di Claudio LISTANTI
Lo scorso 21 settembre il Teatro Regio di Torino ha inaugurato la stagione lirica 2023-2024 con una applauditissima edizione de La Juive di Fromental Halévy, titolo molto importante del genere Grand opéra, eseguito sotto la guida dell’esperta bacchetta di Daniel Oren con una compagnia di canto di grande spessore nella quale ha giganteggiato il tenore statunitense Gregory Kunde e rappresentato con una versione scenica interamente affidata a Stefano Poda.
Una scelta da condividere in quanto La Juive è senza dubbio una delle opere più celebri all’interno della storia del teatro lirico ma, purtroppo, qui in Italia molto raramente rappresentata. Inoltre con questa proposta il Teatro Regio ha voluto celebrare i cinquanta anni dalla riapertura del massimo teatro lirico torinese dopo un lunghissimo periodo di chiusura forzata.
Il Teatro Regio andò distrutto da un incendio nel 1936 ma solo nel 1973 riaprì il suo palcoscenico inserito all’interno di una struttura completamente rinnovata architettonicamente e stilisticamente, frutto dell’estetica del secondo ‘900 che, sapientemente, l’architetto Carlo Mollino seppe dare a questa sua nuova creatura.
Finalmente il 10 aprile 1973 il teatro torinese dalla lunga e gloriosa storia della quale ricordiamo la preziosa collaborazione con Arturo Toscanini che diresse una memorabile edizione de Il crepuscolo degli dei di Richard Wagner e diverse prime assolute tra le quali è indispensabile ricordare quelle delle celeberrime Manon Lescaut e La bohème di Giacomo Puccini. Per quella significativa riapertura fu scelto un altro famoso grand-opéra, I Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi che fu affidato, per la parte registica, alle cure di Maria Callas e Giuseppe Di Stefano, uno spettacolo che tutti i melomani ricordano per la realizzazione ma, anche, per il dibattito che ne scaturì dopo la prima.
Giungiamo ad oggi 2023. La scelta di un importante grand-opéra per nobilitare l’occasione è del tutto appropriata in quanto l’estetica di questo genere di opera lirica, sebbene spesso osteggiato, pone lo spettatore di fronte ad una sorta di ‘affresco’ dove convivono ambientazione e fatti storici come contrasti etici e spirituali contenuti nell’interiorità di ogni singolo personaggio; il tutto inserito all’interno di una sfavillante cornice alla quale contribuiscono, esaltandola, le varie componenti dello spettacolo, musica, canto individuale e canto corale, recitazione, scene d’insieme, danza, scene e costumi non dimenticando anche la necessaria presenza di abili maestranze per la realizzazione scenica. È una forma di spettacolo ‘kolossal’ (mutuando un termine usato per l’arte cinematografica) rivolta ad attirare l’attenzione del pubblico per stupire e coinvolgere lo spettatore.
Inoltre La Juive, che salì sulle scene torinesi per la prima volta nel 1865 fu rappresentata per l’ultima volta nel 1885 per cui l’odierna rappresentazione giunge nel capoluogo piemontese dopo 138 anni. Situazione analoga anche per il resto d’Italia dove le rappresentazioni, anche recenti, sono piuttosto rare per cui questa occasione torinese è per i melomani imperdibile per approfondire la conoscenza di questo capolavoro musicale.
La Juive fu rappresentata per la prima volta presso il Théâtre de l’Académie Royale de Musique, comunemente conosciuto come ‘Opéra’ di Parigi, il 23 febbraio 1835. Fromental Halévy musicò un libretto Eugène Scribe il drammaturgo e letterato francese vissuto tra il 1791 e il 1861 che produsse diversi libretti per i musicisti del tempo contribuendo a formare quel gusto drammatico noto come Grand opéra del quale divenne rappresentante più illustre.
La Juive fu scritta con lo schema classico per questa forma di spettacolo che tenne banco a Parigi dal 1828 con La muette de Portici di Daniele Auber per giungere fino agli anni ’70 dell’800. All’interno di questo periodo molti musicisti scrissero per Parigi. Al fianco di Giacomo Meyerbeer il musicista più significativo per il genere (L’Africaine e Le prophète) e il già citato Auber, molti altri si cimentarono nel genere. Tra questi Rossini con il suo Guillaume Tell del 1829 ma anche musicisti come Donizetti, nel 1840, con La favorite e Les Martyres e Verdi che riuscì a ‘raffinare’ questo genere rendendolo drammaturgicamente più credibile ed incisivo con Les vêpres siciliennes (1855) e Don Carlos (1867). Anche il grande Richard Wagner fu ‘contagiato’ da questo genere i cui fondamenti sono visibilmente antitetici con il suo modo di vedere l’opera, che compose Rienzi nel 1842 che a tutti gli effetti è un grand-opéra e adattando, nel 1861, per Parigi il suo Tannhäuser.
