di Oleg VOSKOBOYNIKOV
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo saggio tradotto in Italiano dall’Autore Oleg VOSKOBOYNIKOV professore ordinario alla Higher School of Economics, medievista, attento lettore oltre che prestigioso amico di About Art, che rifà la storia della famosissima opera di Andrej Rublëv raffigurante la Trinità e spiega i motivi per cui l’attuale governo russo nella persona di Vladimir Putin ha deciso di trasferire l’ opera. Il saggio in originale russo è appena uscito nella Novaya Gazeta-Europa; ringraziamo la redazione e l’autore per aver concesso ad About Art questa importante occasione.
Secondo un recente annuncio sul sito web del Patriarcato di Mosca, in risposta alle numerose richieste dei fedeli ortodossi, il Presidente russo Vladimir V. Putin ha deciso di restituire alla Chiesa ortodossa russa la famosa icona della Trinità di Andrej Rublev. Con la benedizione del patriarca, l’icona sarà esposta per un anno nella Cattedrale di Cristo Salvatore per essere venerata e poi inviata alla Cattedrale della Trinità della Santa Trinità Sergius Lavra.
http://www.patriarchia.ru/db/text/6026913.html
Con questa decisione sembra esse concluso, in stile di Alessandro Magno con il nodo gordiano, il quindicennale confronto tra la Chiesa e la Galleria Tretyakov. Nel 2008, quando l’opinione pubblica veniva ancora presa in considerazione dalle autorità e poteva essere espressa, il primo tentativo della Chiesa di recuperare l’icona fallì. Il Museo e gli storici d’arte erano riusciti a difenderla. L’estate scorsa, in occasione dell’anniversario di San Sergio e in piena guerra, la Chiesa ha avuto la sua rivincita: l’icona si è recata per qualche giorno alla Laura, dove ha partecipato alle funzioni religiose ed è stata, come è giusto che sia, venerata da coloro che sono stati ammessi. Con conservatori muniti di elettronica in pattuglia giorno e notte. Questa prima operazione rischiosa si è conclusa con un danno abbastanza importante all’icona in stato di conservazione fragilissimo. Messa poi in laboratorio per settimane, i restauratori hanno fatto il loro debito intervento. Comunque una volta l’icona di nuovo esposta in sala, senza cambiamenti visibili, questo deve aver fatto sperare i vertici della Chiesa russa che l’operazione speciale di sottrarre l’immagine desiderata dalle «grinfie» dei suoi custodi avrebbe avuto successo. In questi giorni il patriarca sembra essersi espresso in modo tale che non avrebbe potuto sperare un tale « regalo » dalla parte del pio presidente, l’icona, l’abrebbe richiesta di nuovo per qualche giorno, per le festività. La verità, chi mai la saprà…
L’indignazione dell’intellighenzia, per lo più situata a distanza di sicurezza dall’epicentro dell’esplosione, ma anche a Mosca, non si è fatta attendere e le polemiche infuriano ancora oggi. Cosa è successo e cosa significa? Per capire, dobbiamo dire qualcosa sull’icona e sul suo significato storico. La «Trinità» rubleviana, pur non essendo miracolosa, come sostiene il patriarcato, ha uno status molto particolare nella storia della pittura cristiana. Recenti studi su larga scala su di essa e sul cosiddetto “Mento di Zvenigorod”, in russo Zvenigorodsky cin, esposto nella stessa sala, hanno dimostrato che appartengono a due grandi maestri diversi, di temperamento diverso. Ciò ha fatto sorgere dubbi sull’attribuzione della “Trinità” a Rublev. Oggi l’opinione comune degli specialisti accetta l’attribuzione rubleviana un pò come compromesso.
