di Anna Lisa GENOVESE
Presentiamo con profonda soddisfazione questo nuovo importantissimo studio della dott.sa Anna Lisa Genovese che fa luce sulla figura e sull’opera dell’incisore Nicolò Billy (Parigi, 1642 – Roma, 1707) mettendo fine in modo risolutivo alla confusione creatasi fino ad oggi a causa della omonimia con un altro Billy, Nicola, e con altri Billy, Antonio, Giacomo e Vincenzo, tutti incisori, stampatori e venditori di opere grafiche, legati da rapporti di parentela ed operanti peraltro in un arco di tempo compreso tra il 6 e il ‘700, tutti elementi che hanno indotto in errore critici e studiosi vari nel corso del tempo. Anna Lisa Genovese, già autrice per About Art di un eccezionale contributo che ha riscosso e ancora riscuote un significativo successo (cfr. https://www.aboutartonline.com/monumenta-memoriali-di-artisti-nelle-chiese-di-roma-in-pdf-un-eccezionale-studio-di-anna-lisa-genovese/ ) con questo studio inedito, minuzioso e assolutamente accurato, mette finalmente a disposizione dei lettori di About Art oltre che di tutti gli studiosi e di quanti interessati il repertorio autentico di Nicolò Billy grazie a una precisa rilettura delle fonti e ad una inedita documentazione. Oltre alle immagini che sono a corredo di questo significativo saggio, in coda pubblichiamo -su espressa indicazione dell’autrice- il pdf con tutte le incisioni di Nicolò Billy reperite, studiate e documentate dalla studiosa, a formare così una straordinaria raccolta tanto inedita quanto necessaria per ogni studioso del mondo e dell’arte in epoca barocca.
Note per un nuovo catalogo dell’incisore Nicolò Billy (Parigi 1642-Roma 1707)
La figura di Nicolò Billy, incisore di origine francese attivo a Roma, risulta poco o affatto delineata nella letteratura artistica, limitata alle sole voci di dizionario, dove è presente fin dal XVIII secolo. Molto fluttuanti vi risultano i suoi estremi cronologici, che coprono un arco temporale estremamente variabile, con la sovrapposizione, inoltre, tra due omonimi che si avvicendano lungo un intero secolo, a cavallo tra Sei e Settecento.
La confusione storiografica sui Billy
Oltre ai due Nicolò-Nicola Billy, si contano altri personaggi con lo stesso cognome che operano nel medesimo campo, tra incisori, stampatori e venditori di opere grafiche: Antonio, Giacomo e Vincenzo, legati ai primi due da rapporti di parentela. La confusione tra i vari Billy è dovuta ai dizionari successivi a quello del senese Giovanni Gori Gandellini (1771), che ne confutarono le posizioni, ma che alla luce dei documenti ora emersi si rivela invece il primo e il più attendibile biografo.
L’appassionato collezionista di stampe Gori, infatti, vissuto anche a Roma dove morì nel 1768, ebbe modo di raccogliere notizie di prima mano, pubblicate postume dai suoi figli[1]. Nel suo repertorio, egli dedicò ai Billy tre voci, a cominciare da Giacomo de Billy, definito semplicemente un traduttore dei Carracci. Subito dopo vengono Antonio e Niccolò, trattati nello stesso lemma:
«Hanno intagliato a bulino dall’opere di Guido Reni il S. Michele Arcangelo, ch’è nella chiesa dei Cappuccini di Roma; una fuga in Egitto, ricavata dal quadro ch’è nella Galleria Colonna in detta città; siccome da Pietro da Cortona S. Michel’Arcangelo che fulmina e frena il Demonio in forma d’Idra, con il Padre Eterno, Gesù Cristo e Spirito Santo in Gloria. Questo è forse uno dei due quadri che il Cortona regalò al pontefice Alessandro VII, dal quale furono contraccambiati in una ricca Croce appesa ad una più ricca collana d’oro. Da Carlo Pignoli il miracolo di S. Vincenzo Ferreri, che richiama alla vita un bambino fatto in pezzi. Da Mignard una Vergine col Bambino. Intagliarono ritratti, tra’ quali quello del pontefice Innocenzo XI e quello di Maria Anna di Neuburgo terza moglie dell’Imperator Leopoldo».
L’ultima voce di Gori è dedicata al Niccolò romano, del quale ricorda che lavorò per il re delle due Sicilie, realizzando stampe di Ercolano (1757-1762), e inoltre che intagliò ritratti di pittori per il Museo Fiorentino.
