di Claudio LISTANTI
La Straniera di Bellini mancava nel capoluogo toscano dal 1830.
Pregevole esecuzione guidata dall’esperienza di Fabio Luisi con la parte visiva di Mateo Zoni ed una valida compagnia di canto
Dopo il successo dell’opera Lear del compositore berlinese Aribert Reimann che ha felicemente aperto l’82^ edizione del Maggio Musicale Fiorentino, il festival musicale più longevo d’Italia, vero vanto della tradizione culturale di Firenze, un altro spettacolo ha catalizzato l’interesse degli appassionati e degli addetti ai lavori che hanno affollato la modernissima sala del Teatro del Maggio Fiorentino.
Si tratta de La Straniera di Vincenzo Bellini, un’opera senza dubbio molto valida dal punto di vista musicale e teatrale ma, purtroppo, non molto presente nei programmi delle stagioni liriche sia italiane che internazionali. Basti pensare che solo a Firenze mancava sulle scene dal 1830, anno successivo alla prima esecuzione assoluta. Tale condizione è dovuta principalmente al fatto che, con ogni probabilità, le sue qualità intrinseche non sono del tutto apprezzate.
La Straniera musicata da Vincenzo Bellini su un libretto di Felice Romani, poeta che può essere considerato vero e proprio genio per le produzioni operistiche dei primi decenni dell’800, ispirato ad un romanzo in voga a quell’epoca, L’Étrangère di Charles-Victor Prévost d’Arlincourt, un’opera letteraria che si può definire di genere ‘gotico’, una categoria letteraria che si diffuse a partire dalla seconda metà del ‘700 producendo racconti dove si fondevano elementi romantici e dell’orrore che conquistò i lettori di molti paesi europei ma in special modo quelli di origine anglosassone le cui storie trovano habitat fertile in epoca medioevale negli ‘ambienti’ caratteristici che connotano quell’epoca come castelli, prigioni, sotterranei dove nascono intrecci cupi e tenebrosi.
Felice Romani ne trasse un libretto in due atti, adatto alla struttura operistica dell’epoca proponendo una trama certamente intricata ma non priva di una certa scorrevolezza grazie alla sua abilità di librettista riesce. Protagonista è l’infelice Agnese di Merania, regina di Francia, abbandonata dal re di Francia Filippo II per sposare Isemberga costringendo Agnese a vivere sotto mentite spoglie lungo le sponde del lago di Montolino in Bretagna, insieme al fratello Leopoldo. E’ così che per tutti diviene La Straniera facendosi chiamare Alaïde, donna enigmatica della quale nessuno conosce il volto, che come un fantasma s’aggira nella foresta tenebrosa suscitando nell’animo di tutti coloro che la circondano timori e sospetti. La donna ha un fratello, Valdeburgo che è amico di Arturo promesso sposo di Isoletta una dolce ragazza del luogo; si innamora di Alaïde e sospende le nozze. Scambiando un colloquio fra fratello e sorella per un momento d’amore duella con Valdeburgo il quale rimane ferito e creduto morto omicidio del quale è accusata Alaïde.
Si va quindi a processo ed Arturovuole assumersi tutte le responsabilità; nel frattempo ritorna, risorto dalle acque del lago Valdeburgo scagionando così definitivamente Alaïde. Arturo ritorna da Isoletta e i due si avviano verso l’altare condotti per mano da Alaïde. Improvvisamente giunge una notizia imprevista: Isemberga, la moglie del re, è morta quella notte, Alaide torna ad essere Agnese di Merania, regina di Francia; non vi è più motivo di celarne l’identità. Arturo, a questa notizia, si trafigge a morte con la spada. Alaide, disperata, impreca contro il cielo e cade svenuta.