Un grand-opéra constava di cinque atti con ambientazione storica (soprattutto di carattere medioevale) anche se spesso non confortata da verità storica, con numerose spettacolari scene di insieme il cui terzo atto costituiva l’epicentro della spettacolarità con l’inserimento di balletti e pantomime. Molti cantanti famosi prestarono la loro voce per queste opere e i musicisti avendo a disposizione virtuosi di grandi esperienze scrissero parti vocali sovente molte impegnative.
Mettere in scena un grand-opéra è, come si può ben comprendere, complicato e per riuscire nell’impresa è necessario il coinvolgimento di una istituzione che ne possieda la struttura necessaria. Il Teatro Regio di Torino ha dimostrato di possedere tutto ciò ed ha offerto a noi spettatori uno spettacolo del tutto attraente e godibile.
Per parlare de La Juive è necessario iniziare dalla trama. L’azione è ambientata nel 1414 sullo sfondo del Concilio di Costanza. È il giorno di Pasqua giornata di apertura del sinodo. La folla esce dalla funzione e si scaglia conto il gioielliere ebreo Éléazar accusato di lavorare il giorno di festa; è condannato a morte e a tale scopo viene condotto in piazza assieme alla figlia Rachel. Interviene il Cardinale Brogni (unico personaggio storico dell’opera, nello specifico Jean Allarmet de Brogny) che aveva conosciuto Éléazar quando era a Roma prima di prendere i voti, dove perse la moglie e figlia in un incendio. Ordina la liberazione dei prigionieri. Entra il principe Léopold sotto le false spoglie del pittore Samuel perché innamorato di Rachel. La ragazza gli propone di partecipare alla Pasqua Ebraica presso la casa del padre. Éléazar e Rachel subiscono un’altra aggressione ma Léopold lo impedisce perché riconosciuto dal suo capo delle guardie. Rachel ha dubbi sull’identità dell’amato.
Si passa a casa del gioielliere Éléazar (Atto II). Qui si festeggia la Pasqua ebraica. Ad un certo punto arriva la principessa Eudoxie, promessa sposa di Léopold, per chiedere un gioiello come pegno di nozze. Quando esce il finto Samuel appare turbato. Congedata la principessa, Éléazar si accorge del turbamento del finto Samuel e conclude la preghiera tornando nelle sue stanze. Rachel incontra Léopold/Samuel che le confessa di essere cristiano, proponendole di fuggire con lui. Ritorna Éléazar che scopre la verità; la sua ira è placata dalle suppliche di Rachel e acconsente alle nozze. Ma Léopold rifiuta il matrimonio e fugge.
Nel terzo atto Eudoxie aspetta il gioiello da Éléazar. Arriva però una sconosciuta che chiede di essere ricevuta. È Rachel sotto mentite spoglie che ha visto l’ingresso di Samuel e chiede di farle da damigella d’onore in occasione della festa per la vittoria di Léopold. Inizia la festa. C’è Brogni, Eudoxie riceve da Éléazar il gioiello e lo dona a Léopold. Rachel si scopre e rivela la sua relazione con il finto Samuel. Ma le leggi di Costanza vietano una relazione tra ebrei e cristiani, pena la morte; Brogni ordina l’arresto di Léopold, e di Rachel e Éléazar, che difende la figlia e accusa i cristiani di essere pronti a punire solamente gli ebrei.
Il quarto atto ci porta nel carcere. Rachel incontra Eudoxie che le chiede pietà per Léopold. Rachel vuole vendicarsi ma si fa convincere dalle preghiere di Eudoxie e le promette che scagionerà l’amato a costo della sua stessa vita. Entra poi Brogni al quale Rachel comunica di morire per Léopold, rimanendo colpito vuole salvarle la vita. A tal proposito in un colloquio propone ad Éléazar la salvezza in cambio dell’abiura della religione ebraica. Éléazar rifiuta e per colpire Brogni gli rivela che a Roma ha assistito all’incendio ma che la figlia è ancora viva e che conosce il nome dell’ebreo che l’ha cresciuta. Brogni lo supplica di dire il nome. Éléazar sta per impietosirsi ma sente in lontananza le grida dei cristiani che invocano la morte dei due prigionieri e decide di non rivelare quel nome.