Gli storici successivi cominciarono a proporre date e relazioni parentali diverse tra i vari Billy. Se il von Heinecken si dimostra ancora prudente nei dettagliati repertori dei due “Nicolo”, di Vincenzo e di Giacomo di Chartres[2], l’anno dopo, nel 1789, Pierre-François Basan qualificava “Antoine & Nicolas” come fratelli[3]. Ticozzi riconosceva il Nicola romano, nato nel 1719, e il fratello Giacomo attivo nel 1734, contestando le voci di Gori perché gli altri due Billy secondo lui non avevano diritto di entrare nel suo dizionario, “non conoscendosi veruna indubitata loro opera che non sia attribuita ai precedenti”[4]. Anche De Boni registrava il Nicola romano e Giacomo come fratelli[5], mentre Bryan considerava “Niccolò e Antonio” attivi nel 1734[6]. Le Blanc nominava un solo Nicola, operante per un lungo periodo a cavallo tra i due secoli[7], seguito da alcuni attuali repertori museali, che danno gli estremi della sua attività nel periodo 1689-1747.
Nel moderno dizionario Benezit, benché compaiano più Billy, sono tutti ritenuti attivi nel XVIII secolo[8]. Borroni, nel dizionario Treccani, distingueva due Nicola con gli epiteti “Il Vecchio” e “Il Giovane”, considerati padre e figlio, suggerendo una parentela tra Nicola il Vecchio e Giacomo, identificato erroneamente in Jacques de Billy[9]. Notando l’eccessiva estensione del periodo di attività calcografica, Davoli formulava l’ipotesi che i Nicola fossero tre, operanti rispettivamente nella seconda metà del Seicento, prima metà e seconda metà del Settecento, in quanto due sole generazioni non avrebbero potuto coprire un intero secolo [10].
A fare finalmente un po’ di chiarezza in questo magma sono alcuni documenti d’archivio inediti e una più estesa ricerca in campo bibliografico, che si rendono noti in questo studio, grazie ai quali è possibile fissare dei punti fermi e apportare correzioni al lemma di Nicola Billy il Vecchio, nel Dizionario Biografico della Treccani, e a vari altri repertori.
Cenni biografici su Nicolò Billy
Nicolas Billy, figlio di Laurent, nasce a Parigi nel 1642 circa; se ne ignora la formazione fino al 1670, quando è documentato come incisore ad Avignone, contemporaneamente a Louis David[11]. Dopo un primo matrimonio, dal quale nasce la figlia Maddalena, lasciata ad Avignone, già nel 1673 lo troviamo in Italia, dove firma un’incisione pubblicata a Venezia. Nell’Urbe, almeno dal 1678, intraprende una collaborazione con la tipografia di Angelo Tinassi, entrando in contatto con la cerchia culturale, ad essa legata, di monsignor Giovanni Giustino Ciampini, erudito in varie discipline, antiquario, direttore del Giornale de’ letterati e fondatore nel 1677 dell’Accademia fisico matematica romana.
Intorno al 1682, si sposa con la romana Angela Gioia, con la quale ha nove figli: Antonio (1683), Vincenzo (1685), Giuseppe (1687), Lorenzo (1689), Maddalena (1692), Filippo (1693), Francesco (1698), Ludovico (1702) e Gaetano (1704) [12]. Con la famiglia, si stabilisce nel rione Ponte, nella parrocchia dei SS. Simone e Giuda, in una casa degli Ximenes, detta alla “cordonata” oppure nella “salita verso Monte Giordano”, una strada vicina ai Coronari e alla chiesa di S. Salvatore in Lauro. L’area, ai confini con Parione, e sulla riva opposta del Tevere rispetto al Vaticano, era caratterizzata da una forte vocazione commerciale, con la presenza di medaglisti, pittori, soprattutto miniaturisti, e delle botteghe ad essi connesse: librerie, calcografie, stabilimenti per il conio, che vendevano souvenir per i pellegrini in transito verso la basilica di San Pietro, comprese le corone per il rosario, da cui il nome della via dei Coronari.
L’operato di Billy, non troppo elevato per la qualità, spesso, dal carattere artigianale, si dimostra orientato prevalentemente verso due generi: i ritratti e i soggetti devozionali destinati all’illustrazione libraria, che rivelano gli stretti rapporti con ordini religiosi e comunità monastiche varie: carmelitani, passionisti, agostiniani, celestini, francescani, benedettini vallombrosani, ecc. Qualche inaspettata incursione in campo cartografico ne rivela, invece, un aspetto finora del tutto sconosciuto.
