P d L
Anna Maria Ambrosini Massari insegna Storia della critica d’arte all’Università di Urbino. Si è occupata in particolare degli artisti del territorio centro italiano e marchigiano, quali Simone Cantarini, Federico Barocci, e della scuola baroccesca, ma anche del Settecento inglese, di storiografia tra Sette e Ottocento e di collezionismo artistico. Tra i suoi numerosi lavori, va ricordata l’edizione degli scritti artistici di Federico Zeri dedicati alle Marche (Diario marchigiano, 2000) e da ultimo per le edizioni del Lavoro editoriale, L’erudito e lo scultore. Amico Ricci e Fedele Bianchini, documenti, opere e artisti fra Marche e Roma dopo Canova; ha contribuito con schede e saggi a diversi cataloghi di mostre ed ha partecipato quale relatrice ed organizzatrice a vari convegni e conferenze.
-Su Orazio Gentileschi esistono numerosi lavori di importanti studiosi (soprattutto Christiansen e Bissel tra i tanti) e tuttavia è vero che una precisa analisi sull’attività marchigiana dell’artista non c’era ancora stata prima dell’evento da lei curato insieme ad Alessandro Delpriori. Le chiedo allora innanzitutto quali sono a suo parere le cause di questi ritardi e come la mostra su Orazio Gentileschi e la pittura caravaggesca nelle Marche ha potuto colmare questa lacuna.
R: Va detto, onestamente, che ad Orazio Gentileschi sono state dedicati studi e mostre, in Italia e all’estero e una anche nelle Marche nel 2016 con una selezione delle opere marchigiane, ma mai una mostra si era potuta realizzare a Fabriano, nei luoghi dove l’artista ha lavorato, dove ha respirato un’aria tersa d’Appennino che si insinua nelle opere. Solo a Fabriano è possibile connotare l’esposizione con i contesti, in particolare le opere della Cattedrale e di San Benedetto che fanno parte del circuito espositivo. Ricerche mirate hanno inoltre preparato l’evento e numerose sono le novità e proposte della mostra che illuminano molti aspetti di una fase notevole della carriera del pittore, con un nucleo di opere consistente, dipinti e affreschi, che meritavano un focus dedicato e con il sotegno di un comitato scientifico di eccellenza, composto da Daniele Benati, Eleonora Butteri, Keith Christiansen, Giampiero Donnini, Raffaella Morselli, Gianni Papi, oltre che da me e Delpriori.
Senza dubbio realizzare una mostra con queste caratteristiche, vale a dire, di stampo specialistico, non occasionale e molto strutturata, a Fabriano, una cittadina ora al centro del mondo anche per gli eventi Unesco ma fuori dalla tradizionali rotte dei grandi centri, è molto difficile ma vale la pena a maggior ragione, perché il mestiere dello storico dell’arte è basato essenzialmente sul lavoro sui territori, come diceva Andrea Emiliani, cui è dedicata la mostra: ‘La provincia italiana, e cioè -almeno per noi che d’arte ci occupiamo- la più straordinaria riserva di conoscenza storica e artistica che si possa immaginare’ e luogo di incontro fra le scuole’.
–Sappiamo che la presenza di Caravaggio nelle Marche è documentata tra la fine dell’ottobre del 1603 e gli inizi del 1604 (il 4 gennaio risulta essere a Tolentino), e che nei depositi della Pinacoteca Comunale di Ascoli Piceno, esiste una sola opera, copia piuttosto modesta, di un dipinto a lui commissionato, vale a dire la pala di cm 220 x 150 raffigurante il Beato Isidoro Agricola; ora, dal momento che si dice che la mostra presenta “ulteriori approfondimenti del rapporto di Gentileschi con Caravaggio”, può spiegare in cosa consistono questi approfondimenti, e se hanno portato novità sul soggiorno marchigiano di Caravaggio di cui si sa curiosamente assai poco?
R: Le novità sono non tanto sul soggiorno di Caravaggio nelle Marche, che viene peraltro rimesso a fuoco con documenti e opere che ne testimoniano la fortuna, anche in mostra, ma sul tema che accompagna la mostra stessa, vale a dire la disamina per la prima volta della pittura caravaggesca nelle Marche. Oltre a ciò, il saggio di Eleonora Butteri illumina la fase fabrianese di Gentileschi con nuove proposte che cambiano alcune idee consolidate, come per esempio l’anticipo di datazione della Pala del rosario, in base a documenti che riguardano anche la costruzione dell’altare cui era destinata, in Santa Lucia dei frati predicatori. Importante, anche per la cronologia, anche il saggio di Cecilia Mazzetti di Pietralata. Ma devo dire che i contributi sono tutti di grande rilievo scientifico e innovativi.
-Non riguarda direttamente l’esposizione, però le vorrei chiedere lei che idea si è fatta circa l’eventuale originale caravaggesco raffigurante il Beato Isidoro Agricola; a suo tempo Maurizio Marini si spinse a scrivere “c’è da credere che l’originale si trovi a tutt’oggi (ignorato) in qualche convento o in qualche raccolta privata delle Marche”. Secondo lei è possibile? Le risulta che siano stati effettuati dei sondaggi a questo riguardo?