La Straniera andò in scena al Teatro alla Scala di Milano il 14 febbraio 1829; nella produzione belliniana segue di poco Il Pirata, opera che è da considerarsi il primo grande successo di Bellini che, ancor giovane di età (28 anni) dimostrò la sua genialità grazie alla quale, forse, intuì che Il Pirata fosse la chiusura di un’epoca, o di uno stile, che vedeva come capostipite un altro genio italiano, Gioacchino Rossini. Occorreva, quindi, trovare altre vie ed il libretto del Romani fu il testo ideale per mettere in atto una sorta di piccola ‘riforma’, un aggiornamento nello stile necessario per confermare il primato internazionale dell’opera lirica.
Infatti se analizziamo la struttura di questa splendida partitura scopriamo che al suo interno esistono complessivamente quattro arie, una nel primo atto e tre nel secondo atto. Alaïde ha complessivamente due arie la strabiliante entrata del primo atto, ‘Sventurato il cor’, ed il grandioso ed articolato finale dell’opera, ‘Ciel pietoso’ che si intreccia con gli interventi del coro. Nel secondo atto c’è un’aria a testa per Valdeburgo, ‘Meco tu vieni o misera’ e Isoletta ‘Ah, se non m’ami più’. Per quanto riguarda il resto dell’opera è diffuso l’uso del recitativo accompagnato che sfocia spesso in trascinanti ‘ariosi’ ma anche di pezzi d’insieme con frequenti interventi del coro che donano intensità e profondità a tutto lo sviluppo del dramma. Tutto ciò preannuncia, certo, l’appassionante, e struggente, storia di Norma che conquisterà le scene solamente due anni dopo, nel 1831, e la sua immensa e trascinante teatralità; ma se analizziamo questo nuovo modello di opera, soprattutto oggi che abbiamo ben chiaro quale è stato il cammino del teatro in musica nella storia, possiamo senza dubbio dire che Bellini è stato vero e proprio precursore della grande stagione operistica della seconda metà dell’800, e degli autori che caratterizzarono quel periodo, anche con visioni d’insieme opposte, Verdi e Wagner.
I primi interpreti de La Straniera furono tra i più importanti dell’epoca e, ovviamente, favoriti di Bellini a partire dalla prima Alaïde, il soprano francese Enrichetta Méric-Lalande per seguire con il baritono faentino Antonio Tamburini, vera stella del teatro d’opera di quel momento che diede voce a Valdeburgo per finire con il mezzosoprano ungherese Caroline Unger, famosa nella storia per essere stata prima interprete nel ruolo di contralto della Missa Solemnis e nella Nona Sinfonia di Beethoven, che diede corpo alla parte delicata e patetica di Isoletta.
Abbiamo lasciato per ultimo il tenore. Come già detto le arie de La Straniera sono quattro ma nessuna è stata assegnata al tenore. Le spiegazioni possono essere molteplici. Quella più probabile è da ricercarsi nel fatto che Bellini per questa prima assoluta non ebbe la possibilità di contare sul suo tenore prediletto, Giovanni Battista Rubini, vero fenomeno vocale, che nel 1827 fu tra i protagonisti assoluti del trionfo de Il Pirata ma in quel momento non disponibile e, quindi, Bellini fu ‘costretto’ ad affidare la parte di Arturo al tenore svizzero Domenico Reina, cantante certo emergente ma in possesso di una voce meno brillante, elemento che, secondo alcuni, costrinse Bellini ad operare questa scelta. Ma nel 1830, quando il musicista catanese preparò una nuova messa in scena de La Straniera, avendo finalmente a disposizione il Rubini, modificò la parte adattandola alla maggiore brillantezza del tenore lombardo mediante una tessitura più ardita ma senza dare al cantante un’aria propria. Quindi i motivi della mancanza dell’aria per tenore potrebbero essere anche meramente estetici.
Per quanto riguarda l’edizione attuale ascoltata a Firenze (recita del 19 maggio) possiamo senz’altro affermare che può essere considerare senza dubbio valida; non ci sono solo meriti ‘musicologici’ per la proposta di un capolavoro che immeritatamente è poco rappresentato ma anche il pregio di una valida parte musicale e scenica.