La formula preferita dall’incisore per sottoscrivere le sue opere è “N. Billy sculp.”, non sempre accompagnata dal nome dell’autore del disegno o del dipinto, specialmente quando copia da stampe altrui, ma anche nel caso in cui sia egli stesso l’inventore e il disegnatore del soggetto. I principali bulinisti da cui attinge sono di area francofona come lui: Albert Clouet, Benoît Farjat, François Spierre, Cornelius Bloemart, Étienne Picart e François de Poilly, tutti attivi nella Roma cosmopolita della seconda metà del XVII secolo. Anche i pittori di cui traduce le invenzioni o i dipinti sono tutti coevi, e tra i maggiori artisti del barocco romano, spesso venati di classicismo, primo fra tutti Guido Reni, quindi Pierre Mignard, Carlo Maratta, Ludovico Gimignani, Guillaume Courtois il Borgognone, Pietro da Cortona e il suo seguace Ciro Ferri.
Negli anni Ottanta del ‘600, Nicolò si lancia nel mercato editoriale, aprendo una sua calcografia, prima a S. Salvatore in Lauro e poi all’Orologio della Chiesa Nuova. Presso quest’ultimo indirizzo licenzia anche un nutrito e variegato gruppo di opere di Henri Bonnart (1642-1711), incisore e stampatore parigino “au Coq”, con il quale instaura una partnership sul finire del secolo.
Ormai infermo, il 13 ottobre 1707, detta le sue ultime volontà al notaio Cardelli [13]. Nel testamento dispone che alla figlia di primo letto vadano i suoi beni in patria e quattro scudi; nomina erede usufruttuaria la moglie Angela Gioia ed eredi proprietari i figli superstiti: Vincenzo, Giuseppe, Lorenzo, Filippo, Francesco e Ludovico. Qualora i figli, diventati maggiorenni e solo dopo la morte della madre, avessero voluto vendere la bottega comune, avrebbero dovuto preferire Vincenzo come acquirente, concedendogli un tempo congruo per liquidarli. Circa un mese più tardi, il 24 novembre 1707, Nicolò Billy muore all’età di 65 anni[14].
Nuove considerazioni
Il reperimento di questi nuovi dati consente di ridelineare alcuni aspetti della sua attività e dei legami familiari.
Innanzitutto, va drasticamente espunta dal catalogo di Nicolò Billy senior buona parte delle opere finora attribuitegli. La morte avvenuta nel 1707 ci obbliga ad eliminare tutta la produzione pienamente settecentesca; dal catalogo di Davoli: ad esempio, delle ventisette opere elencate ne rimangono solo quattro. Inoltre, va ridimensionata la collaborazione con il primogenito Antonio, morto prima del padre. Ulteriore nota di rilievo è l’inesistenza di un figlio di nome Nicola, pertanto nell’omonimo va riconosciuto un nipote, documentato a partire dal 1728, quando, esordiente, vince un premio all’Accademia di San Luca[15]. Il salto generazionale giustifica così l’interruzione della produzione incisoria nei primi tre decenni del secolo, un periodo colmato dall’attività tipografica, con il marchio di fabbrica di Nicolò, fino a quando non viene sostituito dal nome del figlio Vincenzo[16], sempre alla Chiesa Nuova.
Da un’analisi complessiva della produzione dei due omonimi, ormai nettamente distinti nel tempo, si ricavano alcune considerazioni utili a distinguerne le firme, apparentemente uguali. Le stampe più antiche sono contrassegnate per lo più dalla sola iniziale del nome “N.” o da “Nicolo” senza accento, la forma preferita dal Billy senior per la cadenza sull’ultima vocale, come nell’intonazione francese, che per questo trovò inutile porvi il segno grafico. La firma Nicola attiene più al Billy junior, nato a Roma, che non disdegna le forme Niccola, Nicolò, Nicolaus, o l’abbreviazione Nic.; ma in lui, soprattutto, sono più frequenti le alterazioni del cognome[17].
Anche per i tre indirizzi della bottega, menzionati alla rinfusa da Borroni, è possibile migliorare la loro definizione temporale. In base alle rarissime date presenti sulle stampe, la prima sede risulta quella presso S. Salvatore in Lauro, documentata nel 1685 e 1686, e poi alla Chiesa Nuova, dal 1690 circa. L’indirizzo presso Pasquino, invece, l’ho rinvenuto solo su due tavole incise da Michel Corneille, con la Strage degli Innocenti dagli arazzi di Raffaello: “Si Vendono in Roma da Nicolò Billӱ Vicino a Pasquino”[18]. Ma vista la sua rarità, tale indirizzo, che risulta solo per la vendita, va interpretato come un episodio temporaneo.
Sulla base delle nuove informazioni documentarie, e di un’accurata ricerca nei fondi bibliotecari e museali, grazie anche alla loro divulgazione online, ho potuto ricostruire il catalogo delle opere di Nicolò Billy, in buona parte inedito.
Il catalogo di Nicolò Billy sr.
