Grande successo a Roma per il ritorno dopo 53 anni de “L’Angelo di fuoco” di Prokof’ef.

di Claudio LISTANTI

Edizione molto riuscita per la parte visiva di Emma Dante e per quella musicale guidata da Alejo Pérez. Di rilevo l’interpretazione vocale di Ewa Vesin.

E’ stato recentemente rappresentato al Teatro dell’Operadi Roma il capolavoro di Sergeji Prokof’ef  Ognenny Angel op.37 (L’Angelo di Fuoco) che è tornato sul prestigioso palcoscenico del teatro romano dopo più di 50 anni. La precedente edizione risale, infatti, al 22 aprile del 1966 grazie al direttore Bruno Bartoletti, vero specialista per questo genere di repertorio per una serie di rappresentazioni eseguite nella traduzione italiana con il contributo, nelle parti principali, di Floriana Cavalli (Renata), Renato Cesari (Ruprecht)

Fig 1 Il compositore Sergeji Prokof’ef in una foto del 1918.

Un’opera, quindi, poco rappresentata a Roma anche se la scarsità di rappresentazioni non colpisce solamente il mondo musicale della capitale ma è un fenomeno che si è registrato un po’ ovunque, sia in Italia che a livello europeo ed internazionale. Tale ‘status’, oltre che dovuto alla particolarità del soggetto e alla conseguente difficoltà di realizzarlo con efficacia, è la conseguenza anche della travagliata gestazione dell’opera che ha coperto un periodo piuttosto ampio della vita del compositore russo e del derivante dibattito nato già negli Stati Uniti dove Prokof’ef incontrò gli intellettuali restii ad innovazioni musicali e proseguito poi in Unione Sovietica per le ben note posizioni in tema di estetica artistica e musicale da parte dei responsabili culturali e dell’ideologia imperante in quel paese. Il tutto contribuì ad assegnare a L’angelo di fuoco una sorta di sortilegio (per rimanere nel tema dell’opera) che ha emanato forze negative influenti al punto di costringere Prokof’ef stesso a non realizzare il suo sogno di vederla in scena dato ch la prima rappresentazione fu eseguita postuma a quasi trent’anni dal suo completamento.

Fu lo stesso Prokof’ef a produrre il libretto ispirato ad un romanzo di Valerij Brjusov nel quale si respira un pesante clima decadente e simbolista; gli abbozzi iniziali del lavoro, che si protrarrà per sette anni, risalgono al 1920, ossia all’epoca del primo soggiorno statunitense di Prokof’ev, un impegno che occupò anni di lavoro. La partitura fu terminata nel 1923 a Ettal, sulle Alpi Baveresi, ma l’autore tornò spesso sulla sua creatura modificando sia la linea vocale sia l’orchestrazione per renderla sempre più raffinata, dando particolare attenzione all’esaltazione dei timbri e del colore.

Fig 2 Il direttore d’orchestra Sergeji Kussevitzkij in una foto

Nel 1927 la partitura poteva essere considerata ultimata e Prokof’ev la sottopose a Bruno Walter, all’epoca direttore della Stadtische Operdi Berlino auspicando una esecuzione nella città tedesca per un progetto che, poi, fu interrotto. Poi la partitura andò nelle mani di un altro grande direttore, Sergeji Kussevitzkij, che in quell’epoca a Parigi era applauditissimo organizzatore dei Concerts Koussevitzky, ed inserì nel giugno del 1928, nella capitale francese, una esecuzione in forma di concerto ma limitata al solo secondo atto con la speranza di stimolare l’interesse di qualche teatro ma, senza ottenere effetti di sorta.

Questo ‘Angelo’ non prese il volo e Prokof’ev abbandonò così l’idea; alcuni temi dell’opera addirittura trasmigrarono nella Terza Sinfonia in do minore op. 44 e poi dell’opera non si parlò più fino al 1952, quando la partitura conservata a Parigi fu riscoperta e, quindi, proposta per una esecuzione integrale anche se la versione in lingua originale russa era ritenuta perduta. Il compositore però morì il 5 marzo 1953, e solo nel novembre dell’anno successivo, grazie alla Radio francese, l’opera fu eseguita  a Parigi ma sempre in forma di concerto.

