto al posto che Otello occupa nell’ambito della produzione operistica di Giuseppe Verdi. Scritta nella piena maturità del musicista fu rappresentata la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 5 febbraio del 1887. Può essere considerata come il naturale e perfetto punto di arrivo della poetica musicale verdiana, iniziata nel 1839 e che in quasi 50 anni conobbe una costante e ragionata metamorfosi che ha condotto il teatro lirico italiano dagli alti traguardi raggiunti da Rossini e Donizetti -dove elemento essenziale era il ‘canto’ come valore assoluto al quale era affidata l’espressività di sensazioni e stati d’animo dei personaggi- per arrivare ad un modo di rappresentare l’azione in maniera del tutto funzionale fondendo i vari elementi musicali (voci, coro e orchestra) fino a raggiungere la teatralità, usando come mezzo espressivo il cosiddetto ‘declamato melodico’ geniale fusione tra canto e recitativo che consente di raggiungere una efficace teatralità.
Tutto ciò può essere considerata una sorta di rivoluzione in campo teatrale che rende la fruizione dell’opera lirica e del relativo intreccio del tutto ottimale in quanto frutto dell’amalgama tra le varie componenti che dona allo spettacolo una incontrastata unitarietà. Questa ‘rivoluzione’ nello stile compositivo verdiano si è protratta per piccoli, ma significativi, passi che hanno caratterizzato l’intero catalogo verdiano nel quale è sempre ben presente la ricerca dell’approfondimento del personaggio che diventa il fulcro della rappresentazione. Per fare qualche esempio la giovanile ‘coralità’ di opere come Nabucco e Lombardi già trova un punto di rottura con Ernani, opera che contiene importanti ‘abbozzi’ della personalità individuale; una ricerca che sarà esaltata con la cosiddetta ‘trilogia’ dei primi anni ’50 considerata primo importante punto di arrivo.
Ma l’evoluzione non si arresta. Per questo ‘progetto’ teatrale non poteva che essere Shakespeare uno dei mezzi principali per realizzarlo. Verdi già nel 1847 aveva messo in musica una tragedia del drammaturgo inglese, Macbeth, dimostrando di avere un particolare sentimento per questo genere di teatro e di essere in sintonia con lo spirito. Nella seconda parte della sua produzione operistica, quella successiva alla trilogia Rigoletto, Trovatore e Traviata, Verdi produce opere con meno frequenza ma con instancabile dedizione per portare a termine questa sua idea di teatro in musica. In questo periodo, che va dal 1855 al 1887 anno della prima di Otello, creerà solo otto opere tra le quali, alcune, scritte nella forma di Grand-Opéra, genere che in quegli anni stava esaurendo la sua spinta propulsiva ma che garantiva a Verdi la possibilità di presentare ritratti approfonditi dei personaggi storici che animano Les vêpres siciliennes del 1855 e, soprattutto, Don Carlos del 1867 opere dove il ‘declamato’ assume particolare valore espressivo. Uno stile che si ritrova anche in Aida nel 1871, opera che pur non appartenendo al Grand-Opéra può essere considerata come diretta discendente.
Dopo Aida, Verdi inizia la collaborazione con il letterato e musicista Arrigo Boito. Intellettuale appartenente a quella scuola di pensiero che va sotto il nome di Scapigliatura della quale è uno dei più eminenti rappresentanti.
La prima collaborazione tra i due artisti risale al 1862 quando Verdi compose per l’Esposizione Universale di Londra l’Inno delle Nazioni basato su un testo di Boito. Per un certo periodo le strade tra Verdi e Boito si divisero in quanto il poeta influenzato dal contenuto delle idee ‘scapigliate’ vedeva in Verdi e negli artisti contemporanei, il ‘passato’, al quale bisognava contrapporre il ‘nuovo’. I loro rapporti artistici, dopo un primo raffreddamento, furono però recuperati anche grazie allo stesso Boito che chiarì il suo punto di vista e, soprattutto, dimostrando di essere profondo estimatore dell’arte musicale verdiana.
Nel 1881 Boito mise a disposizione il suo genio per il rifacimento del Simon Boccanegra musicato del 1857 ma che non soddisfaceva appieno il gusto di Verdi. L’intervento poetico di Boito fu risolutivo ed il Simone divenne una delle opere più apprezzate di Verdi e, al contempo, tutta l’operazione fu una specie di prova definitiva per questo sodalizio artistico così importante per la Storia dell’Opera che sfociò nella stima reciproca ed anche in una profonda amicizia.
Verdi decise di mettere in musica Othello di Shakespeare una tragedia la cui tematica dimostrava di essere stimolante per i suoi contenuti drammatici. Boito incoraggiò questa iniziativa del musicista mettendosi a disposizione per risolvere i problemi scaturenti dalle necessità artistiche esposte da Verdi.