Essendo sconosciuta la sua attività precedente, il corpus delle opere di Nicolò Billy comincia in Italia, con una serie di soggetti sacri che anticipano di circa un decennio la data finora documentata. Le prime due firme si riscontrano in opere stampate a Venezia da Paolo Baglioni[19], città vivacissima nel XVI e XVII secolo per l’editoria, costituendo un interessante versante di ricerca, nell’ipotesi che prima di giungere a Roma Billy si sia fermato nella città lagunare. Dopo la vignetta per il frontespizio di un Missale Romanum (1673), con i simboli dei Quattro Evangelisti, troviamo la stampa con la Resurrezione, da Ciro Ferri, in un messale francescano (1676)[20], presente in molti libri analoghi fino a metà ‘700.
L’opera più antica che lo attesta a Roma è invece l’antiporta per i Decreti capitolari dell’Ordine dei Chierici Regolari Minori[21], o Caracciolini, per i tipi di Angelo Bernabò, del 1678, con una scena della Congregazione generale dell’Ordine.
L’anno seguente, per Nicolò Angelo Tinassi, incide l’antiporta del Processionario di P. Antonio de Monroy,[22] raffigurante la Madonna della Misericordia [fig. 1], nella quale si firma usando ancora il verbo fecit, come in tutti i casi precedenti, sostituito da sculpsit a partire dal 1680. L’editore Tinassi, di origine abruzzese, con un’importante tipografia in via Lata, era specializzato in libretti musicali e teatrali, e fu scelto proprio per la presenza di spartiti all’interno del testo. Entrambi questi lavori, dalla fattura piuttosto grossolana, si possono attribuire a Billy anche per il disegno, ancora inesperto e fallace in alcuni punti.
Nel 1680, viene licenziato, sempre da Tinassi, un testo su Santa Rosa da Lima [fig. 2], terziaria domenicana canonizzata nel 1671.
L’illustrazione di Billy, che sembra ispirata a un dipinto, la raffigura mentre cammina con Gesù Bambino per mano, con i consueti attributi delle rose e di un usignolo sullo sfondo naturalistico[23].
Allo stesso anno risale l’opuscolo di Tommaso Petrucci, membro dell’Accademia fisico matematica [24], in cui l’autore disserta sui quattro elementi della natura di Empedocle [25], raffigurato nell’enigmatica immagine dell’antiporta, disegnata da Sebastiano Graziosi e incisa da Nicolò, sulla quale veleggia il motto Hinc tenebrae labor hinc inde secura dies [fig. 3].
La collaborazione con la stamperia Tinassi prosegue nel 1681, per uno studio di Giuseppe Dionisio Ponzi, nato sempre all’interno dell’Accademia fisico matematica di Ciampini [26]. Billy esegue due tavole astronomiche per illustrare il percorso della cometa che attraversò il cielo di Roma, tra il 29 e il 30 dicembre 1680, nel segno della Vergine, visibile anche a occhio nudo per la sua intensa luminosità; la prima intitolata “Magnitudo Stellarum”, e la seconda “CVRSVS MAGNI COMETÆ ANN. MDCLXXX ET MDCXXXI ROMÆ VISI” [figg. 4-5].
Figg. 4 e 5 Mappe astrali con il passaggio di una cometa su Roma nel dicembre 1680 (Roma 1681) Roma, Biblioteca Casanatense (Tav. I, mm 177×240; Tav. II, mm 340×397)
Il fenomeno ebbe grande risonanza in tutta Europa, in un’epoca rivoluzionaria per l’astronomia, con le speculazioni matematiche di Johann Kepler e le scoperte al telescopio di Galileo Galilei, e oltre a questo lavoro scientifico furono stampati vari racconti sull’evento e gli episodi ad esso connessi, anche di tipo popolare e superstizioso, come la gallina che in Roma aveva fatto un uovo dove apparentemente era visibile la cometa[27].
Di tutt’altro genere sono le dodici tavole con i Fregi per il marchese del Carpio, su disegno di Pietro Cerini e dedica dell’editore Giovanni Marco Paluzzi. Questi raffinati disegni ornamentali, incisi perfettamente da Billy, risalgono al tempo in cui il marchese era ambasciatore a Roma (1676-1682), e furono stampati nuovamente a cura dell’editore Domenico de Rossi (1691-1705), erede e successore di Giovanni Giacomo de Rossi nella stamperia alla Pace.