Italiana è stata la prima esecuzione assoluta in forma scenica, grazie a due grandi nostri artisti: il direttore Nino Sanzogno ed il regista Giorgio Strehler. Il 14 settembre 1955 per il Teatro La Fenice in occasione dell’apertura del XVIII Festival Internazionale di Venezia, con una versione italiana di Mario Nordio diedero vita ad uno spettacolo memorabile che consenti a L’angelo di fuoco di essere apprezzato per il suo immenso valore teatrale, drammatico e musicale ed essere inserito a pieno titolo nel repertorio lirico mondiale. Nel 1977 fu rinvenuta a Londra l’edizione in lingua originale russa, recuperando così l’ultimo tassello indispensabile per una completa esecuzione di questo capolavoro. In Italia questa edizione fu eseguita nel 1994 grazie al direttore Riccardo Chailly ed al Teatro alla Scala.

Il soggetto dell’opera, ricavato come già detto da un romanzo Valerij Brjusov, giudicato da molti come angoscioso e soffocante ma anche piuttosto datato nei contenuti, offre una storia carica di simbolismi e fantasia ma anche piuttosto concettosa ed a tratti incomprensibile; è forse un ulteriore motivo per spiegare il lungo oblio che ha subito questo capolavoro musicale.

Fig 3 Goran Juric (L’inquisitore) ©Yasuko Kageyama-Opera di Roma 2018-19

Riassumerne la trama non è semplice; in una ambientazione cinquecentesca la storia si svolge in Germania e tutto è incentrato sul personaggio di Renata, una figura femminile che si muove tra realtà e fantasia mostrando una ambiguità di fondo che la colloca in una esistenza in bilico tra visioni mistiche e isteria che le fa attraversare molteplici stati d’animo provocati dalla figura di un angelo (Madiel)  che è stato determinate per la sua vita, una creatura fantastica dai risvolti a volte malefici e a volte benefici al quale si contrappone una figura reale, umana, quella di Ruprecht al quale Renata si aggrappa come ancora di salvezza ma che alimenta in lei contrasti soprattutto per l’attrazione che prova per un fantomatico personaggio che alberga nella sua mente, Heinrich, contrasti ancora più marcati e drammatici. Una doppiezza di sentimenti che rendono il personaggio di Renata ‘altalenante’ e ‘instabile’ vera e propria calamita di forti contraddizioni interiori che si manifestano anche tra le mura di un convento dove emerge sempre lo scontro interiore tra intelletto e follia, percepiti come veri atti di stregoneria che la conducono al confine tra naturale e soprannaturale e, quindi, oggetto dell’analisi dell’Inquisizione che porteranno la protagonista ad essere accusata di collegamenti con il demonio e condannata irrimediabilmente al rogo.

Un soggetto questo che agli occhi di Prokof’ef apparve sicuramente inconsueto e stimolante per la sua sensibilità di artista per il quale produsse una partitura di indiscusso pregio. Innanzi tutto c’è da ricordare la ricchezza e la varietà dell’orchestrazione, elemento caratteristico per le opere del compositore russo, che oltre agli archi prevede una nutrita presenza di legni ed ottoni, arpe ed una folta rappresentanza di percussioni comprendente anche campane, tamburo militare, tam-tam e castagnette.

La partitura presenta elementi di tradizione e di innovazione. Chiara è l’ispirazione wagneriana soprattutto per l’utilizzo di temi conduttori che identificano i singoli personaggi come ben presenti sono gli echi provenienti dal Boris di Musorgskij come i canti religiosi ed alcune scene d’insieme e perfino del Don Carlos verdiano con l’impostazione vocale dell’Inquisitore. Su queste basi c’è da porre in evidenza non solo lo straordinario declamato concepito per le parti vocali che accompagna tutto lo sviluppo dell’azione ma anche lo spiccato ‘sinfonismo’ elemento particolarmente ‘autonomo’ dimostrato dal fatto che molti temi dell’opera confluirono nella stesura della Terza Sinfonia; tutte queste caratteristiche fanno de L’angelo di fuoco un’opera tanto affascinante quanto stimolante.