R: Abbiamo un saggio in catalogo di un giovane studioso, Matteo Procaccini, che risistema la questione chiarendone bene il profilo storico-critico, a partire dalla folgorante intuizione di Roberto Longhi su un prototipo caravaggesco che sostiene la copia di Ascoli. La sue ricerche chiariscono bene che il prototipo, senz’altro esistente e alla base di questa come di altre variazioni sul tema nella pittura caravaggesca, è disperso ma non nelle Marche, visto che è possibile seguire il dipinto nel percorso che lo portò a Brera con le spoliazioni napoleoniche del 1811 ed è possibile seguirne le vicende fino almeno al 1829 circa quando sembra sparire e forse con una alienazione illecita, che portò un gruppo di opere a Norimberga. Insomma, la vicenda risulta ora più chiara e supportata da nuovi documenti.
-La mostra presenta novità sia per quanto riguarda le opere che la documentazione riemersa, e di alcuni documenti si dice addirittura che sono “sorprendenti”; può spiegare perché e quali sono le principali novità che sono emerse.
R: Ho appena accennato qualcosa del problema relativo al dipinto di Caravaggio. Grazie a Francesca Curti, agguerrita studiosa che trasforma in oro tutto quello che tocca, abbiamo un saggio che affronta sempre in parte il problema della fantasmatica presenza di Caravaggio nelle Marche, in questo caso analizzando la figura di Pandolfo Pucci, il monsignore di Recanati che fu il primo protettore del pittore a Roma. Per lui l’artista dipingeva e mandava opere anche a Recanati e nelle Marche e anche per questi contorni del rapporto, supportati da fonti attendibili, la pala con il Riposo nel ritorno dalla fuga in Egitto, della chiesa dei cappuccini di Recanati, aveva una tradizionale attribuzione a Caravaggio dura a morire, anche se Gianni Papi ha da tempo risolto la personalità stilistica di quel pittore inserendolo in maniera inoppugnabile nel corpus del Maestro dell’incredulità di san Tommaso. La mostra, sempre grazie a Francesca Curti, rivela oggi il nome di quel Maestro, un artista di Leonessa vicino Rieti, Bartolomeo Mendozzi, allievo non per niente di Bartolomeo Manfredi e autore anche di un’altra opera in mostra, La negazione di san Pietro di Palazzo Buonaccorsi a Macerata. Ma il contributo della Curti non finisce qui. Riesaminando i rapporti di monsignor Pucci con Caravaggio, che lo chiamava ‘Monsignor insalata’ per la sua tirchieria che lo costringeva a mangiare appunto, come si sa, quasi sempre insalata, la studiosa ha riesaminato direttamente la fonte unica su questo particolare tema, il manoscritto marciano delle Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini e, rivedendo le postille, ha chiarito quanto già letto da Maurizio Marini, decifrando meglio il brano, che può oggi avere un senso compiuto, delineando con nuova precisione i primi difficili tempi romani del pittore, quando si affannava a lavorare per vari artisti e non lasciando più dubbi sul fatto che egli lavorasse anche con Tarquinio Ligustri e già attorno al 1594. Anzi, sembra che questi si infuriasse quando decise di appoggiarsi a Pucci e si allontanò da lui. Insomma, notevoli proposte documentate anche per gli esordi di Caravaggio a Roma. Non poco, direi.
-La caratteristica forse principale della mostra di Fabriano è di aver approfondito per la prima volta l’analisi su quanti -non solo Orazio Gentileschi- in questo territorio operarono nella logica del caravaggismo, ma anche relativamente a quanti (Andrea Lilio, Pomarancio, ed altri) si mossero in direzioni differenti; ecco, sarebbe interessante conoscere quali novità sono emerse a questo riguardo.