Un’altra opera singolare è la riproduzione grafica dell’Organo per l’Abbazia di S. Spirito [fig. 6], nei pressi di Sulmona, detta anche Badia morronese, la cui parte lignea era stata realizzata nel 1681 dal milanese Giovanni Battista del Frate. La data e il nome dei promotori dell’organo furono scolpiti nel legno della balconata: “Abbate Generale D. Abbundio Guzzio de Faventia. Abbate Priore D. Coelestino Guicciardino Bonom. MDCLXXXI”[28], e la stampa che lo immortala fu incisa da Billy poco dopo, su disegno dello stesso del Frate. Borroni riteneva l’incisione posteriore al 1706 (forse supponendo che la costruzione dello strumento musicale fosse successiva al terremoto di quell’anno) e tale datazione compare nel catalogo della Biblioteca Statale di Berlino che ne possiede una copia. Ma i riferimenti presenti nella lunga dedica della tavola la collocano ben venticinque anni prima: oltre a quello del cardinale Carlo Barberini, protettore della Congregazione dei Padri Celestini e morto nel 1704, vi compare il nome di Abbondio Guzzi, Abate generale dei Celestini dal 1679 al 1682. L’incisione si può quindi datare entro tale termine.
All’inizio degli anni Ottanta del ‘600 furono pubblicati due testi di P. Biagio della Purificazione, per i tipi di Giuseppe Vannacci[29], con antiporte di Billy molto diverse nello stile. La prima presenta un ritratto di Suor Chiara Maria della Passione (1681), copiato da una precedente incisione di Albert Clouet, che era priva però dell’ambientazione. L’associazione con l’incisore fiammingo, attivo a Roma per un ventennio (1656-1677), sembra quasi un passaggio di testimone, nella coincidenza tra la partenza dell’uno e l’arrivo dell’altro nell’Urbe. La seconda antiporta raffigura l’Estasi di S. Teresa d’Avila (1682) [fig. 7], che si distingue per una resa dagli effetti pittorici, con linee morbide nei volti idealizzati degli angeli e della santa; l’iconografia sembra influenzata dalla S. Teresa di Gian Lorenzo Bernini, soprattutto nella discesa dall’alto dei raggi di luce divina.
In questa incisione Billy palesa l’assimilazione di un linguaggio più classicheggiante, proprio della pittura barocca priva di eccessi retorici, analogo a un altro suo lavoro, senza data, della Madonna con Bambino che appare a S. Nicolò da Tolentino. Per quest’ultima, Billy copiò la stampa di Farjat, sulla quale veniva indicato anche il nome dell’inventore, il pittore Ludovico Gimignani.
La produzione di ritratti di personaggi ecclesiastici, destinata a testi biografici o teologici, rappresenta una parte davvero cospicua del catalogo di Nicolò Billy, ma non sempre la data di edizione del libro coincide con quella dell’illustrazione, pertanto le datazioni proposte, quando non indicate sulla tavola, sono da considerare approssimative. Lo dimostra, ad esempio, il ritratto di Giulio Bartolocci, Abate di S. Sebastiano alle catacombe, datato 1680, ma inserito in un testo del 1675[30], in occasione di una sua ristampa.
Sempre per la Tipografia della Congregazione di Propaganda Fide, Billy realizza anche il ritratto di Giulio Mauroceno [fig. 8], pubblicato nel 1683[31], che insieme al precedente si qualifica per una buona resa delle fisionomie e dei passaggi tonali.
Dopo la morte del predicatore lucchese Giuseppe Bonfigli [fig. 9], nel 1681, Billy ne incide il ritratto dipinto da Giuseppe Pinacci, come si legge in fondo alla lunga iscrizione con dedica al marchese Luca degli Albizi. Bonfigli viene raffigurato all’interno di una biblioteca, seduto di trequarti, con le mani appoggiate sui braccioli, mentre una seconda versione del ritratto, semplificata ma stilisticamente superiore, fu inserita in una biografia del predicatore, edita a Lucca nel 1690[32].
Analogo al precedente, è il ritratto del cardinale e giurista Giovanni Battista De Luca, morto nel 1683, quale antiporta di un testo scritto dal medesimo, licenziato a Roma l’anno seguente[33]. La figura dell’alto prelato è ambientata nel suo studio, seduto sotto un baldacchino e nell’atto di scrivere, secondo canoni propri dell’arte pittorica. La fonte di questa iconografia, almeno in parte, è riscontrabile nel ritratto del cardinale in piedi, attribuito a Carlo Maratti, nella Pinacoteca di Venosa, luogo di nascita del cardinale De Luca.
Una delle opere più note di Billy è il S. Michele Arcangelo con la SS. Trinità [figg. 10-11], ripresa da Pietro Berrettini da Cortona, e stampata prima del 1686, quando compare nell’Aggiunta all’Indice di Giovanni Giacomo de Rossi[34].