L’icona è stata dipinta (ammettiamo da Andreï) dopo 1420, quando Masaccio lavorava sulla sua «Trinità» fiorentina. Ogni icona è una teologia a colori, un dogma incarnato nell’immagine, la vita di un santo, una festa della chiesa, un’immagine di devozione. Ma la «Trinità» appartiene ai capolavori della teologia iconica: con mezzi sorprendentemente laconici rivela la complessa e paradossale dottrina ortodossa della Trinità, inseparabile e inscindibile. Prendendo spunto dal racconto veterotestamentario dell’ospitalità offerta dal patriarca Abraamo ai tre viandanti, gli angeli del Signore, Rublev ha omesso la maggior parte dei dettagli, conservando solo il motivo del pasto, con un accento sulla montagna, la quercia e la casa – attributi rispettivamente dello Spirito, del Figlio e del Padre. Il dialogo silenzioso degli angeli è costruito attraverso gli sguardi, e l’oggetto chiave di questo misterioso colloquio divino è da considerarsi la coppa sacrificale con la testa di vitello dentro. Il Figlio chiede al Padre se deve bere dal calice, il Padre, mentre benedice il calice, guarda lo Spirito Santo, trasmettendogli la sua volontà per dargli forza per l’ultima prova, la Crocifissione. Così, nell’eterno (perché privo di qualsiasi legame con l’evento concreto nel boschetto di Mamre) consiglio della Trinità, si decide il destino dell’umanità. E allo stesso tempo, questo eterno concilio si presenta come l’Eucaristia: le figure del Padre e dello Spirito Santo formano, con le loro sagome, il calice, al cui interno c’è il Figlio che va incontro alla morte.
Gli angeli di Rublev hanno volti quasi identici, ma presentano alcune sfumature espressive, difficili però da interpretare: tutti hanno un’inclinazione del capo leggermente diversa, la figura centrale è leggermente più frontale rispetto alle figure laterali, ma con l’angelo a destra l’angelo centrale si sporge chiaramente verso l’angelo seduto a sinistra, facendolo così risaltare. Nessuno dei due guarda lo spettatore, il che è altrettanto importante: lo spettatore non è invitato al dialogo diretto, anche se canonicamente tale dialogo era concepibile, e lo conosciamo ad esempio a Patmos, alla fine del XII secolo. Le ali collegano le figure, che tuttavia non si toccano, e questo espediente potrebbe essere letto anche come un riflesso del dogma dell’inseparabilità e indivisibilità della Trinità. I tre volti sono ugualmente pieni di pace divina, celeste, incrollabile, ma di calore umano, quasi terreno: tale è la “scrittura” e apparentemente lo stato d’animo di Rublev e dei pittori della sua cerchia. Anche rispetto a Teofano il Greco la differenza è evidente: basta confrontare la “Trinità” di Rublev con l’affresco di Teofano nella chiesa del Salvatore sulla via di Sant’Elia a Novgorod (1378), un’immagine di enorme potenza spirituale, ma diversa nella sua struttura emotiva.
È probabile che tutte queste virtù della «Trinità» siano state apprezzate in Russia. Ma non ne abbiamo prove sicure prima del Cinquecento inoltrato. La grande scoperta di Rublev non sembra avere avuto un impatto significativo nel mondo ortodosso: mancavano pochi decenni alla caduta di Bisanzio. Tuttavia, la sua icona, come tutta la sua arte, è prodotto – e quale! – della comune cultura ortodossa che unì alcuni slavi e greci durante l’ultimo rinascimento Paleologo del Bisanzio. Nel 1551 il cosiddetto Concilio di cento capitoli della Chiesa russa (Stoglavij), a Mosca, sancì la regola che la Trinità doveva essere dipinta alla maniera di Rublev, attestando così la correttezza della soluzione iconografica da lui scelta.
