Händel e Rodelinda. Lo splendore della musica barocca incanta il pubblico di Santa Cecilia

di Claudio LISTANTI

Lo scorso 22 novembre la stagione di Musica da Camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia proponeva agli appassionati una esecuzione di Rodelinda di Georg Friedrich Händel che per la prima volta entrava nei concerti della prestigiosa istituzione musicale romana.

Fig. 1 Il compositore Georg Friedrich Händel in un ritratto di Thomas Hudson del 1741.

Una scelta di grande spessore, non solo per il valore di questo importante capolavoro della storia della musica che, fino ad oggi, non è stata mai eseguita nell’ambito delle stagioni concertistiche di Santa Cecilia ma anche perché ci è parso il modo migliore per festeggiare Santa Cecilia, la Patrona della Musica, che si festeggia ogni anno il 22 novembre, vergine martire molto importante per Roma, non solo perché la città le ha dedicato una delle istituzioni musicali più importanti assieme al conservatorio, ma anche perché le sue spoglie sono custodite nella chiesa a lei consacrata, la Basilica di Santa Cecilia a Trastevere, che la leggenda individua come il luogo dove sorgeva la casa della sua famiglia, uno dei luoghi di culto più importanti non solo dal punto di vista religioso ma anche di quello artistico e architettonico.

Per l’occasione gli organizzatori dell’istituzione musicale romana hanno affidato l’esecuzione ad un gruppo di musicisti tra i più in vista del momento per questo genere di musica, l’ensemble strumentale La Lira di Orfeo, un collettivo di musicisti fondato dal controtenore, musicista e musicologo Raffaele Pe, tra gli interpreti vocali della serata, un gruppo che da circa dieci anni si è reso protagonista di una operazione volta a produrre spettacoli e concerti basati sulla riproposta del vasto repertorio della tradizione ma attualizzato con la ricerca di un moderno stile esecutivo ed interpretativo.

Fig. 2 Raffaele Pe e La Lira di Orfeo. Foto Noah Shaye

Rodelinda, Regina de’ Longobardi, questo è il titolo dell’opera semplificato negli anni come Rodelinda, è un’opera in tre atti che Georg Friedrich Händel musicò sulla base di libretto di Nicola Francesco Haym, che rielaborò per le scene londinesi un omonimo testo di Antonio Salvi andato in scena nel 1710 a Pratolino, nei pressi di Firenze con la musica di Giacomo Antonio Perti, partitura andata perduta.

Händel la compose nel 1724 ma andò in scena il 13 febbraio 1725 al King’s Theatre di Londra terzo di tre capolavori consecutivi del musicista sassone, dopo Giulio Cesare e Tamerlano. Ottenne un successo travolgente grazie alla partecipazione di una compagnia di canto per l’epoca stellare, composta dal grande soprano Francesca Cuzzoni nel ruolo eponimo e dal castrato contralto Francesco Bernardi nel ruolo di Bertarido, conosciuto alle cronache, per le sue origini, come Senesino. Due grandi cantanti ai quali Händel riservò ben 14 delle 28 arie dell’opera. Al loro fianco altri grandi cantanti, punte di diamante della Royal Academy of Musica compagnia allestita da Händel a Londra per le esecuzioni delle opere di stile italiano, genere molto amato dal musicista sassone, come il castrato soprano Andrea Pacini anch’egli per le sue origini conosciuto come Il Lucchesino nella parte di Unulfo, il tenore modenese Francesco Borosini come Grimoaldo, il basso-baritono Giuseppe Maria Boschi come Garibaldo e il contralto Anna Vincenza Dotti nella parte di Eduige.

Fig. 3 Il soprano Karina Gauvin (Rodelinda) © Michael Slobodian.

Il successo ottenuto alla prima consentì a Rodelinda di essere una delle opere più eseguite alla sua epoca con numerose repliche, fatto del tutto inusuale per il teatro in musica di quegli anni. Cadde poi in disuso cadendo nell’immeritato oblio che travolse non solo Rodelinda ma anche diverse opere haendeliane e, in generale, tutto il repertorio barocco.

Solo nel XX secolo, dopo due secoli, tutto questo repertorio è stato riscoperto e Rodelinda grazie ad una esecuzione del 1920 a Göttingen proposta da Oskar Hagen, lo storico dell’arte tedesco protagonista della rinascita heandeliana del ‘900 che lo inserì nel Göttinger Händel-Festspeile, ha assunto carattere duraturo fino ad arrivare ai giorni nostri dove Rodelinda hanno un posto di primo piano nelle programmazioni dei teatri e delle sale da concerto di tutto il mondo.

Per quanto riguarda l’esecuzione ascoltata all’Auditorium Parco della Musica-Ennio Morricone dobbiamo dire che ha mostrato senza dubbio qualità musicale indiscutibile anche se, alcune scelte, sono risultate discutibili.

Fig. 4 Il contralto Giuseppina Bridelli (Eduige)© Francesco Squeglia.