L’opera era stata già incisa per il frontespizio di un celebre Messale di Alessandro VII, del 1662[35], da François Spierre, e dal confronto tra questa e un disegno preparatorio del Berrettini presso l’Art Institute di Chicago, si notano alcune differenze nel corpo della bestia e nella roccia sulla quale essa poggia, trasformata in lingue di fuoco. La versione di Billy, priva del titolo, oltre a conservare le varianti di Spierre, elimina il triregno con le chiavi decussate, sopra la testa dell’Arcangelo, e l’altra chiave nella mano sinistra; inoltre, nello spazio centrale presenta alcuni elementi architettonici appena sfumati, con effetto di lontananza.
Non ho individuato, invece, la traduzione da Guido Reni del S. Michele Arcangelo, forse contenuta in un libro liturgico, come la versione di Girolamo Frezza (1714); la stampa di Billy, citata per prima da Gori, veniva posta da Borroni dopo il 1709, con una datazione inverosimile per l’ormai defunto Nicolò. L’altra celebre opera ricordata in letteratura, La fuga in Egitto, sempre di Guido Reni, è tra i migliori risultati del bulino di Billy, che si distingue per la qualità del disegno, così come un’altra opera dello stesso pittore, il S. Francesco in adorazione del Crocifisso [fig. 12], realizzata da Billy in controparte rispetto all’originale dipinto, perché copiata da una stampa di Benoît Farjat alla quale apporta piccole ma significative varianti, come l’aggiunta delle stimmate.
Nel 1685, ancora per Tinassi, Billy realizza alcuni intagli per il libro di Annibale Adami[36] dedicato a due generali dell’antica famiglia romana dei Capizucchi, Camillo e Biagio. Oltre allo stemma gentilizio intaglia i ritratti dei due protagonisti, copiandone i volti dalle stampe di Albert Clouet, già licenziate nel 1668 dalla stessa tipografia[37]. Nel volume precedente venivano illustrati tutti i componenti della famiglia Capizucchi, dai disegni di Francesco Allegrini; ma per la nuova edizione, anziché avvalersi delle stesse matrici, l’editore affidò a Billy la realizzazione dei nuovi ritratti, con modifiche al vestiario.
Negli anni Ottanta si pone la produzione di una serie di effigi, davvero cospicua, dedicata ai sovrani d’Europa e uniformata dalle medesime cornici barocche di foglie d’acanto. La loro caratteristica è di avere l’indirizzo della tipografia di Nicolò Billy, documentando l’inizio della sua attività di stampatore oltre che di calcografo, ma su un solo ritratto, tra quelli trovati, compare la data di edizione, ossia quello di Massimiliano Emanuele di Baviera, con l’iscrizione “N. Billy Formis A∙ S∙ Saluatoro di lauoro 1685”[38]. Durante la realizzazione di questo progetto si verificò il trasferimento nella nuova sede, e un altro gruppo presenta l’indirizzo presso la Chiesa Nuova [39], mentre il ritratto di Maria Ludovica di Borbone [fig. 13], inserito in una pubblicazione del 1688 a lei dedicata [40], ne è privo.
In questa serie, l’effigie di papa Innocenzo XI (1676-89) [fig. 14], traduzione dal dipinto di Jacob Ferdinand Voet[41], merita un’attenzione particolare, essendo la stampa più replicata, sia con l’uno sia con l’altro indirizzo, oltre ad essere stata realizzata pure in controparte. Come per altre incisioni di Billy anch’essa ha un precedente nel fiammingo Clouet, che vi aveva però aggiunto la mano benedicente del papa.
Il ritratto di Alessandro VIII (1689-91) [fig. 15] è invece ben più raro; l’unico esemplare rinvenuto è in un manoscritto Vaticano che ne racconta il pontificato, ed è utile per individuare il cambio di sede della calcografia intorno al 1690. Il modello sembra derivare dal dipinto di Giovanni Maria Morandi, tradotto anche da Farjat, ma Billy pone il busto di Alessandro VIII sullo stesso sfondo del predecessore Innocenzo XI, presente unicamente nei ritratti dei due pontefici.
Nel 1686, data e stampa a S. Salvatore in Lauro la mappa de La Morea (il Peloponneso), appena ritornata sotto il dominio della Serenissima. La tavola è inclusa nel V volume della raccolta Piante, et Alzate di Città e Fortezze Raccolte in Roma (VI voll.), alla National Library di Malta[42], una collezione pressocché sconosciuta in Italia. In essa confluirono le opere di moltissimi incisori e stampatori, da metà ‘500 a fine ‘600[43], e il contributo di Billy deriva dal lavoro del geografo e cartografo francese Nicolas Sanson (1600-1667)[44].