Nel quinto atto finale siamo sulla piazza di Costanza. La folla è radunata per assistere alla morte dei due prigionieri ebrei che verranno gettati in una caldaia contenente acqua bollente. Éléazar apprende che Léopold è stato graziato dall’Imperatore. Rachel rifiuta per l’ultima volta l’abiura e sale sul patibolo. È questo il momento della vendetta di Éléazar che rivela a Brogni la verità, indicando come sua figlia proprio Rachel mentre viene gettata nella caldaia ed è tardi per salvarla; la poi seguirà salendo al patibolo.
Dall’esposizione della trama appaiono con evidenza le peculiarità di un’opera di questo tipo e la difficoltà nel renderla scenicamente. Per questa occasione torinese la realizzazione scenica è stata affidata e Stefano Poda, uomo di teatro oggi tra i più attivi nel campo dell’opera lirica che ha già prodotto per il Teatro Regio diversi spettacoli. Come nel suo stile anche per La Juive è stato ‘dominus’ assoluto realizzando regia, coreografia, scene, costumi e luci. Questo modo di vedere una realizzazione teatrale operistica, almeno sulla carta, è da considerarsi ideale in quanto garantisce una certa omogeneità nella parte visiva. Poda ha scelto una realizzazione attenta alla spettacolarità del grand-opéra. Ha infatti concepito un allestimento scenico che occupava la totalità del vasto spazio del palcoscenico. La scelta ha dato infatti un impatto visivo di notevole efficacia.
Per quanto riguarda la chiave di lettura significative sono le parole che sovrastavano la scena “tantum religio potuit suadere malorum” (a tanto male potè indurre la religione) un motto tratto dall’opera letteraria di Lucrezio, secondo il regista adatte a mostrare la tragicità del sacrifico di Rachel che lui accosta anche al sacrificio di Ifigenia del teatro greco.
E proprio al teatro greco si ispira la sua lettura scenica sviluppando il ruolo fondamentale delle parti corali ottenendo così una efficace ‘monumentalità’ dell’insieme molto serrata e suggestiva ottenuta anche grazie all’aver rinunciato a quella banalità in atto oggi nel teatro d’opera del cambio ‘forzato’ dell’epoca di quanto rappresentato. Splendidi e curati costumi hanno fatto da cornice speciale accrescendo la spettacolarità dell’insieme che ha messo bene in luce i contrasti tra i fanatismi religiosi dei cristiani e degli ebrei.
La scena, però, risultava spesso sovraccarica di elementi scenici e simbolici che appesantivano un po’ la percezione del dramma, soprattutto nell’utilizzo di due piani scenici con quello superiore destinato al simbolismo dell’azione che irrimediabilmente distraeva lo spettatore dalla necessaria concentrazione. Anche in questo caso c’è stato l’uso continuo dei mimi, elemento questo in comune con altre odierne realizzazioni operistiche che inevitabilmente appesantiscono l’insieme risultando sovente anche fastidiosi.
Per quanto riguarda la parte musicale Daniel Oren ha offerto una direzione del tutto efficace che ha esaltato sia la monumentalità dell’opera sia i grandi valori musicali intrinseci donati da una splendida partitura che mette ben in luce le caratteristiche e le passioni di ogni singolo personaggio come la grande coralità dell’insieme che sottolinea momenti tragici come l’odio dei cristiani verso gli ebrei e quei momenti di intimità religiosa delle preghiere ebraiche.
Il direttore israeliano, come dichiarato nella conferenza-concerto che ha preceduto lo spettacolo, ravvisa in questa partitura diversi momenti della cultura religiosa del suo popolo, soprattutto rivolta a quell’angoscia derivata dalla continua avversione verso l’ebraismo, elemento che purtroppo è sempre presente e (enunciando parole che ci hanno particolarmente colpito) sta riprendendo vigore nel mondo di oggi rischiando di far piombare questo popolo, in maniera preoccupante, nel dramma e nella paura esistenziale.
La sua direzione è stata veramente esemplare trovando la giusta via di descrivere con i suoni il contrasto tra cristianità ed ebraismo elementi che sono contenuti nel capolavoro di Halévy e che il maestro è riuscito ad esaltare con efficacia. Molto curata e d’effetto l’importante parte corale e la parte destinata ai solisti vocali, elemento questo che nelle numerose interpretazioni di Oren che abbiamo ascoltato è sempre stato punto di eccellenza negli spettacoli lirici da lui guidati.