La parte prettamente visiva è stata affidata al regista Mateo Zoni, al quale va dato il merito di trovare una ambientazione del tutto simile a quella prevista dal libretto, restando al di fuori di quanto accade oggi nei teatri d’opera con la ‘moda’ di ambientare spesso le opere negli anni ’50 dello scorso secolo, scelta oramai trita e ritrita che non dà al pubblico alcun tipo di emozione. Zoni fa capire al pubblico che ci troviamo nel medioevo, circa il 1300, anche se, come lui stesso afferma nelle note di regia pubblicate nel programma di sala, i personaggi storici citati nell’opera appartengono a quasi un secolo prima. Comunque l’impianto scenico, seppur orientato verso una semplicità (forse dovuta al contenimento dei costi?) realizzato mediante l’utilizzo di elementi scenici che nell’insieme garantivano la rappresentazione di quel clima di mistero e di tragedia che sembra sempre incombere sui personaggi, regalando qualcosa all’azione con movimenti calibrati, derivati forse dalla sua esperienza cinematografica ma togliendo anche qualcosa all’elemento ambientale; pensiamo all’apertura dell’opera quando il canto del coro dovrebbe avere un effetto di ‘avvicinamento’, un effetto teatrale purtroppo neutralizzato dal coro fisso nel fondo scena. Comunque per il resto tutto piacevole anche grazie alle scene di Tonino Zera e Renzo Bellanca, ai costumi di Stefano Ciammitti ed alle luci di Daniele Ciprì dimostrando di essere un gruppo di lavoro valido e affiatato.
Per quanto riguarda la compagnia di canto è risultata compatta senza evidenziare squilibri, soprattutto in considerazione delle difficoltà vocali delle quattro parti principali. Trionfatrice della serata è stata Salome Jicia, soprano dalla voce certo non imponente ma aggraziata e musicale, molto robusta nel registro medio-grave ma che perde un po’ di smalto in quello più acuto.
Una Alaïde che è cresciuta con il progredire dell’opera fino allo struggente finale che ha interpretato con piacevole sicurezza ottenendo alla fine un vero e proprio trionfo personale. Dario Schmunck è stato un tenore molto attento al fraseggio ed all’espressione elementi specifici per la parte di Arturo; anche la sua è una voce più attenta ai registri medio-gravi trovandosi a suo agio con la parte vocale che, ricordiamo, è quella scritta per Reina avendo il teatro adottato la versione 1828.
Il mezzosoprano Laura Verrecchia ha ben caratterizzato l’anima giovanile, quasi adolescenziale, della parte di Isoletta evidenziando con efficacia il travaglio interiore di questo sfortunato personaggio. Di particolare fascino è risultata la voce del baritono Serban Vasile, un Valdeburgo coinvolgente dalla voce bronzea ma duttile, ben delineato anche scenicamente. Tutti, comunque, hanno cantato tenendo ben presente la caratterstica ‘declamatoria’ della quale abbiamo già parlato che è elemento fondamentale di questa opera.
Efficaci anche gli interpeti della altre parti; Shuxin Li (Montolino), Adriano Gramigni (Il Priore) e Dave Monaco (Osburgo). Di spessore anche la prestazione del Coro del Maggio Musicale Fiorentino, sempre ben diretto da Lorenzo Fratini, che ha integrato con grande professionale la splendida parte vocale di quest’opera.
La direzione di Fabio Luisi, musicista molto apprezzato a livello internazionale, grazia anche all’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, ha messo in evidenza una direzione molto calibrata nella dinamica dei suoni e nei tempi adottati, prestando estrema cura allo svolgimento drammatico ed all’accompagnamento dei recitativi e degli ariosi regalando all’esecuzione una soddisfacente omogeneità d’insieme basata sull’eleganza del suono e sul timbro strumentale ma togliendo, forse, un poco di quell’impeto melodico proprio di Bellini.
Il numeroso pubblico ha applaudito a lungo al termine chiamando più volte al proscenio tutti gli interpreti.
Claudio LISTANTI Firenze maggio 2019