Sempre al 1686 risale la tavola con otto vignette che illustrano il Menologio dei Santi iberici e l’Apparizione della Madonna a S. Giacomo [fig. 16], che portò alla fondazione della basilica del Pilar a Saragozza. La stampa fu successivamente inserita in un testo di lingua spagnola, edito a Roma nel 1685, e nell’esemplare donato dall’autore, Fernando Rodriguez y Silva[45], proprio nel 1686, alla Biblioteca Angelica, se ne trovano addirittura due copie.
Nel 1688, Billy incide il ritratto del venerabile Bartolomeo Holtzhauser, di fattura alquanto rozza, pubblicato nella biografia del religioso edita a Roma nel 1704[46], dalla ex Tipografia Tinassi, appena rilevata dal nuovo proprietario Francesco Gonzaga.
Il 1690 è un anno ben documentato, a cominciare dal ritratto del cardinale Jean Gautier, della diocesi di Liegi, stampato dall’editore boemo Komarek [47]. Quindi, per i tipi di Giuseppe Vannacci, Billy intaglia l’antiporta del volume che Giovanni Battista Barberio dedicò alla vita del beato Giovanni di Capistrano [48] [fig. 17], per sostenerne la canonizzazione. L’immagine raffigura il frate in viaggio sotto il vessillo del Cristogramma, insieme a un gruppo di confratelli; tra le iscrizioni, oltre al cartiglio con il Salmo 77, sotto, sempre a sinistra, si legge la firma “Nicolo Billy sculp.”. In un altro stato della stampa, con il risultato di invertire le posizioni canoniche, a destra fu aggiunto il nome del disegnatore: “F. Emmanuel del.”, ovvero il pittore fra Emanuele da Como (1625-1701), della comunità di S. Francesco a Ripa a Roma. Oltre a questa, Billy incise un’altra tavola dedicata a S. Giovanni di Capestrano, come condottiero e trionfatore della milizia cattolica (Biblioteca Mozzi Borgetti, Macerata), con la figura del frate al centro, circondato da un corollario di medaglie raffiguranti episodi della sua vita, descritti in calce; certamente coeva o posteriore al 1690, quando il beato fu proclamato santo.
Ancora due stampe, nel 1690, compaiono nel Romanum Museum [49], con tavole senza firma della collezione di antichità dell’erudito parigino Michel-Ange de La Chausse, detto il Causeo. A Ludovico Gimignani si deve l’invenzione dell’immagine allegorica con la Fama che regge il titolo dell’opera, e la Dea Roma seduta che sostiene un clipeo con il ritratto del principe Ludovico Augusto di Borbone, [fig. 18] dedicatario. Dalla traduzione di un sontuoso dipinto di Carlo Maratti, disperso, fu invece ricavata l’altra stampa di Billy, per la seconda antiporta, con il ritratto del Causeo [fig. 19].
È possibile datare agli stessi anni La Madonna con Bambino, da Pierre Mignard, grazie alla presenza dell’indirizzo vicino alla Chiesa Nuova. Per questa incisione Billy probabilmente si avvalse della precedente stampa di François de Poilly, benché rimanga difficile individuare esattamente la fonte, trattandosi di un’opera molto replicata con varie tecniche, dato il successo del dipinto ispirato ai modelli raffaelleschi.
Per il testo di fra Emmanuele da Gesù Maria sull’Alfabeto mariano [50], pubblicato a Napoli nel 1692, Billy incide l’immagine della SS. Maria Regina Addolorata [fig. 20] (Apocalisse, Cap. XII.1), con corona e aureola di dodici stelle, mentre tiene nella mano sinistra una spada, attributi della Mater Dolorosa alla quale, proprio quell’anno, Innocenzo XII aveva dedicato la celebrazione nella terza domenica di settembre. Lo stile, alquanto anomalo per Billy, sia nell’iconografia che nella tecnica, denota un gusto spiccatamente popolare, assimilabile alle immaginette dei santini.
Al 1694 risale l’unica stampa datata con l’indirizzo all’Orologio della Chiesa nuova, il Gesù al cospetto di Caifasso, ma non incisa da Nicolò, bensì da Girolamo Frezza.