Fig 4 Ewa Vesin (Renata) e Alis Bianca (Madiel) ©Yasuko Kageyama-Opera di Roma 2018-19

Lo spettacolo in scena al Teatro dell’Opera è un nuovo allestimento affidato alle cure di una delle personalità più in vista nel mondo teatrale di oggi: Emma Dante. A parte il cambiamento di ambientazione che oramai è una costante nel teatro lirico di oggi, un fatto che non fa più nemmeno notizia essendo una soluzione trita e ritrita, con il quale tutti i responsabili degli allestimenti approfittano per lasciare il segno contravvenendo così a quelle che sono le indicazioni dell’autore. In questo caso il cinquecento tedesco (ci saranno senz’altro buoni motivi se Prokof’ef ha scelto quel periodo!) è divenuto un ambiente di carattere ottocentesco con lo sfondo la Palermo della stessa Dante, in special modo la cripta dei cappuccini della scena iniziale con la quale la regista ha voluto sottolineare il senso di morte ed irrealtà che pervade l’opera. Comunque la personalità artistica di Emma Dante è risultata determinante per mettere in scena un soggetto così complicato da realizzare soprattutto per i suoi contenuti ‘fantastici’ che ne sono alla base.

Fig 5 La regista Emma Dante ed il direttore d’orchestra Alejo Pérez durante le prove de L’angelo di fuoco ©Yasuko Kageyama-Opera di Roma 2018-19

I movimenti scenici sono stati particolarmente efficaci, molto azzeccata è la scelta dei due mimi che hanno dato espressione al personaggio ‘favolistico’ de L’angelo di fuoco in continuo contrasto tra tenebre e luce, bene e male, affidati ai ritmi da breakdance di due bravissimi artisti, Alis Bianca e Yannich Lomboto, mentre l’altro personaggio puramente simbolico, il Conte Heinrich, interpretato dall’attore Ivano Picciallo, che si sovrappone nella mente di Renata all’Angelo, realizzato con le movenze del teatro dei pupi, altro omaggio alle origini culturali della regista, e la continua tensione psicologica e demoniaca che scaturisce dall’evoluzione dell’azione per finire con la splendida scena finale. Per la realizzazione della parte visiva hanno collaborato con ottimi risultati Carmine Maringola per le scene, Vanessa Sannino per i costumi, Manuela Lo Sicco per i movimenti coreografici, Cristian Zucaro per le luci e Sandro Maria Campagna come maestro d’armi per la realizzazione del duello.

Fig 6 Sergey Radchenko (Agrippa von Nettesheim) ©Yasuko Kageyama-Opera di Roma 2018-19

La parte musicale è stata guidata con sicurezza dal direttore Alejo Pérez riuscendo, con il contributo dell’Orchestra e Coro del Teatro dell’Operadi Roma, a dare spessore sonoro alla ‘complicata’ partitura nonostante si sia verificata, in qualche tratto, una poco convincente brillantezza sonora che, comunque, è emersa con forza nello splendido finale che è uno dei cardini dell’opera.

Fig 7 Maxim Paster (Mefistofele) ©Yasuko Kageyama-Opera di Roma 2018-19

Per la parte vocale il coro diretto da Roberto Gabbiani è intervenuto con la consueta efficacia e sicurezza per una parte scarsamente quantitativa ma di grande qualità musicale.  Nella compagnia di canto è emersa con forza la voce del soprano Ewa Vesin che ha dimostrato di essere a suo agio con la linea vocale ad esso imposta, voce dotata non solo per il registro acuto ma anche in quello medio grave, molto efficace nella parte squisitamente declamata, ottenendo al termine un vero e proprio successo personale.

Anche il resto della compagnia, foltissima per la numerosità delle parti previste, è risultata ideale per questo tipo di canto: Leigh Melrose è stato un efficace ed intenso Ruprecht così come l’Inquistore di Goran Jurić. Poi Mairam Sokolova Indovina, Sergey Radchenko Agrippa Di Nettesheim, Mairam Sokolova Madre Superiora, Petr Sokolov Mathias WissmanMaxim Paster Mefistofele, così come i cantanti appartenenti al progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma: Andrii Ganchuk Johann Faust/servo, Domingo Pellicola Jakob Glock, Murat Can Güvem  Medico e Timofei Baranov Padrone Della Taverna.

Fig 8 L’angelo di fuoco-Scena Finale ©Yasuko Kageyama-Opera di Roma 2018-19

Al termine della recita (26 maggio) il pubblico accorso numeroso ad assistere a questo capolavoro di non comune ascolto ha applaudito a lungo tutti gli interpreti, dimostrazione del pieno gradimento della proposta che arricchisce il ricco e valido cartellone del teatro della capitale.

Claudio LISTANTI  Roma  giugno 2019