Innanzi tutto la scelta della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica ha nuociuto, a nostro avviso, alla piena percezione di un simile splendore musicale. Difatti la sua vastità risulta eccessiva per un complesso non molto numeroso (circa venti strumentisti) come La Lira di Orfeo pregiudicando la percezione di quella ‘eleganza’ dei suoni che è la caratteristica peculiare di questo complesso barocco in quanto il suono in una sala come questa perde quella luminosità e quella intensità che molti appassionati conoscono ed apprezzano.

L’operazione messa in atto da Raffele Pe, curatore dell’edizione critica di Rodelinda, certamente produce una sorta di attualizzazione dello stile esecutivo ma la scelta di eseguire l’opera senza la presenza del direttore produce degli effetti non esaltanti come accade quasi sempre per esecuzioni senza direttore. Certo La Lira di Orfeo è una formazione composta da strumentisti di primo livello e si comprende molto bene all’ascolto anche se, nell’insieme, l’assenza del direttore toglie slancio a certi momenti dell’esecuzione, soprattutto nell’accompagnamento delle arie, quelle più delicate e riflessive, apparse sovente prive di smalto.

Fig. 5 Il controtenore Raffaele Pe (Bertarido). Foto Ribalta Luce Studio.

L’esecuzione prevedeva numerosi tagli, non solo quelli di una parte dei recitativi ma anche di diverse arie, soprattutto nella seconda parte della serata composta dalla conclusione del secondo atto e dal terzo atto come l’aria di Bertarido ‘Se fiera belva ha cinto’ e del duetto Rodelinda/Bertarido ‘D’ogni crudel martir’ espunto a favore della famosissima ‘Vivi tiranno’ spostata al termine dell’opera prima del coro del lieto fine finale.

Raffale Pe è un cantante dalle straordinarie doti vocali, un controtenore dalla voce piuttosto robusta lontana da quelle ‘incolori’ mostrate nel corso degli anni da questo genere di cantanti che si sono cimentati nell’arduo repertorio degli ‘evirati cantori’ settecenteschi. Pe riesce a dare spessore alle emissioni riuscendo a realizzare con un certo vigore tutti quegli abbellimenti necessari alla realizzazione della parte vocale di Bertarido con una intonazione sicura e priva di qualsiasi forzatura che rende l’ascolto piacevole e partecipato come dimostrato in tutte le arie eseguite a partire da ‘Vivi tiranno’ prima citata o, quella iniziale, ‘Dove sei amato bene’ colma di passione e struggimento.

Ci sembra, però, che abbia agito troppo ‘pro domo sua’, vale a dire centrando tutta l’esecuzione sulle sue qualità che, certo, sono indubbie e incontrovertibili. Una scelta che, a nostro giudizio, ha nuociuto un po’ all’insieme.

Il ruolo di Rodelinda è stato affidato al soprano canadese Karina Gauvin che nella cavatina iniziale ‘Ho perduto il caro sposo’ ha mostrato qualche difficoltà di emissione soprattutto negli abbellimenti e nella frequentazione del registro acuto fatto che aveva dato un po’ di apprensione al pubblico.

Fig. 6 il controtenore Rafał Tomkiewicz (Unulfo).

Ma la sua prova è cresciuta di livello con il procedere dell’esecuzione come nell’aria ‘Morrai sì: l’empia tua testa’ e soprattutto, assieme a Pe, nel duetto che chiude il II atto ‘Io t’abbraccio’, veramente uno di punti più toccanti della serata.

Sorprendente è stata la prova dell’altro controtenore, il polacco Rafał Tomkiewicz, un Unulfo dalla voce molto robusta, bene impostata e del tutto incisiva. Di rilevo ‘Fra tempeste funeste’ che ha chiuso la prima parte del concerto.

Di buon livello anche l’interpretazione di Giuseppina Bridelli, Eduige dai toni appassionati; di lei ricordiamo la pirotecnica ‘Lo farò; dirò: spietato’ affrontata con sicurezza e piglio teatrale.

Nelle altre due parti una buona impressione ha destato il Grimoaldo del tenore Luigi Morassi che ha ben interpretato una parte dalla linea vocale non particolarmente spinta come quella hendeliana affrontata però con sicurezza come in ‘Già t’amai’ del primo atto. Mirco Palazzi, infine, un basso dalla voce limpida e bene impostata per un Garibaldo con una certa agilità nel frequentare i registri acuti e bassi come nell’aria ‘Di Cupido impiego i vanni’.

Fig. 7 Il tenore Luigi Morassi (Grimolado).
Fig. 8 Il basso Mirco Palazzi (Garibaldo).

La recita ha ottenuto un caloroso ed intenso successo da un pubblico visibilmente entusiasta per quanto ascoltato applaudendo a lungo al termine della recita con intensità speciale per Raffaele Pe vero trascinatore della serata.

Claudio LISTANTI  Roma 24 Novembre 2024