Nello stesso anno, Billy stringe una collaborazione con Ferdinando Fabiani, un eclettico personaggio di Offida, disegnatore, pittore, poeta, commediografo, filosofo [51], e ne intaglia alcune concettose invenzioni per due testi dedicati a Giovanni Ciampini. L’antiporta per il libro sul fuoco domestico di Lorenzo Maria Pagliarini [52], raffigura la Fama con lo stemma del prelato [fig. 21], sospesa sopra un fuoco davanti allo specchio ustorio di Archimede, e il motto Fortior unitus. L’altra incisione è inserita in un libro scritto dallo stesso Fabiani, con una sorta di apologia di Ciampini [53], e una prefazione sulla superiorità dell’arte della stampa rispetto alla pittura, alla scultura e all’architettura, espressa dalla scena allegorica nell’antiporta: su uno sfondo di antichità romane, tra le quali svetta la Colonna Traiana, fondamentale oggetto di studio della cultura antiquaria secentesca, La Tipografia viene premiata dalla Gloria sotto l’egida della Fama [fig. 22], che stringe un nastro con il motto Hinc meritis undiq nomen.
Ancora nel 1694, Billy incide una pianta prospettica della città di Offida nella Marca [fig. 23], ugualmente disegnata da Fabiani, che insieme agli altri rari esempi di stampe cartografiche rintracciate, fa presumere una più ampia attività del nostro incisore in questo genere.
L’anno seguente lo troviamo impegnato in una pubblicazione agiografica, del monaco Giovanni Aurelio Casari, dedicata ai Santi, Beati e Venerabili della Congregazione Vallombrosana [54], per la quale realizza una cospicua serie di tavole, dallo stile piuttosto sommario. Oltre all’immagine introduttiva, con il Crocifisso nella SS. Trinità a Firenze, Billy incide ventisette ritratti di monaci e monache della Congregazione, tra i quali quello di Francesco Rasi, pubblicato nuovamente nel 1711 in una monografia dedicata al monaco da Pier Girolamo Mazzoleni [55].
Nell’ambito dei rapporti con i benedettini di Vallombrosa va inserita anche la stampa della Vera effigie di S. Gertrude [fig. 24], con dedica al Priore dell’Abbazia di S. Bartolomeo a Ripoli, realizzata da Billy in due versioni, e incisa pure da Benoît Farjat nel 1686, la cui iconografia ingentilita risale a un modello tedesco del 1670.
In un Breviario romano del 1697 [56] sono presenti una serie di stampe realizzate da Nicolò Billy, tra le quali una riedizione della Resurrezione (1676), oltre a la Natività di Gesù, l’Adorazione dei Magi, la Circoncisione, la Pentecoste, l’Assunzione della Vergine, la Madonna Immacolata, S. Chiara in gloria e S. Francesco in adorazione del crocifisso. Queste ultime sono tutte prive del nome del disegnatore, ma dal confronto con il già citato Messale del 1662, particolarmente ricco di illustrazioni [57], ho potuto individuare la fonte di alcune di esse. Per le tre immagini delineate da Ciro Ferri, Billy copiò la Resurrezione e la Pentecoste da Cornelius Bloemart, e la Circoncisione [fig. 25-26] da François Spierre;
per l’Adorazione dei Magi, [fig. 27-28] su disegno di Guillaume Courtois (Paul Getty Museum di Los Angeles), copiò la stampa di Étienne Picart.
Quest’ultimo lavoro veniva indicato da Davoli come opera di un altro Billy, Giacomo o Antonio, perché vi riconosceva uno stile diverso da Nicolò I, non avendo avuto modo di confrontarlo con le altre tavole della serie, tutte coerenti e da lui sottoscritte.
Continuando la collaborazione con Ferdinando Fabiani, Billy incideva l’antiporta per un testo sul tema dell’imitazione (ms. alla Biblioteca Vaticana), databile al 1697, con il sole che si riflette in uno specchio e il motto Prendo luce m’illustro e rendo il lume.
Al 1698 risale invece l’incisione nel volume di P. Gaspar de San Augustin, edito a Madrid [58], ancora un lavoro che lo lega all’ambiente ecclesiastico spagnolo, con S. Agostino in partenza per le Filippine, in cui vengono raffigurati il Santo e Filippo II posti uno di fronte all’altro, ciascuno con il proprio seguito.
Quella che sembra essere l’ultima opera databile nel corpus di Billy senior è il ritratto del musicista Giuseppe Valentini (1681-1753) [fig. 29] all’età di ventiquattro anni, quindi del 1705, dallo stile fresco e luminoso nei suoi abiti moderni, con il fondo sul quale si proietta l’ombra.
Negli ultimi anni di vita, e oltre, si concentrano le stampe con la dicitura “da N. Billy vicino all’Orologgio della Chiesa Nuova”, formula relativa all’attività mercantile che fu conservata fino a quando il figlio Vincenzo non diventò titolare della calcografia, sostituendo il nome del padre con il proprio[59].
Anna Lisa GENOVESE Roma 22 Settembre 2024
Nuovo catalogo dell’incisore Nicolò Billy. Appendice Iconografica Catalogo Nicolò Billy 22.9.24
Roma, 22 settembre 2024
NOTE