Il motivo del calice sacrificale è un fatto evidente a occhio nudo. Ha persino spinto alcuni storici dell’arte a considerare la «Trinità» come una sorta di icona eucaristica, riducendo tutto il suo significato alle pratiche liturgiche. Questo è probabilmente vero in parte, perché funzionalmente questa icona è un’immagine dell’iconostasi, cioè si presta subito all’occhio del credente, anche al momento della comunione che si effettua davanti all’iconostasi. In più, l’iconostasi russa, nella sua forma per così dir classica, si è formata proprio in quegli anni in quelle terre. Ma, come ho cercato di mostrare, si tratta di qualcosa di più. Il significato ideologico e statale della Laura e della sua icona principale ha fatto sì che Ivan IV il Terribile le desse già una copertura argentea, oklad, che nascondeva completamente agli occhi tutto il mistero appena descritto. L’oklad di Boris Godunov, conservato fino ad oggi, deve aver seguito fedelmente quello precedente. Qui l’altare, su cui si trova il calice, è trasformato in un banchetto regale, i viaggiatori biblici in ospiti vestiti da parata, la roccia (simbolo dell’ascesa spirituale) è visivamente fusa con l’albero, simbolo della Croce, la testa del vitello è rimossa dal calice e l’angelo centrale non benedice la coppa, ma un piattino e un cucchiaio. Il dialogo silenzioso degli sguardi è oscurato dal luccichio delle aureole decorate in pietra e i gesti delle mani sono semplicemente privi di significato. Fyodor Borisovich Godunov aggiunse una panaghia intorno al collo dell’angelo centrale, mentre Fyodor Mikhailovich Romanov aggiunse sontuose collane, tsaty. L’icona svolse la sua funzione liturgica in questa forma fino al 1918, subendo in più diverse ridipinture. Oggi la magnifica teca è conservata nel Museo (Riznitsa) della Lavra e nell’iconostasi della cattedrale si trova una bella copia del 1926-1928. Walter Benjamin vide l’icona ancora ricoperta nell’inverno del 1926: se si deve credere al suo «Diario di Mosca», le figure degli angeli gli ricordarono dei criminali cinesi in catene…
È chiaro che, con tutto il rispetto per l’autorità di Andrej Rublev, già nel XVI secolo pochi si interessavano alle sottigliezze teologiche della sua «Trinità». Questo non significa che l’icona fosse poco pregata o non sufficientemente venerata. Ma non ha mai avuto il carattere di un «palladium» vero e proprio, come la Salus Populi Romani o La Vergine di Vladimir. Venerazione e «lettura» non sono la stessa cosa, sia nella religione che nella ricerca scientifica. È interessante notare che i cattolici moderni se ne sono resi conto forse meglio degli storici dell’arte e certamente meglio dei greci, che non sembrano aver pensato di imitare Rublev, né prima della caduta di Costantinopoli né dopo. Un paradosso, perché l’icona incarnò anche la loro secolare ricerca sul dogma e sulla sua realizzazione nel quotidiano della fede. Oggi una riproduzione della «Trinità» rubleviana si trova facilmente nelle chiese cattoliche, anche cattedrali, spesso vicino all’altare, esposta, ovviamente, non per essere baciata o per altre forme di venerazione d’impronta orientale, ma forse come segno dell’unità tra Oriente e Occidente che molti cercano.
Che cosa significa una decisione presidenziale che va contro il parere dei curatori, basata non su un qualsiasi consenso della nuova direttrice della pinacoteca, ma sulla volontà impersonale, facilmente organizzabile nella Russia di oggi, del popolo? Qualsiasi credente sarà d’accordo sul fatto che il luogo principale di culto dell’icona è la chiesa. Ma non solo, altrimenti l’«angolo rosso» nella capanna russa dovrebbe essere abolito come fatto di cultura, come uno di quei «vincoli spirituali» di cui la propaganda del Kremlino fa la sua arma essenziale. Inoltre, migliaia di icone espropriate – ma anche restaurate! – dai bolscevichi, sono sempre esposte nei musei: non ci scandalizziamo. Anche la «Trinità» di Rublev è stata riportata in vita in condizioni museali, anche sotto i bolscevichi. Siccome prima della guerra abitavo vicino, mi sono recato spesso per rivedere, tante volte, la «Trinità» alla Galleria Tretyakov e ho sempre visto persone pregare vicino ad essa. L’accesso all’immagine in uno dei più bei musei del mio assurdo bel paese era certamente abbastanza libero, quindi la logica delle «numerose richieste dei fedeli» (probabilmente riunite da qualche parte dai servizi del Patriarcato) non mi è chiara. A quanto pare, tutti intendono visitare regolarmente la Laura, e non la galleria laica?