Boito adattò il testo originale per creare un libretto del tutto incentrato sulla personalità di ogni singolo personaggio riuscendo a creare un’azione che mette in risalto la metamorfosi di Otello lacerato dalla sua inesplicabile gelosia che gli travolge l’anima e i sentimenti e lo porta al tragico esito finale. Per raggiungere ciò Boito, di concerto con Verdi, rinunciò al primo atto dell’originale Othello nel quale Shakespeare narra l’antefatto che serve da introduzione a quanto accadrà in seguito, proprio per creare la necessaria drammaturgia serrata che è uno degli aspetti fondamentali di questo capolavoro.
Verdi da parte sua concepì una partitura esemplare, basata su una orchestrazione del tutto raffinata e su una linea di canto realizzata tramite quel declamato melodico, poco prima accennato, che esalta tutto lo svolgimento dell’azione. La prima di Otello ebbe esito trionfale e quel trionfo perdura anche ai nostri giorni perché Otello attrae, sempre, un pubblico numeroso ed entusiasta.
La realizzazione del Comunale di Bologna.
Iniziamo ad analizzare questo Otello del Teatro Comunale di Bologna dalla parte prettamente visiva. La realizzazione è stata affida a Gabriele Lavia, attore e uomo di teatro di lunga e provata esperienza. Occorre precisare in primis che lo spettacolo fu concepito per essere rappresentato al PalaDozza, l’importante struttura sportiva simbolo della città felsinea divenuta ultimamente una sorta di politeama. Purtroppo causa covid le recite furono bloccate qualche ora dopo la prova generale. Mal’a llestimento, se si eccettua qualche adattamento necessario per la rappresentazione in un teatro tradizionale, è rimasto nel complesso immutato.
Gabriele Lavia ha concepito uno spettacolo nel solco della tradizione teatrale soprattutto per ciò che riguarda il teatro shakesperiano, basato sulla semplicità e su un impianto scenico essenziale con ambientazione fedele al libretto. Niente tute mimetiche come qualche regista di oggi avrebbe fatto indossare al protagonista vista la sua indole guerriera. Niente interventi video, né tanto meno telecamere sul palcoscenico che ormai rendono l’opera come uno show. Niente giacche e cravatte che potevano andare bene per uno Jago o un Cassio attualizzati e niente femmina quasi pin-up come si vede spesso oggi, soluzione alla quale fortunatamente è scampata la Desdemona di questa serata.
Nella realizzazione di Lavia, che possiamo definire ispirata al Teatro Elisabettiano dell’epoca di Shakespeare, si percepisce la sua abilità di uomo di teatro che ha puntato tutto sull’azione dei tre personaggi principali (Otello Desdemona Jago) ponendo l’accento sulla loro interiorità dove spicca la tragica metamorfosi che porta Otello da uomo innamorato all’odio verso la consorte favorito dalle false notizie orchestrate dal perfido Jago. Una situazione della quale Desdemona non ne riesce a percepire gli effetti in quanto giovane donna innamorata la cui indole rifiuta, in un certo senso, le accuse di infedeltà rivolte dalla struggente gelosia di Otello che la sua semplicità di giovane sposa poco più che adolescente la porta a ritenere infondate.
La scena, come detto era molto semplice. Al centro dominava un gigantesco drappo che abbinato alle suggestioni create dall’impianto luci riusciva ad essere sfondo perfetto delle varie scene rappresentate sia per quelle d’insieme che per quelle di carattere più squisitamente intimo. Il coro era posizionato sul fondo del palcoscenico risultando pressocché invisibile ma senza perdere l’efficacia musicale. L’unica nota stonata si poteva rilevare nelle scene d’insieme, quali la tempesta che apre l’opera e il finale del terzo atto, con la presenza di alcuni figuranti collocati in una posizione ‘presepiale’, soluzione che strideva un po’ con la semplicità di impostazione della quale abbiamo prima parlato. Determinanti per la riuscita delle parti visive le scene di Alessandro Camere e i bei costumi di Andrea Viotti senza dimenticare le luci di Daniele Naldi che per uno spettacolo basato sulla ‘semplicità’ dell’insieme sono determinanti.
Per quanto riguarda la parte prettamente musicale è stata scelta una compagnia di canto di ottimo spessore interpretativo. Innanzi tutto c’è da mettere in risalto la prova di Gregory Kunde che ci ha regalato un Otello caratterizzato da una intensa ed affascinante vocalità al quale il pubblico bolognese ha dedicato un trionfo personale del tutto meritato. Il suo Otello è stato in linea con il personaggio disegnato per la serata da Gabriele Lavia. Erano ben evidenti gli spunti eroici ma anche quelli amorosi, più intimi e lirici, grazie ad una linea di canto che riesce a dare le necessarie sfumature che Verdi ha previsto per il personaggio; così come evidente è nel tenore una certa naturalezza nella frequentazione del registro grave e del registro acuto che gli ha consentito di offrire a noi spettatori una prova vibrante ed appassionata anche grazie ad una ottima pronuncia italiana.