La compagnia di canto è stata ideale per questa esecuzione. Molto attesa era la prova dei cantanti scelti per le cinque parti principali che non hanno deluso le attese. Nel ruolo del titolo (La Juive/Rachel) c’era il soprano Mariangela Sicilia, una delle cantanti più in vista di oggi. La parte a lei destinata è difficilissima. Scritta per Marie-Cornélie Falcon vero fenomeno dell’epoca, famosa non solo per le qualità vocali ma anche per il suo temperamento scenico. Era un soprano drammatico in possesso di una notevole estensione nel registro basso. La Sicilia ha interpretato con intelligenza questa parte vocale, eccellendo in maniera travolgente nel registro acuto abbinando anche una certa sicurezza in quello grave mostrando un impianto vocale che in questi ultimi tempi ci sembra molto irrobustito consentendole di regalarci una Rachel del tutto credibile musicalmente e scenicamente. Nella parte di Eudoxie molto brava è stata il soprano Martina Russomanno che ha ben figurato nella parte originariamente scritta per un altro fenomeno vocale, Julie Dorus-Gras, all’epoca una delle virtuose più apprezzate a Parigi. La Russomanno ha realizzato con facilità le caratteristiche di un ruolo orientato più verso la coloratura, elemento che evidenzia il contrasto con la ‘rivale’ Rachel, mostrando di frequentare il registro acuto con tranquillità ed efficacia abbinando anch’essa una notevole presenza scenica.
Brogni era il basso Riccardo Zanellato anch’egli erede della parte di un altro importante cantante dell’epoca, Nicolas-Prosper Levasseur, noto al mondo della musica per i diversi ruoli rossiniani interpretati. La parte scritta Halévy per lui ne La Juive, da molti considerata precorritrice di alcuni ruoli verdiani, soprattutto del Verdi maturo, molto disposta verso le note gravi. Zanellato è stato come sempre elegante nel fraseggio e nella recitazione anche se in certi momenti alcune note gravi sono apparse un po’ forzate. La parte di Léopold/Samuel è stata affidata al tenore Ioan Hobea, un ruolo orientato verso il tenore leggero che il cantante ha sostenuto con una certa sicurezza.
Infine Éléazar. Era il tenore statunitense Gregory Kunde per il quale non ci sono più parole per descrivere le impressioni che scaturiscono all’ascolto delle sue interpretazioni. Anche questa parte fu scritta per un cantante ‘mitico’ dell’800, Adolphe Nourrit, grande personalità artistica che ebbe un importante ruolo anche durante la composizione de La Juive per il disegno del personaggio. Le cronache ci dicono che era famoso per la raffinatezza e l’eleganza del fraseggio, la nobiltà di dizione e la voce molto chiara ed estesa. Tutte queste doti si possono riscontrare nell’arte vocale di Gregory Kunde, doti che ci hanno consentito di poter apprezzare un Éléazar di grande spessore per la facilità delle emissioni che risultano sempre naturali e prive di sforzo anche quando si trova di fronte a passaggi poco agevoli tra i vari registri. Efficace nei recitativi e nei declamati dove riesce a dare spessore ed intelligibilità al testo letterario. Per lui uno straordinario successo personale tributato dal pubblico che ha sottolineato la sua prova in modo trionfale.
Nelle altre parti completavano con efficacia la compagnia i baritoni Gordon Bintner e Daniele Terenzi rispettivamente Ruggero e Albert, il basso Rocco Lia Araldo, il tenore Leopoldo Lo Sciuto Un ufficiale e i bassi-baritoni Lorenzo Battagion e Roberto Calamo Uomini del popolo.
Menzione particolare per il Coro del Teatro Regio diretto da Ulisse Trabacchin che ha superato a pieni voti la difficile prova. Come già accennato Daniel Oren ha diretto con la sua consueta professionalità ed entusiasmo, mettendo bene in risalto tutti i pregi di questa partitura che è il chiaro frutto dell’opera di un musicista molto apprezzato alla sua epoca anche come raffinato orchestratore. La direzione di Oren è stata del tutto entusiasmante nell’insieme anche se c’è da sottolineare che la meravigliosa ‘conchiglia’ creata da Carlo Mollino per contenere il rinnovato Teatro Regio non possiede una buona acustica (anche se nel corso degli anni sono stati effettuati interventi che hanno dato evidenti miglioramenti) che risulta piuttosto secca e asciutta che non giova ad una prova esecutiva come quelle di Oren da noi conosciute ed apprezzate.
Al termine della recita grande successo di pubblico per uno spettacolo che ha convinto con molta evidenza l’esigente pubblico torinese che ha applaudito a lungo tutti gli interpreti dedicando a Kunde una vera e propria ovazione e riservando qualche dissenso per la realizzazione scenica.
Per tutti coloro che volessero conoscere questa opera segnaliamo che sarà replicata il 26 e 28 settembre e l’1 e 3 ottobre.
Claudio LISTANTI Roma 24 Settembre 2023