R: La prima novità è la prospettiva di ricerca. La selezione delle opere entro il tema prescelto che compone una ricca presenza di artisti della prima e seconda generazione di caravaggeschi che delineano tutte o quasi le più importanti personalità del settore: da Antiveduto Gramatica a Bartolomeo Manfredi, da Baglione a Caroselli a Vouet, fino al meraviglioso Valentin de Boulogne, cui è riservata una parete commovente, a molti altri. Novità sono di opere e documenti, e sono tante, ne ricordo qui alcune. Si è detto per la pala di Recanati, la cosiddetta Madonna dell’insalata ma abbiamo nuovi dipinti, come la pala di Angelo Caroselli individuata da Gianni Papi a Piandimeleto, nel Montefeltro, e si ripropone qui con forza l’attribuzione a Giovanni Serodine della pala di San Francesco a Matelica, straordinaria intuizione di un giovane Papi nel 1993, e che, anche con il restauro del dipinto, acquista nuova forza. Le presenze sono le più varie e talora inattese, come il riconoscimento, dovuto al giovane studioso Tommaso Borgogelli, in Cesare Fracanzano dell’autore della pala della chiesa di San Michele arcangelo a Fano tradizionalmente legata a un pittore seguace di Gentileschi. Si deve ancora a Papi la brillante attribuzione di una delle opere più belle in mostra, il San Carlo Borromeo del Municipio di Montegiorgio nel fermano, restituita a un autore raro, Antonio Carracci, qui più caravaggesco che mai. E altre sorprese verranno da opere qui esposte nella sala ‘Quesiti caravaggeschi’, con opere nuove che sono proposte di studio. Molto importante anche la revisione, ormai necessaria e dovuta, del rapporto di Gentileschi con l’unico caravaggesco marchigiano, Giovan Francesco Guerrieri, a partire, mi sia consentito dirlo, dalla bellissima sala tematica dedicata alla Maddalena, capolavoro di Gentileschi, a confronto con quella di Guerrieri dove la
priorità deve andare al secondo, non così nella due Crocifissioni e molto diversi risultano i due artisti nelle Circoncisioni anch’esse qui a confronto. Guerrieri non è certo quel pittore contadino e provinciale che parte della tradizione critica aveva delineato ma piuttosto è diversissimo dal toscano che veramente, come diceva Longhi, è ‘quasi un Bronzino fattosi caravaggesco’ e manterrà sempre un’eleganza cristallina e rarefatta dove il pittore di Fossombrone trarrà da Caravaggio la lezione più ruvida e vera, che passa senz’altro anche dall’apporto di Orazio Borgianni, come ha ben sottolineato Gianni Papi.
-Le Marche sono state un punto di riferimento importante nel corso del XVII secolo: a Fermo lavorarono Rubens e Lanfranco, a Loreto Reni e Spada e poi nel 1607 ad Ancona arriva la Circoncisione di Gentileschi (dove peraltro una giovane studiosa, Lucia Panetti, ha proposto di riconoscere il volto di Artemisia Gentileschi, all’epoca quattordicenne, tra gli angeli nelle vesti di Santa Cecilia) e poi le opere gentileschiane di Fabriano. Quale significato si può dare, da questo punto di vista, alla presenza di tanti eccezionali artisti all’opera in questi territori?
R: Su questo tema mi interrogo nel mio contributo in catalogo. Ferma restando la ricchissima presenza di opere di caravaggeschi, quale è l’effettivo lascito nella regione? Prima di tutto si cerca anche in mostra di documentare anche il riflesso degli incroci con il filone classicista e bolognese e poi si deve infine concludere che nelle Marche il registro naturalista di filiazione caravaggesca non avrà una significativa persistenza, preferendosi qui un temperato classicismo. Nonostante ciò credo che dopo questi studi si comprendano meglio anche gli esiti locali e soprattutto si possa meglio intendere la straordinaria vitalità delle regione e di Fabriano in particolare in quei tempi, con una relazione con Roma molto vitale, in cui si poneva come punto di riferimento, anche per gli artisti e il caso Gentileschi ne è prova emblematica.
-Per concludere le vorrei chiedere quali difficoltà avete dovuto superare riguardo all’allestimento, se ci sono state richieste di opere che non sono state esaudite, quale è stato il contributo delle istituzioni locali e nazionali, ed infine cosa personalmente auspica possa scaturire da questo importante evento.
R: Gli ostacoli ci sono come sempre ma devo dire che in questo particolare caso li abbiamo miracolosamente superati tutti. Voglio ricordare la collaborazione di Brera per la pala di Carlo Bononi trafugata dai francesi nel 1811 e che si trovava a Fabriano e alla fine è arrivato anche il San Francesco stigmatizzato di San Silvestro in Capite a Roma, con la caparbia e l’aiuto della Soprintendenza di Roma che ringrazio. Mi è sembrato che tutti abbiano condiviso questo progetto alla fine, ultimo tassello della serie di mostre attivate per riqualificare le aree colpite dal sisma del 2016: ‘Mostrare le Marche’. La conoscenza dei contesti ne è stata parte integrante ed è anche una missione politica, civile e culturale. Spiace che tale eventualità sia resa possibile anche dalle recenti gravi vicende sismiche e che ciò induca a ripensare le pronunciazioni profetiche di Bruno Toscano, quando, nella terza occasione di studio delle sue mitiche Ricerche in Umbria (2000) traeva un amaro bilancio della situazione e del cambiamento rispetto alle fasi di ricerche precedenti. Di come, purtroppo, siano necessari eventi catastrofici per scoprire e aiutare i luoghi minori, mentre la politica era ed è soprattutto interessata a una valorizzazione tesa a costruire un ‘museo diffuso aristocraticamente superiore’. Ma anche per questo siamo grati ai promotori, Mibac, Regione Marche, Anci Marche e agli amici tutti del Comune di Fabriano, che abbiamo sentito tutti, veramente coinvolti e appassionati.
P d L Agosto 2019