Gregory Kunde possiede una voce che all’ascolto risulta essere molto ‘fresca’ priva di qualsiasi sforzo nelle emissioni, doti che, a nostro giudizio, sono dovute ad una particolare oculatezza nelle scelta del repertorio senza ricorrere a forzature che possano essere deleterie all’impianto vocale, elemento questo che gli ha consentito di conservare intatto nel tempo lo smalto mentre la voce si è progressivamente irrobustita nel colore. Una carriera strabiliante durante la quale ha interpretato tutti i diversi ruoli tenorili.
In questo Otello bolognese sono risultati magici e intensi momenti come ‘Dio mi potevi scagliar…’ brano che è uno dei massimi picchi raggiunti da Verdi con il ‘declamato melodico’ al quale Kunde ha saputo dare i giusti accenti così come nella parte più decisamente eroica, ‘Si pel ciel marmoreo io giuro…’ del finale secondo atto. Ma poi il momento amoroso più delicato, il duetto del finale primo, colmo di tenerezza e di intimità, assieme al finale dell’opera dove palpabile era la disperazione del personaggio quando si rende conto che la gelosia ha distrutto tutta la sua vita. Inoltre, Gregory Kunde, ha saputo rendere quella metamorfosi tormentata che porta il protagonista dai momenti gioiosi iniziali al culmine della tragedia tracciando un percorso interiore del tutto coinvolgente.
Per il tenore statunitense c’è stato un vero e proprio successo personale con ovazioni e applausi scroscianti che tutti gli spettatori in piedi gli hanno tributato.
Nelle altre due parti principali altri interpreti grande rilievo. Innanzitutto la Desdemona di Mariangela Sicilia che ci ha restituito un personaggio dall’indiscutibile afflato giovanile. In possesso di una voce chiara, adatta per questo personaggio, e soprattutto accompagnata da una non comune facilità di emissione che ha valorizzato a pieno il personaggio. Brava assieme a Kunde nel già citato duetto d’amore del primo atto, ha condotto con autorità tutta la sua grande scena dell’inizio del quarto atto nella quale ha reso molto bene l’angoscia interiore provata dal personaggio materializzatasi con le due grandi pagine de la ‘Canzone del salice’ e la seguente, tragica e commovente, ‘Ave Maria’ per una prova che, anche per lei, ha scatenato l’entusiasmo del pubblico.
Franco Vassallo ha interpretato il ruolo di Jago. In possesso di una voce di rara potenza ha forse insistito un po’ sul mettere in evidenza queste caratteristiche come nel momento principe del ‘Credo’ ma, in definitiva, ha proposto uno Jago del tutto credibile regalando al personaggio quelle caratteristiche di ‘gran burattinaio’ che la tragedia gli affida per una prova del tutto convincente.
Anche per lui un rilevante successo personale ottenuto da un pubblico, con il quale, appare di possedere con molta evidenza un particolare‘feeling’. Tutti e tre i cantanti sono stati ideali per la lettura registica di Gabriele Lavia.
Nelle altre parti il tenore Marco Miglietta ci ha dato un Cassio elegante e risoluto così come la Emilia del mezzosoprano Marina Ogii che ha assolto al difficile compito di rendere una piccola parte che però nel quarto atto assume una importante statura vocale e scenica necessaria alla conclusione del dramma.
Completavano la compagnia di canto il tenore Pietro Picone efficace Roderigo, il basso Luciano Leoni un sicuro Lodovico e il basso Luca Gallo un valido Montano. Per finire la piccola parte dell’Araldo è stata affidata al basso Tong Liu proveniente dalla Scuola dell’Opera del Teatro Comunale di Bologna.
Efficaci gli interventi del Coro del Teatro Comunale di Bologna diretto da Gea Garatti Ansini.
Il direttore d’orchestra israeliano Asher Fisch ha guidato l’Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna con una certa sicurezza e cura dell’insieme dovute alla sua provata esperienza mancando però di determinazione nelle due principali scene più complesse, la tempesta iniziale con le sue suggestioni popolari e il grande concertato del finale del terzo atto al quale mancava l’evidenza dei contrasti esistenti tra i vari personaggi e la parte più squisitamente corale.
La recita alla quale abbiamo assistito (26 giugno), come già accennato, ha avuto un esito trionfale, cosa che negli ultimi lustri capita assai di rado. Un trionfo al quale ci associamo e che ci ha fatto fare un tuffo nel passato, alle grandi serate operistiche alle quali abbiamo assistito nei primi anni della nostra attività di ascoltatore iniziata, ormai, più di cinquanta anni fa.
Claudio LISTANTI Bologna 3 Luglio 2022