Il trasferimento di un’icona di questo calibro è un gesto politico di origine medievale. Tutte le principali icone miracolose della Russia hanno storie di viaggi, battaglie, pacificazioni, sofferenze inflitte dai pagani, punizioni dei disobbedienti e sconfitte per i nemici. Le icone, nel Medioevo, sono state armi vere e proprie. E purtroppo lo rimangono. Ma hanno anche trasmesso una parte del loro carisma a coloro che hanno trovato l’audacia di intervenire nella loro vita, silenziosa e pacifica, ad esempio transportandole, ammettiamo, da Vyshgorod sotto Kiev a Vladimir, da Vladimir a Mosca, come la famosa «Vergine di Vladimir». Il leader di un Paese, dove ogni chiesa è ormai obbligata a pregare per la vittoria – e non per la pace, il ché è considerato ormai crimine –, vuole ovviamente essere anche un leader religioso, capace di un passo non banale. Se Erdogan ha riportato il Museo di Santa Sofia allo status di grande moschea, non temendo di riconsiderare la decisione di Atatürk, a parte lo scandalo mondiale, non possiamo mica esser più deboli! Questa è forse la logica del Presidente. Il mistero della sua anima credente è importante pure, ma resta ben aldilà della mia analisi dei fatti.
Il ritorno della grande icona nel grembo della Chiesa, credo, è visto dall’iniziatore come una giustizia superiore, una gratitudine al patriarca per il sostegno della guerra, un pegno dell’unione indissolubile di trono e altare. Ma forse anche un gesto mistico o quasi. Nella coscienza cristiana medievale il reale potere d’azione dell’immagine di preghiera è inestricabilmente legato alla sua collocazione nello spazio ecclesiastico, performativo per la sua stessa natura. La preghiera davanti alla «Trinità» di Rublev, e non una copia moderna, è certamente più efficace nella mente di un credente. Immaginiamo ora il Consiglio di sicurezza, tutto formato di persone devote, davanti all’icona di immensa forza, nella cattedrale della Laura, vicino ai resti venerabili di san Sergio, riunito a porte chiuse per una preghiera riservatissima, quasi «aristocratica». Crème de la crème. Forse qualcosa ci sarà chiaro, e purtroppo non sono le mie fantasie: i vertici politici russi sono credenti e devoti, a modo loro. Non c’è oscurantismo, questa è la logica medievale incorporata nella storia dell’arte cristiana, e le élites al potere la conoscono molto bene. Il programma iconografico della Cattedrale delle Forze Armate di Kubinka ne è una prova eccellente. L’icona, così venerata in Occidente, deve servire la «giusta causa», ovunque le autorità la vogliano. E’ giusto una questione di ognipotenza.
L’operazione speciale senza precedenti per «salvare» la «Trinità» di Rublev dalla reticenza della Galleria Tretyakov, condotta in fretta e furia, senza rumore, come ormai si fa tutto nel Paese in guerra, è certamente scoraggiante nella sua irresponsabilità, persino nella sua disperazione. Non c’è garanzia che il danno della prima volta non accada una seconda. È possibile obbligare la Chiesa a monitorare il regime di temperatura? E chi controlla? È possibile paralizzare lo spazio della Cattedrale della Trinità esponendo l’icona non nell’iconostasi, dove dovrebbe semplicemente stare in mezzo alle altre, esposta al fumo e respiro del popolo fedele, ma in una teca sigillata, come un trofeo (il ché, purtroppo, sarebbe anche vero). Ma ci sarà accanto il reliquiario di San Sergio, veneratissimo dai pellegrini che vengono a decine di migliaia. È possibile che la Laura sia in grado di combinare questi flussi dei credenti in uno spazio di duecento metri quadri? La Chiesa ortodossa russa, naturalmente, non intende danneggiare la storia dell’antica pittura russa, è che non se ne bada del prezzo delle sue voglie. Soprattutto quando coincidono a quelle del trono. Consegnarle un tesoro mondiale, la cui conservazione è stata affidata a professionisti (tra cui alcuni miei amici), è una tipica roulette russa.
Oleg VOSKOBOYNIKOV